di Pietro Villari - 19 Dicembre 2022
Premessa
Entrambi gli articoli de “La
vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella”,
ovvero la prima (1998) e seconda parte (2000) (1), furono
i miei lavori d’indagine su crimini perpetuati ai danni del patrimonio
culturale italiano che in quegli anni ebbero maggiore diffusione a livello
nazionale. Questo avvenne per l’instaurarsi di un fenomeno autonomo e
imprevisto dalla rivista che li ospitò, riservata a poche centinaia di soci, in
quanto la lettura si espanse al di fuori della cerchia degli abbonati
attraverso l’uso della fotocopia ad opera d’innumerevoli rivoli privati, in
gran parte nell’ambito del collezionismo, del professionismo numismatico e del
mondo accademico. Il motivo del successo, risiedeva nel fatto che l’articolo
metteva al centro dell’attenzione le tutt’altro che ortodosse modalità di
gestione del prezioso patrimonio culturale siciliano, rendendo pubblici i
nominativi dei maggiori protagonisti.
Non si trattava d’ipotesi, ma di
una lunga serie di fatti circostanziati da quanto emergeva dalla lettura delle
corrispondenze ufficiali e “riservate” tra la Soprintendenza alle Antichità
della Sicilia Orientale, diretta da un noto archeologo ligure, e i dirigenti
superiori di altre importanti istituzioni dello Stato. Presentato nella forma
di giornalismo d’inchiesta, è al contempo utile per comprendere l’evoluzione
dei rapporti, a volte tutt’altro che amichevoli potendovi constatare la
presenza di profonde diffidenze e di perfidie, intercorsi tra i vertici di
organismi che controllavano attività primarie dello Stato. Ritengo che la
situazione odierna sia ben più complessa.
Come vedremo più avanti, fui in
grado di consultare gran parte della documentazione, un carteggio pervenuto
all’Ente Fauna Siciliana anni prima, ospite in una abitazione di campagna sita
nei pressi dei ruderi di Noto Antica. Appena giunto mi sedetti alla scrivania
sulla quale era stato sistemato il faldone contenente il Carteggio
Pennisi di Floristella, come titolava la copertina in elegante calligrafia.
Lessi il carteggio tutto d’un fiato, ignorando persino il trascorrere della
notte, tanto ero sconvolto da quel che mi si presentava innanzi. Alla mattina,
misi lo zaino in spalla e m’incamminai verso i poderosi ruderi della cittadina,
distrutta trecentotrenta anni addietro da un terribile terremoto.
In quella pace surreale, iniziai
a comprendere di avere sottovalutato la costante sensazione che mi stesse
sfuggendo una più ampia visione d’insieme del contesto, e in particolare la
fonte dalla quale scaturivano quella e altre importanti vicende siciliane.
Decisi che dovevo colmare le mie limitate conoscenze dello Stato e dei poteri
che soprintendevano al suo funzionamento programmando di parlarne con quei
dirigenti statali e regionali, personaggi della politica, militari e funzionari
delle forze dell’ordine, avvocati, giudici, sindacalisti e giornalisti, che nel
procedere delle ricerche ritenevo utile incontrare e che, superata l’iniziale
diffidenza, vollero donarmi parte del loro tempo, nell’arco di quella mia
attività durata poco meno di vent’anni, sino al 2016.
Fu tramite la narrazione di
quelle esperienze professionali che appresi di vicende dove si era insinuato un
misterioso potere superiore, fatto di personaggi (eminenze grigie) il
cui potere era noto a pochi, al di sopra dei quali s’intuiva la presenza di
altri destinati a rimanere ignoti (eminenze invisibili), che
tutto dominavano. Le testimonianze raccolte concordavano di avere percepito
questi poteri, quali al di sopra delle comuni logge massoniche e lobbies e
dei loro personaggi “visibili” in ambito regionale e nazionale.
L’interpretazione dei fatti
iniziava adesso ad assumere nuovi inquietanti significati: avevo per la prima
volta intuito la reale esistenza di una Entità sociale di dimensioni
gigantesche, dotata di un vertice “invisibile” soprannazionale. La sua struttura
e le finalità erano destinate a rimanere ignote alle masse, essendo per sua
necessità funzionale costituita da personalità mimetizzate, sconosciute alle
cronache ma di notevole potenza, al punto da essere in grado di condizionare le
attività di qualsiasi nazione.
Lo scandalo seguito alla
pubblicazione del carteggio travolse Luigi Bernabò Brea, Accademico dei Lincei,
che morì alcuni mesi dopo la ripubblicazione della prima parte dell’articolo,
effettuata nell’ottobre 1998 dal settimanale Centonove, la cui
Redazione l’aveva accompagnata da ancor più scandalosi aggiornamenti.
Trascorsero gli anni, e come
quasi sempre accade in questi casi, tutto fu lasciato cadere senza conseguenze
nell’immenso dimenticatoio nazionale. Il Museo di Lipari fu intitolato
all’archeologo ligure e un sito, diretto dalla seconda moglie ed ex assistente,
oggi ne esalta solo i lati positivi. Somiglia a una sorta di mausoleo virtuale,
dove coloro che parteciparono a quello che oggi viene presentato alle nuove
generazioni di burocrati regionali quale “ciclo eroico” di quel personaggio
mitizzato della Pubblica Amministrazione, possono illuminarsi
di luce riflessa. Una narrazione ben accetta al potere
dominante, in quanto trasforma la realtà dei fatti rendendoli mito, esaltando
indirettamente l’immagine delle pedine di quel potere poste ai vertici di
istituzioni della Pubblica Amministrazione. Una prassi di antica tradizione,
destinata a perpetuarsi nel futuro.
Non è un caso che, in Sicilia, la
tecnocrazia del settore dei beni culturali è stata di fatto resa impunibile per
i reati tipici della pubblica amministrazione. Tutto è silenziato e perdonato
in quanto funzionale non soltanto alle necessità del Deep State di
questa regione a Statuto autonomo, ma anche a quello nazionale al quale è
strettamente legato nell’ambito degli interessi soprannazionale del Blocco
Occidentale (2).
