Autore: Pietro Villari, 2018. Tutti i diritti riservati.
Pubblicato
on-line il 29 Agosto 2018 in thereportersblog.com, trasferito su
thereporterscorner.com il 19 Giugno 2020.
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La provenienza e la datazione del gruppo di reperti sono
avvolte nel mistero. Il luogo di rinvenimento indicato dalla casa d’aste è “Sud
America”, ma potrebbe non esserlo in quanto il lotto è totalmente privo di
documentazione. La datazione fornita è “antichi”, un termine che in
questo caso è pericolosamente insufficiente. Difatti, le prime osservazioni
spingono a ritenere questi resti di età moderna.
Il problema più grave è l’assenza di un nulla
osta rilasciato da un ufficiale sanitario, che escluda la
dannosità per la salute pubblica, essendo presenti sostanze organiche
provenienti dalla decomposizione e da altri processi post-mortem nell’ambito
di attività rituali quali la sepoltura, o accidentali, o dovuti a cause naturali. Potrebbero quindi essere ancora
attivi agenti patogeni, persino in grado di determinare pandemie.
La vicenda testimonia la necessità che l’Unione
Europea intervenga affinché i Ministeri di competenza degli Stati membri (con
particolare riferimento a Sanità e Beni Culturali) vengano dotati di un
protocollo operativo per esercitare efficaci azioni di controllo in materia di
circolazione, esibizione e commercio di questa categoria di beni soggetti a
inquietanti attività mercificatrici.
L’offerta all’asta e l’acquisto di quel che resta di
J. Doe (1)
Per oltre quarant’anni ho cercato di diffondere
l’importanza che gli studi di reperti bioarchelogici, ovvero oggetto
d’interesse delle scienze applicate all’archeologia, vengano affidati
esclusivamente a professionisti provenienti, a seconda del loro campo di ricerca,
da corsi di laurea in Scienze (Naturali, o Biologiche, o Geologiche) e in
possesso di successive specializzazioni.
Nel settore forense questa prassi è quasi sempre
seguita dalla magistratura, in quanto l’esito dell’espertizzo concorre talora
in modo determinante nelle decisioni dei giudici, in particolare in processi
che possono comportare condanne con pesanti conseguenze per gli imputati sia in
ambito civile che penale.
Viceversa, in campo archeologico si è preferito
lasciare condurre questi studi a laureati in campo umanistico consentendogli di
operare dopo aver conseguito un master, o un dottorato di ricerca in
condizioni di totale assenza delle solide basi scientifiche che soltanto una
laurea in uno di quei tre settori scientifici può fornire. Si tratta di una
arrogazione di matrice corporativa, contraria a un valido e affidabile livello
di svolgimento della ricerca scientifica, una surreale condizione inaccettabile
e aberrante.
Detto questo, per comprendere la motivazioni
dottrinali che hanno ispirato questo articolo è opportuno tenere in mente ciò
che ne rappresenta il fondamento scientifico e giuridico, che qui sintetizzo:
Per ragioni primariamente
sanitarie, in presenza di sostanze di natura organica provenienti da interri e
associati a resti di cadaveri o di carcasse animali, devono essere applicate
una serie di precauzioni, tecniche di prelevamento e di messa in sicurezza,
ovvero di operazioni che richiedono qualificata professionalità e seguano un
protocollo che tenga anche conto delle necessità di eventuali indagini forensi.
Isolati in ambiente controllato per evitare contaminazioni, i reperti devono
essere sottoposti ad analisi in laboratori specializzati che ne stabiliscano
innanzitutto l’eventuale grado di pericolosità per la pubblica salute.
Nel Marzo 2018 un medico olandese mi fece pervenire la
richiesta di un parere tecnico su un bizzarro lotto offerto da una delle più
antiche case d’aste olandesi, nella sessione Archeologia e Ceramica
Pre-Colombiana. L’oggetto si trovava esposto nella preview antecedente
di alcuni giorni la vendita al pubblico incanto, ove mi recai scoprendo
trattarsi di un interessante caso d’interesse antropologico forense.
