Autore: Pietro Villari, archeologo e naturalista. 2019, tutti i diritti riservati.
Pubblicato on-line il 13 Agosto 2019 (http://www.thereportersblog.com, sito non più disponibile). Aggiornato al 17 Dicembre 2019. Trasferito il 19 Giugno 2020 su The Reporter's Corner https://www.thereporterscorner.com/2019/07/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html
Una delle costanti che legano tutti i governi
succedutisi in Sicilia negli ultimi decenni, è che qualsiasi azione utile alla
collettività, ampiamente propagandata dai politici promotori, viene dagli
stessi immediatamente e in sordina accompagnata da una quantità di azioni di
segno contrario, quasi sempre eseguite con modalità arroganti e grossolane, le
cui nefaste conseguenze per il bene pubblico spesso invalidano e sorpassano i
buoni propositi originari, sino a rendere dubbia persino l’esistenza di una
onesta causale.
I palazzi della cuccagna sicula le partoriscono senza
sosta, ed ecco quindi maturata un’altra di queste vicende. Mascherata da una
presunta spinta innovativa e dalla falsa apertura di opportunità lavorative “a
tutti i giovani talenti”, in Sicilia si sta verificando l’ennesima
manipolazione a favore delle fasce sociali dominanti e ai danni di quelle medie
e basse, già da generazioni fortemente colpite dallo sfruttamento condotto dal
potere stegocratico, sin dai tempi del suo insediamento quale governo-ombra al
riparo della nascente Repubblica.
Nel settore dei Beni Culturali, sui quali si punta per
magnificare i flussi turistici, si è verificata una situazione inedita e
inquietante, che propone ulteriori dubbi sulla effettiva affidabilità
dell’attuale governo regionale e in generale di gran parte dei pubblici poteri
che amministrano l’Isola.
A imporsi con tutti i suoi interrogativi, devastanti
in quanto coinvolgono i fondamenti dello Stato e non avranno mai una
spiegazione plausibile, è il caso di Gabriella Tigano, appartenente a quel
gruppo di rampolli della locale upperclass isolana ai quali,
negli anni 1980, la Regione Siciliana trovò il modo di fare vincere un concorso
di dirigente archeologo pur senza possederne la qualifica (diploma di
specializzazione o dottorato di ricerca) (1).
Assieme ad altri funzionari archeologi della
Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina, la Tigano è stata in anni recenti
oggetto di diverse indagini avviate dalla magistratura messinese, la più
rilevante delle quali per l’ipotesi di un suo coinvolgimento in attività
criminali svolte nell’ambito delle sue mansioni. Nel corso degli ultimi
quindici anni, come vedremo, tali attività sono state monitorate da
investigazioni condotte da Istituzioni d’eccellenza quali il GICO della Guardia
di Finanza, finendo infine anche nel mirino della OLAF, organismo antifrode
della Commissione Europea con sede a Bruxelles. Si tratta di indagini
incomplete, nel senso che hanno purtroppo sofferto pesanti limitazioni,non
essendo entrate nel merito di vari aspetti di notevole interesse criminologico
in materia di distruzione dei beni culturali, nella fattispecie di beni mobili
e immobili d’interesse archeologico per i quali non è giuridicamente
applicabile alcuna prescrizione e quindi potrebbero ancora essere avviate.
Il percorso giuridico lascia inquietanti
interrogativi, soprattutto su certe lentezze, regressioni allo stato delle
indagini preliminari per vizi di forma procedurale, prescrizioni dei reati per
decadenza dei termini di legge, archiviazioni, e non ultimo il prematuro
decesso del Soprintendente ai BB.CC.AA. di Messina che, in base all’informativa
GICO, avrebbe anch’esso avuto un importante ruolo nel vertice
dell’organizzazione.
Si tratta di un insieme di fatti e di curiose
coincidenze, che mostrano una sorprendente tempistica, accadimenti che hanno
vanificato gran parte del complesso e importante lavoro svolto dagli
investigatori.
Quel che immediatamente si evince da questa vicenda è
che, i reati condotti da funzionari dello Stato nell’ambito di un concorso
associativo di stampo criminale non possono essere trattati alla stregua di
reati comuni commessi da singoli in atti pubblici (falso, truffa, furto), ma
quali attività di membri di un “sistema” tale da configurare una rete regionale
di organismi criminali di massima pericolosità per lo Stato. Appare quindi
ovvio che, già da decenni, indagini di questa importanza avrebbero dovuto essere
coordinate a livello regionale e non provinciale, seguendo appositi protocolli
d’urgenza (2), dislocando contemporaneamente più squadre
specializzate sul territorio e disponendo di tecnologie d’avanguardia.
A questo proposito necessita ricordare che le
soprintendenze siciliane sono organi periferici dell’Assessorato Regionale ai
Beni Culturali e Ambientali. Ormai da decenni nulla di quel che accade nelle
soprintendenze sfugge alla direzione generale dell’assessorato e allo staff di
collaboratori assunto dall’assessore regionale di turno, tutte creature frutto
di scelte e accordi sulle quali l’ultima parola spetta al vertice governativo.
Di eguale urgenza si presenta la necessità di
individuare interventi giuridici diretti a ridurre i lunghi tempi della
giustizia, durante i quali gli imputati continuano non soltanto a conservare il
posto di lavoro, ma persino a essere premiati con splendide carriere, come se
divenissero privilegiate, poi salvate da prescrizioni deireati per sopraggiunta
decorrenza dei termini, riduzione dell’entità dei reati e assoluzioni in quanto
“il fatto non sussiste” (3).
Un’operazione politica “vecchia
scuola”, economicamente disastrosa, ma sempre vincente a livello mediatico
e clientelare
Il governo Musumeci ha recentemente varato una
ridefinizione in materia dei Parchi archeologici regionali (fortemente voluta
dal suo Assessore Regionale ai BB.CC.AA. Sebastiano Tusa) (4) che,
di fatto, in termini occupazionali costituisce un ulteriore aggravamento del
processo ipertrofico dell’apparato regionale siciliano, operazione deprecabile
non soltanto sotto il profilo strutturale ma anche economico, in quanto le
spese graveranno su un bilancio finanziario dominato da un pesante
indebitamento pubblico. Una ulteriore impennata delle spese amministrative
laddove necessiterebbe un coraggioso intervento in senso contrario, bloccando
le assunzioni affinché il mancato rimpiazzo di quanti progressivamente
collocati in pensione possa condurre a una progressiva riduzione di almeno la
metà di coloro attualmente impiegati negli uffici centrali e periferici degli
assessorati.
Così, dopo un allegro periodo di distribuzioni
d’incarichi professionali e di assunzioni per chiamata diretta, effettuate in
base a criteri oscuri e nel compiacente totale silenzio dei media, operazioni
prive di quelle già misere garanzie o parvenze di legalità date dai concorsi
pubblici, oggi il governo della nuova Destra neoliberista sta tornando a
programmare “nuovi concorsi per assumere giovani siciliani”. Già questa
frase dichiara intenti illegali e deleteri per la Sicilia, in quanto fa
intendere che ancora una volta tutti coloro che non sono né giovani e né
siciliani hanno possibilità nulle di vincere un posto, fossero anche i migliori
al mondo… È facile prevedere che saranno ancora una volta i familiari e gli
amici degli appartenenti alla Nomenklatura regionale ad accaparrarsi i posti
dirigenziali.
Appartenendo alla decade 1950, ovvero a quella degli
odierni sessantenni che non hanno perso la memoria di quanto accaduto in
Sicilia in un passato ignoto agli attuali giovani, considero questi proclami
quali prodotto delle metodologie messe in atto dal gruppo di potere dominante,
quello dei veri burattinai della politica e dell’economia regionale, per
ottenere il consenso popolare, oggi sceso a livelli allarmanti. E che la
situazione li preoccupi è un dato palese, considerando i comizi politici
innanzi a piazze vuote, le elezioni dove i votanti sono meno della metà
dell’elettorato e tra questo le schede nulle sono anche tante, alle decine di
migliaia di giovani e meno giovani che hanno dovuto lasciare l’Isola per
cercare lavoro all’Estero.
È quindi “tempo di tornare a infondere speranza”,
un gioco vecchio e pericoloso in una nazione già condannata alla sudditanza dei
poteri sopranazionali e al progressivo saccheggio da questi operato delle sue
risorse.
Per ottenere il consenso elettorale che permette una
fittizia parvenza democratica a questa società che continua a scivolare in una
ancor più grave situazione predatoria svolta dai suoi padroni stranieri, le
marionette della politica e della tecnocrazia regionale stanno oggi rimettendo
in piedi il collaudato “poltronificio”, i ruoli dirigenziali riservati
alla Casta, e il “posto fisso” degli impiegati di basso
livello ad essi sottoposti, per intenderci quello spesso elargito per comprarsi
la connivenza dei sindacati o dei partiti di opposizione, o per ingraziarsi
pacchi di voti dell’elettorato costituito dagli amici degli amici, quelli
appartenenti alla massa siciliana definibile in connivenza attiva o
potenzialmente tale.
In breve, una operazione in stile “maturo” della Prima
Repubblica che negli anni Settanta e Ottanta ha di fatto reso strutturale il
dissesto finanziario della Regione Sicilia, moltiplicando il numero dei suoi
dipendenti.
Ormai nell’Isola lo si apprende già in età
adolescenziale quale fondamento della società siciliana: per perpetuarsi
immutato, il “sistema” deve periodicamente cambiare trasformandosi in qualcosa
apparentemente opposto, ma essenzialmente identico.
Alternando con cadenze periodiche le metodologie
necessarie affinché ciò accada, il potere dominante lascia quindi trascorrere
alcune generazioni prima di riproporre “innovazioni” seguendo schemi operativi
vecchi ma sempre vincenti.
Tuttavia, vi è un limite al saccheggio delle finanze e
all’indebitamento pubblico, specie se questo viene acquistato da altre nazioni
o da potenti network multinazionali. Nell’operazione che sta per iniziare le
conseguenze negative sono solo parzialmente prevedibili, presentando un alto
grado di dannosità in quanto ormai svolte con sistematica elusione dei principi
fondamentali della costituzione repubblicana italiana, quelli posti a garanzia
dei diritti primari dell’intera popolazione. Bisogna che lo Stato lo ammetta
pubblicamente: la sovranità nazionale è già pesantemente limitata in molti
settori strategici, subordinata a interessi sopranazionali che sono spesso
inconciliabili con il benessere della popolazione nazionale.
Considerata la natura predatoria del neoliberismo
internazionalista che costituisce il motore di questi accadimenti, è facilmente
ipotizzabile che la situazione italiana sia destinata a peggiorare gravemente.
L’informativa del GICO: una
organizzazione criminale al vertice della Soprintendenza di Messina.
È la primavera del 2004: sulla grande scrivania del
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, dott.
Angelo Vittorio Cavallo viene trasmessa una voluminosa e ben articolata
informativa avente per oggetto il Procedimento Penale n. 3037/03 RGNR. Mod. 21.
Si tratta del frutto delle lunghe e complesse indagini (sopralluoghi,
intercettazioni telefoniche, interrogatori, consulenze tecniche e in seguito
anche perquisizioni effettuate presso uffici pubblici e abitazioni private)
iniziate circa un anno addietro dal Comando Nucleo Provinciale Polizia
Tributaria di Messina, nella fattispecie dagli specialisti del G.I.C.O. (Gruppo
Investigativo Criminalità Organizzata), una delle unità di eccellenza
della Guardia di Finanza.
Sembra che le indagini siano scaturite da un controllo
di routine (5), quando una mattina esaminando la cronaca cittadina
riportata dai quotidiani, gli investigatori si imbattono in una strana notizia.
Una gara d’appalto di lavori da eseguire in un’area archeologica sita nella
provincia di Messina, era stata aggiudicata a una ditta che aveva presentato un
ribasso dell’offerta pari a circa il 40%. Incuriositi dalla evidente anomalia
del fatto, i finanzieri si attivano presso una fonte informativa di provata
fiducia nella locale Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali.
Comprendono così di essere innanzi alla punta di un gigantesco iceberg
dell’illegalità, probabilmente strutturato nel corso di decenni, dove
nell’ambito del complesso sistema legato agli appalti pubblici nel settore dei
beni culturali, diversi funzionari avrebbero attestato il falso consentendo
alle imprese vincitrici degli appalti di gonfiare il fatturato. Laddove non
necessita indire gare d’appalto in quanto si tratta di piccole somme a
disposizione dell’amministrazione regionale, i funzionari si rivolgono
direttamente a “ditte di fiducia”, sempre le stesse, quelle che fanno
parte del “sistema”.
Il responsabile del GICO avrebbe quindi chiesto e
ottenuto dal comandante del nucleo di polizia tributaria di Messina di potere
attivarsi per raccogliere ufficialmente le informazioni preliminari per sondare
la consistenza dei reati. Il gruppo ha grandi capacità professionali e in breve
i dati raccolti sono sufficienti per richiedere alla Procura di Messina di
avviare indagini, che vengono concesse. Le trasmissioni di note riservate
relative a questa inchiesta e che precedono l’informativa, avvenute tra il Nucleo
e la Procura nel corso del 2003 e del 2004, sono decine (6). Due di
queste note conterrebbero la richiesta da parte del GICO di concedere la
perquisizione di una cassetta di sicurezza sita in un istituto bancario
italiano, intestata a uno dei personaggi-chiave della vicenda. A questa
richiesta, fondamentale per lo sviluppo delle indagini, la Procura della
Repubblica avrebbe opposto un netto rifiuto (7).
