Autore: Pietro Villari, 2019. Tutti i diritti riservati.
Pubblicato
on-line il 4 Marzo 2019 in thereportersblog.com, trasferito il 19 Giugno 2020
in thereporterscorner.com
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Negli ultimi due anni ho intensificato le attività di studio (1) rivolte
al monitoraggio delle vendite svolte da diverse case d’asta di notorietà internazionale
nel settore delle antichità precoloniali americane. È stata così evidenziata
l’esistenza di fenomeni imputabili a manipolazioni illusorie, ovvero di
meccanismi mentali che concorrono a orientare gli acquisti della clientela,
giungendo a fare accettare quali realtà assodate la descrizione dei lotti, la
loro provenienza, datazione e attribuzione culturale. In taluni casi è stato
anche possibile osservare che moderne imitazioni artigianali sono state catalogate
e vendute quali costosi manufatti del passato.
Vengono qui presentate alcune considerazioni preliminari circa i meccanismi di
vendita di questi oggetti, cercando anche di focalizzare le motivazioni che
spingono numerosi mercanti e collezionisti ad acquistarli. Nella quasi totalità
delle vendite è stata accertata la totale mancanza di valide documentazioni di
provenienza dei lotti e di espertizzi condotti da titolati professionisti del
settore. Queste gravi carenze non fermano l’attuale periodo di espansione del mercato,
nonostante sia forte il sospetto, manifestato anche da eminenti accademici statunitensi
dediti allo studio delle falsificazioni di antichità preistoriche americane,
che la gran parte dei manufatti presenti sul mercato internazionale e persino
in prestigiose istituzioni museali sia non autentica (2).
Introduzione
Gli oggetti di cui ci occupiamo
sono attualmente prodotti da artigiani mossi dalla grande passione per la
lavorazione di materiali disponibili in natura quali l’argilla, la pietra,
l’osso e il metallo, trasformandoli in oggetti ispirati a forme e decorazioni
create da popolazioni preistoriche americane. Il legame di questi artigiani al
loro lavoro è spesso basato su una forte attrazione verso quelle culture non
più esistenti, al punto che in qualche caso si può identificare la “mano”
dell’artigiano, inteso quale l’insieme delle peculiarità costanti nelle sue
opere. In gran parte si tratta di errori, commessi nel suo modo di presentarne
i miti e i simboli in una chiave di rivisitazione spesso inconscia, dove le
loro carenze di studi approfonditi vengono colmate dalla fantasia e da
deduzioni logiche personali (3).
Gli errori possono anche essere
di natura tecnica quali, per citare i più frequenti, l’uso di argille
alloctone, di pitture e vernici sintetiche o comunque inappropriate, di
sostanze e utensili che lasciano traccia dei moderni trattamenti chimici e
fisici per “antichizzare” le superfici, di macchinari moderni per processi di
lavorazione delle pietre ignoti nel passato, della composizione di leghe
metalliche o di metalli le cui impurità possono essere identificate da analisi
quali improprie in quanto spesso provenienti da altre aree del pianeta, per
citare solo le incongruenze più frequenti.
Identificando queste incongruenze
l’esperto può sospettare la non autenticità dell’oggetto, e confermarla
sottoponendolo ad ulteriori analisi di laboratorio. Generalmente, queste spese
vengono sostenute dal proprietario o dal compratore solo se il valore
dell’oggetto è stimato molto superiore.
La contraffazione di manufatti
precoloniali americani è documentata sin dagli inizi del diciannovesimo secolo,
ma è a partire dagli anni 1960, soprattutto in Messico e in Perù, che inizia ad
assumere dimensioni preoccupanti (4). Dagli anni 1970 a oggi è cresciuta
in modo esponenziale, giungendo a infestare importanti collezioni pubbliche e
private di tutto il mondo, ma è negli Stati Uniti che ha raggiunto la massima
espansione con punte che in alcuni casi è stato rivelato possano giungere
sino a quasi la totalità degli oggetti esposti. La stessa osservazione vale per
i cataloghi di importanti case d’aste e gallerie antiquarie in mancanza di una
adeguata regolamentazione legislativa in materia.