Esibito in una vetrina assieme ad altri oggetti
definiti “archeologici” e senza alcuna precauzione sanitaria, il lotto
risultava costituito da una ciotola in ceramica nella quale era concrezionato
un blocco di terra contenente un cranio che identificai quali appartenente a un
cucciolo di Canide. Separato da questi reperti, vi era anche un cranio umano la
cui superficie presentava concrezioni terrose, mentre la scatola cranica e la
cavità orale erano colme di terreno argillo-sabbioso avente le stesse caratteristiche
osservate nell’insieme associato.
Notando la mia curiosità, l’addetta al controllo di
quella sezione espositiva mi chiese se volessi esaminare il gruppo, invito che
rifiutai specificandole la mancanza dell’apposita maschera e di guanti. La
prese come una battuta e mi rispose con una deliziosa risatina, asserendo
convinta che non esisteva alcuna pericolosità in quanto si trattava di un lotto
“antico” (2). Ebbi quindi modo di continuare la piacevole conversazione chiedendole informazioni circa la provenienza, se
esistessero documenti accompagnanti i reperti e mi fu chiarito che non vi era altro
che la succinta descrizione presente nel catalogo. Lasciai quindi trascorrere
qualche minuto, continuando a osservare il lotto con interesse e infine
insistetti “Può chiedere giù in direzione?”. Ebbe la gentilezza di
smaneggiare sul suo palmare, attese la risposta e quindi mi riferì “No,
legga il catalogo, è tutto lì”.
Fu in quel momento che decisi di prendere cura di quei
poveri resti, di acquistare il lotto affinché non sparissero entro quel
mostruoso meccanismo del mercato internazionale dove parti di cadaveri
“antichi”. Crani umani e di altri animali,
sono richiesti da una particolare tipologia clientelare per attività ricreative le più disparate. In primo luogo, bisognava quindi
identificare la provenienza del lotto e rimpatriarlo, qualunque fosse il Paese di
origine, e al contempo cercare di sensibilizzare il governo olandese al fine di
impedire il verificarsi di ulteriori casi del genere.
Inoltre, da vecchio pioniere degli studi
archeozoologici, non posso che continuare a constatare come quei resti
in vendita rappresentano una testimonianza di quanto da parecchi decenni
avviene in quel disgraziato campo delle scienze applicate all’archeologia e della distruzione
del patrimonio bioarcheologico mondiale, e una possibilità
per evidenziarne gli effetti attuali rendendone note le cause.
L’asta si svolse ad Amsterdam, il Martedì 3 Aprile 2018. Iniziò attorno alle
13:00 e dovetti attendere circa un’ora prima che il battitore giungesse a
scandire: “Lot number 2058. South America, antique human skull and earthenware
bowl with animal skull, with layers of earth and partly damaged” (3). Si rivolgeva al pubblico in lingua
Inglese, essendo molti clienti collegati on-line da altri Paesi. L’offerta
partì da una base d’asta di 200 Euro, ma riuscii ad acquistare il lotto per un
totale di Euro 569,80, incluse le spese di commissione pari al 29,5% (4).
Adesso si poneva il problema del trasporto in sicurezza, da effettuare nel più
breve tempo possibile per evitare ulteriori inquinamenti o nella eventualità
potessi essere contagiato da agenti patogeni.
I reperti acquistati mi furono consegnati qualche ora
più tardi, dopo avere saldato la fattura, disposti su un vassoio (5). Mentre
mettevo in sicurezza i reperti accadde un fatto piuttosto spiacevole (6).
Giunto a casa mi preoccupai di allestire un
laboratorio in una piccola camera vuota e ben pulita (7). Effettuai velocemente
l’esame preliminare di ogni reperto, annotando le osservazioni assieme a delle
misurazioni e scattando alcune foto. Infine, i contenitori furono sigillati e
immagazzinati in un ambiente al riparo da improvvisi cambiamenti di umidità e
temperatura.