Cercai di saperne da una delle mie migliori fonti di
quel periodo, il giornalista Gino Mauro, incontrandolo più volte a partire dal
2007, ma fu soltanto nel 2014, pochi mesi prima che venisse stroncato da un
infarto, che volle aggiungere alcuni importanti particolari della vicenda a me
ignoti. Quel che in particolare mi colpì, fu la notizia che durante una
perquisizione in casa di un indagato, effettuata su disposizione della Procura
nell’autunno del 2003, sarebbe stata scoperta una scatola contenente una quantità
di monete, ancora incrostate di terra e prodotti di ossidazione del rame, delle
quali sino al 2009 il Soprintendente non aveva reclamato la restituzione in
quanto il servizio archeologico al riguardo non gli aveva ancora trasmesso non
soltanto la descrizione e le foto, ma nemmeno il numero delle monete. Di questa
notizia non trovo traccia nell’informativa GICO 2004, d’altronde pervenutami
incompleta (8).
Torniamo alla ricostruzione di quanto avvenuto tra gli
ultimi mesi del 2003 e il primo quadrimestre 2004. Giorno dopo giorno, gli
investigatori del GICO erano giunti alla convinzione che all’interno della
Soprintendenza fosse presente una situazione talmente grave da configurare un
contesto che in gergo poliziesco viene definito “mostro”, riferendosi
alle dimensioni e alla elevata potenza organizzativa e operativa criminale. Il
quadro delineato dalle intercettazioni era allarmante, essendo la
Soprintendenza “nelle mani di persone esterne”, avendo le
intercettazioni rivelato che l’organizzazione criminale prendeva ordini
dall’esterno tramite il soprintendente, nella sua qualità di direttore
dell’Istituto, coadiuvato da dirigenti di vari servizi tra i quali alcuni noti
archeologi.
È del tutto lecito chiedersi se i
poliziotti fossero a quel punto pervenuti al sentore di pericolo nel quale si
trovavano, poiché quanto da loro scoperto non poteva che rappresentare uno dei
centri operativi di un “sistema” ben radicato nelle soprintendenze siciliane e
di metodologie forse presenti anche in regioni dell’Italia peninsulare, quale
semplice branca di interessi di una organizzazione strutturata a livello ancora
più alto, sopranazionale.
Tuttavia, pervenuti a quel livello di conoscenze era
ormai troppo tardi per sottrarsi alle inevitabili conseguenze sull’esito delle
indagini, sul futuro di quei poliziotti d’eccellenza invisi al Deep State.
Probabilmente ciò divenne ovvio sin da quel breve ma interminabile periodo,
quelle settimane a cavallo tra la composizione, la consegna dell’informativa e
l’attesa di un gradito riscontro dai vertici della magistratura: il sistema
dominante non avrebbe concesso alcuno spazio per divulgare quanto scoperto, né
tantomeno a giungere a una sola condanna dei suoi preziosi protetti. Anzi,
avrebbe trovato il modo esemplare per chiudere quella “falla” e renderla un
monito a futura memoria, rendendo chiaro a tutti che in Sicilia lo Stato
è cosa loro.
L’informativa soffre di pesanti limitazioni in quanto
compilata tenendo presente soltanto le funzioni alle quali è preposta la
Guardia di Finanza di Messina, circoscritte nell’ambito dei reati tributari
commessi nella sola provincia per sua competenza territoriale. Sono però
presenti cenni dell’evidenza di dannose carenze scientifiche nel merito delle
quali gli investigatori non avevano alcun titolo per competere con il parere
espresso dal servizio archeologico della Soprintendenza messinese, che le vigenti
leggi rendono insindacabile.
Eppure già quanto trasmesso alla Procura della
Repubblica di Messina avrebbe dovuto allertare il vertice di questa,
attivandosi presso altre Procure per un allargamento delle indagini quantomeno
in tutta l’Isola, con un diretto impegno del Comando generale della Guardia di
Finanza, gli Uffici Digos e, ovviamente, il Comando Carabinieri Nucleo
T.P.C. (9).
Sembra inoltre che gli uomini del GICO cercarono nel
2003 la collaborazione di noti archeologi presso i dipartimenti di alcune
università siciliane e della Calabria, ma si trovarono innanzi a netti
rifiuti (10).
Probabilmente sarebbe stato opportuno riaprire le
indagini su certi trasferimenti di denaro all’Estero, quelli inizialmente
pervenuti su conti bancari caraibici (a nome di politici e funzionari
siciliani). Nelle Isole Vergini, ad esempio, dove anni addietro erano stati
individuati dalla Magistratura messinese (a occuparsene fu l’allora giovane
giudice Giuseppe Verzera). Secondo un noto quotidiano locale vennero
localizzati depositi per un valore di circa 50 miliardi delle vecchie lire
italiane. Nell’indagine caraibica figurava anche un noto politico democristiano
messinese, Luciano Ordile, che per molti anni aveva occupato la poltrona di
Assessore Regionale ai Beni Culturali e Ambientali (11).
Un’altra indagine svolta dalla Procura di Messina in
quegli anni di fine “Prima Repubblica”, svanita anch’essa nel più cupo silenzio
mediatico, si occupò del cosiddetto “tesoro” della Democrazia Cristiana
messinese. A quel tempo in ambienti giornalistici circolavano insistenti voci
di un conto bancario consistente in oltre 700 miliardi di lire che venne
trasferito in Svizzera via Milano e della possibile relazione con un incidente
automobilistico mortale di cui fu vittima un esponente politico messinese.
Il GICO di Messina si trovò
innanzi alle connessioni periferiche di un organismo criminale “invisibile”?
L’informativa redatta dal GICO nel 2004 indica senza
mezzi termini come la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina avesse
la connotazione di una “organizzazione che riassume le
caratteristiche di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata
alla commissione di vari delitti a cui partecipano, a seconda i ruoli
ricoperti…” ben quindici funzionari dell’Ente e sette
imprenditori, ai quali nel procedimento si aggiungono anche nomi di politici e
professionisti per un totale di 49 persone.
Esaminando la vicenda dal solo
punto di vista tributario, al quale sono circoscritte le proprie funzioni, i
finanzieri segnalano che i pubblici ufficiali della Soprintendenza di Messina
hanno “falsificato le relative contabilità di cantiere”
spingendosi “tramite la perpetuazione mediante artifizi contabili, a
truffare la stessa pubblica amministrazione”.
Inoltre, i funzionari coinvolti,
ricoprendo ruoli apicali all’interno della Soprintendenza, abbiano messo “l’intera
struttura al servizio di terze persone esterne alla stessa al fine
di poterne trarre varie utilità fruibili immediatamente o in epoche future”.
Difatti vengono evidenziati “in modo univoco e inconfutabile gli
accordi” attraverso i quali i funzionari avrebbero “di fatto barattato
l’attività funzionale della Pubblica Amministrazione… approfittando di una
enorme massa di capitali pubblici, messi a disposizione dalla Comunità europea
per la riqualificazione e la valorizzazione delle aree archeologiche dislocate
per tutta la provincia di Messina”.
Gli investigatori mettono quindi in luce le direttive
di vari funzionari “per lo più motivati da interessi clientelari estrinsecatisi
con l’attribuzione di consulenze professionali – talvolta celate attraverso
assunzioni di lavoro subordinato da richiedere alle imprese compiacenti”. Si
nota “l’esubero di manodopera e di consulenze esterne senza
l’effettiva o reale necessità e talvolta inadeguate dal punto di vista
professionale. L’utilizzo di procedure amministrative, quali somme d’urgenza e
di gare d’appalto, per le quali si sarebbero travalicati talvolta i relativi
supposti di attivazione, al fine di finanziare perizie, di volta in volta
suggerite da soggetti alieni alle stesse vicende amministrative ovvero al fine
di reperire risorse finanziarie da impiegare verosimilmente per scopi diversi
rispetto alla naturale erogazione… in particolare per quanto riguarda le somme
d’urgenza)”.
Inoltre si constata la presenza di
“richieste di assunzioni di forza lavoro con garanzie di sgravi per i datori di
lavoro, richieste d’intervento in aree extra progettuali, autorizzazioni di
sub-appalti contro ogni prescrizione contrattuale. Attivazione e finanziamento
di perizie su suggerimento di forze esterne allo stesso Ente, indulgenza a ogni
forma di violazione penale-amministrativa posta in essere dalle stesse imprese
in fase esecutiva (ad esempio, violazione alle norme sulla sicurezza dei
cantieri e utilizzo di minori in lavori pesanti)”. Tutto questo è
evidente nella “redazione da parte di funzionari e/o impiegati
deputati a tali compiti di documenti amministrativi inattendibili, anzi falsi
e, di conseguenza, nella concreta possibilità di perpetuare truffe ai danni
della stessa Pubblica Amministrazione”.
Ciò avverrebbe in un clima di
rapporti dai toni “eccessivamente confidenziali tra i rappresentanti
delle imprese ed i tecnici della Soprintendenza” che conducono a
ritenere verosimile che essi celino “rapporti diversi da quelli che
dovrebbero essere i rispettivi ruoli: esecutore dei lavori e controllori ed in
sostanza palesano stabili equilibri all’interno dell’Ente che vanno mantenuti
per garantire interessi da ambo le parti, prevaricando così ogni minimo
contenuto di trasparenza amministrativa e concorrenza”.
L’informativa al proposito
descrive “illecite
deviazioni dai fini istituzionali”, “atti viziati da eccesso di
potere” da parte di funzionari e dirigenti e, cosa ancora maggiore
gravità, il monitoraggio delle attività del soprintendente Gianfilippo
Villari, ovvero il massimo responsabile dell’Istituzione, mette in
luce forme di condizionamento da parte di “forze esterne” (12) che “come
ampiamente dimostrato”, comprometterebbero “la
determinazione e l’imparzialità dei soggetti preposti e che interferiscono con
il regolare funzionamento dei servizi”. Situazioni “che
sembrano puntualmente ripetersi in diverse aree archeologiche di quella provincia
regionale”, al punto che il GICO definisce “un clima di
inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’Ente e di abuso
delle pubbliche funzioni che trovano la loro naturale conseguenza nella
violazione dei beni giuridici che le norme in parola intendono tutelare”.
Gli investigatori ritengono quindi di essere giunti a
identificare un primo gruppo costituito da una cinquantina di personaggi, che
opera in una sorta di associazione dedita a organizzare e gestire un vero e
proprio giro di affari criminali in cui sono a vario titolo coinvolti
personaggi di primo piano della casta messinese, ovvero imprenditori,
professionisti, archeologi, dirigenti regionali, politici. Le indagini
continuano a ritmo serrato per tutto il corso del 2003 e gli inizi del 2004,
con accertamenti e approfondimenti grazie alla concessione di proroghe di
ulteriore tempo, sino alla trasmissione della informativa, che evidentemente si
spera sia solo la prima di una serie di operazioni derivate da questa base di
dati messi in luce.
Una quantità di dati che rischia di divenire troppo
grande da gestire e che travalica i compiti del G.I.C.O. e in seguito anche
quelli della O.L.A.F., ovvero i reati connessi ad abusi finanziari, essendovi
anche quelli di distruzione o grave danneggiamento di beni culturali (di
pertinenza del Comando Carabinieri T.P.C. o della speciale sezione beni
culturali della Guardia di Finanza), e quelli relativi ai rapporti tra
politica, imprenditoria e potere massonico (indagini generalmente affidate alla
Polizia ed in particolare alla Digos) (13).
Gli investigatori decidono quindi di tirare le prime
somme dei risultati, confidando di avere affidata una successiva “tranche”
di approfondimento, e che contemporaneamente all’attività svolta in Tribunale,
altre forze di polizia per loro competenza possano mettere in evidenza
ulteriori e non secondari aspetti d’interesse criminologico concernenti alle
attività perpetuate in Sicilia da associazioni di “colletti bianchi”.
In una tale situazione, in un ambiente investigativo
ideale risulterebbe palese che la prosecuzione delle indagini con risultati
ottimali sia raggiungibile solo attraverso una concertazione tra tutte quelle
forze di polizia che, considerata la presenza di gelosie e antichi rancori,
richiedono la ferma supervisione di un pool di magistrati di
grandi capacità professionali e soprattutto di provata fedeltà allo Stato
Italiano. Siamo quindi innanzi a un problema strutturale oggi praticamente
insuperabile.
Bisogna riconoscere che la coraggiosa informativa GICO
costituiva un eccellente punto di partenza per costruire una investigazione di
fondamentale importanza per la lotta alle attività di quello che oggi iniziamo
a considerare quale il massimo organismo criminale presente in Sicilia, un
sistema imponente del quale da alcuni decenni hanno sentore e orrore magistrati
e giornalisti di prima linea. Un organismo “invisibile” il cui vertice di
potere sopranazionale ha evidentemente sede altrove, per il quale l’imprenditoria
mafiosa siciliana è solo uno dei poteri indigeni europei già da decenni caduti
nelle sue mani e ridotti a semplici esecutori. Un potere fluido, essenzialmente
anarchico, che ha infiltrato le roccaforti dell’ideologia liberista
internazionalista e del vero potere massonico, alle quali ha affiancato
migliaia di centri operativi. Un “meccanismo” di immane potenza che nessuna
nazione è in grado di affrontare senza disastrosi danni economici e finanziari,
sino ad essere trasformati in regimi-marionetta.
