Alcune considerazioni d'interesse criminologico, etico e commerciale in materia di monete romane, resti ossei di faune preistoriche e rare conchiglie esotiche in vendita in tre musei olandesi*.


Autore: Pietro Villari, 2019. Tutti i diritti riservati.

Pubblicato on-line l' 8 Luglio 2019 (ex thereportersblog.com. Trasferito su thereporterscorner.com il 19 Giugno 2020. 

 

* Aggiornamento. Nei mesi di Luglio e Agosto 2024 ho condotto una serie di sopralluoghi nei tre musei oggetto di questa indagine. Ho potuto così constatare il puntuale avverarsi di quanto anni prima mi era stato, per così dire, con molta amarezza profetizzato da un dirigente pubblico olandese dopo avere letto questo mio articolo: tutte le controverse attività di vendita qui esaminate sono state chiuse.
 

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Nel corso degli ultimi anni alcuni importanti musei olandesi hanno eseguito la vendita di beni appartenenti al patrimonio culturale e naturale sia nazionale che di provenienza estera. Sono qui esaminate le attività di tre musei, ponendo in evidenza problematiche di carattere criminologico, etico e commerciale, rilevate in particolare nelle modalità di vendita di questa “merce” notoriamente oggetto di una regolamentazione legislativa di tendenza restrittiva, convenuta in diversi trattati internazionali. Al proposito, è utile ricordare che aderendo a una convenzione internazionale ogni Stato ne accetta la condizione di superiorità giuridica rispetto alla propria legislazione nazionale.

 

Le monetine romane del Museumpark Archeon

“Archeon” è un grande parco tematico la cui costruzione iniziò nella seconda metà degli anni 1980 in terreni originariamente agricoli siti nei pressi della cittadina olandese di Alphen aan Rijn. Iniziai a seguirne i progressi sin da prima della sua inaugurazione, un quarto di secolo addietro, quando ancora in allestimento sotto la guida di una delle personalità più eclettiche e avventurose dell’archeologia sperimentale, Gerard Ijzereef, che fu come me e altri pochi colleghi uno dei pionieri della moderna archeozoologia europea e sudamericana dal 1974 al 1990 (1).

Oggi questa Istituzione è controllata dall’Associazione Parco Museale Archeon, la cui finalità primaria è di “preservare, presentare e diffondere il patrimonio materiale e immateriale dell’Olanda cosicché chiunque possa sperimentarne la storia dal Mesolitico al Medioevo”. Dal 10 Dicembre 2015 ha ottenuto formale riconoscimento nel registro dei musei olandesi e ha quindi potuto accedere a ingenti somme private e pubbliche (queste ultime sia statali che europee) a sostegno di una programmazione di sviluppo di attività didattiche, scientifiche e commerciali a lungo termine (sino al 2030), proponendosi quale il maggiore parco museale europeo.

Esposte in vendita presso la cassa dell’attuale ingresso al parco, le monete dell’Impero Romano sono contenute in decine di confezioni disposte in fila in un cestino. Ogni confezione è costituita da un doppio cartoncino di forma rettangolare, misurante circa cm 10×15, dove nella porzione superiore, è aperto un foro dal diametro di mm 22 contenente una monetina in rame sigillata tra due foglietti di plastica trasparente.

Entrambe le superfici esterne del cartoncino recano, oltre al logo e alla denominazione della ditta venditrice (Archeon), una insufficiente descrizione della moneta, non essendovi alcuna specifica identificazione concernente la datazione e la provenienza. Il tutto è contenuto entro una busta di cellophane sulla quale sono applicate due etichette adesive con la scritta “Originale moneta di rame Romana”, il prezzo, numeri di identificazione, un codice a barre e un codice QR (“Quick Response”, un codice a matrice leggibile tramite uno smartphone).  

Nel mese di Marzo di quest’anno ho voluto sperimentare l’acquisto di un esemplare, scegliendolo tra le circa trenta confezioni presenti nel cestino. La prima forte evidenza è che quasi tutte le monete sono di rame, in pessimo stato di conservazione essendo spatinate e gran parte delle raffigurazioni e delle scritte illeggibili.

Incuriosito, ne ho selezionata una in condizioni migliori delle altre, essendo sufficientemente leggibile e l’unica che conserva la patina originale, di colore verde scuro. Il diametro è di circa 16 mm. Sul dritto della moneta è identificabile il busto volto a destra dell’Imperatore Costanzo II (Flavius Julius Constantius, AD 337-361) con folti capelli ondulati che si piegano sulla nuca, seguendo la moda del periodo; sul rovescio è presente una scena di guerra, ove un legionario armato di lancia è volto a sinistra, nell’atto di disarcionare un cavaliere nemico (la scena simboleggia un atto di valore dell’esercito romano vittorioso). Nel campo a sinistra una S, generalmente presente nelle monete di questo tipo coniate dalla zecca di Alessandria d’Egitto tra il 351 e il 355 d.C., così come suggerisce anche la tipica regolare circonferenza di questo conio (2). Il prezzo di acquisto è di Euro 14,95 dei quali 2,59 rappresentano l’IVA (qui denominata B.T.W.). Sul lato del dritto della moneta, il cartoncino reca la scritta in lingua olandese “Moneta dei Romani nei Paesi Bassi” e più in basso, in piccolo: “Moneta di rame originale dell’Impero Romano del periodo dal 300 d.C.”. Più in basso, l’immagine di una maschera in argento con tracce di doratura, seguita dalla denominazione della ditta venditrice (“Archeon”) accompagnata dal logo. Non è quindi presente alcuna specifica datazione, o riferimento alla zecca che coniò la moneta, o al diametro e al peso, nessun riferimento alle raffigurazioni che identificano i due lati della moneta, il colore della patina, la provenienza recente. Questa noncuranza è  grave e eclatante in quanto l’esemplare non è soltanto venduto “nel museo”, ma “dal museo”, come deducibile dalle indicazioni a prima vista fornite dalla confezione.

