di Pietro Villari, 1993 e 2022. Tutti i diritti riservati.
Pubblicato online su thereporterscorner.com il 17 Novembre 2022, contiene parte di un mio articolo edito nell’Agosto 1993 dal settimanale “Centonove”.
In alcuni articoli recentemente postati in questa sede (1) ho
citato un mio scritto pubblicato ormai trent’anni fa e oggi introvabile in
rete, essendo tra l’altro cessata da alcuni anni anche l’attività di quel
settimanale siciliano che l’ospitò. Per evitare d’inviare fotocopie agli
interessati, ripubblico l’articolo integralmente aggiungendo in coda alcune
considerazioni di carattere socio-politico.
Si tratta di “Giuliana d’Olanda e Luciano di Gesso” (2),
contenente la descrizione, commentata con lieve tocco satirico, di un episodio
che metteva in luce le miserie comportamentali di Luciano Ordile, un ex
geometra proveniente da un remoto paesello dei Monti Peloritani, nella Sicilia
nordorientale, uno di quei galoppini elettorali che come avviene ancora oggi,
divenne un’eminenza del panorama politico siciliano di quel tempo.
Poiché vi sono aspetti di somiglianza con le recenti attività di un
baldanzoso personaggio politico anch’esso allevato in un ambiente democristiano
del Messinese, credo sia oggi necessario ricordare quanto accaduto nel recente
passato, del quale le giovani generazioni siciliane sono tenute all’oscuro.
Emanciparsi dalle tecniche di manipolazione della percezione della realtà,
attuate per il mantenimento del controllo delle popolazioni sottomesse al
sistema di potere dominante nel Blocco Occidentale, richiede anche di avere i
mezzi, le “chiavi” di lettura e di visione di tale sistema, al fine di essere
in grado di comprenderne i meccanismi operativi. Nella fattispecie, l’esempio
tutto siciliano della creazione di una schiera di burattini con alti ruoli
istituzionali, tra i quali i politici, per essere inquadrato correttamente
necessita la comprensione dei “perché, quando e come” ne è stata
pianificata, attuata e protetta (vanificando, tra l’altro, anche il lavoro
degli organi inquirenti) la vorticosa ascesa al potere.
È quindi fondamentale fornire a tutti i cittadini, anche alle giovani
generazioni, le conoscenze che permettono di collegare i fili sciolti di
singole evidenze per giungere alla piena comprensione della realizzazione di
un “evento di notevole impatto” (3). E questo è
ancor più necessario se l’operazione si svolge in una regione come la Sicilia,
di fondamentale importanza militare strategica dello schieramento delle forze
Nato nelle scacchiere geopolitico internazionale.
Solo prendendo coscienza e contestualizzando il fenomeno nei particolari,
persino una massa di individui “comuni”, non collegati tra loro e alle logiche
del sistema dominante, può sperare in una possibilità di attenuare le
drammatiche conseguenze, quelle sofferenze causate da un nuovo periodo di
sfruttamento e devastazione che incombe sull’Isola.
Quella che qui segue è la descrizione di un episodio marginale, avvenuto ad Allume un piccolo villaggio collinare della fascia ionica messinese. Oggi rappresenta un documento storico che mette in luce uno degli aspetti della profonda e gretta arroganza di un tipico politico alla siciliana.
Agosto 1993. Edizione esaurita in edicola per “Giuliana d’Olanda e
Luciano di Gesso”
Allume è il paese dei miei avi paterni. Preferisco ricordarlo com’era
trent’anni fa, con le sue casette di contadini, i rintocchi delle campane della
chiesa, il ponticello sulla fiumara, il bar dove si giocava a tresette, ed il
piccolo campo di bocce. Lascio da parte ogni riflessione che può suonare
retorica e che d'altronde può essere applicata a centinaia di altri paesi di
una Sicilia violentata dal rampantismo consumistico e destinato a restare solo
nella memoria degli anziani.
“Ciumara storta” quella di Allume, sempre. Questa volta è successo che vi
era stato organizzato un concorso d’arte figurativa e vi avevano invitato un
onorevole democristiano, da molti anni al potere, a premiare i vincitori. Fin
qui niente di contestabile, se la gente crede interessante vedere e applaudire
la performance di un politico come l’onorevole Luciano Ordile che è il
principale responsabile di quanto operato nei lunghi anni in cui fu assessore
ai BBCCAA della Regione Sicilia, ebbene la gente può andarci o fare dell’altro.