All’indomani e nei giorni seguenti tentai inutilmente
di assumere ulteriori informazioni dalla casa d’aste (8).
Contemporaneamente, inviai una lettera al Ministero Olandese per l’Istruzione, Cultura e Scienza per informare dell’acquisto e esprimendo il desiderio di localizzare il luogo di provenienza dei reperti affinché questi potessero essere rimpatriati. Con mia sorpresa, ricevetti una risposta immediata nella quale venivo invitato a un colloquio con due dirigenti del vertice ministeriale, che fissammo per una mattina della settimana successiva nella sede centrale di Den Haag.
L’esame preliminare dei reperti
Come sopra accennato, prima di essere sigillato per
improrogabili esigenze sanitarie e per prevenire ulteriori contaminazioni da
parte di microrganismi (quali ad esempio i pollini) e di sostanze presenti
nell’ambiente, o l’azione distruttiva di organismi quali gli insetti, il lotto
è stato oggetto di un esame preliminare poche ore dopo l’acquisto (9).
Considerate le modalità e le tecniche adoperate,
l’esame ha solo validità di inventario, testimoniando lo stato dei reperti al
momento dell’acquisto e della loro messa in sicurezza in appositi contenitori.
Il lotto è stato quindi posto a disposizione delle Autorità Olandesi come
formalizzato in una missiva inviata nel mese di Aprile poco dopo l’acquisto.
Composizione del lotto: sono presenti tre
macroreperti, identificati quali un cranio umano e una ciotola ceramica
contenente un cranio di un cucciolo di Canide. Inoltre, non descritti nel
catalogo d’asta e nella fattura d’acquisto, in alcuni grumi staccatisi dalle
concrezioni terrose che accompagnano questi reperti, sono stati rinvenuti un
piccolo frammento appartenente a un secondo vaso ceramico, un bozzolo di larva,
e resti solidificati di sostanze organiche modificate in seguito alla
esposizione ad alte temperature.
Numero di Identificazione
Internazionale (IIN) :
allo scopo di facilitare le attività delle indagini scientifiche e forensi, il
lotto necessita l’attribuzione di un IIN (International Identification Number),
qui proposto NL-A04032018. Di conseguenza, i tre reperti descritti nella
fattura d’acquisto sono identificati come segue: Cranio umano:
NL-A04032018-1; Cranio di Canis sp.:NL-A04032018-2; Ciotola
ceramica:NL-A04032018-3.
Descrizione dei reperti: 1) NL-A04032018-1.
Cranio umano, mostra elementi di maturità attribuibili ad età adulta (ad
esempio l’occlusione del terzo molare e la sincondrosi sfeno-occipitale). Se
isolate dalle osservazioni provenienti dello scheletro postcraniale, come in
questo caso in quanto assenti, il cranio e la dentizione forniscono imprecise
indicazioni dell’età di morte.
Quanto alla determinazione del gender, sono presenti
caratteri sia maschili che femminili. Dall’esame del DNA si otterrebbero
anche indicazioni per risalire al gruppo umano di appartenenza, utili ai
fini di studi osteologici comparativi che permettano di potere distinguere il
gender con margini di errore nettamente inferiori.
La mandibola manca di gran parte della porzione
sinistra. Sia la cavità orale che la scatola cranica si presentano colme
di terra, quale processo post-mortem avvenuto nel periodo successivo
all’interro. Si osserva la presenza di cenere e sabbia fluviale, in maggioranza
quarzo.
Mancando l’intero scheletro post-craniale, non è
possibile stabilire se trattarsi della sepoltura intenzionale di un cadavere o
di parte di esso (testa), o piuttosto di un interro avvenuto per cause
accidentali. A tal fine, la rimozione delle concrezioni presenti nell’area
occipitale, potrebbe consentire di rivelare o confutare la presenza di tracce
di fratture, tagli o troncature riferibili alla decapitazione o alla
separazione post-mortem del cranio.