Le monete romane sono difatti offerte in vendita direttamente dall’Associazione del Parco museale Archeon, che quindi ne garantisce l’autenticità, la legale detenzione e la provenienza non illegale. Questo dato è importante in quanto, se fossero scoperte irregolarità nella compravendita, le responsabilità ricadrebbero sulla dirigenza del Parco Museale. Tuttavia, vi sarebbero ripercussioni negative d’immagine sugli sponsor privati e sulle numerose istituzioni pubbliche, anche di livello internazionale, che ne supportano le attività.

Ma è davvero tutto regolare, come dovremmo aspettarci acquistando da una istituzione che tende a divenire “il” leader europeo nel settore dei parchi tematici museali? Leggiamo la ricevuta rilasciata alla cassa del museo. Tralasciamo di occuparci del logo, della data di emissione del documento e del numero progressivo, del codice identificativo dell’operatore. Quel che invece colpisce è l’assenza di un riferimento ai codici presenti sul pacchetto contenente la moneta. Difatti, non vi è alcuna indicazione che possa aiutare a identificare in futuro la moneta quale effettivamente venduta in questo museo. Vi è solo un generico riferimento alla tipologia merceologica dell’oggetto della compravendita: “Originale moneta di rame Romana”, seguita dal prezzo di vendita e la specificazione della imposta sul valore aggiunto qui applicata nella misura del 21%. La descrizione così formulata nella ricevuta, priva di ulteriori informazioni, soprattutto la datazione, vuol dire semplicemente che la moneta è stata coniata a Roma, non è precisato se in antichità o di recente… (3).

Ovviamente, diamo credito a questa importante Istituzione, forse si tratta solo di una svista e con un atto di profonda fede accettiamo di ritenerla autentica… Tuttavia è proprio considerando genuino questo reperto d’interesse numismatico che si presentano ulteriori considerazioni piuttosto inquietanti.

Ad esempio, la moneta può essere facilmente sostituita da un’altra di illegale provenienza (anche qui accettando il dogma che quella presente nella confezione originale sia di provenienza legale), dal maggiore valore commerciale in quanto in migliore stato di conservazione, di conio raro o variante ignota.

Inoltre, sia la moneta che la confezione sono oggi facilmente falsificabili, così come il semplice scontrino. E poi, trascorse alcune decine di anni, la mancanza di verificabilità delle vendite da parte dell’ufficio delle entrate olandese, renderebbe più facile la sofisticazione di ulteriori tipologie di confezioni relativi a monete di maggiore valore commerciale, e il ricavo delle truffe molto più sostanzioso.

Se proprio si vuole creare un alto senso etico in un campo minato come quello misto, scientifico e commerciale, allora bisogna adoperare la massima attenzione e accuratezza per prevenire problemi. Un museo non può permettersi di lasciare vistosi margini di azione a potenti organizzazioni criminali, quale porsi in condizione di connivenza passiva a causa di una insufficiente preparazione tecnica e incautela nelle vendite antiquariali, un settore commerciale già ampiamente compromesso dalle falsificazioni.

Last but not least, quasi tutte le altre monete attualmente messe in vendita da Archeon, essendo spatinate con trattamenti chimici o comunque presentando le superfici modificate artificialmente e in gran parte scarsamente leggibili, hanno un valore commerciale misero, vicino allo zero, per cui l’attuale prezzo richiesto è sproporzionato, essendo circa cinquanta volte superiore al valore di mercato, senza che questo sia reso noto agli ignari ma fiduciosi acquirenti. Si tratta quindi di una vendita dai caratteri “borderline”, in quanto è difficile stabilire la presenza di un “fumus boni iuris” che renda possibile a un giudice la pronuncia di un provvedimento cautelare, quantomeno amministrativo.   

L’intervento chimico sulla superficie di oggetti metallici è spesso usato dai falsari, generalmente dopo aver creato sulla superficie, con strumenti adoperati a mano libera, segni che riproducano le antiche tracce d’uso, costituenti anche una base ottimale sulla quale approntare il processo di patinatura delle monete in rame o in lega di rame. In mancanza della patina, l’autenticazione delle monete di rame necessita di costose analisi di laboratorio ben superiori al valore commerciale. In definitiva, la genuinità delle monete spatinate offerte in questo museo è tutta da verificare, in quanto non sono forniti dati sulla loro provenienza, su chi e a quale titolo e con quali mezzi ha condotto il trattamento chimico, mancando anche una formale documentazione di eventuali analisi di laboratorio o di un espertizzo professionale.