Quanto meno assistere al concorso, che è pur sempre una manifestazione
culturale, e poi andarsene poco prima della salita sul palco dell’onorevole.
Fin qui la vicenda era ancora accettabile, mancava però una tragicommedia
frutto di un incomprensibile “errore” politico. Come si è potuto pensare di
invitare un personaggio come l’onorevole Ordile, democristiano, senza prevedere
che avrebbe voluto arrivare con la sua ”auto blu” e l’autista sin sotto al
palco della manifestazione? Immagino la scena, sconcertante. Un degnissimo
vigile urbano impone l’alt all’auto blu dell’onorevole proprio innanzi alle
transenne di sbarramento. Una ordinanza del sindaco vietava il transito a tutti
i veicoli non autorizzati, essendo stretta, tortuosa e zeppa di gente giunta
per assistere all’evento.
In quanto non munita di autorizzazione, l’auto dell’onorevole non poteva
transitare. Da qui un furioso diverbio che addirittura avrebbe sfiorato la
rissa tra l’autista dell’onorevole ed il vigile urbano. Ebbene, cosa fa
l’onorevole, scende e fa un centinaio di metri a piedi? Macché, con l’esemplare
senso del dovere dell’autorità regionale, l’onorevole Ordile dava ordine al suo
autista di abbandonare la manifestazione.
Di riflesso alla gustosa scenetta ed alle nauseanti polemiche scatenatesi a
livello politico locale, mi sono venute alla mente le scene di vita che
osservai lo scorso anno durante un periodo di studi archeozoologici svolti in
uno scavo medioevale in Olanda. A quel tempo vivevo in una casa di campagna
presso Doorn, una graziosa cittadina nella regione dell’Utrecht.
Come molti altri locali, al tardo pomeriggio inforcavo la bicicletta e
andavo in centro a fare spese. Spesso incontravo una signora con i capelli
bianchi, l’impermeabile grigio chiaro, il solito foulard intorno al collo,
semplici orecchini. Talora la vedevo scendere dall’auto, una utilitaria, che
lei stessa guidava. La incontravo nel supermercato popolare “Albert Heijn”,
vestita sempre allo stesso modo. Alla cassa tirava fuori dalla tasca
dell’impermeabile una retina blu in cui metteva la spesa.
Aveva una certa grazia nel modo di scegliere i prodotti. I commessi e la
gente la salutavano con cordiale riverenza e lei rispondeva sempre
accompagnando i gesti con un sorriso. Una volta, per strada, la vidi con quella
che in seguito mi dissero sua figlia, accompagnate da alcuni uomini che
sembravano scortarle con discrezione.
Un giorno andai al supermercato con la figlia della mia vicina di casa, una
ragazza di sedici anni. Incontrandola, si fermò a salutarla esprimendole gioia,
e la signora le rispose accarezzandole il viso, dicendole qualcosa. Poi con la
borsa della verdura salì sull’auto, mise in moto e partì. Chiesi allora chi
fosse quella donna. “È la nostra regina madre,
Juliana. Abita vicino casa, alcune volte ci da un passaggio per la scuola,
quando piove”, mi rispose tranquillamente la ragazzina, figlia di una
infermiera del locale ospedale. (4).
Com’è lontana l’Olanda, terra vasta quanto la Sicilia. E come siete lontani
dal popolo onorevoli del Palazzo. E voi, gente d’Allume, che bisogno c’era di
invitare un politico ad una spontanea manifestazione d’arte locale? Un politico
con l’auto blu e autista pronto alla rissa con un povero ma degnissimo vigile,
che ha tentato di far rispettare le regole per un vivere finalmente civile.
Le conseguenze
L’articolo pubblicato dal settimanale Centonove ebbe
un’inaspettata eco in Sicilia e in certi palazzi del potere a Roma, con
fotocopie che venivano fatte girare negli ambienti politici antagonisti a
quelli democristiani. Tuttavia, dovettero trascorrere altri tre anni affinché
il potere politico di Luciano Ordile, dopo essergli stata permessa una
folgorante carriera politica per circa un ventennio, subisse una forte spallata
dagli eclatanti risultati delle indagini dirette dal giudice Lorenzo Matassa,
del Tribunale di Palermo.