Questo fenomeno ha colpito sin
dall’inizio anche l’Europa, presentandosi oggi in tutta la sua drammaticità
nelle “antiche collezioni” messe in vendita all’asta o nei materiali
prodotti recentemente, offerti in vendita da diverse case d’aste nella totale
mancanza di alcun efficace contrasto da parte delle istituzioni preposte alla
lotta contro le frodi.
Non bisogna dimenticare che le
falsificazioni hanno creato un pesante danno alle nazioni che, come gli Stati
Uniti si sono preposte di incrementare l’istruzione pubblica anche attraverso
un forte ampliamento delle collezioni museali concedendo agevolazioni fiscali a
quanti donano oggetti di alto interesse scientifico o artistico. Si è così
garantito di detrarre dalle tasse una sostanziosa percentuale del valore
risultante dall’espertizzo condotto da funzionari dello Stato o da
professionisti privati per conto delle istituzioni museali.
L’operazione
si è rivelata un’arma a doppio taglio, favorendo l’instaurazione di attività
criminali, al punto che oggi a distanza di decenni dalle donazioni risulta
ovvia la presenza di altissime percentuali di falsi in molti musei americani. Una festa del malaffare ricco e facile per quanti appartenenti
a lobbies di potere, mediante le quali è stato possibile
creare sistemi criminali dove corruzione e connivenze hanno avuto un’ampia
diffusione e copertura ad alti livelli. Artisti, intermediari, antiquari, funzionari
di musei e docenti di istituti universitari hanno concentrato nelle consorterie
il potere di immettere nei musei e nelle collezioni private oggetti autentici,
che già da tempo si è iniziato a scoprire contrabbandati da nazioni povere e a
prezzi scandalosamente bassi.
Ma è soprattutto una immensa
quantità di falsificazioni, sia artigianali che opere artistiche di alto
livello che ha invaso le nazioni del Blocco Occidentale, un settore di affari
che evidentemente è avvenuto sotto il controllo di parte del network Deep States,
con epicentro gli Stati Uniti. I poteri che hanno gestito questo Deep Event
sono ancor oggi pressoché totalmente ignoti, ma con tutta probabilità
costituiti e organizzati in modo simile a quelli italiani (5).
Questo commercio ha ingrassato
molti conti bancari, probabilmente giungendo anche ad alleviare il versamento
di tasse da parte di importanti enti privati, con risparmi milionari. Un
fenomeno simile si può ritenere sia accaduto anche in Europa, ovvero in quei
Paesi che si erano dotati delle stesse procedure di donazione. Il dato di fatto
che maggiormente colpisce, in base a quanto emerge dalla ricerca, è l’assoluta
mancanza di indagini condotte fino alla identificazione e punizione dei
colpevoli, e del loro risarcimento alle casse erariali delle somme non pagate.
Le fonti di
approvvigionamento delle vendite all’asta
Vi sono tre principali vie
attraverso le quali le moderne imitazioni di manufatti precoloniali americani
possono raggiungere le case d’aste:
– le grandi quantità di oggetti
che i grossisti acquistano direttamente dagli artigiani dediti a queste
produzioni, e che successivamente distribuiscono a livello nazionale o
internazionale alla loro rete di venditori;
– le gallerie d’arte e gli
antiquari che, tramite intermediari o rapporti diretti, si riforniscono da
artisti altamente specializzati nelle contraffazioni;
– i collezionisti che,
generalmente dopo parecchi anni dall’acquisto si sono accorti di essere stati
frodati e desiderano disfarsi degli oggetti senza subire perdite o, non di
rado, di guadagnare presentandoli alle case d’aste quali autentici come descritto
nelle fatture di acquisto.
Nel primo gruppo possono essere
distinti artigiani che hanno imparato il mestiere lavorando sin da giovani,
presso botteghe specializzate sotto la direzione di un maestro, continuandone
le produzioni e inventandone di nuove, talora anche dedicandosi allo studio
delle culture precolombiane e sperimentando nuove tecniche e strumenti di
lavoro. La maggior parte di queste botteghe “tradizionali” producono grandi
quantità di manufatti specializzandosi nella lavorazione di un determinato
materiale, in genere per ottenere manufatti ceramici, litici, o in metalli
preziosi. Quasi sempre essi circoscrivono la produzione alla imitazione di
manufatti delle antiche culture presenti nella loro regione, potendo ispirarsi
a oggetti presenti nelle collezioni locali e utilizzare le stesse materie prime
dell’antichità.