Nel remoto caso si giungesse ad accertare la contraffazione della moneta, l’analisi di un solo esemplare non sarebbe in sede giuridica sufficiente per contestare gli estremi del reato di truffa con l’aggravante della istituzione nella quale viene perpetuata.

Bisognerebbe che la magistratura, dopo avere disposto indagini preliminari, ritenesse opportuno predisporre il sequestro cautelativo di tutte le monete romane in vendita presso la struttura, procedendo quindi all’assegnazione delle analisi di laboratorio a una struttura scientifica di chiara notorietà.

Se accertata, una sostanziale presenza di falsi nel gruppo sequestrato permetterebbe di procedere in termini processuali, con l’approfondimento delle indagini finalizzate alla individuazione della zecca clandestina e degli attori attraverso i quali le contraffazioni sono pervenute alla vendita svolta nell’istituzione museale.

Si tratta di indagini delicate, in quanto in questi casi il responsabile del crimine non è un ambulante con un banchetto al mercatino domenicale, ma un insieme di professionalità nazionali che, per ignoranza o superficialità, giungono a compromettere il buon nome della istituzione e di tutte quelle che la sostengono anche a livello internazionale.

Malgrado raramente si perviene alla possibilità d’incriminare i classici “colletti bianchi” eventualmente coinvolti in queste vicende, l’azione degli apparati statali preposti può effettivamente rappresentare un’azione di contrasto che determini la scomparsa del problema.

Tempo addietro fibbie in bronzo d’età romana (fibulae), anelli e altri modesti oggetti accessoriali del vestiario e monete, databili tra i secoli II e XVII, erano offerti in vendita in un settore del parco, in una delle capanne ricostruite in stile tardo-medievale germanico occidentale. Si trattava della povera merce, alcune decine di oggetti con tutta probabilità genuini e in gran parte rappresentanti lo scarto di rinvenimenti effettuati con l’ausilio di cercametalli (nessuna specificazione sul “come, dove, quando”), che un collezionista dedito alla piccola compravendita offriva, indossando umili abiti medievali, ai visitatori illustrando con dovizia il periodo storico al quale appartenevano e il loro uso. I prezzi erano anche qui piuttosto superiori a quelli di mercato (circa il doppio) ma bisogna chiedersi a quanto ammontassero le spese di viaggio, di vitto e di alloggio per quelle performances svolte con l’ausilio di un misero banchetto misurante poco più di un metro di lunghezza e la metà di larghezza. Dopo un periodo di sopravvivenza in quelle condizioni, lo scorso anno il venditore ha desistito dal continuare: probabilmente i costi superavano di molto i pochi ricavi, anche in termini di gratificazione sociale quale divulgatore scientifico a titolo gratuito.

Nonostante la presenza di queste grossolane stranezze, da un punto di vista commerciale Archeon presenta realmente solide possibilità di sviluppo sia nel settore antiquariale che in quello delle riproduzioni di alta qualità, soprattutto della gioielleria artigianale, dei mosaici policromi d’età romana imperiale, della statuaria greco-romana. Ma anche mobili in legno, quali gli splendidi letti vichinghi scolpiti con simbologie mitologiche scandinave; i tessuti riprodotti con telai artigianali, capi d’abbigliamento di produzione sartoriale con stoffe pregiate, l’artigianato calzaturiero; le ceramiche invetriate e le maioliche di alta qualità; i bicchieri medievali ottenuti con corna bovine che essendo cave e costituite da cheratina, si prestano alla deformazione tramite lavorazione a caldo, divenendo anche facilmente intarsiabili (con un simile procedimento si ottengono anche pettini decorati in diversi stili di età medioevale e rinascimentale); il vetro soffiato per la realizzazione di vasellame da tavola e la pasta vitrea per l’oreficeria.

Vi è poi un’ampia gamma di piccoli oggetti di uso religioso replicabili su metallo, pietra, legno, cuoio, osso, conchiglia (statuette, amuleti, strumenti rituali, ecc.). Un commercio a parte, di grande interesse riguarda i prodotti alimentari provenienti da colture e allevamenti cosiddetti “biologici”; le applicazioni nei settori della ristorazione e alberghiero, purchè alla loro direzione siano posti manager con solida esperienza professionale specialistica.

Tutto questo non può limitarsi a iniziative private e a sporadiche vendite nelle fiere stagionali o su siti on-line poco noti, necessitando la creazione di strutture logistiche di supporto delle quali non può che essere lo Stato a farsi carico. In primo luogo le scuole di formazione, trattandosi di un artigianato che permette l’avviamento al lavoro di giovani o la riqualificazione professionale di lavoratori. In una società sana è lo Stato che investe in progetti di economia territorialmente sostenibile, finalizzata a promuovere la creazione di posti di lavoro e quindi il benessere sociale anche attraverso elargizioni di incentivi finanziari.