La vicenda è ben nota alla mia generazione, ma ignota alle recenti. Nel
maggio 1995, il giudice aveva ottenuto l’emissione di un provvedimento di
custodia cautelare nei confronti di Luciano Ordile. Secondo il magistrato, il
politico avrebbe commesso vari illeciti amministrativi nello svolgimento delle
sue mansioni istituzionali di Assessore Regionale al Turismo, inerenti alla
organizzazione di una mostra culturale in Giappone, da tenersi in occasione
delle Universiadi di Fukuoka del 1997.
Il dispendioso, pasticciato e paradossale svolgimento dei fatti, che
purtroppo caratterizzarono questa vicenda, giunse a causare un gravissimo danno
d’immagine delle capacità operative dello Stato Italiano, e non soltanto quale
inaffidabile organizzatore di eventi culturali internazionali. Alcuni giornali
francesi, tra cui il prestigioso “Le Journal des Arts” riportarono con
feroce ironia, oltre alla ben poco edificante descrizione della vicenda, anche
il comportamento dell’eminente politico siciliano. Sottoposto per una settimana
all’interrogatorio dal giudice, Ordile si era limitato a trincerarsi in una
tipica risposta dialettale alla siciliana “Nun saccio niente”,
l’espressione verbale grottesca e stereotipata data da semplici omertosi,
malavitosi comuni e persino da mafiosi ritenuti “pezzi da novanta” innanzi alle
richieste delle Autorità inquirenti (5). Un comportamento
intollerabile da parte di un alto rappresentate dello Stato, aggravato dal
fatto di essere avvenuto in una terra controllata dall’illegalità quale la
Sicilia.
Avendo lo scandalo permesso il dileggio della comunità internazionale nei
confronti delle capacità della governance italiana e quindi
dell’affidabilità dei vertici del potere dominante nazionale italiano, sembrò a
molti che questo colse l’occasione per ricorrere alle necessarie misure,
affinché fosse imposto un forte ridimensionamento del potere politico regionale
di Luciano Ordile. D’altronde, questa scelta rientrava nell’operazione di
progressivo ma veloce smantellamento del vecchio sistema partitocratico
siciliano, messo in atto dal potere dominante del Blocco Occidentale a iniziare
dal 1989, all’indomani del crollo del Blocco sovietico. A futura memoria
ricordiamo che nel 2015 il vitalizio, quella sorta di pensione
elargita mensilmente agli ex deputati dell’assemblea regionale siciliana, per
l’Ordile ammontava a poco meno di diecimila euro mensili.
Bisogna tuttavia ammettere che ben più pericolose appaiono oggi le leve
emergenti nel panorama politico siciliano, ad alcune delle quali il potere
dominante generalmente ricorre per rinnovare la lista dei suoi vassalli
infiltrati negli apparati statali e regionali dell’Isola. Si tratta di nuovi
pupazzi e burattini da inserire nell’immediato futuro nei posti-chiave del
sistema e del sottosistema governativo. Essi presidieranno lo sfruttamento del patrimonio
territoriale, un insieme nel quale i vertici della piramide del potere
dominante includono anche la popolazione umana.
Da pupazzi tronfi a marionette
Quali motivazioni spingono parte della popolazione siciliana a prestare
fede e a accettare con entusiasmo di farsi manipolare da personaggi teatrali,
giungendo a eleggerli quali propri affidabili rappresentanti, pur sapendo che
si tratta di ex portaborse di politici democristiani, sorta di furbi garzoni di
bottega che fungevano anche da galoppini in periodo elettorale? Possibile che
la situazione isolana sia a tal punto compromessa da spingere parte della
popolazione a riporre stima e rispetto nei propri carnefici?
Oppure si tratta di quella degenerata connivenza, tutta siciliana, che il
popolo ha sempre coltivato nell’ammirazione per l’omertà di coloro che, pur
avendo negli anni avuto cura di raccogliere prove documentali, sanno usare con
discrezione e quindi mantenere segreto quanto fatto, visto e sentito nel corso
dei servigi resi ai loro mentori-padroni, guadagnandosi così di apparire degni
di affidabilità e pronti a prenderne il posto?