Gli inquirenti avranno certamente constatato, ma non
ne trovo traccia nella parte dell’informativa GICO in mio possesso, come sin
dalla fine degli anni 1980, ovvero da oltre un quarto di secolo, vi fossero
Ditte definite di fiducia alle quali coloro che si sono succeduti nel ruolo di
soprintendente e direttore del servizio archeologico della soprintendenza
BB.CC.AA. di Messina affidavano i lavori per somme consistenti, non però tali
da dovere indire gare d’appalto, come stabilito dalle vigenti leggi. Tuttavia,
è il numero dei lavori ottenuti per incarico diretto dalle Soprintendenze che
determina il giro di affari di questi personaggi. Approfondendo le
indagini, possiamo constatare (ed è forse questo il dato maggiormente
inquietante della vicenda) come queste ditte e alcuni di questi dirigenti
archeologi hanno semplicemente continuato questo rapporto “fiduciario” anche
presso la Soprintendenza di Messina quel che già facevano sin dagli anni 1970
presso l’allora Soprintendenza alle Antichità per la Sicilia Orientale con sede
in Siracusa, e che questo si nota chiaramente per quanto riguarda alcuni
imprenditori messinesi e siracusani e alcuni dei dirigenti archeologi. Si
badi bene che sono tutti personaggi citati nell’informativa inviata dal GICO
alla magistratura messinese, per alcuni dei quali si chiedeva di spiccare
ordine di arresto a fini cautelativi.
Dei 49 nominativi ai quali il
GICO attribuì reati, per ben 14 avanzò espressa richiesta alla magistratura di
emettere un’ordinanza di custodia cautelare (ovvero carcerazione preventiva
al fine di evitare l’inquinamento delle indagini in corso). Tra questi vi
sono ben tre dirigenti archeologi della Soprintendenza BB.CC.AA. di
Messina: Umberto Spigo, la moglie di questi Maria Giovanna Bacci (che
risultava pluri-pregiudicata…), e Gabriella Tigano (della quale ci
occupiamo in questo articolo). Si tratta di personaggi-chiave della vicenda,
che agiscono con la copertura del soprintendente Gianfilippo Villari,
già noto esponente della massoneria siciliana e amico di lunga data dell’allora
Assessore Regionale ai Beni Culturali, Raffaele Lombardo (14). In quel
momento il soprintendente ha in corso una ventina di processi per vicende
inerenti allo svolgimento delle sue mansioni lavorative. Deceduto nel Settembre
del 2009 a causa delle conseguenze di una forma aggressiva di tumore
all’apparato digerente, non giungerà innanzi al G.U.P.per processo che per
quanto concerne le responsabilità nei reati contestate dal GICO, che per altri
imputati si protrarrà sino al 2014. Originario della provincia di Enna, pochi
anni addietro era stato candidato alle elezioni a sindaco di quella città,
raccogliendo circa 25.000 voti quale alfiere di “Forza Italia”, il partito
fondato dal noto Silvio Berlusconi, ma venne superato di poco dal candidato
della lista di Sinistra.
È da mettere in evidenza che oltre all’emissione
dell’ordinanza di custodia cautelare per vari indagati, il GICO chiese alla
Magistratura messinese due interventi di fondamentale importanza per il
contrasto alle attività evidenziate: il sequestro preventivo delle
somme finanziate nell’ambito dei P.O.R., i fondi strutturali elargiti
dall’Unione Europea alla Regione Sicilia e da questa alla Soprintendenza di
Messina e “la proposizione agli organi competenti” ovvero
all’Assessorato ai BB.CC.AA. della Regione Siciliana “ della sostituzione
dei soggetti in atto o già preposti al Servizio III (archeologico) della
Soprintendenza di Messina.
Dovranno passare quattordici anni affinché i risultati
di altre indagini condotte in Sicilia, quale ad esempio la gravissima
vicenda di Banca Nuova, poi ridimensionata in quel che attualmente è stato
circoscritto a “Caso Montante”, iniziassero a porre le basi per ipotizzare la
reale esistenza di un “organismo criminale” di livello superiore, mantenuto
invisibile. Esso dominerebbe la complessa società siciliana, sarebbe costituito
da personalità incensurate di alta professionalità, in modo da essere definibile
quale un gruppo di potere nazionale strettamente connesso a quello
soprannazionale. Inizialmente creato per il controllo militare di territori
d’interesse strategico (quali appunto la Sicilia) del cosiddetto Blocco
Occidentale, recentemente questo organismo sta attraversando una fase di
cambiamenti determinati dall’avvento di nuovi equilibri al vertice del potere
finanziario internazionale che tendono a ridimensionare quello occidentale e
colonizzarne parte.
Sarà questo scontro, che nel vicino futuro potrebbe
determinare la condizione di “visibilità” di parte dell’attuale potere
dominante in Italia, del quale ad oggi resta ignota persino la denominazione.
Per motivi di pura necessità terminologica, sembra qui verosimile attribuirgli
un termine provvisorio di Vero Potere (Deep State, Governo-ombra), o piuttosto
un semplice ma ben descrittivo ”sistema di potere dominante”. Il termine
“Deep States network” dovrebbe invece essere usato quando riferito alla
condizione sopranazionale nell’ambito dei Paesi del Blocco Occidentale.
È probabile che in Italia sia realmente esistita e
oggi forse ancora in parte funzionante limitatamente al livello regionale, una
struttura piramidale simile a quella descritta nel controverso “Memoriale
Calcara”, compilato da un collaboratore di giustizia in seguito giudicato
inattendibile dalla magistratura. In base a esso, sino agli inizi degli anni
1990 i vertici del potere regionale siciliano e quello nazionale italiano erano
distinti gerarchicamente, il primo subordinato al secondo, ovvero in linea di
potere perpendicolare. Ognuno sarebbe stato gestito da un proprio centro
decisionale, rispettivamente definiti “Commissione regionale”, e
“Supercommissione nazionale”. Calcara accenna anche a un organismo superiore a
queste, anch’esso definito “supercommissione”, ma di competenza soprannazionale
del quale non fornisce alcuna ulteriore specificazione. Se la descrizione
corrispondesse a verità, appare ovvio che queste strutture non avrebbero potuto
deliberare senza essere affiancate da centri progettuali e unità operative, non
citate dal Calcara, che d’altronde non rivela alcun nominativo dei personaggi
che farebbero parte delle Commissioni (15).
Come silenziare e rendere innocua
un’indagine alfa
Per misurare il potere che domina la Sicilia è forse
sufficiente constatare l’esistenza della sua ombra proiettata sulla vicenda qui
esposta, bastante a determinare l’autocensura dei media sino al momento in cui,
dopo parecchi anni dal suo inizio giudiziario, tutto si è dissolto nei meandri
di in tribunale, usando vizi di forma procedurali e prescrizioni. Il nulla, che
ha pesato sull’investigazione aperta dalla OLAF (Case OF/2007/0022) e conclusa
senza raccomandazioni alla Commissione Europea. Impedendo così il risarcimento
dei sostanziosi danni causati all’Unione Europea. Un esito che ha umiliato gli
sforzi, la professionalità, il ruolo di difensori della collettività, la
fedeltà allo Stato degli uomini del GICO.
Nell’invisibilità rimane protetta l’intera struttura
che ha permesso (e vi sono elementi per presumere essa continui tranquillamente
ancor oggi), a “persone esterne” di impartire ordini ai vertici della
soprintendenza messinese. Una sorta di Spectre (16) talmente
potente da non essere mai stata quantomeno oggetto dell’interesse dei media
europei, costituita da personaggi e probabilmente da apparati innominabili: il
più pericoloso organismo criminale di “colletti bianchi” operante in
Sicilia, e in generale in Italia, volendo qui limitare l’interesse di cronaca a
una piccola parte del territorio oggetto delle sue attività.
Tuttavia, i presupposti di questo corso degli eventi
era già prevedibile. Sarebbe stato sufficiente scorrere, ad esempio, le
trascrizioni delle intercettazioni avvenute nel corso di colloqui tra due
dirigenti superiori dell’amministrazione regionale siciliana. Cito, fra le
tante, tre telefonate, il cui riassunto e spezzoni di frasi sono riportate nel
quinto capitolo dell’Informativa GICO del 2004, avvenute il 28/11/2003 (Progr.
4329, 4331, e 4358).
Nella prima il Soprintendente Gianfilippo Villari
telefona a Maria Carollo, dirigente del Servizio Ispettivo del Dipartimento
Regionale Beni culturali e ambientali ed Educazione permanente, con sede a
Palermo, informandola dell’intervento della Guardia di Finanza. Nella seconda
telefonata il Soprintendente, aggiorna la funzionaria precisando che “la
cosa sta divenendo più seria del previsto in quanto, oltre all’esecuzione di
una perquisizione presso l’abitazione di Umberto (Spigo) ci sarebbero dei
problemi con il cantiere di San Fratello”. Nella terza conversazione,
Villari e Carollo continuano a commentare l’intervento della Guardia di
Finanza, in particolare il Soprintendente rivela di essere stato informato da
Umberto Spigo dei reati contestati dai finanzieri, aggiungendo che “la cosa
è ben più grave del previsto e di avere avvisato, prima che la notizia
venisse pubblicata sui quotidiani, il Direttore Generale dell’Assessorato
Regionale” evidentemente al fine di concertare un intervento. Inoltre, il
Soprintendente informa la funzionaria “del sequestro di una monetina
rinvenuta a casa dello Spigo”.
Anche se non vi sono prove di un intervento del
vertice assessoriale e/o di altri centri di ben maggiore potere, bisogna
constatare che i media non renderanno pubblica la
vicenda e che poche e scarne informazioni appariranno solo quasi sei anni dopo,
in due articoli pubblicati nel novembre e nel dicembre 2009, ovvero pochi mesi
dopo la morte del Soprintendente. Il primo è un articolo a firma di
Michele Schinella, pubblicato da “Centonove”, un settimanale messinese a
limitata tiratura regionale, che rompe il silenzio fornendo le notizie filtrate
in vista dell’udienza preliminare tenuta dal giudice Maria Vermiglio, al quale
segue un succinto aggiornamento con l’esito dell’udienza, pubblicato dalla
redazione di “Stampa Libera” il 4/11/2009 (17).
Dopo questi due isolati episodi, che riducono la
vicenda al caso di un presunto gruppo di funzionari infedeli, scende nuovamente
il silenzio durato sino ad oggi, ovvero ben dieci anni nonostante due esposti
presentati dallo scrivente nel 2014, rispettivamente per loro competenza ad uno
speciale reparto della Guardia di Finanza, Messina e al Comando Carabinieri
T.P.C., Roma. Non ne conosco il seguito, ma penso sia sufficiente rivelare di
non avere mai ricevuto un successivo benché minimo riscontro. Un silenzio che
rivela più di quanto mi aspettassi.
Le numerosissime trascrizioni e sintesi di queste
telefonate tra funzionari, politici, imprenditori e liberi professionisti,
riportate nell’Informativa, presentano una importante testimonianza storica
delle condizioni nelle quali è caduta l’archeologia siciliana in questi ultimi
decenni. Se ne ricava uno squallido spaccato della ricerca archeologica
sottomessa al servizio del sistema degli appalti pubblici, finita di “poteri”
privi di scrupoli, ma di archeologi il cui squallore professionale e caratteriale
è peggiore delle eminenze di quelle “Entità”.
È triste la presenza di funzionari archeologi per i
quali metodologie e comportamenti illegali (tra i più comuni il falso in atti
pubblici e la truffa), sono evidenziati quali routine applicata
nei siti archeologici monitorati dal GICO. Ma è ancor più sconcertante
constatare come non soltanto nessun archeologo delle università siciliane, ma
persino di quelle nazionali e estere che hanno operato studi e ricerche in
Sicilia, abbia voluto infrangere il muro di omertà e si può anzi osservare come
ognuno di essi abbia partecipato con il silenzio, con connivenze che non
possono essere definite meramente passive.
Le ulteriori indagini svolte
dalla Commissione Europea (O.L.A.F., Case OF/2007/0022)
A parte i gravi danni al patrimonio archeologico e
monumentale che ad oggi rimangono non quantificati, e quelli finanziari
inflitti allo Stato Italiano e all’Unione Europea, vi è quello commesso sulla
popolazione della provincia di Messina, che dalla vicenda ha imparato in quale
modo, raggiungendo una posizione di potere all’interno della Regione Siciliana,
nessuno venga punito quando appartenente a organismi criminali presenti
all’interno delle Istituzioni dello Stato, come evidenziato dall’Informativa
GICO 2004 e successivamente oggetto dall’indagine svolta dall’Office Européen
de Lutte Antifraude di Bruxelles (O.L.A.F.) (18).
Ma quel che forse ha più di ogni altra evidenza
convinto la popolazione ad astenersi dall’intraprendere persino goliardiche
discussioni tra amici al bar su questo genere di fatti, è la possibilità di
soffrire una serie di avversità, la cui dannosità è proporzionale alla gravità
delle esternazioni. Esse inizialmente appaiono quali improvvise insorgenze di
serie di avversità, che nei casi più gravi possono giungere alla condizione di
isolamento, di vera e propria “morte sociale” a conclusione di
operazioni di discredito professionale e di aspetti della vita privata condotti
con tecnologie telematiche produttrici di verità abilmente progettate,
costruite e diffuse. La morte sociale è oggi divenuta una
condizione alla quale il “sistema dominante” relega chiunque gli arrechi
disturbo al punto che si decide di non eliminarlo fisicamente lasciando
consumare la vittima nella orrenda sofferenza di scontare colpe non commesse,
lasciandolo inoltre alla mercé della tortura del pubblico disprezzo. Quel che
da inquietante surplus caratterizza queste vicende è
l’assoluta mancanza di una presa di posizione della collettività, evidente
espressione silenziosa di una condizione di oppressione di tutti i fondamentali
diritti sociali (19).