Allestire scuole di specializzazione nel settore della riproduzione di artigianato di alta qualità, presenta tuttavia controverse problematiche da risolvere, in grado di provocare gravi danni sia al commercio antiquariale che alle attività accademiche, soprattutto nel campo degli studi storico-artistici nel caso, purtroppo non raro, che esemplari riprodotti vengano erroneamente ritenuti autentiche antichità. Eccetto i lavori dei falsari di alto livello specialistico, attualmente questa produzione è relegata a finalità non commerciali, effettuate in laboratorio ai fini di studio dell’archeologia sperimentale.

È questo il principale motivo che sta bloccando queste possibilità di sviluppo, che certamente non è favorito e anzi è di fatto contrastato dalla disponibilità di cospicui finanziamenti sia pubblici (statali e europei), e sia di quelli della grande imprenditoria privata, che di fatto permettono alla nuova direzione del parco museale di non adoperarsi per rendere questo luogo un autentico modello di economia sostenibile.

Stroncare l’allestimento di scuole di specializzazione nel settore sopra descritto corrisponde a un remare contro coloro che, tra mille difficoltà, cercano di svelare gli interessi di poteri forti presenti nell’esclusivo comparto dell’alto antiquariato. Poteri che attivamente operano, ad esempio, per evitare di rendere noto come molte di quelle creazioni vendute in gallerie e case d’asta internazionali negli ultimi cinquant’anni, sono state vendute quali autentiche pur essendo in realtà dei falsi, ovvero di truffe operate con artisti coadiuvati dalla ricerca scientifica di ambito accademico e dall’imprenditoria criminale. Una operazione tesa a evitare che, ciò che oggi è riservato alle grandi possibilità speculative di classi agiate, si trasformi in un sistema socialmente produttivo che coinvolga le classi inferiori della popolazione, liberandola così dalla condizione di comportamenti borderline o decisamente criminali nell’ambito delle imprecise contraffazioni di antichità, le uniche ad essere oggetto di attività repressive delle Autorità statali.   

In breve, l’abbondanza di finanziamenti pubblici e privati e l’accentramento del potere nelle mani di tecnocrati e burocrati, generalmente conduce a emarginare le fasce sociali basse della popolazione, prevalendo gli interessi di una ristretta comunità tecnico-scientifica e imprenditoriale arroccata sui propri privilegi e dogmi scientifici, etici e commerciali autoreferenziali.

 

La catasta di ossa preistoriche venduta nel Museo di Storia naturale di Leiden

Sono trascorsi ormai parecchi anni da quando l’Olanda attirò l’attenzione degli studiosi di paleontologia, a causa di una vicenda che qui riporto in quanto contempla una situazione da manuale. 

Dopo aver consultato il proprio personale tecnico, amministrativo e scientifico, la direzione del rinomato Museo di Storia Naturale di Leiden, meglio noto quale Naturalis (4), decise di mettere in vendita una ingente massa di resti scheletrici craniali e post-craniali di mammiferi molti dei quali risalenti al Tardo Pleistocene, ovvero databili tra circa trentamila e diecimila anni fa. Gran parte di quelle ossa fossilizzate appartenevano a mammuth (elefante lanoso), bisonte, grandi cervidi (alce e cervo) e a un equide di taglia ridotta, ovvero ai grandi mammiferi che popolavano il paesaggio periglaciale presente nell’attuale Mare del Nord. Fenomeni naturali le condussero in seconda giacitura in depositi che oggi si trovano al largo della costa olandese a causa del progressivo scioglimento dei ghiacci polari e al conseguente innalzamento del livello marino. Così, da circa diecimila anni grandi quantità di resti ossei sono presenti in vasti banchi sottomarini, oggetto d’intense attività di pesca che la marineria olandese opera da secoli con reti a strascico.

Issate a bordo dei pescherecci in quanto finite accidentalmente nelle reti assieme al pescato, le ossa sono sottoposte a trattamenti precauzionali, per evitare gli effetti dell’improvviso cambiamento delle condizioni di fossilizzazione (5). Giunte in porto, esse vengono consegnate ai funzionari incaricati dal Ministero olandese per l’Istruzione, Cultura e Scienza. I reperti considerati di minore interesse scientifico possono essere concessi con formale atto ministeriale all’armatore quale premio di rinvenimento, in tal modo autorizzato a detenerla o a cederla a privati, anche affidandola in commissione a terzi quali le case d’asta.

La parte di maggiore interesse scientifico viene quindi trattenuta dallo Stato e dopo essere stata catalogata compilando un questionario di protocollo, viene consegnata a musei e istituti universitari al fine di effettuare restauri, studi, esposizioni e immagazzinamento.

Anni fa, il Museo di Storia Naturale di Leiden decise di mettere in vendita una ingente massa di ossa considerate di seconda scelta in quanto incomplete o comunque in condizioni di conservazione imperfette, tutte appartenenti a specie comuni. Esse furono quindi accatastate, con grande effetto scenico, in una sala dove il pubblico fu invitato a scegliere quanto di gradimento e di acquistarlo al costo di pochi euro al pezzo, ottenendo anche una ricevuta rilasciata dal museo.