Pur essendo una fenomenologia socio-politica osservabile in quasi tutti gli
Stati d’età moderna, questo legame tra sfruttati e sfruttatori in Sicilia
assume proprie particolari connotazioni, spingendosi a determinare situazioni
paradossali. Una di queste è che le masse sono coscienti che le pesanti
evidenze fattuali dei “curricola” smentiscono in modo eclatante
l’autoreferenziale affidabilità di questi personaggi politici, peraltro
sfacciatamente ribadita quasi in loro quotidiana esternazione. Ma se nella comunicazione
di massa repetita juvans, i toni e l’assiduità riscontrabili in
alcuni politici sono piuttosto un indice che nell’operazione autoreferente si
manifestino inconsciamente profondi timori. La proverbiale saggezza popolare sa
bene che “la lingua batte dove il dente duole”.
Ad esempio, pur giocherellando a fare i padroni di casa in realtà questi
politici sono pienamente consci di trovarsi all’ombra dell’imponente fortezza
militare statunitense chiamata Sicilia. E che in caso contrario qualcuno si
presenta a ricordarglielo senza usare mezzi termini. Quindi quando assistiamo
alla performance di un politico che si atteggia a “rivoluzionario” o
addirittura parla di rivoluzione, sappiamo che nei fatti si rivolterà solo
contro coloro che, appartenenti alla “casta” ormai datata, si oppongono a
essere sostituiti nel ruolo di marionette apparentemente al comando nell’Isola.
Ma è tutto teatro, in quanto chi deve essere sostituito e chi deve sostituirlo
sono decisi in altra sede, da personaggi destinati a rimanere ignoti. La
finalità è quella di dare una sensazione di potere politico che in realtà non
esiste, e che il risultato confermi che nulla cambi al vero vertice del potere
occulto e quindi nei confronti delle necessità dell’armata straniera occupante.
Calandosi nel ruolo teatrale del rivoluzionario immacolato, questa
particolare tipologia politica riduce pericolosamente a farsa l’orrore dei
fatti storici, per il divertimento dei propri fans e del circo mediatico. Ma
sino ad oggi non un giornalista ha ritenuto di intervenire per ricordare ai
propri telespettatori o lettori, come “la rivoluzione è sempre un atto di
violenza”, per dirla con Ernesto “Che” Guevara, e che considerando il
numero e la potenza delle basi militari statunitensi e la rete informativa
costituita anche dalle logge massoniche siciliane, persino il tentativo di
concepire virtualmente una rivoluzione popolare sarebbe nell’Isola un’impresa
irrealizzabile.
Il contesto è quello di un pupazzo tronfio che trasformato in marionetta
del potere dominante. Gli si fa dire quel che la gente necessita sentire, e
fare liberamente quel che la gente vorrebbe essa stessa fare, ostacolando gli
interventi della magistratura e delle forze dell’ordine. Il tutto si trasforma
in consenso, che non appartiene alla marionetta, ma di chi ne tiene i fili che
la tengono in movimento. Il che significa che, dopo un dato periodo di tempo,
da novità divertente il politico-marionetta diviene noioso al pubblico. Finisce
sotto processo per una delle tante vicende di mala gestione del potere e il
consenso viene fatto convergere sullo spettacolo offerto da una nuova
marionetta.
È la disperazione di un presente difficile, dominato dallo spettro
della miseria che terrorizza parte della popolazione, e da quel costante senso
di oppressione subita da parte dei manutengoli e dei cani da guardia del
sistema, dalla mancanza di un lavoro onesto e non vessato, che sprofonda nella
condizione di non riuscire a sfamare se stessi e i propri cari, che spinge
queste stesse masse ad accogliere qualsiasi promessa, accodandosi al “carro del
vincitore”. Talora i disperati finiscono per elemosinare persino
nell’anticamera del comitato elettorale del “possibile vincitore”,
favorito da quei pronostici creati e sponsorizzati dal circo mediatico,
accettando di divenirne omertosi conniventi, sottoponendosi allo sfruttamento
della propria condizione presente o futura di paria. Una condizione, bisogna
ricordarlo, abilmente mantenuta dal sistema dominante in quanto da essa trae
potere.
Soddisfacendo le ambizioni di coloro dei quali sono per necessità divenuti
sostenitori, fingendo di ritenerli i propri rappresentanti, una parte della
massa questuante spera di ricevere in cambio almeno quelle briciole lasciate
abilmente cadere dai ricchi piatti dei loro signori, attovagliati ai fastosi
banchetti degli appalti pubblici con denaro preso a prestito dallo Stato
italiano dall’Unione Europea. E qui bisogna ammettere che solo una nazione
disperata da malattia in fase terminale può spingersi a effettuare un simile
salto nel buio, in quanto non è ben chiaro cosa sia, realmente, quella
istituzione, così come quali garanzie offra la sua banca (BCE), inquietante
sede delle stampanti a ruota libera di banconote, ovvero di titoli
di credito il cui reale valore in molti non riescono a focalizzare su quali
basi sia fondato.