L’articolo
pubblicato nell’Agosto 1998
I Baroni Pennisi di
Floristella, antica famiglia di Acireale, avevano lentamente costituito,
iniziando nella prima metà dell’Ottocento, una delle più interessanti
collezioni numismatiche del mondo, che nel più fulgido periodo giunse a
contenere circa trentamila esemplari. La sezione di monete greche
siceliote, come scrisse il Salinas “sorpassa di gran lunga tutti i musei che
esistono in Italia e fuori”. Lo studioso tentò di catalogarla nel 1870
ma il suo lavoro rimase incompleto. Eminenti numismatici effettuarono degli
studi specialistici, quali il Boehringer che nel 1929 pubblicò le monete
siracusane; lo stesso Agostino Pennisi che pubblicò alcuni esemplari negli anni
1929, 1934 e 1940; prezioso è il lavoro del Rizzo edito nel 1946.
Già nel 1931
l’allora Soprintendente sen. Paolo Orsi, forse presagendo quanto sarebbe
avvenuto all’indomani della morte del proprietario, emise un provvedimento di
notifica della collezione che anni dopo venne considerato non valido in quanto
incompleto, ovvero non accompagnato da un dettagliato elenco degli esemplari e
relative foto.
Il 4 giugno del
1947 il Soprintendente Luigi Bernabò Brea ricevette una circolare dal Ministero
della Pubblica istruzione che lo invitava a segnalare d’urgenza le collezioni
di interesse artistico e storico da notificare ai sensi dell’articolo 5 della
legge 1 giugno 1939 n. 1089. Il fine del Ministero, come vedremo, era quello di
produrre al più presto un flusso di entrate nelle disastrate casse dello Stato,
grazie alle pesanti tassazioni sulle opere d’arte possedute dai privati.
Tuttavia era stata prevista l’esclusione di tali sanzioni per quelle collezioni
di eccezionale rilevanza il cui smembramento avrebbe costituito “un grave
danno per la cultura nazionale” (D.L. dell’11 ottobre 1947 n. 1131, artt.1
e 8) purchè notificate entro il 31 dicembre 1948.
Poiché il Ministero
richiedeva che “di ciascuna collezione da notificare dovrà essere trasmessa
una relazione illustrativa con tutti gli elementi del caso e l’elenco degli
oggetti che la compongono”, il Soprintendente scrisse lo stesso
giorno al Barone Agostino Pennisi mettendolo al corrente della ministeriale,
concludendo la lettera con una frase che affatto si addiceva alla situazione: “Se
Ella ritiene opportuno che la Sua collezione sia compresa fra quelle da
notificare, La prego di volermi trasmettere con la massima urgenza i dati
richiesti dal Ministero”.
In pratica,
ignorando il vincolo emanato dall’Orsi nel 1931, il Bernabò Brea chiedeva
all’influente (da lì a poco Senatore della Repubblica Italiana) “Barone”
Agostino Pennisi (nonostante lo Stato Italiano avesse abolito i titoli
nobiliari) se ritenesse opportuno che la sua collezione fosse notificata
lasciandogli ampia facoltà di accettare l’imposizione di una notifica e quindi
la scelta di pagare o meno le ingenti tasse da poco imposte ai collezionisti.
In breve, se avesse pagato le tasse, la sua collezione una delle più importanti
al mondo, sarebbe stata libera da vincoli e alienabile in qualsiasi
momento. Se invece non avesse pagato, sarebbe stato emanato un nuovo
vincolo che, come vedremo, il Bernabò Brea d’accordo con uno degli eredi
Pennisi tentò di limitare solo ad una esigua parte della collezione.
Agostino Pennisi
risponde al Bernabò Brea ringraziandolo delle informazioni e indica che la
notifica era stata a suo tempo già effettuata dall’Orsi. Rivela che la
collezione ha subito manomissioni e menomazioni a seguito dei recenti eventi
bellici e richiede copia della notifica Orsi al fine della “salvaguardi
dei relitti”. È evidente che malgrado l’atteggiamento molto
amichevole del Soprintendente, il Pennisi preferisce tenere la sua collezione
al di fuori di ogni controllo statale.
La risposta del
Bernabò Brea arriva dopo alcuni giorni: nell’archivio della Soprintendenza non
è stato possibile trovare copia della notifica e che in ogni caso si trattava “di
una notifica generica” (termine tecnico infelice) che non corrisponde a
quanto richiesto dal Ministero.
Nel novembre del
1948 la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della
Pubblica istruzione, del quale la Soprintendenza siracusana era organo
periferico, richiede al Bernabò Brea “di voler trasmettere con sollecitudine
l’elenco completo della collezione di monete Pennisi” al fine del
preventivo esame del Consiglio Superiore. Si noti come il funzionario
ministeriale eviti di usare il titolo nobiliare.
L’elenco non arriva
ed il 22 dicembre dello stesso anno il Ministero della Pubblica Istruzione
emette un nuovo provvedimento di notifica ad Agostino Pennisi riconoscendone
l’eccezionale interesse storico-artistico. Inoltre, nella lettera di
trasmissione alla competente Soprintendenza, questa è avvertita che “in
dipendenza di tale provvedimento dovrà essere compilato l’elenco completo delle
monete che compongono la collezione notificata con riferimento alla sua
consistenza alla data del 28 marzo 1947”.
L’elenco non viene
compilato, Agostino Pennisi muore nel 1962 e gli eredi sono ben nove. Come in
ogni occasione del genere collezionisti, commercianti locali e stranieri si
precipitano ad Acireale per tentare di acquistare quanto possibile ed al prezzo
più basso, determinato dall’esistenza del vincolo e dai rischi
dell’esportazione.