Tuttavia, queste ricevute non recavano la descrizione del reperto, nemmeno la semplice indicazione del genere e della specie di appartenenza. Come nel caso delle monete romane, anche qui, questo documento fiscale insufficientemente descrittivo potrebbe in futuro essere usato quale una prova indiziaria, al fine di favorire la vendita o di evitare il sequestro, di resti ossei preistorici di provenienza illegale.

Quel che sorprese dell’evento fu la tipologia degli acquirenti, essendo in gran parte costituita non soltanto da genitori che accompagnavano i propri bambini, ai quali le ossa preistoriche erano destinate in regalo, ma anche da semplici curiosi del tutto inesperti in materia, gratificati dalla possibilità di venire in possesso di qualcosa che apparteneva al museo, ovvero alla scienza e alla preistoria della propria nazione.  

Alla fine della giornata, la vendita permise al museo di realizzare una discreta somma di denaro, destinata alle attività scientifiche.

 

Le migliaia di conchiglie marine in vendita al Museo del Mare di Scheveningen

Scheveningen è la marina di Den Haag, la capitale olandese che dalla fine del 1800 sino agli anni 1930 divenne l’affascinante sede della Società delle Nazioni. Un tempo separata dalla città da un grande bosco e dune costiere, nel Settecento venne collegata con il centro storico in linea retta, mediante un ampio viale lungo circa cinque chilometri ai margini del quale, nei secoli successivi, furono costruite le residenze estive della media borghesia olandese. Il viale termina a poco più di un centinaio di metri dalla riva del Mare del Nord, dove nel 1885 fu inaugurato il monumentale Grand Hotel Kurhaus, frequentato sino a poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale da esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia mitteleuropea.

Negli ultimi decenni in quest’area si è verificata una intensificazione delle attività edili a fini residenziali, ricreative e alberghiere, ma il Muzee Scheveningen, è rimasto il grazioso “museo del mare” posto ad alcune centinaia di metri dalla Kurhaus, in un edificio che dal 1877 ospitò una scuola elementare.

Dagli anni 1960 le attività scolastiche sono state trasferite altrove e la struttura è stata adibita alla esposizione museale di biologia marina e delle locali attività marinare, allestite e periodicamente aggiornate da esperti di scienze naturali. In esso sono esibiti o immagazzinati circa centocinquantamila reperti tra faune marine, oggetti di tradizione marinara, e una selezione di specie ittiche viventi ospitati in acquari. L’insieme ha un suo particolare fascino decadente, essendo oggi le attività condizionate dalla particolare architettura dell’antico edificio scolastico, quasi un onnipresente fantasma d’epoca. Anche il bar, iscritto nell’albo degli antichi caffè presenti in Den Haag, possiede questo carattere evocativo e non a caso è sede di deliziosi corsi della “cultura del caffè”, di incontri letterari e artistici. Il personale del museo è in gran parte formato da volontari, per lo più pensionati ma dotati di una verve straordinaria, il cui ruolo è fondamentale anche nella organizzazione di numerose attività sociali che coinvolgono la comunità di Scheveningen.  

Site in posizione opposta all’entrata del museo, vi sono alcune stanze riservate a quella che dovrebbe essere una vendita di souvenirs per turisti (che comprende anche una gradevole serie di bigiotterie in pietre semipreziose), e una piccola ma ben fornita serie di libri dedicati alla storia di Scheveningen e guide malacologiche specialistiche. Ma la grande sorpresa è all’interno dove vetrine, scaffali e un bancone con grandi ceste offrono una imponente quantità di specie malacologiche marine, quasi tutte di provenienza esotica, alcune delle quali rare.

Sul sito muzeescheveningen.nl nella sezione “winkels” (negozi) si può scaricare il catalogo dei quasi 5.000 esemplari di Gasteropodi, Bivalvi e Echinidi in vendita da parte di questo museo, descritti seguendo l’attuale terminologia scientifica, accompagnati dalla provenienza e dal prezzo, che è talora piuttosto inferiore a quelli di mercato. 

Tra lo scorso anno e l’attuale mi sono più volte recato in questo locale, dove ho sperimentato l’acquisto di alcuni esemplari appartenenti a specie comunemente diffuse nell’Area Indo-Pacifica, dal prezzo compreso tra 2 e 15 euro. Ad ogni acquisto è puntualmente rilasciato uno scontrino, dove però non sono precisati il genere e la specie degli esemplari, o un numero identificativo attraverso i quali potrebbero essere identificabili, anche per potere accertare la loro libera commerciabilità in quanto specie comuni e quindi non protette.

Intendo dire che, se oggi varcassi i confini europei con queste conchiglie che appaiono chiaramente esotiche e da collezione, la ricevuta rilasciata dal Muzee Scheveningen sarebbe insufficiente per evitare che le autorità doganali frontaliere volessero sottoporle a un sequestro a titolo cautelativo. Per ottenere il dissequestro, potrebbero necessitare tempi lunghi per l’espertizzo doganale e costi di molto superiori a quelli sostenuti per l’acquisto delle conchiglie. Difatti, la ricevuta reca solo una laconica descrizione merceologica del gruppo di conchiglie acquistato, “schelpen” (conchiglie) seguita dai prezzi di compravendita.