Siamo innanzi a una tanto grave quanto bizzarra situazione di manipolazione
della realtà, dove le narrazioni dominanti sfruttano condizionamenti sociali
profondamente radicati nella cultura siciliana. Un problema che dovrebbe essere
considerato tra le prime emergenze sulle quali, sin ad oggi l’intera classe
intellettuale europea non mostra di avere il coraggio di confrontarsi e di
intervenire, purchè con la finalità d’iniziare un benefico cambiamento della
società.
Il problema delle masse di elettori rese invisibili in quanto non votanti
A ogni appuntamento elettorale, la potente organizzazione del circo
mediatico al servizio del sistema dominante si spertica nel tentativo di
manipolare le coscienze di coloro che, nel corso delle precedenti occasioni,
non si sono recati alle urne, ritenendo di non potere riporre alcuna fiducia
nei partiti o movimenti e nei loro candidati. Ed è ormai altrettanto chiaro in
quale misura essa puntualmente fallisca, nonostante gli sforzi contrari.
È come se, dopo avere tirato fuori tutti i vecchi trucchi dal
cappello, gli sgherri del sistema non riescano a trovarne di nuovi né tantomeno
soddisfacenti, e non vogliano prendere consapevolezza che vi è un limite di
credibilità, che si abbassa con l’esperienza popolare, verso quanti promettano
favori e soprattutto di mantenere l’impegno preso. Oggi quel limite è ormai
calcolabile tramite le percentuali dell’astensionismo elettorale.
Il fenomeno è in costante espansione, al punto che quella che sino a pochi
decenni orsono era descritta quale una trascurabile percentuale di individui
asociali, oggi è ormai divenuta una preoccupante massa di individui. La sua
percentuale, che oggi è maldestramente considerata indegna di essere
rappresentativa di una contestazione politica, di potenza uguale e contraria a
quella degli elettori che hanno praticato il diritto al voto.
Le cause dell’astensionismo sono molteplici. È innegabile che
parte della popolazione non votante sia costituita da gente stanca di essere
legalmente vampirizzata dal sistema dominante, ingannata da falsi difensori del
popolo che elargiscono solo false promesse in cambio del loro voto, e che
questo in realtà serve ai politici per ottenere un lauto vitalizio e la
possibilità di arricchirsi arruolandosi in più o meno discutibili cordate
lobbiste. Ma un’altra consistente parte dei non votanti è composta da coloro
che con l’astensione esprimono pieno dissenso con l’incapacità di portare a
termine programmi di governo e di rinunziare alle metodologie capziose,
entrambi i problemi identificati quali endemici di tutti gli attuali partiti,
al punto di renderne per antonomasia inaffidabili i loro candidati.
E così, gli sforzi dei media al servizio del potere dominante ottengono
sempre minore effetto, con la conseguenza che, negli ultimi anni, sta
inesorabilmente crescendo il numero degli astenuti al voto e di coloro che, pur
recandosi a votare, rendono nulla la scheda elettorale. Classificabile quale
una rivolta di massa da tempo prevedibile, essa ha lentamente conquistato la
metà degli aventi diritto al voto quasi fosse un movimento silenzioso che parte
dalla periferia e non ha capi, divenendo un pericolo nemico che il sistema
dominante non può eliminare. E questo avviene malgrado sia stata abbassata
l’età del diritto al voto, da 21 a 18 anni, ovvero a una età tendenzialmente
influenzabile per mancanza di esperienza), e persino con l’avvento della massa
dagli immigrati dai paesi del cosiddetto Terzo Mondo, ai quali è stata concessa
la cittadinanza italiana, spesso aiutati da veri e propri apparati di partito
che conta sui loro futuri voti di riconoscenza.
Da parecchi anni ormai è il “convitato di pietra” costituito dai non
votanti che prevale in termini percentuali quelli raggiunti da ogni singolo
partito di maggioranza governativa, e in certe regioni persino dall’insieme
percentuale dei voti validi. A questo fatto non dovrebbero essere dedicati
soltanto rari e non ben circostanziati dibattiti sui mezzi di comunicazione di
massa, ma ampi e degnamente affrontati con analisi specialistiche del fenomeno,
cercando di metterne in luce le cause.