In linea generale possiamo
distinguere artigiani dediti alla produzione di due tipologie di prodotti
commerciali. Una è indirizzata al mercato turistico di bassa qualità, ottenuti
con materiali anche industriali e con strumenti e tecniche moderne. Sono i
cosiddetti souvenirs in vendita soprattutto nei mercatini
antistanti aree d’interesse archeologico che garantiscono un introito basso per
una misera sopravvivenza. Vi è quindi una produzione artigianale di qualità
nettamente superiore, manufatta con tecniche e materiali simili agli originali,
antichizzandone quindi le superfici con “ricette” regionali inventate e
perfezionate nel corso degli ultimi duecento anni. Nel caso delle ceramiche,
assieme all’aspetto antico ne riproducono anche il tipico odore, che negli
originali è dovuto alla lunga permanenza nel terreno.
Quella degli artisti è invece una
casta a parte, costituita da personaggi sovente dotati di raffinata cultura,
genialità, e grandi capacità tecniche. Lavorano quasi sempre su commissione,
partecipando alla realizzazione di progetti di opere non soltanto esteriormente
perfette, ma che possiedono il potere evocativo del simbolo e del mito proprie
dell’espressione artistica delle popolazioni preistoriche americane. Ognuno di
questi artisti di alto livello agisce su due fronti: uno pubblico, rilasciando
regolare fattura delle sue opere di arte moderna o lontanamente ispirate a
stili artistici precoloniali o coloniali americani, e una attività parallela,
non pubblicizzata e riservata a pochi clienti ai quali l’artista è legato da un
reciproco rapporto di fiducia e segretezza professionale che non ammette
ingerenze e tradimenti. Possiedono biblioteche e strumentazioni costose, e
grazie all’appartenenza a associazioni di potere all’interno delle quali
trovano coperture e connivenze, sono in grado di ottenere dossier e
pubblicazioni scientifiche riservate che li tengono al passo con la ricerca che
tenta di arginare le contraffazioni. Vengono così in possesso di tutte quelle
informazioni tecnico-scientifiche utili a superare non solo gli ostacoli del
primo stadio di espertizzo, quello del connoisseur, del critico
d’arte e dell’esperto accademico, ma anche nel passaggio successivo, svolto
tramite analisi di laboratorio dirette a stabilire la composizione di ogni
parte dell’oggetto, i caratteri qualitativi e quantitativi, chimici e fisici,
che ne stabiliscono l’antichità, raggiungendo così il parere di autenticità
espresso dai migliori studiosi di fama internazionale.
Ovviamente, i manufatti
provenienti da questi due rami produttivi del sistema, artigiani e artisti,
corrispondono a differenti valori commerciali: dai pochi dollari per le
produzioni riservate al mercato turistico alle parecchie decine di migliaia di
dollari pagati all’artista, includendo per quest’ultimo anche il surplus costituito
dalla unicità dell’oggetto e dalla garanzia di omertà.
Un discorso diverso è quello
delle imitazioni che dopo essere state immesse in importanti collezioni private
quale autentiche, e da queste talora date in prestito per esposizioni in
istituzioni pubbliche. Nella grande maggioranza queste collezioni hanno una
“vita” relativamente breve, essendo formate e vendute entro un periodo compreso
tra circa sessanta e dieci anni. Una volta cessata l’attività collezionistica
le imitazioni originariamente acquistate quale autentiche, possono giungere per
via ereditaria a terzi o essere oggetto di vendite testamentarie per coprire le
spese di successione o, come nel caso di lasciti a istituzioni di carattere
filantropico, per finanziarne le attività. Molti oggetti sono acquisiti da
collezionisti tramite l’opera di intermediari o antiquari ai quali vengono
affidati in commissione.