Tutto ciò premesso, la OLAF entrò in gioco, in seguito
a mia circostanziata richiesta, quando erano ormai trascorsi due anni
dall’invio dell’informativa GICO alla Procura messinese, e alla non accolta
richiesta avanzata dalla polizia giudiziaria di spiccare una serie di mandati
di cattura. Sembra che la pratica fosse stata archiviata dal giudice Angelo
Cavallo, oggi alla Procura di Patti dove tra l’altro conduce le indagini sulla
misteriosa morte di due poliziotti, riaperte dopo una prima archiviazione da lui
stesso operata quando alla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di
Messina (20).
Fu a quel punto che nell’estate 2006, mentre mi
trovavo impegnato a documentare gli scempi di beni culturali e paesaggistici
nel territorio di Fiumedinisi (21), intervenne una serie di
accadimenti che per puntuale imprevedibilità e intreccio di corrispondenze è
impossibile attribuire al frutto dell’ingegno umano, ma a quel mistero che con
rassegnata prudenza gli investigatori sono soliti denominare “curiosa
cadenza di coincidenze, fatti e circostanze evidentemente casuali”. Entrai
tra l’altro in possesso di parte dell’informativa del GICO, recapitatami in
modo anonimo in Olanda, e dopo averla letta e presunto la genuinità quale
documento giudiziario, presi contatto con la O.L.A.F. in quanto vi si
configuravano gravi reati ai danni della Comunità Europea.
Mantenni i contatti con la O.L.A.F. frequentandola
anche negli anni seguenti. Nel 2008 volle associarsi anche un dottorando in
archeologia presso una università inglese, tale Andrea Vianello, con il quale
incontrammo un ufficiale della Guardia di Finanza e un magistrato italiano che
conducevano le indagini aperte dall’organismo della Commissione Europea (22).
Saranno gli accertamenti avviati dalla O.L.A.F. a convincere il giudice per le
indagini preliminari, dott. Antonino Genovese, a riaprire le indagini precedentemente
archiviate dalla Procura di Messina.
Bisognerà aspettare il 4 dicembre 2009, per vedere
giungere il procedimento innanzi alla giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Messina (GUP, Maria Giovanna Vermiglio) (23). Ma si
tratta ormai di una indagine azzoppata, che anziché allargata si è ristretta a
diciotto indagati. Vengono decisi sette rinvii a giudizio per i reati di falso
e truffa, tra i quali spicca il nominativo del dirigente archeologo Umberto
Spigo, mentre le posizioni di due indagati vengono stralciate.
Per altri nove indagati, tra i quali le dirigenti
archeologhe Bacci e Tigano, la giudice, accogliendo in parte le obiezioni degli
avvocati della difesa, rilevò la presenza di un vizio di forma procedurale,
decidendo quindi di regredire il procedimento alla fase delle indagini
preliminari e di restituire tutti gli atti al pubblico ministero. Come
calcolabile, considerata la lentezza della giustizia italiana, sopraggiunse la
decadenza dei termini processuali e la prescrizione dei reati. Sulla base di
questo strano percorso giudiziario l’investigazione OLAF fu chiusa senza
raccomandazioni alla Commissione Europea, di modo che questa non ebbe alcuna
possibilità di potere richiedere alla Regione Siciliana un ingente risarcimento
dei danni subiti dall’Unione Europea (procedimento di recupero di fondi europei
elargiti dal POR 2001/2007). A sua volta, se effettuato, la regione avrebbe
potuto rivalersi sui funzionari colpevoli delle frodi. Questo triste epilogo
rivela l’effettiva inconsistenza e i limiti delle attività investigative della
OLAF quando innanzi ai poteri forti siciliani.
È tuttavia da ricordare come, in prima istanza, i
funzionari europei della OLAF avessero considerata reale la presenza di pesanti
irregolarità nell’uso dei fondi elargiti dalla comunità europea, dando credito
a quanto già evidenziato dal GICO. Dal dicembre 2009 sulla vicenda cade il più
fitto mistero, quello che in questi casi sembra solito giungere a proteggere i
dirigenti superiori trovati con le mani nella marmellata, in quanto pedine del
sistema dominante. E così il silenzio continuerà anche dopo la presentazione di
due esposti da parte dello scrivente nella prima metà del 2014 (24): la
vicenda scompare dalle cronache e i burocrati in “guanti bianchi”
coinvolti in qualità di imputati sono oggi divenuti ancor più potenti di prima
o hanno potuto tranquillamente andare in pensione con tutti i notevoli benefici
loro riservati dalla Regione Siciliana.
Per dovere di cronaca bisogna però mettere in evidenza
come, avviata l’indagine OLAF, negli anni 2007-2008 Umberto Spigo e la moglie
Maria Giovanna Bacci (a quel tempo già pluripregiudicata), pur essendo indagati
dalla Procura di Messina e al centro dell’investigazione di un organismo della
Comunità Europea, verranno omaggiati dal Ministero per i Beni Culturali
italiano in pieno accordo con la Regione Siciliana, con l’invio a ricoprire,
rispettivamente, la carica di Soprintendente per la Lombardia e di Soprintendente
per il Piemonte con la delega anche per la Liguria. Potevano partire da soli,
senza la numismatica Amalia Mastelloni, che le intercettazioni del GICO
rivelano essere legata da un intimo rapporto di amicizia con lo Spigo?
Ovviamente no, e la tipa diviene Soprintendente Archeologo per le Tre Venezie.
Scattano immediate le proteste del vertice veneto della “Lega” che chiede
spiegazioni al Ministero di competenza. La Mastelloni viene trasferita a Roma
presso il Mibac, ma l’interim di quella soprintendenza viene clamorosamente
assegnato allo Spigo, che viene così a trovarsi a soprintendere ai beni
archeologici di gran parte del Settentrione italiano: un potere accentratore
mai verificatosi prima e dopo di lui. Si tratta di una delle vicende burocratiche
più misteriose dell’archeologia italiana.
In pratica, tramite questo accordo firmato dal
Ministro per i Beni Culturali, On.le Francesco Rutelli (sì, proprio quello che
i gloriosi media nazionali non perdono occasione di presentare quale un
paladino nell’opera di difesa dei beni culturali italiani…) con la Regione
Siciliana, alla coppia di indagati Spigo-Bacci, quest’ultima pluripregiudicata
per vicende inerenti alla gestione di beni culturali, viene assegnato il
controllo dei Beni Archeologici del Nord Italia. Un incarico gravoso in quanto
vi sono aree vincolate o da vincolare sulle quali devono essere eseguite
importanti opere pubbliche (che necessitano relazioni tecniche di liberi
professionisti incaricati dalla Soprintendenza e nulla osta dei funzionari),
posizione che occuperanno per circa un anno.
Dopo questa parentesi i tre rientreranno in Sicilia
alla grande, con l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali e della
Pubblica Istruzione totalmente nelle mani dei politici siciliani, che
nonostante le inchieste a loro carico ancora in corso, li promuove mandandoli a
dirigere importanti incarichi. Allo Spigo, sarà assegnata la Direzione delle
aree museali delle Isole Eolie, al quale succederà nell’incarico l’amata amica
Amalia Mastelloni.
Nel frattempo, momentaneamente promossa e trasferita
al Nord Italia la Bacci, dal 2007 è Gabriella Tigano a divenire Direttrice
della sezione beni archeologici della Soprintendenza, e dal 2019 Direttrice del
Parco di Naxos, che contiene anche altre importanti aree d’interesse
archeologico della fascla ionica messinese quali Francavilla e la riserva
naturale orientata di Fiumedinisi e Monte Scuderi. In quest’ultima si
distinguerà per il silenzio osservato nella vicenda del restauro architettonico
e degli scavi archeologici effettuati nel Castello Belvedere di Fiumedinisi dal
Comune di Fiumedinisi e dall Sezione Archeologica della Soprintendenza, sotto
la direzione di Giovanna Maria Bacci, assistita dalla funzionaria Maria Grazia
Vanaria, una vicenda grave, dai risvolti inquietanti che nemmeno due esposti
presentati nel 2014 non sono riusciti a scuotere l’interesse della magistratura
messinese (25).
I dirigenti regionali siciliani e
le “regole non scritte” sulla spartizione degli appalti.
Agli inizi degli anni 1990 la magistratura siciliana
riesce a incastrare l’on.le Rino Nicolosi, catanese, cinque volte presidente
della Regione Siciliana. Definito “cugino” dal leader libico Gheddafi
con il quale intratteneva stretti rapporti, era parente dei Soprintendenti
Vincenzo e Sebastiano Tusa (padre e figlio), e di un altro funzionario
archeologo operativo presso la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Catania, il Nicolosi
viene arrestato per una serie di scandali e decide di collaborare con i giudici
vuotando il sacco sul sistema degli appalti dal 1988 al 1992. Tenendo conto
della collaborazione, i giudici applicheranno uno sconto di pena, impartendogli
quindi cinque anni e mezzo di carcere.
Nicolosi rilascerà un’eclatante intervista al
giornalista Alfio Sciacca del quotidiano a diffusione nazionale “Il Corriere
della Sera” dove, a precisa domanda rivoltagli dal giornalista, risponde
che il “sistema degli appalti” in Sicilia funzionerebbe per vie di fatto, senza
riunioni collegiali tra politici e imprenditori, con una tangente fissa del
2,5% su ogni appalto. Il totale delle somme raccolte su migliaia di appalti
veniva poi distribuito tra i partiti dell’arco costituzionale, e qualche
briciola arrivava anche alla Destra a quel tempo all’opposizione, mentre i
comunisti avrebbero gestito un loro meccanismo tangentizio e clientelare
rappresentato dalle cosiddette “cooperative rosse”. Di questo sistema, secondo
il Nicolosi, avrebbe fatto parte anche la mafia che raccomandava ditte
appaltatrici in mano a suoi affiliati o a imprenditori conniventi. Il ruolo dei
questo sistema i funzionari regionali è primario, in quanto consistente in
rapporti di connivenza (passiva o attiva), nelle mansioni previste dalla legge,
ovvero di controllori dello svolgimento delle gare d’appalto e dei lavori (26).
È interessante notare come nonostante avesse ricoperto
per ben cinque volte la carica di Presidente della Regione Siciliana, e quindi
fosse al vertice del potere politico regionale, Rino Nicolosi pur citando gli
affari pilotati dai vertici mafiosi e politici, tace su quelli commessi dalle
altre Entità componenti il potere dominante di quel periodo, quali la
massoneria, la chiesa cattolica, i media, i sindacati e non ultimo il ruolo dei
servizi segreti italiani. Non sappiamo se i giudici gli avessero rivolto
domande in tal senso, ma possiamo constatare la presenza di queste importanti e
inopportune omissioni, che bisogna ritenere dovute alla consapevolezza
dell’esistenza di un limite oltre al quale, evidentemente, non è concesso
esternare, né tantomeno indagare. Per quanto concerne l’organismo criminale
superiore “invisibile” non possiamo che convincerci quanto immutato sia rimasta
questa condizione di paura e di omertà, che sembra a volte determinare una vera
e propria autocensura persino all’interno di una parte dei poteri inquirenti
dello Stato.
Riassumendo, i “patti non scritti” sono chiari a tutti
i partecipanti al “sistema” e quindi anche a quanti militano nella piramide del
potere della Regione Sicilia, e tra questi i dipendenti dell’Assessorato
Regionale per i Beni Culturali. È la prima “verità” rivelata ai neofiti, a
coloro che entrano a far parte di questa cuccagna, dove “mamma comanda e
picciotto va e fa”.
L’affidabilità è il frutto di questo impegno accettato
con l’assunzione. Formuliamolo a futura memoria: la Regione
Siciliana ti paga molto di più rispetto agli altri impieghi pubblici, ti
concede abbondanti benefici, e in cambio tu tieni il becco chiuso su quanto
avviene in ufficio e nel territorio di competenza, divieni connivente attivo in
quanto sai, vedi e non parli. Se e quando raggiungerai il ruolo dirigenziale
farai quel che ti viene chiesto di fare, compromettendoti ancora di più e entrando
a fare parte effettiva del “mondo di mezzo” del potere, quello di congiunzione,
tra la piramide visibile e quella superiore invisibile.
Sistema dominante e
organizzazione massonica
Volendo avere immediata contezza della potenza del
sistema dominante, è sufficiente constatare come sino ad oggi nessuno, nemmeno
gli “addetti ai lavori” quali criminologi, investigatori, sociologi e
giornalisti professionisti, ha mai scritto due righe sull’organizzazione
criminale di poteri sopranazionali, sul network Deep States, che ha inglobato e
domina le entità nazionali. Anzi domandiamoci soltanto questo, se vi sia stato
un giornalista professionista che abbia mai voluto verificare quanto sia pur
sommariamente citato nel controverso Memoriale Calcara. E non si tratta di una
atipicità italiana, colpendo indiscriminatamente anche i cronisti esteri, come
se questi abbiano preferito adeguarsi alla consegna del silenzio,
all’autocensura.