Nell’ottobre del
1964, il Comando del nucleo di Polizia Tributaria di Catania (dipendente dalla
12° Legione della Guardia di Finanza di Messina) richiede informazioni alla
Soprintendenza per la Sicilia Orientale al fine di sapere se risulta a verità “che
monete greche per il valore di centinaia di milioni della collezione Pennisi di
Floristella di Acireale siano effettivamente state vendute”. Il
Soprintendente non si cura di rispondere, tant’è che tempo dopo arriva una
richiesta del Comando Superiore della Guardia di finanza che lo costringe alla
replica entro stretto giro di posta, ove egli afferma di non essere informato
del fatto ma di avere “fondate ragioni di credere” che i Pennisi “stiano
effettivamente disperdendo la collezione e venduto a diversi commercianti dato
che sono state richieste informazioni al proposito anche a questo ufficio”.
Una risposta breve, tardiva e sottilmente sarcastica che la dice lunga sui
rapporti tra apparati dello Stato in Sicilia in quegli anni.
In realtà era
avvenuto che una denuncia anonima, corredata di nominativi di commercianti di
nazionalità svizzera ed inglese, oltre a parecchi siciliani, fosse stata
spedita nel settembre di quell’anno alla locale Soprintendenza, ai Comandi del
Gruppo Carabinieri e della Guardia di Finanza di Siracusa, ed alla Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione.
Il Soprintendente aveva avuto sentore di movimenti investigativi da parte delle
forze di polizia e già lo stesso settembre si era premurato di scrivere, in via
“riservata”, una lunga relazione al proprio Ministero che
aveva come oggetto “Commercio clandestino di monete antiche”.
Contrariamente a
quanto abbiamo visto il Soprintendente rispondere mesi dopo alla polizia
tributaria di Catania, egli rivela che “la cosa è in realtà della massima
importanza e le segnalazioni fatte corrispondono pienamente a voci fin’ora
vaghe che erano recentemente pervenute a questa Soprintendenza”…”Effettivamente
circolano voci che gli eredi… stiano trattando con vari antiquari e
musei stranieri. O almeno che vari antiquari e esponenti di musei stranieri
tentassero varie vie per circuire detti eredi ed indurli a vendere la
collezione. È notorio che ad essi è strettamente legato da vincolo di
amicizia il prof. Boehringer Presidente dell’Istituto Archeologico germanico e
massimo numismatico”…”È possibilissimo che le frequenti visite del notissimo
commerciante numismatico Mildenberg con la sua segretaria in Italia siano da
mettere in relazione con la scomparsa del sen. Pennisi e con le speranze che
essa poteva far sorgere. Sembrerebbe che la collezione sia stata divisa fra gli
eredi. La parte greca di gran lunga la più importante sarebbe toccata al barone
Orazio Pennisi che sembra più intenzionato a conservarla integra. Ad altro
coerede sarebbe toccata la parte romana che invece sarebbe stata venduta al
genero del notissimo trafficante catanese Comm. Vincenzo Pappalardo”.
La lettera segue
citando il D.M. del 22/12/1948 che descrive quale “notifica generica” (ancora
una volta viene usato un termine tecnico improprio: i decreti di notifica
devono essere accompagnati da circostanziata documentazione così come richiesta
dalla legge n.1089 dell’1/6/1939) ed il Soprintendente si difende dalle accuse
di non avere effettuato, a distanza di oltre quindici anni, un dettagliato
elenco della collezione in quanto si trattava “di molte migliaia di pezzi,
forse una decina di migliaia”. Strana affermazione se si considera che si
tratta di uno studioso che ha condotto la catalogazione di migliaia di
frammenti ceramici rinvenuti negli scavi dell’Acropoli di Lipari ed in altri
della Sicilia orientale.
La stessa relazione
venne inviata dal Soprintendente in data 2 ottobre 1964 assieme ad una lettera
riservata, al dirigente e amico Agresti al quale candidamente scrive che “La
notifica dovrebbe ora essere rinnovata dal Presidente della Regione”…”Per far
questo – dati i buoni rapporti che sono sempre intercorsi tra la
Soprintendenza e questa nobile famiglia di Acireale… preferirei che dal
Ministero partisse l’iniziativa del rinnovo della notifica. Ti invio un
abbozzo della lettera che dovrei ricevere ufficialmente dal Ministero per
dare inizio alla pratica opportuna…”. Si può quindi constatare come il
Bernabò Brea avesse ampie possibilità di manovra all’interno del Ministero sino
a giungere a consigliare, a coloro preposti al controllo del suo operato,
persino cosa scrivere nelle lettere che avrebbe dovuto ricevere…
L’idea di eseguire
una notifica parziale della collezione era ovviamente gradita anche da parte di
Orazio Pennisi, dato che questi consentì alla Soprintendenza di effettuare una
serie di fotografie delle monete in suo possesso, così come si evince da una
lettera inviata dal Bernabò Brea nel maggio 1965.
Nel novembre del
1965 la Divisione Musei del Ministero della Pubblica Istruzione conferma alla
Soprintendenza che la procedura per il vincolo si svolgerà secondo le modalità
fissate dalla ministeriale del 20/02/1964 e faceva presente non solo di
prendere in considerazione la proposta del Soprintendente di restringere il vincolo
a 247 monete ma di ritenere opportuno che “dato il carattere storico della
collezione… e considerata la vastità e l’importanza della medesima che… fosse
condotta una ulteriore indagine sulle monete non proposte per il vincolo, al
fine di stabilire se vi siano pezzi importanti non esistenti nelle raccolte
numismatiche statali… Ciò allo scopo si assicurare allo Stato le monete stesse
in vista della possibile dispersione della parte… che non verrà sottoposta al
vincolo”.