Un fenomeno che può verificarsi
in questi passaggi è che, pur in caso si nutrano dubbi sull’autenticità, è
prassi di continuare a mantenere lo status originario sino a prova contraria,
evitando di compromettere la reputazione dei personaggi nel tempo implicati
nella vicenda. Da un punto di vista investigativo, è molto difficile
dimostrare la presenza di episodi omertosi, di prassi comportamentali
all’interno di categorie professionali e famiglie di collezionisti, una forma
di protezione dal carattere corporativo che coinvolge classi sociali alte e la
credibilità del sistema collezionistico di alto livello, della sua nicchia di
mercato e dei notevoli investimenti finanziari in gioco.
Nelle collezioni appartenenti
alla classe media, spesso si nota una “logica” di allestimento che rivela gli
interessi dei loro proprietari nel campo artistico, una forma di collezionismo
intesa quale via di “iniziazione” all’esoterismo, alle concezioni religiose e
alle pratiche sciamaniche precoloniali americane. Si tratta di un collezionismo
che implica acquisti di oggetti artistici molto ambiti, dove la percentuale di
acquistare contraffazioni è molto alta. In questi casi, le percentuali di
oggetti non autentici nei lasciti testamentari è molto variabile, dipendendo
dal grado di percezione e conoscenza del proprietario, delle sue fonti di
approvvigionamento e dalla preparazione tecnico-scientifica degli esperti
consultati prima dell’acquisto di ogni singolo oggetto.
Monitorando il sistema è stato
possibile ipotizzare come, frequentemente, ciò che viene consegnato alle case
d’aste olandesi, che assieme a quelle francesi sono tra le più attive in Europa
nel settore delle vendite di oggetti precoloniali americani, rappresenta lo
scarto della vendita privata delle collezioni sopra descritte. La tesi è che
dopo avere separato i reperti autentici destinandoli a contrattazioni private,
le falsificazioni in grado di “passare” o rendere molto arduo l’espertizzo “a
vista” vengono generalmente consegnati a case d’aste con clientela
internazionale, mantenendo la descrizione e le dichiarazioni di genuinità
rilasciate al momento dell’acquisto da altre case d’aste o antiquari e avendo
cura di accompagnarli ad altri lotti di reperti autentici ma di modesto valore
commerciale.
Il gruppo di imitazioni ove è
esteticamente evidente la non autenticità viene consegnato a quelle case d’aste
che dedicano ancora minore cura nella valutazione dei lotti ricevuti in
commissione, presentandolo assieme agli scarti dei reperti genuini (ad esempio
vasi frammentari o con ampi interventi di restauro o rifacimenti pittorici con
“arricchimenti”, frammenti di statuette). Altri reperti di evidente creazione
fantasiosa risalente al corso del diciannovesimo secolo o agli inizi del
ventesimo vengono offerti, seguendo la terminologia d’asta specificata in ogni
catalogo, quali “antichi” e non accompagnati da datazione.
Recentemente si osserva anche la
comparsa di un meccanismo più complesso, atto a creare fonti di provenienza,
utilizzando figure prestanome sulle quali scaricare le responsabilità che
comportano condanne penali e risarcimenti di danni economici. In questo caso
sono generalmente adoperate imitazioni di produzione recente, che vengono
immesse nel mercato tramite modeste e poco note case d’aste olandesi, francesi,
inglesi e statunitensi, a prezzi decisamente bassi, accompagnati da ricevute di
acquisto dove sono fornite provenienze non circostanziate, false dichiarazioni
di antico possesso, o di antichi acquisti eseguiti in certi Paesi dell’America
Latina presso collezionisti e antiquari recanti anche la datazione relativa
dell’oggetto e cultura preistorica di appartenenza. In questa prima fase del
meccanismo esse vengono acquistate all’asta da piccoli rivenditori appartenenti
a diverse nazionalità europee (non è dato di sapere se in alcuni casi si tratta
degli stessi soggetti che “lavano” i loro reperti importati dal continente
americano). Ciò che ha attratto la mia attenzione spingendomi a iniziare la
ricerca è il fatto che alcune settimane dopo gli stessi reperti, con un
tempismo che lascia pochi dubbi, venivano offerti presso un’altra casa d’aste ormai
ben nota a livello internazionale. Nell’accettare i lotti, gli “esperti” (6)
di questa casa d’aste mantenevano anche le descrizioni dei reperti e le
provenienze fornite dalla casa d’aste precedente, garantendo di avere
controllato la documentazione attestante il legale possesso dei reperti da
parte del venditore. Acquistati da altri mercanti, questi oggetti provenienti
da più passaggi di proprietà possono essere rivenduti quali autentici
sollevando il nuovo proprietario da responsabilità penali nel caso di denunzie.