In questo caso, il Muzee Scheveningen dovrebbe dotarsi di un sistema identificativo alfa-numerico delle specie malacologiche oggetto di compravendita, inserendolo nel già consultabile catalogo on-line, in modo da poterlo specificare nella ricevuta rilasciata all’acquirente e rendere immediate le verifiche doganali.       

 

Un problema etico-religioso millenario: i mercanti dentro o fuori dal “tempio”?

A differenza del diciannovesimo secolo, quando i naturalisti si occupavano anche di preistoria, attualmente vi è una netta delimitazione dei settori di ricerca tra studiosi delle scienze naturali (nella accezione più ampia del termine) e studiosi di paletnologia e di archeologia (oggi divenute esclusive degli studi di indirizzo “umanistico”) con un forte ridimensionamento o estromissione dei primi. Eppure, in alcuni campi della ricerca archeologica i “naturalisti” offrono una maggiore garanzia di preparazione professionale. Una differenza eclatante ad esempio in fase di scavo di siti preistorici, in particolare nella individuazione, messa in luce, raccolta e interpretazione sia dell’evidenza stratigrafica che dei reperti (di origine culturale e naturale), ove vengono usate metodologie e dottrine proprie delle scienze naturali. L’uomo è il risultato di un processo naturale, così come tutte le sue attività comprese quelle cerebrali. Il resto è pura speculazione, priva di fondamento scientifico, irrazionale.

Da un punto di vista comportamentale gli studiosi di formazione naturalistica non sono ben visti dai parabalani dell’etica contemporanea, in quanto inclini a riconoscere nella diffusione del collezionismo di reperti d’interesse naturalistico e di antichità, una sana e importante attività formativa e ricreativa la cui origine ha recentemente trovato evidenze nella remota preistoria dell’uomo. I secondi invece oppongono  posizioni di intransigenza talora estrema, di forte contrasto a questa attività, adducendo a supporto motivazioni di ordine etico e protezionistico, reclamando una forte restrizione regolamentata del fenomeno collezionistico.

La rapida espansione del commercio via internet, favorito dai processi di globalizzazione, ha aumentato in modo esponenziale il numero di collezionisti e quindi le richieste di mercato di sempre maggiori quantità di reperti. A questo aumento è corrisposta una impressionante impennata di vendite di falsificazioni soprattutto di beni d’interesse archeologico e etnologico (settori commerciali definiti: antiquitiespre-columbiantribal art), di furti nei magazzini di musei e di altre istituzioni pubbliche, di devastazioni di siti archeologici in particolare nelle nazioni del terzo mondo ove si svolgono conflitti bellici o vi è una forte corruzione delle pubbliche istituzioni. Questi fenomeni riguardano anche i reperti di interesse naturalistico attinenti alla formazione di collezioni sia pubbliche che private, dove si registra oggi particolare richiesta di reperti paleontologi, malacologici, di rocce e minerali, di preparati tassidermici di Vertebrati, di crani e parti dello scheletro post-craniale moderni sia umani che di altre specie di Vertebrati, di insetti, di oggetti in avorio e in pelle appartenenti a specie protette.

Quanti dediti al commercio di reperti archeologici e naturalistici devono attenersi alle leggi in vigore nello Stato dove svolgono la propria attività e, per quanto riguarda i negozi presenti all’interno dei musei o di parchi naturali o aree archeologiche, essi hanno anche a disposizione le raccomandazioni del codice etico dell’ICOM per non coinvolgere il buon nome della istituzione in vicende e situazioni criminose.

Ed è proprio in base a questo timore che, tenendo fuori i mercanti dal tempio, nella quasi totalità dei musei di tutto il mondo non sono messi in vendita oggetti d’interesse museale. Il fatto è discutibile in quanto così facendo si è lasciato l’intero comparto delle compravendite fuori dai musei, dalle aree archeologiche e dai parchi naturali, dove è spesso gestito da mercanti e parvenues non di rado privi di preparazione scientifica, in possesso di nozioni di livello amatoriale, autodidatti e persino di organizzazioni sospette.

L’Olanda sembra essersi di recente aperta a una timida terza via, dove alcuni musei stanno iniziando a operare vendite di reperti che, come abbiamo visto, appaiono tuttavia impacciate e di basso profilo merceologico e collezionistico. Un problema da superare consiste nel superamento dell’attuale tendenza della dottrina e della metodologia etico-scientifica, che ha favorito l’ipertrofica presa del potere da parte della  tecno-burocrazia, alla quale è stato demandato il controllo di ogni attività imprenditoriale.

 

La Bibbia dell’ICOM: il codice etico dei musei

La XV Assemblea Generale dell’ICOM (International Council of Museums), avvenuta in Argentina nel 1986, aveva stabilito che i musei dovessero attenersi ad un codice etico approvando una prima stesura, in seguito modificata e revisionata dalle Assemblee XX e XXI tenutesi rispettivamente in Spagna (2001) e in Corea (2004). L’importanza di questo documento risiede nell’individuazione degli standard minimi deontologici, ovvero di pratica e di condotta, ai quali devono attenersi tutti i membri dell’organizzazione.