Nel giugno del 1966
ancora la Divisione Musei comunica al Soprintendente che “solo a
pubblicazione avvenuta del catalogo potranno essere presi in esame quei
provvedimenti di carattere amministrativo destinati a limitare il vincolo ad
una parte della collezione” e invita a “completare la ripresa
fotografica di tutta la collezione, comprese le monete di seconda scelta”.
Il 5 luglio del
1966 la Soprintendenza invia una lettera al Ministero ove si cerca difesa
dall’accusa espressa dal Consiglio Superiore, il quale sembra adombrare
l’infamante sospetto che essa stia operando la drastica riduzione del vincolo
per favorire la famiglia Pennisi.
Si perde ancora
tempo e si giunge al 28 aprile del 1967, data in cui il Soprintendente scrive
al Pennisi che “Tempo addietro avevamo parlato di un eventuale catalogo
della Loro splendida collezione di monete… ferma restando naturalmente
la notifica di importante interesse per quei soli pezzi che già sono
stati di comune accordo stabiliti. La Dott. Enrica Pozzi,
Direttrice della Sezione Numismatica del Museo di Napoli potrebbe incaricarsene
in collaborazione con la dott. Maria Teresa Currò e la Sig.ra Giuseppina
Cassarino Tranchina”.
In pratica questa
lettera ci rivela l’esistenza di accori tra la famiglia Pennisi ed il
Soprintendente in base ai quali sono forse sorti i sospetti espressi dal
Consiglio Superiore del Ministero.
Il molto cortese
invito evidentemente scaturisce da una lettera datata all’8 aprile, in cui il
Ministero comunica al Bernabò Brea il parere che sollecita la redazione del
catalogo della collezione e già conferisce l’incarico alla dott. Pozzi.
Il 17 giugno 1967
la Soprintendenza scrive al Ministero che possiede “gli abbozzi di
schede e fotografie di 1500 monete della collezione che rappresentano la parte
più sostanziale e più significativa di essa” e che “si presume
non vi siano gravi difficoltà alla compilazione di una schedatura completa
della raccolta”.
Il 26 giugno il
Ministero della P.I. chiede notizia al Soprintendente se il Presidente della
Regione ha adottato provvedimento di vincolo sulla parte della collezione in
quanto è “particolarmente rilevante ai fini di tutela, la sollecita
emanazione di detto provvedimento”.
Il 30 novembre
Enrica Pozzi comunica al Bernabò Brea che, dall’11 al 12 maggio, ha controllato
la documentazione fotografica in possesso della Soprintendenza pertinente a
1500 monete greche della collezione. Comunica anche che il Ministero ha deciso
di trasformare la collaborazione del Prof. Dtazio dell’Università di Napoli in
incarico ufficiale relativo alla compilazione del catalogo.
Il 12 dicembre il
Soprintendente scrive al Ministero per ottenere ancora tempo per condurre a
termine il lavoro di catalogazione. Lo stesso giorno trasmette alla Segreteria
Generale della Regione Siciliana una relazione accompagnata da fotografie
inerenti al gruppo di 247 monete della collezione, le sole per le quali si
sollecita l’emanazione del provvedimento di notifica.
Il 12 marzo 1968 la
Presidenza della Regione Siciliana chiede alla Soprintendenza di integrare la
documentazione già inviata, con la copia del parere manifestato sulla
collezione del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti. Tale parere
viene dato in data 22 giugno ed è da rilevare l’astensione di Massimo
Pallottino, uno dei più insigni archeologi italiani “per ragioni di
principio”. Da leggere quale una tirata d’orecchie al
Bernabò Brea.
Il 13 dicembre 1968
il Soprintendente scrive al Barone Orazio Pennisi che “la pratica della
regolarizzazione del vincolo limitatamente al certo numero di monete della Sua
collezione… ha subito, a quanto mi consta, un intoppo. Infatti i funzionari
della Presidenza della Regione Siciliana (dato che la competenza a porre o a
consolidare vincoli è oggi del Presidente della Regione) vedono la cosa in modo
molto diverso. Per essi è perfettamente valida la notifica del 1948 e dovrebbe
considerarsi immutabile il complesso della collezione quale era a quel tempo.
Mi riprometto di riparlarne con essi della cosa in occasione di un mio
eventuale viaggio a Palermo, onde vedere di addivenire ad una definizione della
pratica. Mi premuro intanto di avvertirLa che la situazione
resta incerta e quindi ogni atto potrebbe essere suscettibile di
diverse interpretazioni”.
È avvenuto uno
di quei primi scontri tra potere centrale regionale e Soprintendenze che, solo
alla fine degli anni novanta, giungerà ad un ridimensionamento del potere
decisionale dei soprintendenti. Una operazione che sarebbe stata salutare già
alla fine degli anni sessanta.
Sta di fatto che,
come predetto dal Bernabò Brea al Pennisi, il 14 gennaio del 1969 alla
Soprintendenza giunge, per conoscenza, una lettera della Segreteria Generale
della regione Siciliana inviata al Ministero della P.I. e all’Avvocatura dello
Stato. Oggetto della missiva costituita da ben dieci pagine, è la storia della
notifica della collezione Pennisi e vale la pena di riportare ampi brani per
poter constatare come il potere centrale di controllo della regione fosse in
aperto contrasto con le scelte operate dal Soprintendente e tentava di
assicurare alla tutela statale i resti dell’intera collezione, salvandola dalle
attività speculatorie. Tentava cioè di imporre quegli interventi che, a norma
di legge, avrebbero dovuti essere operati dalla Soprintendenza sin dagli anni
quaranta.