Viceversa, sembra che nessuno abbia voluto dare peso al fatto che negli
ultimi decenni quando si parla di percentuali, la specificazione “degli
elettori” è stata sostituita con “dei votanti”, cosicché ormai non ci si fa più
caso, come se per magia le loro quantità e qualità siano divenute coincidenti.
Un esempio della potenza della manipolazione della sfera percettiva della
realtà.
È possibile continuare a fornire i risultati delle votazioni
calcolando solo i votanti, considerandoli come se fossero stati delegati dai
non votanti a esprimerne il voto? Cerchiamo quindi di fare attenzione: il tanto
sbandierato sessanta per cento dei voti raggiunto da certi candidati a sindaco
o al Parlamento, è in realtà ormai rappresentativo di poco più del trenta per
cento dell’elettorato: possono essere davvero ritenuti maggioranza, ovvero il
frutto del volere popolare? È una scelta onorabile quella di
accettare di governare sostenuto da una forte minoranza di voti? Si ritiene saggio
e privo di pericoli continuare a ignorare la principale causa
dell’astensionismo elettorale, ultimo e unico modo rimasto alle masse per
manifestare pacificamente il rifiuto di votare i partiti e i loro candidati
selezionati a uso e consumo del sistema di potere dominante?
Note
1) Villari P., 12 agosto 2022, La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in
Sicilia. Parte V: il festschrift, il “cerchio magico”, e la costruzione del
mito dell’Intellighenzia tecnocratica, (in particolare nel capitolo “Il
Festschrift della metodica distruzione del patrimonio bio- e geoarcheologico
siciliano e il meccanismo tangentizio partitocratico”). In “The
Reporter’s Corner” consultabile on line all’indirizzo:
https://www.thereporterscorner.com/2022/08/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html
Villari P., 26 ottobre 2022, Lipari, anni 1980. Luigi Bernabò Brea e le
offerte sacre del dio Eolo; la solitudine di Leonardo Sciascia nel Cinema Eolo.
E altri aneddoti. (nei capitoli “Sciascia, isolato e umiliato in quanto
“eretico” e “Un piatto servito freddo”, riferimenti
bibliografici nelle note 15, 16 e 17). In “The Reporter’s Corner” consultabile
on line all’indirizzo:
https://www.thereporterscorner.com/2022/10/lipari-anni-1980-luigi-bernabo-brea-e.html
2) Villari P., 14 agosto 1993, Giuliana d’Olanda e Luciano di Gesso, in Centonove,
p. 19
3) per meglio definire, il termine “Deep Event” un tempo ricorrente nei
manuali dell’intelligence del Blocco Occidentale. Ne sono esempio la cosiddetta
“Primavera Araba”, o le fasi preparative a quanto ha condotto alla guerra in
Ucraina.
4) non posso esimermi dall’aggiungere che nei tre mesi trascorsi in
quella cittadina in compagnia di due amiche olandesi, non udimmo un solo
commento negativo su quella che con semplicità chiamavano “Juliana”
o “de buurvrouw“ (“la vicina di casa”), né tantomeno
rimarcassero il fatto che “la casa accanto” fosse una maestosa dimora
reale circondata da uno splendido parco. Negli anni successivi di quel decennio
ormai lontano, quando ormai avevo preso residenza in un’altra regione
dell’Olanda, mi stupii parecchio nel constatare che pressoché l’intera
popolazione aveva lo stesso rispettoso contegno, e indubbiamente un profondo e
sincero affetto verso quella ex regina in pensione e per la defunta madre che
l’aveva preceduta sul trono d’Olanda.
Nell’ultimo quarto di secolo la mentalità degli Olandesi è profondamente
cambiata e di quel periodo che ho avuto la fortuna di vivere, resteranno solo
vecchie foto di un mondo perduto, scollegate da quell’umanità che lo animava.
5) Le Journal des Arts, n. 30, 1 novembre 1996, Forcing à la sicilienne au Japon. Procès
rocambolesque à Palermo (Consultato il 7 novembre 2022).
https://lejournaldesarts.fr/actualites/forcing-la-sicilienne-au-japon-99947