Infine, non vi sono segni di deformazione artificiale
del cranio, talora riscontrabili in individui appartenenti a determinati ceti
di popolazioni centro e sudamericane precoloniali. L’esame dell’usura dentaria
non è compatibile con quella dettata dalla dieta pre-moderna delle popolazioni
americane.
2) NL-A04032018-2. Cranio di interesse
archeozoologico, identificato quale appartenente a un Canide in età
post-natale. Sulla base dell’osservazione di caratteri quali l’occipitale
arrotondato, la mancanza della cresta sagittale, la conformazione dei
parietali, della mandibola e della dentizione è con tutta probabilità
attribuibile a una forma domestica del genere Canis (Canis sp.cfr. familiaris),
che in età adulta avrebbe raggiunto una taglia medio-grande. La presenza di
terreno nel quale è parzialmente inglobato non permette attualmente di condurre
le comparazioni e le misurazioni di routine. Vengono quindi qui annotate solo
la lunghezza massima di 11,5 cm e lo stato dell’eruzione dentaria, che
indicherebbe una età alla morte di circa 5 o 6 mesi.
Le condizioni di conservazione sono buone presentando
sub-fossilizzazione favorita dalla esposizione ad alta temperature, che hanno
provocato l’essiccazione di una porzione della pelle e la colorazione cinerea.
Tuttavia, risultano mancanti alcune piccole porzioni del cranio a causa di
diversi fenomeni possono essere intervenuti prima dell’interro, nel corso della
riesumazione e nel periodo successivo, intercorso sino alla recente vendita.
Parte dell’occipitale è stato trovato aderente alla superficie interna della
ciotola ceramica mediante una sostanza organica solidificata, conservante
chiara evidenza di combustione.
Concrezionato alla fossa temporale sinistra è stato
localizzato un bozzolo di larva, che attende specifica
identificazione da un esperto entomologo. Non si tratta di una mosca
carnaria e quindi non inerente a fenomeni di decomposizione, ma di altro
insetto la cui presenza è ricollegabile a processi naturali
intercorsi in una fase recente del periodo d’interro, poco prima della
riesumazione dei reperti.
Il terreno contenente questo cranio, e apparentemente
anche quello all’interno di esso, contiene piccole porzioni di radici formatisi
nel corso del periodo compreso tra l’interro e la riesumazione. Questa
osservazione ci permette di ipotizzare che dalla riesumazione ad oggi sono
trascorsi non oltre alcuni decenni, considerando lo stato di conservazione e il
grado di flessibilità delle radici. Si tratta quindi di un insieme di
reperti provenienti da uno scavo recente.
3) NL-A04032018-3. Ciotola ceramica
di forma irregolarmente sub-emisferica, con base piana, pareti spesse e orlo
indistinto arrotondato. Ottenuta al tornio, misura 8,7 cm di altezza e un
diametro massimo di 16,5 cm.
La parete esterna si presenta con decorazione
corrugata a linee orizzontali ottenute con poca cura. L’argilla è depurata,
apparentemente priva di inclusi di origine vulcanica (da confermare mediante
analisi petrografica), il colore varia dall’aranciato chiaro al grigio o al
grigio scuro, probabilmente in relazione non alle tecniche di produzione, ma
alle aree del vaso maggiormente esposte a fuoco in ambiente non controllato e
in scarsità o assenza di ossigeno. La vasca presenta un’ampia area della
superficie di colore grigio scuro (evidenza di un fenomeno di cottura in
riduzione) alla quale aderisce un sottile deposito cinereo probabilmente
costituito dalla combustione di materiale di origine organica.
Parte del fondo della ciotola è mancante, con tutta
probabilità staccatosi dall’interno verso l’esterno a causa della temperatura
raggiunta nel corso della combustione, anche se la ceramica a pareti spesse
corrugate è ben nota per la sua resistenza al fuoco e alla capacità di
diffondere e mantenere costante il calore su tutta la superficie del vaso.