“Non è
comprensibile, allo stato degli atti (posto che gli elenchi delle monete non
esistano, ovvero che non siano mai esistiti) come il provvedimento ministeriale
anzidetto (del 22/12/1948) abbia potuto esplicitamente affermare che la
Soprintendenza alle Antichità di Siracusa, sono conservati gli elenchi degli
oggetti che compongono la collezione, avuto riguardo alla consistenza di essa
sino alla data del 28 marzo 1947 agli effetti dell’imposta progressiva sul
patrimonio: a meno che non si debba prendere in considerazione l’ipotesi che il
detto provvedimento ministeriale non mirasse tanto, ed in via principale, a
stabilire un vincolo ai termini della legge n. 1089 del 1939, quanto a
costituire il presupposto necessario per consentire l’esenzione
dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio complessivo posseduto dal
contribuente Barone Agostino Pennisi alla data del 28 marzo 1947…
tanto che il provvedimento non solo fa riferimento alla Collezione Pennisi alla
data del 28 marzo 1947, ma, emesso il 22 dicembre 1948, risulta notificato il
29.XII.1948.
Si
deve dedurre che, quanto meno, se il B.ne Pennisi si è avvalso (e ciò è lecito
presumerlo, ma può essere accertato attraverso gli organi tributari) del
beneficio fiscale assumendo che la sua collezione era vincolata ai termini
della legge n. 1089 del 1939, non può opporre oggi che il provvedimento che gli
ha consentito il beneficio fiscale è illeggittimo e, quindi, inefficace”.
La bacchettata
della Regione Siciliana sulle mani dei dirigenti del Ministero della P.I., ivi
compreso il Soprintendente, è davvero forte. La dose viene pesantemente
rincarata:
“data
l’importanza della collezione… non sono comprensibili le ragioni in base alle
quali il Soprintendente… dopo che parecchie segnalazioni pervenute danno
alienata una parte di essa non abbia esercitato, in concreto, la vigilanza
prevista dalla legge n. 1089, rimettendo agli organi competenti l’accertamento
della sussistenza dei fatti segnalatigli ai fini anche della eventuali
qualificazione a termini di legge penale: obbligo che, è da ritenere, sussista
tuttavia per il Soprintendente”.
È quest’ultima
frase che colpisce molto il Soprintendente che in seguito, come vedremo, per
evitare ulteriori critiche eseguirò tali indicazioni.
Infine, la
Segreteria Generale indica che “sussistendo un vincolo sulla intera
collezione, si possa procedere, oggi, al vincolo di una parte delle cose
vincolate come complesso. La conseguenza sarebbe che verrebbe a consentirsi al
barone Pennisi, mediante atto formale, la piena disponibilità, detratte le 247
monete, dell’intera collezione (che, secondo una stima riportata nella
relazione Currò, comprenderebbe circa 10.000 monete); infatti oggi si
propone l’imposizione di un poco chiaro vincolo… Inoltre verrebbe a
darsi una sanatoria alle alienazioni segnalate dal Soprintendente, se in quanto
effettuate.
… Dovrebbero
essere chiarite le ragioni per cui si propone un vincolo limitato a 247 monete,
cioè as un numero di pezzi inferiore non solo alla anzidetta stima della
collezione, ma anche al numero dei pezzi schedati; sembra che non
abbia alcuna consistenza giuridica la circostanza che tale numero di 247 monete
verrebbe a completare il medagliere della Soprintendenza di Siracusa, stante
che la legge tutela tutte le cose e le collezioni che hanno taluni
intrinseci pregi, attribuendo la facoltà di opzione, quando vi è l’interesse
dell’Amministrazione statale di esercitarla; interesse che non può essere
limitato e circoscritto al medagliere di Siracusa con una visione
circoscrizionale dei pubblici interessi in considerazione”.
L’Avvocatura dello
Stato, chiamata in causa, risponde entro breve tempo, ovvero il 22 dello stesso
mese, con una missiva diretta al Ministro della P.I. e per conoscenza alla
Segreteria Generale della Regione Siciliana, ove chiede di conoscere se “quest’ultima
ha trovato gli elenchi di monete… di cui si fa riferimento nel D.M.
22/12/1948”. Il Soprintendente risponde che gli elenchi non esistono.
Alcuni mesi più
tardi, nell’aprile 1969 una lettera anonima viene inviata al Bernabò Brea in
quanto Soprintendente, e per conoscenza al Procuratore della Repubblica ed al
Comandante del Nucleo Investigativo della Polizia Tributaria di Catania. Nella
denunzia si afferma che il Cav. Orazio Pennisi “sottrae dalla collezione
numismatica preziosissime monete greche antiche sostituendole con riproduzioni
simili ma false perché fabbricate con calchi. Buona parte delle monete
originali è stata venduta al commerciante di Catania Giancarlo Cirino”. La
lettera continua dichiarando che il Cirino ha ottenuto in conto
vendita le monete del Pennisi ma che, dopo aver simulato un furto, in realtà le
avrebbe vendute in Continente.
Alcuni giorni dopo
la Direzione Generale delle Antichità e belle Arti del Ministero della P.I.
scrive alla Segreteria Generale della Regione Siciliana. In linea di massima,
concorda con quanto espresso ma le difficoltà di catalogazione sono da
attribuire alla carenza di personale specializzato e difende l’operato del
Soprintendente che avrebbe dovuto rimettere “all’esame delle competenti
Autorità Giudiziarie le segnalazioni relative a manomissione” ma ostacolato
da “motivi cautelativi intesi a mantenere i rapporti con la famiglia Pennisi
sul piano di una indispensabile collaborazione”.
Il 30 aprile il
Bernabò Brea resosi ormai conto che non ha altra scelta, invia al Ministero
della P.I. una raccomandata in cui dichiara di aver ricevuto la lettera anonima
e che “in data odierna ho preso contatti a questo proposito con l’Avvocatura
distrettuale dello Stato di Catania e accompagnato dallo stesso Avv.
Distrettuale mi son recato dal Procuratore della
Repubblica fornendogli le indicazioni del caso…”.
Il 12 maggio il
Soprintendente dichiara per iscritto al Procuratore della Repubblica la propria
disponibilità nei confronti dell’Autorità Giudiziaria. Tra quest’ultima ed il
Ministero della P.I. inizia una corrispondenza che giunge a imporre al
Soprintendente di completare la schedatura della collezione Pennisi.