Si tratta di una serie di principi generalmente accettati dalla comunità scientifica museale internazionale, in quanto linee guida delle pratiche professionali che in alcuni Paesi hanno molto influito al perfezionamento di leggi già contemplate dai codici civili e penale, sino alla emissione di nuove norme legislative o supplementari. La finalità primaria di questo codice è di strutturale la professionalità del personale scientifico e amministrativo dei musei di tutto il mondo, per rendere trasparente e assicurare la tutela e la valorizzazione, nel rispetto delle necessità, delle aspettative e dei diritti dei cittadini. Tuttavia, l’ICOM definisce il suo codice quale una base sulla quale ogni Paese può elaborare un proprio codice deontologico che risponda alle esigenze nazionali nell’ambito della conservazione, dell’interpretazione e della valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell’umanità, a beneficio della società e del suo sviluppo, quali testimonianze primarie per creare e sviluppare la conoscenza e partecipare alla gestione di detto patrimonio. Tutto ciò comporta grandi responsabilità del personale retribuito e dei volontari accreditati alla collaborazione, ai quali è quindi richiesto di operare in modo altamente professionale e nella legalità.

Il Codice etico per i musei stilato dall’ICOM fornisce importanti indicazioni sui principi, sullo status giuridico, sulle strutture, risorse finanziarie, personale, modalità di acquisizione delle collezioni, detenzione, restauro e loro eventuali alienazioni, regolamentazione delle attività di ricerca, collaborazioni con altre istituzioni, esposizioni, pubblicazioni e riproduzioni.

Al fine di operare nella legalità, i musei devono attenersi alle norme stabilite dalla legislazione internazionale e nazionale, e amministrativamente anche alle norme regionali e provinciali. Il fenomeno della globalizzazione ha comportato negli ultimi decenni una intensificazione dell’attività legislativa internazionale, determinando la stesura di importanti convenzioni che regolano i rapporti tra gli Stati nell’ambito del patrimonio naturale e culturale dell’umanità (protezione in caso di conflitti armati, proibizione e prevenzione di import-export illeciti, regolamentazione del commercio internazionale di specie protette di fauna e flora, diversità biologica, oggetti rubati o illecitamente esportati, protezione del patrimonio culturale sottomarino, salvaguardia del patrimonio culturale intangibile).

L’amministrazione del museo è divenuta pienamente responsabile dell’istituzione museale, assolvendo ogni obbligo legale e le condizioni che riguardano tutti gli aspetti del museo quale struttura architettonica, quale contenitore conforme alle necessità espositive, alle condizioni di tutela delle sue collezioni e non ultime le attività di ricerca scientifica, di restauro e di valorizzazione in essa svolte, o svolte da terzi sotto la supervisione del personale tecnico e amministrativo.

Particolare accento è stato recentemente posto sulla condotta professionale degli operatori museali che non devono mai contribuire direttamente o indirettamente al traffico o al commercio illecito di beni naturali o culturali, e devono tenere presente che pur avendo diritto al rispetto dell’autonomia della loro vita privata, nessuna loro attività privata o interesse personale può essere completamente distinto dalla istituzione dalla quale dipendono. In pratica, loro comportamenti o frequentazioni possono dare adito a ipotesi di conflitti d’interesse. Essi quindi “non devono accettare doni, favori, prestiti o godere vantaggi personali in relazione a compiti svolti nell’ambito del museo” in particolare se offerti a compenso “da mercanti, case d’asta o altri soggetti che possano indurre all’acquisto o alla cessione di oggetti del museo”, “non devono mai essere coinvolti direttamente o indirettamente nel commercio (compravendita a fine di lucro) di beni naturali o culturali”, e “astenersi dal consigliare o raccomandare a terzi uno specifico mercante, banditore d’asta o perito”. Infine, riguardo a una eventuale attività di collezionismo privato svolta da un professionista museale, questi non deve entrare “in concorrenza con la propria istituzione per l’acquisizione di oggetti o in relazione ad altra attività personale di collezionismo” e essi devono “stipulare un accordo da osservare scrupolosamente” con l’amministrazione responsabile (6).

 

Liberticidio e tecno-burocrazia distratta

Il pensiero va a quelle famigliole che la scorsa estate, in vacanza in luoghi che probabilmente sogneranno nel resto della loro vita, hanno osato raccogliere sulla spiaggia conchiglie e ciottoli mettendoli poi in valigia quale povero ricordo esotico, e che in aeroporto hanno poi subito lo shock di vederseli sequestrati. Sono rimasti presi nelle reticelle della giustizia, quelle implacabili con i moscerini e certamente improponibili contro le tigri, e gli strascichi giudiziari sono inevitabili: non sono a conoscenza della necessità di possedere ricevute che attestino la compravendita presso ditte autorizzate e quindi la legittima detenzione e il trasporto di quei souvenir. Il reato, per quanto economicamente lieve, è grave essendo contestabile sia il furto allo Stato (beni sottratti dal suolo pubblico) che il contrabbando internazionale, in quanto quel che per i turisti è un triste ritorno nel proprio Paese, per lo Stato che si lasciano alle spalle costituisce un tentativo di trasporto non autorizzato all’Estero di beni la cui tutela è oggetto di convenzioni internazionali. D’altronde, se centinaia di migliaia di turisti praticassero questi prelievi si creerebbero problemi anche all’ecosistema di aree costiere protette.