In definitiva, nelle case d’aste
olandesi non di rado finiscono “precols” (7) di aspetto gradevole
e interessante per i neofiti che costituiscono la maggioranza dei visitatori,
ma che l’esperto identifica a prima vista quali imitazioni. D’altronde, per
rendere appetibile l’insieme offerto, le imitazioni sono sempre in numero minore
rispetto agli oggetti genuini ma di scarso valore, frammentari o restaurati,
presentando talora anche dei “pastiche” (8).
Se appare verosimile che parte
della clientela delle case d’aste è composta da piccoli mercanti borderline, che
vedono nel sistema una possibilità di ricavare denaro facile, bisogna
ammettere che gran parte della clientela è insufficientemente preparata
all’acquisto, ritenendo le case d’aste quali istituzioni tutte egualmente
affidabili, garanti delle descrizioni accompagnanti ogni lotto e delle loro
valutazioni del valore di mercato. Purtroppo, in questi casi la realtà può
essere tutt’altra e, nel prestare fede, il cliente entra in un ambiente dove
possono esservi anche manipolazioni illusorie.
La
manipolazione non si basa soltanto ricorrendo a espertizzi eseguiti dal
personale delle casa d’aste privo di titoli di studio professionalizzanti,
quali laurea e specializzazione nel settore archeologico e di una valida
esperienza e studi delle contraffazioni. Difatti,
è innegabile che l’eleganza e la ricchezza sfoggiata dall’ambiente
espositivo, le raffinate illustrazioni dei cataloghi, la presenza di clientela
appartenente a ranghi sociali medio-alti, in alcuni casi anche l’aspetto
estetico e i cerimoniali del personale preposto a fornire informazioni sui
lotti in vendita, l’abilità del battitore d’asta nel presentare le presunte
qualità dei lotti, costituiscono un convincente insieme d’eccellenza che senza
dubbio contribuisce alla formulazione di una immagine di affidabilità delle
case d’aste. Un endorsement di natura élitaria che
certamente stimola all’acquisto gli incompetenti in materia, e influenza la
decisione di poter investire in tutta tranquillità e con successo poche
centinaia o migliaia di euro per l’acquisto di antichità di valore ben
superiore.
Anni dopo, quando gli acquirenti
in buona fede o più sovente i loro eredi scopriranno la frode subita, potranno
tentare di liberarsi dei loro “fakes” tramite mercanti e case d’aste,
perpetuando così lo schema della frode e dell’omertà. Bisogna però ammettere
che una parte degli oggetti identificati come falsi dai proprietari vengano
trattenuti in famiglia o donati a terzi quali semplici imitazioni o distrutti (9).
È stato possibile osservare che
innanzi a oggetti d’arte accompagnati da dichiarate ma spesso non documentate
provenienze (quali importanti case d’aste, collezioni appartenenti a personaggi
noti e esposizioni presso prestigiose istituzioni universitarie museali), il
mercato reagisce con l’acquisto a prezzi ben più alti. La maggiorazione del
valore è determinata da una sorta di curriculum d’eccellenza dell’oggetto, che
lo rende evidenza storica, cimelio della “grande famiglia dei collezionisti”
di antichità precoloniali americane. È qui evidente come la manipolazione
agisca valutando l’oggetto in base alla sua storia recente, dove l’acquirente
lo accoglie quale elemento pregevole e celebrativo, un atto piuttosto
comune nella tradizione antiquaria.
Manipolazione
illusoria, collezionismo e investimenti finanziari
Negli Stati Uniti il
collezionismo di manufatti preistorici americani è sin dalla seconda metà dello
scorso secolo un fenomeno socio-culturale piuttosto diffuso nelle famiglie
appartenenti ai ceti medi e alti. Un fatto che colpisce coloro che per la prima
volta sfogliano i cataloghi statunitensi delle case d’aste di antichità
precolombiane è la quasi costante presenza costituendone la maggioranza, di
nominativi di origine ebraica dei collezionisti dai quali provengono i lotti,
in genere dopo la loro morte.