Il 23 settembre
1969 l’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Acireale risponde
all’Intendente di Finanza di Catania che nella denuncia dei redditi presentata
da Agostino Pennisi nel 1948 la collezione di monete non è stata
dichiarata. È la prova che la famiglia aveva implicitamente
riconosciuto la validità dell’originario vincolo di notifica.
Circa un anno dopo,
in data 21 novembre 1970, il Comando Gruppo di Catania della 12° Legione della
Guardia di Finanza comunica che dalle indagini condotte “non sono
emersi utili elementi circa eventuali infrazioni nella conservazione della
collezione” in quanto “per stabilire se questa è stata tenuta
regolarmente sarebbe necessaria una ispezione da parte di codesta
soprintendenza”. Alle sollecitazioni mosse al riguardo, il
Soprintendente risponderà sempre che non possiede personale scientifico atto
all’evenienza e che quindi l’ispezione non è possibile.
Questo tipo di
risposta ha avuto ed ha sino ad oggi (agosto 1998) ampia applicazione, anche se
immotivata da un punto di vista legale. È stata sovente riproposta
nelle necessarie varianti ogni qual volta una Soprintendenza siciliana è stata
accusata di mancare ad obblighi di tutela, di salvaguardia e di ricerca
scientifica inerenti al patrimonio esistente nel territorio al quale è
preposta.
Come giunsi a localizzare e
effettuare lo studio del Carteggio Pennisi di Floristella
Penso sia utile a futura memoria
descrivere le perigliose circostanze che, ormai un quarto di secolo orsono, mi
condussero a localizzare in una antica casa di campagna, non lontana dalle
rovine di Noto antica, e qui rinchiudermi per studiarlo attentamente,
l’illuminante carteggio concernente la dispersione della collezione numismatica
dei Baroni Pennisi di Floristella.
Quantomeno per placare la mia
profonda sete di comprendere il sistema di potere siciliano, che ogni anno
miete vittime nonostante queste non ne conoscano nemmeno la sua esistenza,
ritengo che a quel tempo ne valse la pena accettare quelle due settimane di
vita monacale, circondato da un aspro paesaggio di rocce calcaree, forre boscose
e suoni armonici della Natura. Fu l’ambiente ideale per immergermi nella
lettura di centinaia di documenti, scoprendo con sommo sconforto le cause dei
controversi comportamenti di personalità di spicco della burocrazia e della
politica siciliana coinvolti nella vicenda.
Come spesso accade leggendo
simili carteggi, m’imbattei in vicende secondarie, vere e proprie sirene
tentatrici, fili sciolti che attendono di essere collegati ad altri, ma che
bisogna tralasciare per non perdere il principale filo conduttore della vicenda
da mettere in luce. D'altronde, sapevo già che annodarli tutti avrebbe
significato dover passare da parti di un’unica grande struttura,
convenzionalmente schematizzata estrapolando una sequenza di dati fattuali
emergenti dal carteggio quali relazioni, di connivenze, di comportamenti
prevaricatori e omertosi, a una struttura multidimensionale a me preclusa in
quanto compilabile, consultabile e comprensibile solo all’interno di un network
investigativo professionale. Oggi in via di trasformazione in quanto fortemente
potenziato dall’avvento dell’uso dell’intelligenza artificiale, fondamentale
per la consultazione di impressionanti quantità di dati d’archivio ed
elaborazioni corredate di consigli indicativi in tempi impensabili a quel
tempo.
Pur essendo ormai insufficiente a
livello criminologico, la descrizione piana, direzionata in sequenza degli
eventi di un contesto, ovvero di un microcosmo dal quale è estrapolata ed
estremamente esemplificata la vicenda narrata, è ancora oggi considerata
sufficiente nel giornalismo di cronaca. Una metodologia che è alla base di
gravi errori di valutazione o distorsione di realtà complesse, utili solo alle
disastrose finalità del “circo dei processi mediatici”, falciando anche
la vita sociale d’innocenti che non possiedono quegli indispensabili mezzi
economici e le protezioni di potenti organizzazioni ormai necessarie per
opporre un tentativo di difesa dei propri diritti.
Per questo motivo seguo
l’indicazione fornita da Ernest Miller Hemingway nel suo “Verdi
colline d’Africa, un romanzo pubblicato nel 1953. “Il movimento dignitoso di
un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge
dall’acqua. Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che
lasciare vuoti nel suo scritto” (3).
Così come avvenne per altri
scritti da me pubblicati negli ultimi venticinque anni, l’articolo scaturì
dall’esame professionale di una serie di carteggi e dossier pertinenti ai beni
culturali non soltanto siciliani. La possibilità mi si era aperta nel gennaio
1996, quale prevista conseguenza del rilascio da parte del Ministero olandese
per gli Affari Interni e Giustizia, dei necessari permessi affinché potessi
fondare e dirigere in Olanda l’Archaeological Centre. Fu in quegli anni
che iniziai a utilizzare la possibilità di stabilire formali contatti
professionali con personalità europee e statunitensi che a diverso titolo si
occupavano della compravendita di beni archeologici o di riproduzioni o
imitazioni di queste.
Nella fattispecie, lo studio del
“Carteggio Pennisi di Floristella” nacque grazie anche a una serie
di incontri e contatti telefonici iniziati nel marzo 1997 con il Gen.le di
Brigata, Comandante del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico (T.P.A., oggi
T.P.C., culturale) Roberto Conforti. L’anno precedente gli ero stato segnalato
nelle mie qualità professionali e di diretto testimone di alcune devastazioni
avvenute in Sicilia di aree e reperti d’interesse archeologico e
paleontologico, da un magistrato di Siracusa conosciuta anni prima, essendomi a
lei rivolto per cercare di contrastare quanto avveniva nel sito di eccezionale
rilevanza di Contrada Fusco presso Siracusa (4).