Detto questo, bisogna ammettere che generalmente
coloro che si occupano a livello giornalistico professionale delle
organizzazioni criminali presenti nei limiti dell’orticello isolano siciliano,
preferiscono non approfondire con proprie indagini, le vicende dove si palesano
ruoli di connivenza svolti in anni recenti da una parte delle istituzioni poste
al controllo della legalità, ovvero servizi segreti, magistratura e forze
dell’ordine, cioè quel che in un unico “abbraccio” affaristico, possiamo definire
il campo d’azione delle “famiglie” massoniche.
Quando a causa di lotte interne per il potere qualcosa
affiora rendendosi visibile alla popolazione, si ha la sensazione che si attivi
immediatamente una sorta di protocollo di pronto intervento, essenzialmente
manipolatorio, in base al quale l’apparato mediatico di sistema ridimensiona o
determina la scomparsa dei fatti, in modo che l’opinione pubblica creda si
tratti di casi isolati d’importanza secondaria, per lo più frutto di problemi
privati.
Per avere piena libertà di azione, il vertice
nazionale di ogni Deep State e il network sopranazionale al quale esso
appartiene devono continuare a restare invisibili. Si tratta di una
manipolazione che opera sfruttando dinamiche attivabili a livello inconscio.
Negli ultimi anni, tuttavia, si sono rese visibili,
sia pure in modo evanescente, alcuni centri periferici di quella sorta di
territorio soprannazionale costituito dalle superlogge massoniche,
della cui esistenza e alta pericolosità sociale esistono prove di pubblico
dominio grazie anche ad alcune recenti investigazioni della polizia tedesca
(27). Le maggiori superlogge sono i luoghi dove vengono vagliate le
modalità di progettazione, controllo e condizionamento delle attività
regionali, nazionali e sopranazionali presentate dalle migliaia di
strutture think-tank presenti nelle università pubbliche e
private, nelle fondazioni e nei centri di ricerca privati. Il loro fine
primario è di garantire e ottimalizzare il perpetuarsi dello sfruttamento
economico del Blocco Occidentale nell’ambito del grande sistema del libero
mercato globale.
Le strutture superiori delle organizzazioni massoniche
sono “coperte”, ovvero rese invisibili ai non addetti ai lavori, ovvero
riservate a personaggi che nella società occupano posizioni importanti sia nel
settore pubblico che in quello privato. Una sorta di aristocrazia che
garantisce, ricavandone evidentemente un sostanzioso ritorno di potere, anche
economico, nell’ambito dell’ordine strutturale dell’intera collettività. In
Sicilia la presenza di queste strutture potrebbe pesare al punto da influenzare
notevolmente l’avanzamento, collocazione o congelamento delle carriere di
funzionari dello Stato, di militari, di accademici ma anche delle attività di
personalità private quali politici e imprenditori, facilitando per proprio
tornaconto lobbistico, le carriere di coloro che hanno mostrato affidabilità
nel corso della loro militanza nelle famiglie massoniche.
È per questo motivo che se l’informativa del GICO e
gli accertamenti della OLAF fossero stati oggetto di tutti quegli
approfondimenti investigativi che meritavano, oggi con tutta probabilità
saremmo qui a constatare una mole di informazioni che puntano all’ingranaggio
periferico del potere criminale sopranazionale, quello mantenuto invisibile per
renderlo “intoccabile”, le cui principali funzioni in Sicilia sono dirette al
totale controllo e sfruttamento della società, purtroppo insistente in una
delle regioni europee di massimo interesse strategico militare del Blocco
Occidentale.
Uno dei più gravi problemi che si possano verificare
nel corso delle indagini è che il coinvolgimento di personalità di spicco
appartenenti alle classi dominanti, vengano rivelati a terzi sin dalle fasi di
monitoraggio. Queste “fughe di notizie” avvengono soprattutto quando i
nominativi attenzionati appartengono a personaggi iscritti presso associazioni
di potere, quali le logge massoniche o a persone considerate avverse al
“sistema”. Per quanto concerne i massoni, le informazioni possono essere
comunicate ai confratelli nel corso della frequentazione della loggia di
appartenenza e in particolare tra esponenti della fratellanza giuridica) e
nelle superlogge, al riparo delle quali inquirenti e indagati
possono incontrarsi per il bene dell’associazione, considerato primario
rispetto a quello dello Stato.
Nel caso di una persona “di rispetto”, difatti, si
cercherà di intervenire operando preventivamente una copertura mediatica e
giuridica al fine di creare il minore danno possibile al sistema dominante,
all’intera organizzazione muratoria e al buon nome delle pubbliche
istituzioni (28).
La maggior parte delle fughe di notizie che pervengono
ai giornalisti, quelle che permettono a televisioni, radio, quotidiani on-line
di fare a gara nella spettacolarizzazione di scandali di questo livello, sono
finalizzati a attirare una folta audience che serva al gruppo
di potere al quale appartiene la testata giornalistica, e sia a far crescere i
guadagni legati ai servizi pubblicitari. Esse pervengono dopo che le
informative arrivano alle procure di competenza territoriale, rivelate da
poteri che usano i media nelle guerre tra lobbies politiche e
finanziarie avversarie. Tuttavia, essendo i dirigenti regionali generalmente
protetti al servizio del sistema dominante, a volte, come avvenne per la
vicenda dell’informativa GICO del 2004, si può osservare l’imposizione di un
totale silenzio stampa (29).
“Si rassegni. Ha idea di quanto
costi allo Stato la formazione di un dirigente della Soprintendenza?”
Questa domanda mi fu rivolta anni addietro da un
architetto a quel tempo Direttore Generale dell’Assessorato ai Beni Culturali,
Ambientali e Pubblica Istruzione della Regione Sicilia, un tipo che durò poco,
detronizzato a seguito di uno scandalo ben poco edificante. Il tono non era
amichevole e rappresentava la risposta a una mia precisa domanda: il motivo per
il quale una funzionaria archeologa, pluripregiudicata, continuava
tranquillamente a collezionare denunzie e condanne dalla magistratura e allo stesso
tempo sempre più importanti incarichi dirigenziali sia amministrativi che
scientifici (30).
La risposta ricevuta è puntuale nel rivelare il vero
potere dei dirigenti regionali siciliani, ovvero il loro bagaglio di esperienze
lavorative, la militanza risultata fedele e affidabile al sistema dominante
sino a divenire un riferimento in grado di gestire tutti gli aspetti
tecnico-amministrativi necessari alla progettazione, alla messa in opera e al
controllo degli appalti nel settore di loro competenza. Ma quel che più conta,
come ha rivelato l’investigazione del GICO in base alla quale si mosse anche la
OLAF, è la loro capacità di soddisfare le esigenze politico-clientelari e
quelle economiche degli imprenditori. Queste generalmente avvengono attraverso
la commissione di vari reati, tra i quali spiccano il falso in atti pubblici e
le frodi condotte con fondi statali, regionali e della Comunità europea sino a
causare la distruzione di beni archeologici appartenenti alla Regione
Siciliana.
In Sicilia, per arrivare nel gruppo dirigenziale al
vertice di una Soprintendenza, di un Polo Museale o di un Parco archeologico, i
funzionari devono quindi percorrere un lunghissimo periodo di apprendistato che
dura non meno di quindici anni. Vediamone quindi le tappe sotto un profilo
professionale e criminologico. Il primo passo è l’assunzione, che può avvenire
solo in base a una convergenza di raccomandazioni da parte di personaggi noti e
graditi al sistema in quanto suoi affidabili conniventi, quali ad esempio i
politici, e di quei funzionari che li hanno messi alla prova in cantieri di
scavo, allestimenti di musei, realizzazione di studi e partecipazioni a
convegni.
Indetti i concorsi o, come avvenuto negli ultimi
decenni, con assunzioni definite “stabilizzazioni” di “lavoratori precari”
regionali. Un assurdo in quanto si tratta di incarichi lavorativi conferiti da
funzionari a liberi professionisti che, dopo alcuni anni assumono la qualifica
di “lavoratori precari” regionali per i quali si è ritenuto democratico
procedere con “stabilizzazioni”, ovvero con l’assunzione nella pubblica
amministrazione a tempo indeterminato. In pratica un escamotage ideato
dal sistema dominante per piazzare i propri protetti in posti chiave
dell’amministrazione pubblica, eliminando i problemi generati dai concorsi
pubblici.
Nessun incarico professionale o possibilità di vincere
un concorso è invece possibile a coloro il cui nominativo compare nel “libro
nero” custodito presso la direzione di ogni assessorato regionale (praticamente
una insormontabile condanna a vita).
Per quanto riguarda gli archeologi “graditi”, essi
hanno la possibilità di accedere alla lista dei prescelti, entrando di ruolo in
base al potere contrattuale dei loro “protettori”. Il curriculum scientifico
del candidato ha quindi importanza secondaria rispetto al potere del suo
garante e al grado di affidabilità, soprattutto caratteriale, dimostrata dal
candidato negli anni di collaborazione professionale.
Dopo l’assunzione inizia la gavetta all’ombra dei
dirigenti e dei funzionari anziani, che gradualmente li introducono ai
meccanismi tecnico-amministrativi. Anno dopo anno, essi imparano a relazionarsi
con i dirigenti superiori, con gli alti apparati dello Stato, con il potere
accademico e quello imprenditoriale, a identificare i “poteri forti” e tutti
coloro che appartenenti alla casta o da essa protetti, devono essere trattati
con dovuto rispetto, distinguendoli da quelli che non rappresentano altro se
non l’emarginazione delle classi sociali inferiori per le quali il
riconoscimento dei propri diritti civili è ormai divenuto un sogno
irrealizzabile.
Negli anni il tecnocrate impara alla perfezione il
funzionamento del sistema degli appalti, il meccanismo politico-clientelare ad
esso collegato e la mappa del potere, ovvero la struttura piramidale “visibile”
nella quale egli è entrato a fare parte parecchio tempo addietro.
Essendogli stato affidato anche il controllo delle
attività scientifiche di accademici e liberi professionisti nazionali e
stranieri che operano nella provincia sotto la sua giurisdizione, il
funzionario archeologo ha così opportunità di apprendere le moderne metodologie
di ricerca, di tutela e di valorizzazione dei beni archeologici e partecipa
alle pubblicazioni scientifiche, compresi articoli e monografie di carattere
internazionale, generalmente senza sostenere alcuna spesa. In tal modo gli
viene data la grande possibilità di percorrere una via preferenziale di
formazione del curriculum scientifico con numerosissime attività pur svolgendo
una funzione scientifica marginale, ma è il numero delle pubblicazioni (spesso
si tratta soltanto di apporre la firma in un lavoro di gruppo) e delle
partecipazioni a convegni e progetti di eccellenza che fornirà al sistema che
lo protegge il diritto di proporlo a incarichi dirigenziali sempre più
importanti sia dal punto di vista degli appalti che politico-clientelare.
Accumulando centinaia di titoli tecnico-scientifici in
un modo così facile, potrà permettersi di prevalere su quanti hanno al loro
attivo molto meno “aria fritta”, ma pubblicazioni pionieristiche e
monografie di alto valore scientifico per le quali occorrono decenni di lavoro
sul campo.
Si creano così personalità scientifiche che
rappresentano la grande beffa del sistema nei confronti di quanti hanno a
proprie spese e in tutta onestà percorso studi di eccellenza a livello
internazionale giungendo a eccellenti risultati pionieristici di ricerca
scientifica, ai quali sono pervenuti dopo decenni di ricerca scientifica
solitaria, costosa e talora resa difficile proprio da coloro che sono
conniventi del sistema. Ciò nonostante, il funzionario potrà giungere al grado
di dirigente superiore soltanto se gradito ai poteri dominanti, identificabili
nella comunione delle cinque Entità formulate dal Memoriale Calcara, o di una
lobby accreditata che si assume la responsabilità della scelta.
Conclusioni: marionette
tragicomiche alla periferia di un sistema “invisibile”
Scorrendo la trama della vicenda che ha al centro i
funzionari della sezione archeologica della Soprintendenza di Messina, si ha la
forte sensazione che il sistema di potere dominante in Sicilia abbia imposto la
massima copertura per silenziare quanto coraggiosamente messo in luce dagli
uomini del GICO. Così, anziché essere licenziati in tronco o quanto meno
rimossi dalle loro mansioni e trasferiti altrove, i funzionari inquisiti non
soltanto hanno potuto evitare di essere perseguiti dalla giustizia italiana, ma
hanno addirittura amplificato il loro potere all’interno dell’amministrazione e
della società isolana, avanzando di grado, giungendo a ricoprire prestigiosi
incarichi dirigenziali come avvenuto nel caso qui esposto della dirigente
archeologa Tigano, dei suoi colleghi Bacci e Spigo, e di tutti i giovani
funzionari archeologi a essi sottoposti che collaboravano alle attività.
Vi è poi un altro aspetto inquietante che in Sicilia
riguarda le inchieste la cui importanza è evaporata nel corso delle procedure
giudiziarie. Il recente Caso Montante rivela come esse possano altresì divenire
parte importante dell’attività di dossieraggio, ovvero di
formazione di quegli archivi che persone di potere costituiscono al fine di
ottenere i fedeli servigi di quanti detengono ruoli dirigenziali nella pubblica
amministrazione e in tutti gli altri settori-chiave della società isolana e
nazionale.