Se questo vaso fu realmente prodotto
in Sud America come dichiarato nel catalogo della case d’aste, la sua data di
produzione non può essere anteriore al periodo Coloniale, in quanto l’uso del
tornio fu introdotto nel continente Americano dagli Europei agli inizi del XVI
secolo.
4) un piccolo frammento appartenente a un secondo vaso
ceramico è stato rinvenuto concrezionato allo sfenoide sinistro del cranio di
Canide. Si tratta di un vaso di maggiori dimensioni, probabilmente di forma
chiusa: la superficie interna è mancante, mentre l’esterna è levigata,
originariamente di colore crema. Anch’essa presenta gli effetti del processo di
riduzione in grigio chiaro, ed è decorata con solcature orizzontali poco
profonde. Anche questo vaso è riferibile a tipologie europee in uso tra il XVI e
la fine del XVIII secolo, oggetto di importazioni e di produzioni locali
sia nelle Americhe che nelle colonie del continente africano e nell’Asia
Meridionale.
La visione dell’insieme di queste
prime osservazioni aiuta a indirizzare le indagini a un ristretto gruppo di
scenari. Il lotto finito all’asta potrebbe provenire da un incendio dovuto a
cause accidentali in un’area votiva; o che il fuoco possa essere stato
intenzionalmente prodotto nell’ambito di attività rituali eseguite poco
prima dell’interro dell’insieme; o che esso sia la conseguenza di altre
attività umane (ad esempio un episodio di guerra): o che i reperti
finirono interrati a causa di una catena di processi generati da una catastrofe
naturale quali forti piogge o terremoti determinanti frane, smottamenti,
esondazioni di corsi d’acqua.
Protocollo di intervento e
analisi di laboratorio
L’identificazione del Paese di provenienza al fine del
rimpatrio del lotto qui esaminato, richiede una ben articolata programmazione
di interventi, al fine di avviare una operazione investigativa che proceda su
due principali filoni, scientifico e poliziesco. Questa esperienza offre ai
Ministeri olandesi di competenza per il controllo della pubblica salute, del
commercio, dei beni culturali e della ricerca scientifica la possibilità di
munirsi di un valido protocollo di intervento innanzi a reperti potenzialmente
in grado di provocare pandemie, quando offerti nelle case d’aste, nelle fiere e
in mercatini per collezionisti, o localizzati dal personale addetto al traffico
doganale presso aeroporti e altre sedi frontaliere particolarmente affollate.
Inoltre, l’utilizzo di un protocollo è di fondamentale importanza per
le forze di polizia al momento di eventuali operazioni quali i sequestri dei
reperti detenuti illegalmente, dovendosi dotare di attrezzature e
metodologie al fine di porsi al riparo da eventuali contagi e per evitare
di apportare contaminazioni o alterazioni fisiche ai reperti.
L’applicazione del protocollo di intervento su
materiali di interesse bioarcheologico o antropologico fisico deve essere
determinata dalla constatazione dell’assenza o insufficienza della
documentazione che li accompagna. In primo luogo sarà quindi necessario
verificare la validità o assenza di:
– un nulla osta rilasciato da un ufficiale sanitario
che escluda la presenza di gravi agenti patogeni, al fine di prevenirne la
trasmissione e l’eventuale diffusione epidemica;
– documenti che attestino la provenienza dei reperti e
quindi il legittimo possesso da parte dell’attuale proprietario. La loro
invalidità o assenza inficiano tutte le eventuali operazioni di compravendita
effettuate o in corso;
– documenti che descrivano con sufficienti dettagli
ogni singolo reperto (comprendente anche misure, stato di conservazione, datazione,
eventuale sequenza di proprietari e eventuali restauri o altre alterazioni
chimiche e fisiche subite, presenza in aree soggette a epidemie o rilevanti
attività radioattive).
Il primo atto del protocollo deriva quindi dalla
mancanza di requisiti fondamentali che assicurino una legale detenzione, e
consiste nell’esame preliminare dei reperti eseguito da personale
specializzato, che conosca e sappia applicare le metodologie e sia dotato delle
attrezzature necessarie.