Il Generale era quindi già stato
informato delle mie attività, mettendo in risalto la preziosa raccolta
d’informazioni che, già da alcuni anni, avevo iniziato a contestualizzare
nell’ambito di particolari traffici di reperti archeologici che ritenevo fossero
svolti tra organizzazioni presenti in diverse aree siciliane e referenti
statunitensi e dell’Europa occidentale. Alla formale comunicazione, era
stata allegata anche copia di alcuni miei articoli in difesa del patrimonio
archeologico siciliano.
Il dato che maggiormente aveva
attirato l’attenzione del magistrato, Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Siracusa, consisteva nel fatto che avevo focalizzato la mia
attività di ricerca sulla personale convinzione che, in Sicilia, i furti di
reperti archeologici effettuati all’interno di depositi museali e soprattutto,
come insistentemente si vociferava tra il personale non dirigente, persino in
fase di scavo di necropoli, fossero iniziate quantomeno negli anni 1960 a opera
di organizzazioni criminali. Ero inoltre convinto che queste si fossero per
decenni avvalse della connivenza di basisti nell’ambito del personale
dell’amministrazione statale e anche in seguito, quando parti di queste
divennero regionali.
Nel trentennio compreso dagli
inizi degli anni 1960 sino agli inizi degli anni 1990, era altresì probabile
che, in Sicilia, essendosi la criminalità agganciata in rapporto
affaristico-clientelare con parte consistente del sistema politico regionale,
essa fosse riuscita a fare assumere personale regionale e distribuirlo in ogni
Soprintendenza. Oltre al sostegno alle ditte appaltatrici di lavori, questi
“infiltrati” avrebbero ottenuto anche la funzione di svolgere non soltanto
furti di beni culturali non catalogati, ma persino di quelli catalogati in
antico, dei quali riuscivano a fare scomparire le documentazioni di provenienza
presenti negli archivi. Si tratta di circostanze mai chiarite con dovuta
attenzione, credo a causa dell’entità e gravità delle connivenze nella gestione
dell’apparato burocratico. In alcuni casi ebbi la convinzione trattarsi di
connivenze estorte non soltanto anche paventando la diffusione di
documentazioni inerenti a controverse attività svolte nell’ambito degli
orientamenti sessuali di funzionari.
Se così fosse, sarebbe lecito
sospettare che la lotta ai piccoli gruppi di “tombaroli” ebbe, oltre a una sua
innegabile utilità, anche la funzione non solo di spostare l’attenzione
dell’opinione pubblica su una grave problematica endemica delle classi povere,
sfruttata da oltre un secolo da gruppi criminali all’ombra dell’organizzazione
mafiosa, ma di creare capi espiatori per coprire un sistema organizzato ben più
grave, imponente, del contrabbando di reperti culturali. Un ingranaggio
operativo di livello internazionale che certamente richiedeva coperture
all’interno dei vertici di apparati non solo dello Stato italiano, ma di tutti
i Paesi stranieri coinvolti.
Seduto al tavolo di un bar nel
centro storico di Roma, venni messo a conoscenza e presi nota di località,
vicende e una serie di nominativi di professionisti e burocrati con i quali, in
Sicilia e all’Estero, avrei dovuto cercare di entrare in contatto in modo quasi
sempre apparentemente casuale, e al fine di focalizzare i contesti nei quali
erano a vario titolo coinvolti.
Oltre ai personaggi presenti in
una mezza dozzina di siti (Selinunte, Sciacca, Enna, Piazza Armerina, alcuni
paesi dell’area etnea, Palermo), vi era anche da “scavare” in una complessa e
pluridecennale vicenda, con epicentro in Acireale.
Se avessi voluto comprendere a
fondo le origini del lato oscuro delle soprintendenze della Sicilia orientale
avrei dovuto iniziare ottenendo in visione ed eventualmente farne copia, di un
vecchio “dossier”, del quale una parte (un carteggio) custodito a Noto presso
la sede dell’Ente Fauna Siciliana. Si era invece persa traccia della parte
contenente anche appunti legali e memorie informali, un tempo finita
nell’archivio (descrittomi quale uno dei Sancta Sanctorum di segreti siciliani)
appartenuto a una eminente personaggio della Sicilia Orientale, già residente a
Roma per motivi professionali.
Bisognava scoprire chi ne era
entrato in possesso, probabilmente attorno alla fine degli anni 1980, e cercare
quantomeno di consultarla e pubblicarla nel più breve tempo possibile per
evitare di essere fermato in modo “drastico e apparentemente accidentale”.
Ero ancora nel pieno del mio vigore fisico e, determinato a conoscere le
modalità di funzionamento del sistema, mi convinsi di avere le amicizie giuste
per riuscire nell’impresa.
Contattai il Presidente dell’Ente
Fauna Siciliana, lo zoologo Prof. Emerito Marcello La Greca e il direttore
della rivista dell’Ente, Bruno Ragonese. Li conoscevo già entrambi, per le
informazioni fornitemi ai tempi delle devastazioni della necropoli di Contrada
Fusco a Siracusa e dopo che su mia richiesta il La Greca ebbe modo di ricevere
chiarimenti dal Gen. Conforti, mi fu permesso di recarmi a Noto Antica ospite
dell’Ente Fauna Siciliana per potere visionare il carteggio, studiarlo e
ricavarne un articolo, con l’accordo di pubblicarlo dapprima sulla rivista
bimestrale dell’Ente.
Ben più complesso fu invece
localizzare la parte contenente il “memoriale”. Riuscii a consultare
solo alcuni documenti grazie al rapporto di amicizia che avevo instaurato con
il compianto Barone Corrado Cafici, nipote del famoso naturalista e paletnologo
della prima metà del Novecento, che dopo aver richiesto informazioni nel suo
ambiente, intercedette a mio favore presso il misterioso possessore, garantendo
l’anonimato della provenienza. Fui così messo in grado di esaminare a Catania,
al primo piano (a quel tempo disabitato da decenni) dell’antico Palazzo Cafici,
un memoriale dattilografato su carta d’uso legale databile attorno alla metà
degli anni 1960, nel quale sino alla fine degli anni 1980 erano state inserite
note di aggiornamento attribuibili a più calligrafie, e alcune missive (5).