Un funzionario ricattabile non può che aprire le porte
del suo ufficio alle organizzazioni criminali del potere dominante, divenendone
connivente attivo. Gli viene creata una carriera protetta, una corsia
preferenziale attraverso la quale giunge a posti dirigenziali prestigiosi
purchè rispetti gli ordini che gli pervengono dall’alto.
Gli esposti o le denunzie che in questi casi giungono
alle forze dell’ordine o direttamente alla magistratura, una volta superato il
vaglio pervengono al giudice per le indagini preliminari, che predispone
accertamenti. Se sussistono elementi di reato il G.I.P. li trasmetterà al
G.U.P., il giudice per le udienze preliminari. Bisogna constatare che questo
percorso può durare diversi anni e quasi sempre non si andrà oltre il rinvio a
giudizio o comunque alla fine non sortiranno alcun effetto sulla carriera. Generalmente,
la vicenda sarà archiviata o sortirà lievi condanne, andando a costituire parte
di un ulteriore dossier spesso contenente notizie atte a poter riaprire
l’inchiesta. Per assurdo, l’affidabilità e la totale fedeltà del funzionario al
sistema dominante è garantita anche dalla quantità di dossier che potrebbero
determinare pesanti condanne, risarcimenti allo Stato e licenziamento.
Dopo anni di connivenza, i funzionari giudicati
particolarmente abili saranno premiati con onori pubblici e privati, mentre
coloro definiti “sacrificabili” divengono come vacche da latte rovinate dalle
tecniche di mungitura. In quanto attori principali di operazioni criminali
sulle quali potrebbero rendere testimonianza, non ci sarebbe da stupirsi se un
giorno si scoprissero casi in cui questi funzionari siano stati eliminati dal
sistema in via precauzionale, con modalità difficilmente identificabili. Si considerino
ad esempio malattie a decorso mortale, attacchi cardiaci, tragici incidenti
mortali o suicidi che non di rado presentano stranezze procedurali e
connotazioni riferibili a significati esoterici. Contro queste metodologie
evidentemente operate da professionisti altamente specializzati, che
probabilmente hanno sostituito gli eclatanti assassinii messi in atto nel
passato per mezzo di manovalanza mafiosa, quei pochi che ancora oggi si battono
contro la criminalità organizzata non possono opporre alcuna difesa. Inoltre si
tratta di operazioni che presentano il “vantaggio” di impiegare specialisti
“coperti”, inesistenti negli schedari consultabili dalle ordinarie forze di
polizia, ignoti ai livelli medi e bassi della criminalità, evitando così fughe
di notizie da parte dei “collaboratori di giustizia”.
La nomina della dirigente Tigano alla direzione
dell’importante e vastissimo Parco Archeologico di Naxos e della coesistenza in
questa istituzione di un’altra funzionaria già attenzionata dalla magistratura
per fatti avvenuti in siti del versante tirrenico del messinese, Maria Grazia
Vanaria, non possono passare inosservate. Le posizioni di Direttrice del Parco
e di funzionaria archeologa, permettono di proporsi anche quale elementi di
spicco della comunità scientifica siciliana nelle relazioni intercorrenti con
prestigiose istituzioni accademiche straniere. Si possono facilmente immaginare
le conseguenze che potrebbero seguire alla divulgazione delle condanne
sostenute dalle due burocrati, le gravi ripercussioni sull’immagine dell’intero
sistema di ricerca scientifica, di protezione e di valorizzazione dei beni
archeologici siciliani.
Bisogna chiedersi quale fedeltà
allo Stato possa rappresentare quella di un Governo regionale siciliano che
permette a funzionari di “provata affidabilità al sistema”, come nel
caso di Gabriella Tigano, di poter tranquillamente giungere alle poltrone di
sottopotere degli assessorati regionali.
Basta tirare le somme. Se i Governi (di Centrodestra e
di Destra) rispettivamente presieduti da Totò Cuffaro (17 luglio 2001 – 18
gennaio 2008) e da Raffaele Lombardo (28 aprile 2008 – 10 novembre 2012)
ritennero di non dovere quantomeno sospendere Gabriella Tigano assieme a molti
altri colleghi e rinnovare l’organico della soprintendenza di Messina, essendo
oggetto di importanti indagini in corso nelle quali erano contestati reati di
falso e truffa, il successivo Governo (di Sinistra) di Rosario “Saro” Crocetta
(10 novembre 2012 – 18 novembre 2017) si comportò come se nulla fosse accaduto,
spingendosi anzi a premiare la signora avanzandola al ruolo di direttrice della
sezione archeologica della Soprintendenza ai BB.CC. di Messina.
E adesso, il Governo (di Destra, 18 novembre 2017 – in
corso) presieduto dall’ex missino Nello Musumeci (la cui nuova formazione
politica è “Diventerà Bellissima”…), non ha voluto essere da meno,
nominando questa tipica creatura della burocrazia regionale alla direzione di
uno dei parchi archeologici più importanti non soltanto della Sicilia, ma
dell’Europa. Insediatasi al suo nuovo posto di comando, la neo-direttrice
è stata omaggiata dalla visita della vedova del defunto Assessore Regionale ai
BB.CC. Sebastiano Tusa, che nonostante si sia sempre occupata di arte
contemporanea è succeduta al marito alla guida della potente Soprintendenza del
Mare. Tusa, del quale questo sito si è già occupato, è divenuto post
mortem una sorta di nume tutelare all’ombra del quale il Governo
Musumeci sembra ritenere insindacabili certe azioni (31).
Esaminando tutte le attività svolte dalle due sezioni
regionali, Palermo e Siracusa, del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale (TPC) risulta evidente che non sono mai state constatate evidenze di
organizzazioni criminali che abbiano influenzato l’attività di funzionari degli
organismi centrali e periferici dell’Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali
della Regione Siciliana. Nessuna loro indagine ha mai identificato la presenza
di disastrose attività di distruzione di beni archeologici effettuata durante
scavi e restauri in importanti siti archeologici eseguiti sotto la
direzione di organismi e funzionari di tale assessorato, o di istituti
universitari operanti sotto il loro controllo. Si consideri quale esempio
eclatante la loro totale assenza nell’ambito dello scempio operato dalla locale
Soprintendenza in contrada Fusco di Siracusa o durante gli scavi e il restauro
del Castello Belvedere di Fiumedinisi operato dalla consorella messinese con
fondi dell’otto per mille donati da contribuenti alla chiesa cattolica e che lo
Stato Italiano ha distratto per l’impiego nel settore dei beni culturali, con
effetti deleteri.
I risultati giudicati “fruttuosi” dal Comando TPC non
vanno oltre attività attribuite a miseri tombaroli, mercanti e altri personaggi
che non appartengono agli apparati statali. Un dato di fatto che già da decenni
avrebbe dovuto allertare le massime Istituzioni dello Stato, i partiti
politici, i media. È palese ormai a chiunque che le Istituzioni regionali
siciliane nel settore dei beni culturali sono divenute sorta di santuari
“intoccabili” del sistema dominante, al punto che per coloro che desiderano giustizia
possono solo sperare in un evento esterno naturale, in un cataclisma
liberatorio epocale.
Per concludere, gli aspetti
criminologici presenti nella vicenda che vede implicata la dirigente Gabriella
Tigano, alcuni dei quali fortemente caratterizzati da situazioni surreali, sono di grande interesse per
comprendere come, a iniziare dall’Unità d’Italia, la Sicilia sia potuta
giungere all’attuale condizione di devastazione culturale, sociale e
finanziaria.
Ma non è sufficiente rendere pubbliche le modalità
operative del sistema di potere dominante siciliano, delle attività criminali
delle organizzazioni che lo compongono, essendo d’importanza primaria la
necessità d’identificare il loro ruolo nello scacchiere (o meglio nel network)
dei poteri sopranazionali. È solo approfondendo e allargando i campi
d’investigazione di vicende come quella evidenziata dal GICO nel 2004, o di
quelle registratesi a Fiumedinisi nell’area del Castello Belvedere tra il 2006
e il 2014 che si può riuscire a comporre un quadro d’insieme,realistico, della
situazione degli abusi e dei danni irreparabili perpetuati nell’ambito della
gestione dei beni archeologici siciliani anche attraverso il sistema degli
appalti e del “poltronificio” clientelare.
Le indagini-chiave non possono
che essere indirizzate ai rapporti tra superlogge massoniche, istituti bancari,
imprenditoria e i loro rispettivi ruoli svolti nelle operazioni di “lavaggio”
di grandi quantità di denaro di illecita provenienza, nel settore sia privato
che pubblico. Difatti, i finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europea per
attività di valorizzazione dei beni culturali possono costituire una forte
attrazione per il riciclaggio di denaro di provenienza illegale, soprattutto se
il “business” è diretto da potenti gruppi multinazionali, costituendo la base
(sino a un quarto del costo totale, il resto è elargito a fondo perduto) per
operazioni di grande impatto sull’economia regionale, quale ad esempio quello
del comparto turistico-alberghiero di alto livello.
Un sistema di gestione dei beni culturali dove i
soprintendenti, i direttori dei parchi archeologici e naturali ai beni
culturali e le piramidi dirigenziali a essi sottoposti, svolgono ormai la
funzione di esecutori, ben ricompensati con agevolazioni economiche e sociali,
non ultima ciò che sembrerebbe una impunità di fatto. Tutto questo non sarebbe
stato possibile senza una massa di interventi legislativi che permettono una
legale imbrigliatura delle attività di quelle ultime sacche di resistenza presenti
nella magistratura e nelle forze dell’ordine, ancora disposte a intervenire
anche in quei casi dove vi fossero insabbiamenti e corruzione dei poteri.
Il silenzio degli accademici non soltanto operanti in
Sicilia, ma dell’intera “koinè” dell’archeologia italiana e europea, può
essere interpretata solo quale connivenza di chi sente, vede e omertosamente
non parla.
Parte della popolazione sta fuggendo dalla Sicilia e
dall’Italia, in quanto questo sistema criminale è giunto a una fase di
controllo dello Stato che non lascia spazio a tutti coloro che non sono
disposti a piegarsi o non sono prescelti a servire, da schiavi, nelle arroganti
e pericolose piramidi del potere. In questa situazione, la miope arroganza dei
politici riesce solo a spingersi a proporre che bisogna fermare l’emigrazione
dei giovani geni definiti “le eccellenze” (i figli della “casta” e dei loro sgherri),
ignorando la massa, come se l’orrenda logica degli aristoi al
vertice massonico avesse ormai seppellito le lotte per la conquista dei diritti
del popolo di vivere in uno Stato sociale. Un libero farneticare impensabile
sino a pochi decenni orsono, un’altra spallata per spingere l’Occidente in una
ecatombe sociale.
È questo il nuovo corso della politica regionale
inaugurato dal Presidente Nello Musumeci, che per un quarto di secolo ha
militato nel disciolto Movimento Sociale Italiano i cui esponenti sono
squallidamente finiti al servizio del potere occidentale che dicevano di
combattere. Ecco quindi la casta di colletti neri che i media
si sono affrettati a dipingere di bianco immacolato, una sarabanda politica ben
meno che mediocre, capace solo di fantasticare un proprio futuro nel quale sin
da oggi proclama “Sarà Bellissima”.
Note
1 – Per assurdo, al concorso per il
ruolo di dirigenti archeologi delle Soprintendenze della Regione Siciliana si
era ammessi anche se in possesso di un semplice certificato di frequenza del
primo anno di una Scuola di Specializzazione in Archeologia, non aveva alcuna
importanza se gli esami relative alle materie fossero stati superati e con
quali voti. Inoltre, il bando di concorso si spinse a limitare l’accesso a
quanti in possesso della laurea in lettere classiche, cosicché i
posti per archeologi preistorici furono interdetti agli archeologi
specializzati in preistoria presso la prestigiosa Scuola di Specializzazione
dell’Università di Pisa, sezione Archeologia Preistorica, ai quali dagli anni
1970 sino alla metà degli anni 1980 l’accesso era per tradizione di eccellenza,
sia italiana che francese, riservato ai soli laureati in Scienze Naturali, o
Biologiche, o Geologiche. Fu così evitata la partecipazione al concorso del
fior fiore della ricerca scientifica nel settore, fatto che ha avuto
conseguenze disastrose.
2 – in quanto si tratta di una
“quinta colonna” che tende a demolire quel che resta dei fondamenti che
tutelavano i diritti dell’intera popolazione sui quali sorse la Repubblica.
3 – nel sostenere le ingenti spese
legali, i funzionari sono protetti da mamma Regione, che si premura a fornirgli
una conveniente polizza assicurativa a copertura di questi “incidenti” del
lavoro.
4 – al proposito dei soprintendenti,
padre e figlio, Vincenzo e Sebastiano Tusa, si rimanda a quanto
questo sito ha ampiamente riportato in una serie di articoli ri-postati in data
odierna in questo sito in data odiernna: 17 Aprile 2019, “La Tecnocrazia e
il Sistema di Potere in Sicilia. Parte Prima. Nozioni introduttive: attraverso
la morte delle sue creature celebra sé stesso e si rigenera”; 16 Maggio
2019, “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte II. Nel nome
del padre, del figlio e della Stegocrazia”; 5 Giugno 2019, “La
Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte III. La Destra
neoliberista e i neo-Ronin della stegocrazia”.