Oltre a avere una valenza testimoniale della presenza
dei reperti e del loro stato di conservazione, l’esame preliminare permette di
formulare un primo quadro d’insieme della situazione e una base sulla quale
identificare le necessità delle indagini scientifiche e investigative.
Ovunque essi vengano localizzati (abitazioni di
privati, case d’aste, negozi, mercatini, uffici doganali, ecc.) i reperti
devono essere immediatamente messi in sicurezza, ovvero posti in contenitori
sigillati usando metodologie e attrezzature indicate dal protocollo, e
trasportati presso laboratori ove personale specializzato possa eseguire in
sicurezza l’esame preliminare.
Le osservazioni ottenute dall’esame preliminare
costituiscono la base per decidere quali esami di laboratorio eseguire, e di
elencarli in base al loro grado di importanza per le finalità dell’indagine,
tenendo conto del rapporto tra il loro costo e i fondi di ricerca disponibili.
Spetta quindi a chi dirige le indagini investigative di delineare una linea
operativa identificando, assieme agli esperti, quali indagini scientifiche
siano di maggiore importanza tenendo sempre ben presente il rapporto costi-ricavi
in termini operativi. Difatti, la quantità e la qualità di applicazioni
analitiche disponibili ai fini delle indagini forensi sono oggigiorno molto
ampie, e dai costi purtroppo quasi sempre inversamente proporzionali ai fondi
in dotazione.
Ad esempio, nel caso nel nostro insieme di reperti, ai
fini del rimpatrio e in mancanza di dati provenienti da indagini investigative
svolte dalle forze dell’ordine, sarebbero necessari i seguenti esami:
1) nulla-osta rilasciato da un ufficiale sanitario ove
sia certificata l’assenza di evidenze dannose alla salute pubblica. Nel caso
siano rilevati agenti patogeni essi devono essere specificati affinché
le Autorità di competenza decidano le modalità di messa in sicurezza dei
reperti (ad esempio in caso di alti livelli di radioattività o di dannosità di
microrganismi ancora attivi).
2) ricerche antropologiche fisiche e archeozoologiche:
– Misurazioni osteologiche e ricerche comparative;
– Analisi del DNA (resti umani);
– datazioni radiocarbonio (C14) (crani e materiali
organici combusti presenti nella vasca della ciotola).
– analisi del DNA mitocondriale (mtDNA). Per la
valutazione dell’affinità della popolazione, in particolare con uno dei quattro
aplogruppi ai quali appartengono le popolazioni autoctone americane.
– isotopi stabili di carbonio e ossigeno presenti nei
denti e nelle ossa umane. Questa analisi per determinare l’alimentazione e
l’habitat in cui l’individuo è vissuto nel corso del suo ultimo anno di vita.
– analisi dei pollini se presenti nel terreno
contenuto nei crani per identificare la presenza di specie botaniche. È
necessaria al fine di confermare o escludere la loro provenienza dal Sud
America.
– analisi delle radici di piante, determinazione a
livello specifico e misurazioni per datare la messa in luce del lotto. Se
recenti, potremmo essere in presenza di scavi illegali o di furto in musei o
magazzini statali.
– analisi degli abbondanti resti organici
concrezionati sulla superficie interna della ciotola.
3) Analisi geologiche (petrografiche,
sedimentologiche, pedologiche) utili a fornire dati sulla formazione del
deposito contenente l’interro e i connessi caratteri geologici e geografici del
sito; la presenza di evidenze di fenomeni naturali quali incendi e alluvioni, e
di processi formativi inerenti a attività umane.
4) analisi comparativa degli oggetti ceramici (ciotola
e frammento del secondo vaso) al fine di definirne l’attribuzione culturale e
di identificare l’areale di produzione e la datazione relativa.