Nell’estate 1998, dopo avere
letto il mio articolo e sottoposto al vaglio di suoi legali di fiducia, Bruno
Ragonese decise di pubblicarlo dividendolo in due parti. Come da accordi, la
prima parte venne dapprima pubblicata dalla rivista Grifone alla
fine del mese di agosto, pur essendo da alcuni giorni già pervenuti
amichevoli “consigli” di cautela anche al Presidente dell’Ente, provenienti da
ambienti politici e accademici regionali, sino a incupirlo profondamente.
Decidemmo quindi di inviarne copia anche ai giornalisti Graziella Lombardo e
Enzo Basso, al vertice di un settimanale a diffusione regionale, Centonove,
che accettarono di ripubblicare la parte da me composta circa un mese dopo,
agli inizi di ottobre, con grande risalto e loro brevi considerazioni
introduttive, riscuotendo un notevole successo (6).
Fu soltanto il 30 giugno del
2000, trascorso un anno dalla morte dell’ex soprintendente Bernabò Brea, che
Bruno Ragonese decise di pubblicare l’articolo contenente la seconda parte
dello studio del carteggio, pertinente ai dati più recenti della vicenda (7).
(continua a breve in Fantasmi
di processi mai nati. 3) Il dossier scomparso “Collezione numismatica
Pennisi di Floristella”. Seconda parte: quando la Regione Siciliana sborsò
oltre quattro miliardi di lire)
Note
1) Villari P., 31 agosto1998, La vera
storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, in Grifone,
Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno VII, fasc. 4 (34), pp. 5-8.
Villari P., 2 ottobre 1998, Un
tesoro all’asta. A Zurigo si batte la collezione Moretti. Sotto il martello
monete pregiate della storia di Sicilia appartenuta alla raccolta Pennisi
Floristella di Acireale, in Centonove, pp. 29-31.
Villari P., 30 Giugno 2000, La
vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella: 2)
Quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire, in Grifone,
Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno IX, fasc. 3 (45), pp. 6-10.
2) per la teoria del sistema dominante, Deep
State, poteri soprannazionali rimando agli articoli pubblicati su questo blog
nella serie “La Tecnocrazia e il Sistema di potere dominante” e
in “Strutture operative transnazionali e il network sopranazionale Deep
State. Un criminologo sull’Arca di Noah” (quest’ultimo dapprima pubblicato
on line su The Reporter’s Blog il 30 luglio 2018 , sito oggi non più
disponibile, e trasferito su The Reporter’s Corner il 18 giugno 2020:
https://www.thereporterscorner.com/2020/06/strutture-operative-transnazionali-e-il.html
Per una critica delle attività
del Bernabò Brea rimando al mio lavoro pubblicato su questo blog il 26 ottobre
2022, “Lipari, anni 1980. Luigi Bernabò Brea e le offerte sacre del dio
Eolo; la solitudine di Leonardo Sciascia. E altri aneddoti”.
https://www.thereporterscorner.com/2022/10/lipari-anni-1980-luigi-bernabo-brea-e.html.
3) citato in Villari P., (2006) 2013, L’indagine
Orfica. Terza edizione, Archaeological Centre ed., pp. 1- 324.
4) un mio report dedicato alla vicenda di
contrada Fusco di Siracusa, contenente anche parte di un carteggio, è in corso
di preparazione. In questa sede cito solo alcune notizie contenute nei
seguenti articoli:
Carbone F., 8 ottobre 1989, In
treno sui fossili, Panorama, Settimanale di attualità, pag.
67, Milano.
Villari P., sabato 16/domenica 17
dicembre 1989, Per un parco paleontologico, L’Ora, settimanale
d’informazione, pag. 6, Palermo
Villari P., 1991, Resti
faunistici dal Ninfeo del Fusco, Siracusa, in Animalia, Rivista del
Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Catania, vol.18, pp.
163-174.
Ragonese B., Rizza E., 27 agosto
1995, Fusco: una distruzione enorme, incredibile, irreparabile. Non deve
restare impunita, Grifone, Bimestrale dell’Ente Fauna
Siciliana, Anno IV, fasc. 4, pp. 4-7. L’articolo contiene, su
richiesta dei due giornalisti, una mia lunga relazione dei fatti di cui ero
stato testimone nelle mie qualità professionali di archeologo e di archeozoologo.
Villari P., 12 agosto 2022, La
Tecnocrazia e il sistema di potere in Sicilia. Parte V: il festschrift,
il “cerchio magico”, e la costruzione del mito dell’intellighenzia tecnocratica
in “The Reporter’s Corner”.
https://www.thereporterscorner.com/2022/08/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html
5) Nel corso di una serata trascorsa con le nostre
compagne in un ristorante di Naxos, sollecitato dalla sua compagna che
apprezzava molto le finalità idealistiche dei miei studi, Corrado mi fornì
alcune informazioni che ritengo utile qui ricordare, eliminandone tuttavia le parti
non suffragate da prove e riassumendone il significato. La
pubblicazione dell’intero archivio dal quale provenivano quei pochi documenti
da me visionati, sino a dieci anni addietro (ovvero alla fine degli anni 1980)
avrebbe potuto creare un terremoto giudiziario colpendo i vertici non soltanto
del sistema economico e politico regionale, seguito da severi problemi di
stabilità politica e economica nazionale.
6) Villari P., 2 ottobre 1998, Un tesoro all’asta.….,
op. cit. in nota 1.
7) Villari P., 30 giugno 2000, La vera
storia della collezione… 2) Quando la Regione…, op. cit. in nota 1