In questo caso, soprattutto
quando l’autenticità è dubbia, la manipolazione illusoria mostra la sua potenza
agendo anche a livello etnico-religioso. Per il credente, accogliere questi
oggetti acquistandoli rappresenta anche un atto di continuazione di una forma
essenziale dei precedenti proprietari, con effetti benevoli per il nuovo
proprietario. Difatti, è sottinteso che l’oggetto posseduto, anche se non
antico, ma collezionato e amato dai precedenti proprietari contiene parte delle
loro qualità spirituali, essendo personaggi noti anche per quanto di positivo
svolto all’interno della loro comunità e nell’osservanza dei precetti religiosi
(10).
Il problema è rilevante in quanto
si tratta di una comunità che ha una grande influenza sul piano politico e
economico-finanziario non solo statunitense, ma anche a livello internazionale.
Questo include la grande maggioranza di tutte le componenti di potere del
mercato antiquariale del blocco occidentale e il settore degli studi
scientifici pertinenti al commercio, contrabbando e contraffazione delle antiquities. Di
conseguenza, tutto ciò che può concorrere a determinare un forte
condizionamento del mercato e a proteggere i grandi investimenti appartenenti a
quella comunità. In una tale situazione sta dilagando il sospetto, supportato
solo da bizzarre ma numerose coincidenze, che l’appartenenza a famiglie di origine
ebraica e alle maggiori fratellanze massoniche siano ormai requisiti
fondamentali per spianare la strada a carriere professionali, pubbliche e
private, persino presso prestigiose istituzioni accademiche anglo-sassoni, e
che questa stia divenendo una tendenza che sta iniziando a espandersi anche in
altre aree europee. Tutto questo gioca pesantemente a favore di una
insofferenza popolare e non si dovrebbero sottovalutare gli effetti dannosi
dell’arroganza esercitata dal sistema di potere dominante, nel suo procedere di
consolidamento sia negli apparati statali che nel network Deep States del
Blocco Occidentale.
In conclusione, il controllo di
ogni aspetto socio-economico e culturale delle popolazioni tramite apparati
strutturati piramidalmente in un network di poteri transnazionali, è una delle
emergenze d’interesse criminologico che si stanno manifestando con sempre
maggiore intensità negli ultimi decenni e che grazie al mantenimento di altre
situazioni di crisi, vengono oscurate dai media (11). Il settore
delle vendite delle antiquities attraverso le case d’aste
soffre di problematiche che avvengono nell’ambito periferico di questo
fenomeno. È evidente la necessità di apportare sostanziali modifiche nel
regolamento legislativo di queste vendite, soprattutto in materia di
provenienza dei manufatti, del loro espertizzo, e delle responsabilità che le
stesse case d’aste dovrebbero essere tenute ad assumersi sia in ambito civile
che penale, cercando così di chiudere ogni possibilità all’ormai secolare
perpetuarsi di frodi.
Note
1 – svolte presso l’Archaeological Centre, una istituzione privata con
sede in Olanda che ho fondato e dirigo da oltre venti anni. Dal 2013, il centro
si occupa anche della pubblicazione di monografie dedicate alle imitazioni e
alle riproduzioni archeologiche. L’assetto privato permette di intraprendere
studi senza dovere chiedere permessi e fondi alle gerarchie accademiche, e di
poter collaborare con professionisti del settore investigativo. L’autonomia è
fondamentale anche per la libertà di espressione, in quanto non di rado i
risultati evidenziano il coinvolgimento di personalità appartenenti alle
gerarchie istituzionali pubbliche in complesse vicende d’interesse criminologico. I
dettagli pertinenti ai nominativi delle case d’aste e ai manufatti oggetti di
compravendite, verranno pubblicati dopo la conclusione del periodo di
monitoraggio.