Sull’aggravamento del processo ipertrofico
dell’apparato regionale siciliano e del dissesto finanziario segnalo: Antonio
Fraschilla in “La Repubblica”, 18 marzo 2010, pag. 31 “Sicilia, al museo più
custodi che visitatori. Il record a Ravanusa: dieci addetti e neanche un
biglietto venduto”; Andrea Cannizzaro, in Live Sicilia, 31 maggio 2019, “Avvocati,
comunicatori e tanti “ex” Ars e governo: consulenti ed esterni (chi sono gli
esperti e i collaboratori del governatore, deputati e assessori)”;
Redazione, in “Gazzetta del Sud”, 21 agosto 2019, “L’esercito dei dipendenti
regionali, i ‘numeri’ dell’assessore Grasso. ‘Il dato è in media con il quadro
nazionale’. Ma appena qualche giorno fa la Corte dei Conti aveva ribadito le
critiche”.
5 – informazione confidenziale
approfondita nel corso di due incontri, avvenuti nel 2014, con il giornalista
Gino Mauro, ex direttore della redazione di Messina del quotidiano “La
Sicilia”, con il quale avevo in precedenza collaborato professionalmente dalla
seconda metà degli anni 1980 sino alla metà degli anni 1990. Mauro fu stroncato
da un infarto pochi mesi dopo, nel marzo 2015, mentre ricoverato in un ospedale
siciliano dove da diverse settimane attendeva invano di essere sottoposto a
un’operazione.
6 – in base ai dati presenti
nell’informativa è possibile constatare che dal 2003 sino alla metà del 2004
alla Procura, solo per questa prima fase, avessero contezza di ben trentotto
note riservate relative a questa indagine.
7 – informazione confidenziale
ricevuta da Gino Mauro, che l’avrebbe appresa dal Soprintendente poco tempo
prima della sua tragica morte. Vedi nota 5.
8 – vedi nota 5. Il Mauro mi rivelò
che le più recenti notizie in suo possesso su queste monete risalivano al 2009,
e sino a quella data le monete sarebbero state ancora custodite presso un
ufficio della Guardia di Finanza di Messina. Aveva appreso la vicenda dal
Soprintendente Gianfilippo Villari, suo fraterno amico da molti anni, con il
quale aveva condiviso la militanza massonica e particolari dottrine e pratiche
esoteriche. A difesa dell’amico Soprintendente, Mauro rivelò che esso era stato
molto contrariato dal comportamento dei funzionari del servizio archeologico
della Soprintendenza e preoccupato di evitare fughe di notizie, in quanto si
configurava la responsabilità di detenzione indebita con l’aggravante del ruolo
di funzionario dello Stato preposto alla tutela di quei reperti.
Occorre precisare che nell’informativa GICO compare il
sequestro di una sola “monetina”, non meglio identificata, operato a casa dei
coniugi Spigo e Bacci, dirigenti archeologi della Soprintendenza. Contestai
questo particolare al Mauro, ma egli ribadì che al Soprintendente fosse giunta
“autorevole” conferma in camera caritatis che i finanzieri
avessero prelevato dalla casa di uno degli indagati una scatola contenente
molte monete antiche, fresche di scavo, ovvero ancora da sottoporre alle prime
operazioni di pulitura. Gli stretti rapporti di amicizia tra il giornalista e
il Soprintendente sono evidenti nella realizzazione di un viaggio, confermatomi
dallo stesso Mauro, realizzato negli Emirati Arabi, e precisamente a Dubai, al
quale parteciparono anche i due figli del dirigente.
Il Soprintendente morì poco tempo dopo quel viaggio,
agli inizi del settembre 2009 a causa dell’improvviso aggravamento di una grave
forma tumorale, proprio quando stavano per concludersi le nuove indagini,
riaperte da un GIP messinese sulla base delle investigazioni condotte da un
organismo antifrode della Commissione Europea erano ancora in corso. Si tratta
di una delle curiose coincidenze avvenute in questa vicenda.
9 – pur tenendo presente che sia alla
sede centrale dell’Assessorato per i Beni Culturali e Ambientali della regione
Sicilia sin dalla seconda metà degli anni 1980 e alcuni dei funzionari elencati
nell’informativa GICO, tra i quali il soprintendente e i dirigenti archeologi,
si riferivano alle due sezioni siciliane del Nucleo con il rassicurante
appellativo di affidabilità “i nostri carabinieri”. Ne ho purtroppo
avuto modo di verificarne il significato anni addietro, in relazione a quanto
avvenuto al Castello Belvedere di Fiumedinisi.
Bisogna inoltre mettere in evidenza come di recente il
noto Caso Banca Nuova-Confindustria-Montante abbia evidenziato gravissimi
episodi di corruzione che hanno coinvolto i vertici siciliani delle Forze
dell’Ordine.
10 – confidenziale da Gino Mauro,
2010, confermata e approfondita dallo stesso nel 2014. Sarebbe utile condurre
accertamenti sull’argomento con gli investigatori del GICO, a quel tempo
operativi a Messina, per avere un quadro del comportamento osservato dal baronato dell’archeologia
siciliana in quel periodo, nonché degli stretti legami intercorsi tra quello e
i colleghi della soprintendenza messinese. In particolare le attività della
Tigano, dapprima funzionaria e dal 2008 direttrice della sezione archeologica,
che aveva condotto i suoi studi nella locale università dove lavoravano quali
docenti anche entrambi i suoi genitori, punto di riferimento di diritto
amministrativo di studenti poi divenuti elementi di rispetto della locale
magistratura e avvocatura.
11 – si trattava di un geometra
impiegato del locale Genio Civile, poi portaborse di un politico democristiano
messinese al quale in seguito riuscì a soffiare la clientela e anche il suo
protettore, il Ministro Buttiglione, a sua volta legato a potenti ambienti
della Curia Vaticana.
Le indagini erano scaturite da una manifestazione
organizzata dalla regione Siciliana in Giappone, realizzata con grande
dispendio di denaro pubblico finito su un conto caraibico tramite un allevatore
di cavalli siciliano residente in Inghilterra… La vicenda dello sperpero di
denaro pubblico, dove non mancarono tratti talmente surreali da provocare
persino l’ilarità popolare, condusse la Procura messinese a spiccare un mandato
di arresto nei confronti dell’Ordile.
12 – evidentemente nell’ambito delle
“entità” (poteri) messi in evidenza dal controverso Memoriale Calcara,
costituite da massoneria, imprenditoria, politica. Si legga quanto detto
sull’argomento in questo blog, 30 luglio 2018,“Strutture operative
transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un criminologo
nell’ARCA di Noah”, e gli approfondimenti alle note 16, 17, 18, 19 e 20.
Ulteriori notizie sul Memoriale Calcara sono presenti nella serie “La
Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano…” nelle parti precedenti alla
presente.
13 – La sigla Digos è riferita alla
Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali che comprende alcuni
uffici periferici della Polizia di Stato italiana, ai quali sono attribuite
specifiche competenze e che fanno riferimento al DCPP, la Direzione Centrale
della Polizia di Prevenzione che ha sede nel Dipartimento di Pubblica Sicurezza
del Ministero dell’Interno. Gli uffici pertinenti alla Digos sono presenti in
ogni Questura italiana.
14 – copia del passaporto massonico
rilasciato dal Grande Oriente d’Ialia (G.O.I.) al Soprintendente Gianfilippo
Villari, a ove è identificato con il titolo di maestro di quarto grado
risalente agli anni 1980 è presente tra gli allegati di una informativa della
Digos di Catania del 1998 in relazione a fatti avvenuti quando soprintendente
ai BB.CC.AA. di Enna.
15 – Si rimanda agli articoli
specificati in nota 12. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara è stato
recentemente dichiarato “testimone non attendibile” nel corso di un
processo tenuto presso il Tribunale di Palermo, che ha condotto all’assoluzione
dall’accusa di mafia di un antiquario originario di Castelvetrano, in provincia
di Trapani. Questa pur pesante condizione giuridica non risolve tuttavia il dubbio
che il Memoriale Calcara contenga effettivamente importanti rivelazioni che
future indagini potranno confermare. Quel che invece corrisponde a certezza
della vicenda Calcara è la presenza di aspetti terribilmente oscuri non solo
sul grado di affidabilità delle fonti informative, ma soprattutto sulla loro
gestione e sulla funzione dei media.
Si ricordi tuttavia che anche i collaboratori di
giustizia Massimo Ciancimino e Leonardo Messina hanno dichiarato l’esistenza
sia delle cosiddette “5 Entità” che della “Commissione Nazionale”.
Circa la reale esistenza delle “Entità” ne hanno accennato anche i politici
Piero Grasso e Walter Veltroni.
La sensazione è che una parte delle rivelazioni di
Vincenzo Calcara possano provenire da quanto appreso, vero o falso che sia,
attraverso contatti con elementi a conoscenza di vicende e situazioni inerenti
al vertice del potere siciliano e nazionale. Bisogna quindi chiedersi chi possa
avere avuto interesse a manovrarlo, screditarlo e quali siano state le finalità
a lungo termine.
Vincenzo Calcara, 29 maggio 2014, in www.19luglio1992.com/vincenzo-calcara-da-confronto-verranno-fuori-i-nomi-della-super-commissione-nazionale
Gian J. Morici, 4 agosto 2018, in
“www.lavalledeitempli.net/2018/08/04/vincenzo-calcara-trasportai-tritolo-borsellino/
Gian J. Morici, 11 agosto 2018, in
www.lavalledeitempli.net/2018/08/11/caso-calcara-intervista-alla-giornalista-simona-mazza/
16 – frutto della fantasia dello
scrittore Ian Fleming, comparsa per la prima volta nel 1961 nel romanzo “Thunderball”,
seguito nel 1962 da “Dr. No”, noti al grande pubblico attraverso le loro
trasposizioni cinematografiche, parte di una serie di film aventi come
personaggio principale l’agente segreto James Bond. Tuttavia già nel 1954, nel
romanzo “Moonraker” Fleming aveva descritto, senza citarne il nome, una
simile organizzazione sopranazionale e apolitica, alla quale partecipano ex
dirigenti dei servizi segreti nazionalsocialisti, considerata dalla critica
quale un avvertimento dello scrittore circa l’esistenza di una reale
organizzazione della Destra internazionalista che usa per le sue attività tutte
le maggiori organizzazioni criminali del pianeta.
Sembra che Fleming, morto prematuramente d’infarto nel
1964 a soli 56 anni, si fosse ispirato ai caratteri di personaggi realmente
esistiti e a quanto appreso nel corso delle sua militanza in qualità di
ufficiale dei servizi segreti della marina inglese, operativo ai massimi
livelli dirigenziali nel corso della seconda guerra mondiale tra il 1939 e il
1945, passando poi (come molte spie oggigiorno operative sotto copertura) al
giornalismo, essendo tra i fondatori e corrispondenti de “The Sunday Times”, sino
al 1961.
17 – articolo in “Centonove”,
del 13/11/2009 di Michele Schinella, “Messina, l’inchiesta: archeologi col
ricarico. Travolti da una inchiesta giudiziaria i funzionari della
Soprintendenza. Sono sospettati di avere attestato il falso consentendo così
alle imprese di gonfiare il fatturato. I nomi degli indagati e i siti nel
mirino”.
Stampa Libera (fondato e diretto da Enrico Di Giacomo,
fratello di Caterina Di Giacomo, una delle dirigenti della Soprintendenza, anni
dopo divenuta direttrice del Museo Civico di Messina), pubblicato dalla
redazione il 4/11/2009 “Appalti alla Soprintendenza di Messina: decisi sette
rinvii a giudizio. Atti al PM per nove indagati, nuova udienza per due”.
18 – la OLAF fu creata dalla
Commissione Europea nel 1999 per combattere le frodi, la corruzione e altre
attività illegali che affliggono gli interessi finanziari dell’Unione Europea.
La principale azione è quello di recupero di fondi erogati quando identificati
quali spesi illegalmente, agendo sullo Stato al quale erano affidati. Ciò
considerato la OLAF non interviene sull’Istituzione, in questo caso la
Soprintendenza, ma sullo Stato o regione autonoma, come nel caso della Sicilia,
generalmente rivalendosi sulle somme che dovrebbero essere assegnate in
seguito. Per i reati di frode nei confronti dell’Unione Europea non esiste
prescrizione e prima o poi lo Stato riconosciuto essere sede di spese illegali
sarà comunque costretto a pagare.
La procedura è la seguente: l’informazione giunge al
reparto operativo che la esamina e la passa, accompagnata da una propria
valutazione, alla Direzione Generale della OLAF che decide se accoglierla o non
procedere nelle indagini. Se accolta, viene aperto un fascicolo e le indagini
sono svolte sul campo dai propri ispettori che possono avvalersi anche di
collaborazione di corpi di polizia presenti sul territorio. Nei casi complessi
come quello registrato a Messina le indagini possono richiedere anche alcuni
anni, e alla fine il risultato viene inviato alla Commissione Europea alla
quale spetta di decidere se iniziare un’azione di recupero dei fondi a carico
dello Stato dove sono avvenute le frodi o archiviare l’indagine.
19 – vedasi anche quanto espresso
sulla condizione di morte sociale nell’articolo 17 aprile 2019, “La
Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano…, op.cit. Parte I.
20 – si rimanda all’articolo
pubblicato in questo sito il 12 settembre 2018, “Sicilia. Riflessioni sui
recenti decessi di due dei migliori investigatori della polizia” e alla
recente recente presa di posizione della Commissione Antimafia sull’agguato
all’ex Direttore del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, avvenuto nel 2016.