L’esigenza di istituire un forte
controllo sul commercio di reperti d’interesse bioarcheologico
Da quanto è stato sin qui esposto, risulta chiaro come
la libera commercializzazione di reperti d’interesse bioarcheologico privi di
nulla-osta sanitari e di ogni indicazione di provenienza sia un atto
potenzialmente dannoso alla salute pubblica. Essa è altresì inaccettabile da un
punto di vista legale, in quanto in presenza di resti moderni privi di
datazione che potrebbero provenire da scenari delittuosi di competenza
giudiziaria.
Non possono essere quindi considerati meri oggetti da
collezione fino a prova contraria, fornita dall’esito delle analisi eseguite in
base a uno specifico protocollo e ogni Stato membro dell’Unione Europea
dovrebbe intervenire con sequestri cautelativi da operare con procedimento
d’urgenza ovunque essi vengano localizzati.
Ma il problema è molto più ampio e complesso, e
risiede essenzialmente nella mancanza di un efficiente controllo delle attività
delle case d’aste, del contrabbando internazionale e del lavaggio di capitali
di provenienza illegale. Necessitano unità altamente specializzate e
effettivamente operative nel controllo del collezionismo e del commercio di
“antichità” e delle falsificazioni delle provenienze. Quest’ultimo ha
attualmente raggiunto livelli aberranti nelle aste on-line, in mancanza di
leggi che riconoscano la responsabilità degli esperti preposti al controllo e
che prevedano sanzioni da comminare nel caso di errori eseguiti
nell’espertizzo.
Per il nostro lotto ad esempio, la casa d’aste doveva
non solo rifiutare di offrirlo in vendita, ma avrebbe anche dovuto informare le
forze dell’ordine in considerazione del pericolo rappresentato per la salute
pubblica in base alla totale mancanza di documentazione.
Qui non si tratta dei soliti falsi spacciati per
reperti genuini ormai presenti in quasi ogni asta, in special modo in quelle
via internet protette da potentati finanziari multinazionali. Bisogna
riconoscere che nel caso di questo lotto si osserva un pericoloso salto
di qualità del crimine che, offrendo parti di cadaveri provenienti da
situazioni ignote, dalla frode giunge adesso alla possibilità di arrecare danni
fisici devastanti a un singolo individuo o a molti, sino alle pandemie mortali.
Se le analisi di laboratorio
confermassero che questi reperti provengono da un recente rinvenimento in Sud
America, necessiterebbe conoscere come sia stato possibile che essi abbiano
viaggiato e eluso i controlli doganali entrando in Europa, giungendo in Olanda
e, fatto ancora più inquietante, siano stati messi in vendita senza provocare
alcuna reazione degli apparati statali di controllo. Ma siamo in presenza di un
fatto ancora più inquietante: non vi è stata alcuna reazione da parte di quelle
decine di migliaia di persone che si sono collegate on-line in Europa, nelle
Americhe, in Australia, in Giappone venendo a conoscenza dell’immagine e della
succinta descrizione del lotto.
Da archeozoologo la vicenda non mi stupisce. L’assenza
di intervento da parte delle Autorità preposte dallo Stato non è soltanto
imputabile alla paura di esporsi alla reazione di potenti lobbies economico-finanziarie
e quindi di compromettere le proprie carriere burocratiche. La principale causa
risiede nella pressoché totale assenza di interesse della èlite accademica,
fortemente corporativa e molto influente in tutti i campi di ricerca
concernenti le attività archeologiche. Eccetto pochi casi, essa ignora
pressoché totalmente della salvaguardia di reperti bioarcheologici non solo a
livello commerciale e persino sanitario che non sono di loro diretta
competenza, ma anche in corso di scavo archeologico, dove (se persino non
assenti) nei casi più felici gli esperti sono spesso emarginati alla sola fase
di laboratorio. Vi sono ampie parti dell’Europa dove la raccolta di questi
reperti è ancora oggi affidata a personale non specializzato, a studenti e
operai, spesso solo campionando solo parte dei reperti visibili, limitando
grandemente e compromettendo l’esito dell’ampia gamma di studi possibili. È
innegabile che vi sia una profonda discriminazione nel considerare l’importanza
dei materiali d’interesse artistico in confronto a quelli di interesse
bioarcheologico.