2 – Eloquente quanto scritto da due delle massime autorità in fatto di
arte precolombiana: Karen Olsen Bruhns & Nancy L. Kelker, in data 13 Marzo
2011 (aggiornato nel Luglio 2015), in ArtiFact or ArtiFake? The problem
of forgeries in Mesoamerican Art, leggiamo (traduco):
“Sulla base
delle nostre osservazioni e analisi delle donazioni raccolte nei musei a cui
abbiamo avuto accesso, così come delle vendite all’asta, stimiamo che in questo
momento, una stima prudente della percentuale di falsi in vendita o acquistati
(e in definitiva donati) nell’arco, diciamo, degli ultimi 30-50 anni, sono
circa l’85% e crescono esponenzialmente. Intere aste presso prestigiose
case e gallerie e mostre museali spesso giungono al 100% di contraffazioni.”
www.mexicolore.co.uk/aztecs/home/mexicos-faked-prehistory
si legga ad esempio anche:
Kinsella Eileen, 7 Luglio 2017, A Staggering 96% of the Artifacts in
San Francisco’s Mexican Museum May Be Fake
https://news.artnet.com/art-world/mexican-museums-artifacts-mostly-fake-1016198
3 – al proposito si legga il primo capitolo della mia monografia “Guida
alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche”, volume
primo, Archaeological Centre, 2013.
4 – illuminante l’articolo di Kirstin Fawcett del 18 Settembre 2017, “Brigido
Lara, the Artist Whose Pre-Colombian Fakes Fooled Museums Around the World”
dove riassume l’attività decennale di un falsario e restauratore messicano,
conclusa con il suo arresto nel 1974. In seguito, egli dichiarò di adoperare
strumenti primitivi da lui prodotti e argille provenienti dalle stesse aree di
approvvigionamento usate nell’antichità. Inoltre, rivelò la composizione usata
per “antichizzare” le superfici delle sue opere, tra cui vi erano i seguenti
ingredienti: cemento, calce, acqua calda zuccherata e urina, sigillando il
tutto con un misto di cera d’api e sporcizia polverulenta.
www.mentalfloss.com/article/93179/brigido-lara-artist-whose-pre-columbian-fakes-fooled-museums-around-world
5 – il problema è stato approfondio su questo blog in: “Strutture
operative transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un
criminologo nell’ARCA di Noah”, pubblicato su thereportersblog.com il 30
Luglio 2018 e riedito integralmente nel presente blog il 19 Giugno 2020.
6 – pur definiti “esperti” nei cataloghi on-line non è ben chiaro a cosa
questa definizione si riferisca, essendo stato possibile constatare che in
alcuni casi essi non possiedono nemmeno diplomi di laurea e tantomeno
specializzazioni postlaurea che rendano credibile ogni loro espertizzo. In un
caso, il titolo di dottore, era riferito al conseguimento di un dottorato di
ricerca in Economia…
7 – In ambito commerciale, con il termine “precol” si intende ogni oggetto di
fattura precoloniale, manufatto dalle popolazioni preistoriche americane.
8 – con il termine “pastiche” viene definito un oggetto composto da frammenti
di due o più manufatti originali, talora con ampie parti mancanti integrate da
restauri, anche delle pitture e altre applicazioni decorative. Nella grande
maggioranza si tratta di vere e proprie contraffazioni, che nulla hanno a che
vedere con opere moderne ove il frammento costituisce solo una parte decorativa
(ad esempio le opere di Gaudì rivestite di frammenti ceramici smaltati o di
porcellane appartenenti a varie età e aree di provenienza).
9 – Mi sono imbattuto anche in situazioni opposte. Tra queste ricordo il
grazioso esempio di munekas, una fascia di bamboline in tessuto
policromo e finemente decorate, tipica di una cultura preistorica peruviana. La
scoprii in un negozio di oggettistica di seconda mano, incorniciata quale
moderno oggetto decorativo. Il prezzo di vendita equivaleva a un caffè
consumato al bar, mille volte inferiore al suo valore di mercato.
10 – Per le origini di questa credenza si legga: “Commercio di crani umani,
collezionismo scientifico e rituali necromantici. È iniziata la ‘gold
rush’ nelle aree cimiteriali europee di età moderna?” pubblicato su
thereportersblog.com il 15 Febbraio 2019, nota 3 (non piu' disponibile),
riedito nel presente blog il 19 Giugno 2019.
11 – si rimanda alla nota 5.