Niente da rimproverare ai funzionari, in quanto il regolamento li costringe a intervenire e, in caso di provata loro inadempienza, sono anch’essi passibili di misure punitive, alle quali va aggiunta l’aggravante di funzionario statale nello svolgimento delle proprie mansioni, come contemplato dal codice penale. 

Quel che pochi sono a conoscenza è la possibilità d’inciampare in simili problemi giudiziari anche nel caso di francobolli e cartoline, risalenti a oltre cinquant’anni dalla recente entrata in vigore di una legge (in Italia nel 2004), che li considera elementi del “patrimonio culturale” meritevole di norme iperprotettive.

Contemporaneamente, come in una farsa teatrale dai forte toni surreali, assistiamo all’opera di ditte dal fatturato annuale che in alcuni casi ammonta a centinaia di milioni di euro, legate a multinazionali, che a ritmo settimanale e talora quotidiano vendono immense quantità di reperti appartenenti al patrimonio culturale e naturale, quasi sempre di dubbia provenienza. Inoltre, la falsificazione di questi oggetti da collezione e soprattutto delle loro provenienze è dominante, ma nessuno sembra abbia la volontà o la capacità di intervenire. È la vittoria del “libero mercato” inteso quale capitalismo privo di ostacoli, della sua tecno-burocrazia, di un meccanismo disumanizzante in quanto ormai totalitarismo criminale.

 

Note

1 –  La mia prima visita a questo parco risale agli inizi del 1992 quando, ospite per alcuni mesi del Rijksdienst voor Oudheidkundig Bodemonderzoek (R.O.B.), il servizio archeologico statale olandese, assieme al direttore Roel Lauwerier eseguimmo sui resti faunistici provenienti da scavi di notevole interesse archeozoologico della città medievale di Tiel, che pubblicammo in una monografia edita nel 1995. In quella occasione fui messo in contatto con il prof. Ijzereef a quel tempo ancora direttore scientifico e coordinatore della progettazione del parco, che soprintendeva ai lavori di allestimento. Alcuni anni dopo Gerard Ijzereef si vide costretto a rassegnare le dimissioni, in quanto in contrasto ideologico con operazioni condotte dagli investitori privati nordamericani che avevano in massima parte sovvenzionato la struttura.

– la S è riferibile alla indicazione “Sacra Moneta”, rendendo chiaro al possessore che in nessun caso questa moneta poteva essere sottoposta a “tosatura”, una frode molto comune nell’antichità perpetuata sino ad alcuni secoli addietro per ricavare quantità di metallo atto a coniare altre monete o piccoli oggetti d’uso comune. Il codice penale romano prevedeva punizioni durissime per i contravventori quali carcere duro, torture e morte, in quanto nella moneta veniva alterato il peso e quindi il corrispondente valore garantito dallo Stato. Generalmente, i veri autori delle frodi erano coloro che maneggiavano grandi quantità di monete, ma le colpe cadevano su elementi della popolazione privi di protezioni.

3 – la descrizione di queste monete nella ricevuta rilasciata dal Museum Park Archeon ricorda molte altre note in letteratura criminologica e, nella fattispecie, dell’antiquariato archeologico. Il più divertente è quello delle vendite che inondarono il mercato nordamericano negli anni 1950. Si trattava di punte di freccia tipologicamente appartenenti a culture precoloniali nordamericane, ottenute su diversi materiali litici. Di ottima fattura, erano accompagnate dalla succinta e generica descrizione “Originali punte di freccia manufatte da indiani nativi”, veritiera in quanto prodotte da autentici indiani, ovvero di un gruppo di indigeni immigrati dall’India negli Stati Uniti d’America…

– già considerato tra i dodici più importanti musei di storia naturale del pianeta, Naturalis è chiuso dal 2017 per restauri e considerevoli innovazioni. La riapertura è prevista a fine estate 2019, con la nuova denominazione “Naturalis Biodiversity Center”. Si tratta di una collezione statale che possiede oltre 40 milioni di reperti (animali, fossili e rocce), una delle più importanti collezioni e centri di ricerca scientifica mondiali nel settore della biodiversità e della geologia.

5 – in particolare la disidratazione e l’innalzamento della temperatura, che conducono a contrazioni e distorsioni della originaria struttura ossea. Queste sono causa di conseguenti fratturazioni e migrazioni in superficie dei sali assorbiti dall’acqua marina e altri composti formatisi nel corso della processo di fossilizzazione, interrotto al momento della sottrazione all’ambiente di giacitura.

6 – il “Codice etico dell’ICOM per i musei” è gratuitamente consultabile on-line all’indirizzo: www.icom-italia.org/codice-etico-icom

 

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...