Il lotto rimane a disposizione delle Autorità
giudiziarie nel caso volessero intervenire per quanto di loro competenza.
Note
1 – J. Doe, termine poliziesco in
uso negli Stati Uniti per indicare il cadavere o i resti della decomposizione
di un individuo di sesso maschile (John) o femminile (Jane).
2 – Purtroppo non è così, in
particolari condizioni ambientali gli agenti patogeni, anche quelli in grado di
provocare gravi pandemie, possono mantenersi attivi per millenni. In questo
caso, inoltre, si tratta di reperti di età moderna non antecedenti al XVI
secolo ed essendo presente materiale organico in decomposizione potrebbero
essersi infettati persino dopo l’esumazione.
3 – Veilinggebouw de Zwaan,
Catalogo “Algemene Kunst- en Antiekveiling” 28 Marzo -10 Aprile 2018,
Sezione “Archeologie en Pre-Colombiaanse aardewerk”, pag. 72, lotto nr.
2058.
4 – Fattura rilasciata in data 3
Aprile 2018 dalla Veilinggebouw de Zwaan.
5 – Per il trasporto erano
disponibili dei fogli di plastica a cuscinetti d’aria e uno scatolo di cartone.
Per maneggiare i reperti adoperai due guanti in lattice del tipo aderente in
uso in sala operatoria, che ho sempre usato sia in corso di attività di scavo
per il recupero di resti d’interesse bioarcheologico, e sia in laboratorio per
le varie fasi di svolgimento degli esami archeozoologici.
Dal blocco di terra contenente il cranio animale si
staccarono consistenti grumi di terra, che raccolsi ponendoli in una piccola
busta di plastica a chiusura ermetica e di primo uso.
6 – Innanzi a un testimone, venni
pesantemente provocato verbalmente e senza un apparente motivo da uno
sconosciuto, in seguito identificato quale un mercante di basso profilo.
7 – mettendolo immediatamente in
sicurezza assieme ai reperti. Costruii quindi una sorta di tenda cubica in
plastica trasparente entro la quale operare velocemente. Nel corso delle
operazioni indossai una maschera con filtro ad alta protezione batteriologica,
guanti in lattice e una tuta bianca (del tipo usa e getta in uso per indagini
forensi). L’uso di una lampada a raggi UV è stato limitato alla stanza al di
fuori della gabbia, in quanto essa elimina solo in parte gli agenti patogeni
presenti sulla superficie dei reperti e comunque non all’interno del blocco di
terra.
L’uso di sostanze impregnanti al fine di consolidare e
disinfettare i reperti sub-fossili, quali liquidi da apporre a pennello o a
spruzzo, o di spray, non è consigliato in quanto ne altera la composizione
organica e può compromettere gravemente l’esito delle misurazioni
chimico-fisiche.
La piccola stanza e gli strumenti adoperati furono in
seguito disinfettati (nel caso fossero presenti parassiti). L’ambiente fu
chiuso per alcune ore e quindi mantenuto areato per diversi giorni.
Tuttavia, tutte queste precauzioni diminuiscono ma non
eliminano la permanenza di una remota possibilità di contagio nei primi giorni
successivi all’esame.
8 – cercai inutilmente di mettermi
in contatto telefonico con il dipendente della casa d’aste che aveva curato la
vendita della sessione archeologica. Tre giorni dopo, Venerdì 6 decisi di
inviargli una e-mail per chiedere ufficialmente maggiori informazioni sul lotto
acquistato, illustrando brevemente i motivi della richiesta. Non ricevetti
alcuna risposta, cosa mai accaduta precedentemente.
9 – avendo per molti anni
esercitato la professione di archeozoologo, conducendo prevalentemente studi
osteozoologici. Per motivi precauzionali l’esame è stato breve, durando poco
più di una decina di minuti.