21 – Tra i numerosi articoli sullo
scempio del Castello Belvedere di Fiumedinisi che furono pubblicati in quegli
anni dai media regionali e nazionali cito:
Franco Parisi, 31 Ottobre 2008, in “La Sicilia”,
Cronaca di Messina, pag. 31 “Fiumedinisi. Scoperta una discarica nel sito
storico del Castello Belvedere”.
Pietro Villari. In Patrimoniosos.it, 1 Dicembre 2008,
“Fiumedinisi Project: i soldi americani e le istituzioni italiane”
Nicolò Conti, 3 Gennaio 2009, “Il sistema che non
ammette ingerenze” in Amici di Beppe Grillo con Sonia Alfano presidente
(www.soniapresidente.net/news/il-sistema-che-non-ammette-ingerenze/)
Pietro Villari, 3 Gennaio 2009, “Lettera-denuncia
al presidente Raffaele Lombardo” in www.tele90.it/news.asp?newsid=5476
Pietro Villari, in coscienzeinrete.net, 4 aprile 2014,
“Sicilia tossica. Come trasformare una regione in discarica di rifiuti
tossici europei”
22 – In seguito, i funzionari della
O.L.A.F. constatarono che il Vianello, nonostante avesse più volte rilasciato e
sottoscritto pesanti dichiarazioni nei confronti delle funzionarie della
Soprintendenza messinese, anche confermate innanzi a un magistrato, aveva in
seguito instaurato una stretta collaborazione di lavoro proprio con la sezione
archeologica della Soprintendenza di Messina e altre consorelle siciliane. In
seguito il Vianello fu tra i personaggi coinvolti e tuttavia non indagati
dell’ammanco, avvenuto nel magazzino blindato del Museo di Nizza di Sicilia, di
un importante reperto ceramico preistorico rinvenuto nel corso degli scavi di
Fiumedinisi.
23 – si rimanda alla nota 17.
24 – presentati rispettivamente presso
la Guardia di Finanza di Messina e il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio
Culturale, Roma, in quest’ultimo accompagnato da Solange Manfredi, nota
giurista già assistente del magistrato Carlo Palermo. Nonostante la gravità dei
fatti evidenziati, entrambi gli esposti non hanno sortito alcuna risposta.
25 – A conclusione di indagini
preliminari, il pubblico ministero dispose l’atto di citazione davanti al
Giudice monocratico presso il Tribunale di Patti (prov. di Messina) le
funzionarie della Soprintendenza di Messina, Maria Giovanna Bacci, Gabriella
Tigano e Maria Grazia Vanaria (quest’ultima nella qualità di direttore
amministrativo della soprintendenza del sito archeologico di Patti), in ragione
delle rispettive competenze per non avere impedito il deterioramento del sito
archeologico della Villa Romana di Patti, omettendo di ripristinare i pannelli
della copertura danneggiati dal maltempo nonostante avessero a disposizione
uomini e mezzi, consentendo l’infiltrazione di acqua piovana sui mosaici
(danneggiamento continuato avvenuto nell’Ottobre 2009 e nei mesi di Gennaio,
Febbraio e Aprile 2010), fattispecie aggravata essendo stato il fatto commesso
su cose di interesse artistico e storico. Il processo si trascinò per lunghi
anni, e si concluse nel Novembre 2017 con l’assoluzione degli imputati in quanto,
secondo il giudice monocratico dr. Mandanicidel Tribunale di Patti, “il
fatto non sussiste”, non riconoscendo alcuna responsabilità e quindi
smentendo quanto accertato dal Procuratore della Repubblica di Patti, Rosa
Raffa.
Nicola Arrigo, 02 marzo 2011, “Patti: rinviato il
processo sulla vicenda della Villa Romana” in www.incamminoweb.it/index.php?view=article&catid=54%3Acronaca&id=37 (archiviato)
Redazione, 01 luglio 2014, “Patti: nella Villa
Romana crescono fragole e pomodori!” (vedasi le foto della gravissima
situazione dei mosaici di età romana in cui crescono piante infestanti)
in www.incamminoweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13730:patti-nella-villa-romana-crescono-fragole-e-pomodori&catid=106:attualita
Al proposito dello scempio di Fiumedinisi, durante il
convegno “Giornate Archeologiche Nisane. Progetto di scavo a Monte Belvedere
di Fiumedinisi” tenutosi nei comuni della Valle del Nisi (Nizza di Sicilia,
Fiumedinisi e Alì Superiore) dal 15 al 17 Giugno 2007, tutti gli studiosi
partecipanti vollero firmare una missiva, in dieci copie redatte in lingua
inglese e tradotte in lingua italiana per i destinatari presso le sedi poste
entro i confini nazionali: all’Assessore BBCCAA della Regione Siciliana on.le
Nicola Leanza, e per conoscenza al Soprintendente BBCCAA di Messina Gianfilippo
Villari, al Sindaco di Fiumedinisi, Cateno De Luca, al Nucleo di Polizia
Tributaria di Messina, all’European Association of Archaeologists e infine
all’Office europeen de Lutte Anti-Fraude (O.L.A.F.), Bruxelles.
“Desideriamo informarla che in
occasione della nostra visita al Castello Belvedere di Fiumedinisi, Messina,
che ha avuto luogo oggi a conclusione della conferenza internazionale “Giornate
Archeologiche Nisane”, abbiamo osservato lo stato di conservazione delle rovine
del castello e degli strati archeologici ad esso associati. Si osserva che
recenti interventi, sovvenzionati dalla Unione Europea, e intesi quali restauri
e scavi hanno significativamente alterato l’originale corpo di fabbrica di
questo importante monumento storico. Questo non segue le
raccomandazioni internazionali (ad es. The Venice Charter, 1966, ICOMOS,
1990).Il tentativo di restauro appare essere irreversibile e probabilmente
renderà difficile l’intervento archeologico. Arrivati sul sito abbiamo
incontrato la rappresentante della sezione archeologica della Soprintendenza ai
BB.CC.AA di Messina (Maria Grazia Vanaria, ndA), responsabile dell’area. Questa
ha posto domande sulle nostre presenze e professionalità e ha difeso i
controversi interventi. Le informazioni e le spiegazioni che abbiamo ricevuto
da questo pubblico ufficiale sono state insoddisfacenti e inadeguate, e
condotte in modo aggressivo e maleducato. Ciò ha avuto luogo alla presenza di
un pubblico sorpreso, che includeva le più alte cariche delle Pubbliche
Autorità di Fiumedinisi e dei comuni limitrofi. Noi
confidiamo che Lei prenderà dovuta nota di questa comunicazione e che ci terrà
direttamente informati delle future azioni inerenti a questa vicenda. Speriamo
che ci confermerà di avere ricevuto questa lettera, e ci terrà informati di
ogni azione che sarà presa riguardo all’oggetto. RingraziandoLa
per l’attenzione, distinti saluti, Il Comitato Scientifico
del “Fiumedinisi Project”
(seguono i nominativi degli
archeologi firmatari, elencati in ordine alfabetico e affiancati dai rispettivi
indirizzi di posta elettronica):Domenico Falcone, Jan Marik, Domenique de
Moulins, Karolina Ploska, Robert Tykot, Andrea Vianello, Pietro Villari
In seguito, Ploska e De Moulins, nelle
rispettive competenze inviarono alla OLAF, ognuna per quanto di competenza professionale,
una circostanziata descrizione della situazione osservata al Castello di
Fiumedinisi e una relazione fu effettuata dalla dott.ssa Ploska nel corso della
Riunione Annuale 2007 dell’Associazione degli Archeologi Europei quell’anno
tenuta all’Università di Zadar, Croazia.
Il Vianello, in data 30 aprile
2008 volle inviare una lunghissima email all’ispettore della OLAF, Cap. Diego
Rasetti, incaricato assieme al magistrato dott. Venegoni, per gli accertamenti
sulle indagini GICO sui funzionari della sezione archeologica della
Soprintendenza ai BBCCAA di Messina. Nella missiva Vianello critica in
particolare l’operato della funzionario Maria Grazia Vanaria, nominandola, e
implicitamente della dirigente Gabriella Tigano (pur senza nominare
quest’ultima), chiedendo un intervento investigativo della OLAF al fine di
impedire ulteriori danneggiamenti dell’importante sito archeologico e lo
sperpero di fondi europei da parte di queste funzionarie.
Poco tempo dopo il Vianello ricevette, con il
benestare della Soprintendenza di Messina e del comune di Fiumedinisi che aveva
fortemente criticati, abbondanti fondi europei per condurre una breve survey
archeologica a Monte Belvedere di Fiumedinisi, iniziando così a operare in
stretta collaborazione con le funzionarie che pochi mesi addietro aveva persino
esposto alla magistratura e con altre soprintendenze siciliane.Al proposito si
rimanda alla nota 22.
26 – cito un capitolo del libro di
Gian Antonio Stella, 1999, Lo spreco. Italia: come buttare via due
milioni di miliardi (Baldini&Castoldi, pgg 367, pubblicato da
https:/ifg.uniurb.it/static/lavori-fine-corso-2002/rossittoscapstella.htm con
il titolo “Il cirneco dell’Etna e il rimborso-vacanze al suocero”. Nel
capitolo Stella riporta una intervista di Alfio Sciacca, giornalista del
quotidiano “Corriere della Sera”, all’ex Presidente della Regione Siciliana
Rino Nicolosi.
Sullo stretto rapporto tra Nicolosi e Gheddafi, si
consulti ad esempio Tony Zermo, 25 Febbraio 2011, “Gheddafi un rapporto
particolare. Quando Nicolosi prendeva l’aereo e incontrava Gheddafi”
https:/milocca.wordpress.com/2011/02/25/gheddafi-un-rapporto-particolare”
Zermo, tra i testimoni di uno degli incontri, ricorda come Gheddafi disse a
Nicolosi “Il missile che ha abbattuto il Dc9 di Ustica era americano”.
27 – per la descrizione della vicenda
della superloggia massonica tedesca nella quale la polizia tedesca scoprì
affiliato un mafioso siciliano, si rimanda alla lettura di “Sicilia.
Riflessioni sui recenti decessi di due dei migliori investigatori della polizia”
pubblicato in questo blog il 12 Settembre 2018, e a quanto specificato alle
note 26/29.
Leggasi anche l’articolo di Petra Reski, giornalista
tedesca autrice di saggi sulle mafie italiane, su uno studio commissionato dal
Ministero delle Finanze tedesco: 27 Ottobre 2018, “Amburgo, tutto luccica e
tutti sono contenti” in http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/10/27/2376/
28 – Anni addietro, nel caso del Sacco
di Fiumedinisi si verificò una fuga di notizie da parte di un giovane, che le
aveva apprese dal padre, a quel tempo maestro massone di nono grado iscritto
nelle liste del GOI messinese. In breve, quanto a questi rivelato nella loggia
e quindi coperto da segretezza, da un confratello (un giudice del Tribunale di
Messina) sull’imminente arresto del sindaco di Fiumedinisi, era stato riferito
dal giovane (anch’egli iscritto nella stessa loggia frequentata dal padre) nel
corso di una discussione serale nella piazza del paese citando anche il giudice
e il padre, rivelandone l’appartenenza massonica. Uno dei giovani presenti,
registrò le dichiarazioni che finirono in mano al sindaco del paese, Cateno De
Luca, il quale in seguito le divulgò nel corso di un comizio e alla Stampa nel
corso di una conferenza, determinando uno scandalo di rilevanza nazionale. Fu
aperta una inchiesta giudiziaria ma alla fine tutto finì in sordina.
29 – Silenzio che qualcuno interruppe
nel 2006, quando iniziai a chiedere informazioni in ambienti giornalistici e
presso la Soprintendenza, di quanto stava accadendo nel corso degli scavi e dei
restauri operati nel Castello Belvedere di Fiumedinisi. Così, in via anonima e
con modalità alquanto inquietante, l’informativa mi fu recapitata contenuta in
un CD. In seguito compresi che mancava una parte riguardante interventi della
Soprintendenza a Taormina, che ancora oggi non ho avuto modo di consultare al
fine di apprendere di cosa si tratti, i nominativi e le vicende in essa
contenuti. Nell’Indice è indicato il capitolo “Novamusa Valdemone s.r.l. e
concessione in uso del Teatro Antico di Taormina”, che occuperebbe ben 21
pagine, dalla 226 alla 247 delle quali 11 relative a intercettazioni
telefoniche.
30 – La parte più interessante
dell’esternazione del dirigente venne dopo, surreale se non fosse avvenuta in
Sicilia dove tutto sembra avere una sua propria legittima logica, frutto di
quel folle empirismo che rende l’illegalità un’arte della pubblica convivenza.
Difatti, alla presenza di un noto studioso messinese, il dirigente concluse con
un capolavoro dell’apoteosi di classe: “… e lei vorrebbe che
sospendessimo queste funzionarie o che la Regione lasciasse andare in galera
dei beni così preziosi per la collettività, macchiare lunghe carriere piene di
sacrifici solo per dei reati comuni (tra l’altro anche in aree
archeologiche nell’espletamento delle mansioni dirigenziali, n.d.A.)… le
risulta forse che è stato ammazzato qualcuno? Mi risponda, avanti, mi risponda…”.
La signora è una di quelle che compaiono nelle indagini GICO per le quali si
richiedeva l’arresto preventivo per truffe e frodi con fondi comunitari
europei, le frodi furono in seguito accertate dagli investigatori della
Commissione Europea.
31 – si rimanda a “La
Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano. Parte I.” op. cit. in nota 4.