Autore: Pietro Villari, archeologo e naturalista, 12 Agosto 2022. Tutti i diritti riservati.
Dedico questo scritto a Agostino Cordova, ex
procuratore della Repubblica di Palmi e di Napoli (1).
“Unglüchlick das Land, das Helden nötig hat”,
Bertold Brecht, “Leben des Galilei”, (scena 13a), 1938-1947
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“Non è facile trovare le parole…”: quelle
vicende di devastazione dei beni culturali siciliani divenute palinsesti che
possono essere raschiati e riscritti “tutte le volte che si vuole”.
Gli storici conoscono bene il problema che da sempre affligge il loro mestiere. La storia, anche quella di un personaggio pubblico, essendo strettamente collegata a quella della collettività nella quale ha ricoperto ruoli di elevata responsabilità, dovrebbe essere una narrazione sistematica dei fatti di cui si conserva memoria, degni di essere ricordati e tramandati ai posteri, purché effettuata sulla solida base della metodologia d’indagine critica.
Nel caso del vissuto di tecnocrati della pubblica
amministrazione, la descrizione critica dello svolgimento di fatti realmente
accaduti nei quali ebbero ruoli importanti, è fondamentale per lo studio di
problematiche regionali d’ordine sociale, politico, economico, militare e
religioso quali quelle siciliane. Paradossalmente, è per questo motivo che i
principi teorici costituenti le credenziali di affidabilità della ricerca
storica, divengono spesso inapplicabili quando dalla teoria si passa alla
pratica.
Ne sono esempio le recenti narrazioni, inerenti a
personaggi che hanno svolto funzioni cardinali nella struttura del complesso
sistema dominante, dove è possibile constatare come i curricula sono
soggetti alla mondatura di quanto rappresenti l’evidenza di attività
controverse, borderline o non di rado illegali. Difatti, il potere costituito
non può permettersi di lasciare trapelare alle masse notizie che possano ledere
in modo indelebile la tradizionale reputazione di onestà intellettuale,
preparazione tecnica e intransigenza dell’applicazione delle leggi dello Stato,
delle Istituzioni preposte a presidiare il territorio, quali sono le
Soprintendenze ai beni culturali e ambientali della Regione Siciliana.
Così la storia di un uomo di potere di pubblica
visibilità (a differenza degli elementi presenti nel vertice stegocratico, il
cui vissuto è destinato a restare in perenne ombra, ignoto all’opinione
pubblica) prescelto a curare gli interessi di gruppi di potere funzionali al
sistema dominante (2), viene modificata in stile veritiero
divenendo “un palinsesto che può essere raschiato e riscritto tutte
le volte che si vuole” (3).
Alcune di queste manipolazioni vengono parzialmente
smascherate, mostrando quel poco che basta e mai citando poteri superiori.
Generalmente, questi eventi deflagrano in periodi di profonda crisi politica o
economica, durante i quali si verificano collisioni di interessi tra gruppi di
potere all’interno del “precinto” nazionale, talora conducendo al
ridimensionamento o alla eliminazione di alcuni di questi. Si tratta di
situazioni pilotate sin dall’inizio dal vertice del potere dominante nazionale,
o che lo divengono nel corso degli accadimenti, essendo necessari alla
manipolazione dell’opinione pubblica, infondendo in queste l’illusione che gli
organi inquirenti dello Stato svolgono sempre il loro lavoro in piena autonomia
e a salvaguardia dei valori della democrazia.
La celebre frase sopra citata in corsivo e grassetto è
tratta da “1984”, un inquietante romanzo di George Orwell dove è
attribuita a un manuale, scritto dal misterioso Emmanuel Goldstein. Nome
fittizio di un personaggio di grande potere al vertice di una “fratellanza” che
pubblicamente agisce opponendosi al potere dominante, denominato Partito
Totalitario, ma che segretamente persegue lo scopo di esserne un apparato di
prevenzione, individuando i nemici. Fin qui ci troviamo innanzi a un racconto
d’invenzione, ma Orwell sorprende il lettore quando inizia a descrivere la “Teoria
e prassi del collettivismo oligarchico”, Cap. I, “L’Ignoranza è forza”.
Come da un autentico manuale, qui possiamo apprendere
l’essenza delle tecniche e delle finalità della manipolazione: “Raccontare
deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci davvero, dimenticare
ogni atto che nel frattempo sia divenuto sconveniente e poi, una volta che ciò
si renda di nuovo necessario, richiamarlo in vita dall’oblio per tutto il tempo
che serva, negare l’esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso
prendere atto di quella stessa realtà che si nega, tutto ciò è assolutamente
indispensabile” (4).
Non è stato appurato se Orwell avesse usufruito di
parti di un manuale compilato da un’agenzia governativa occidentale o se fosse
una sua invenzione. E se vi fossero similitudini operative da manuale con il
programma di alcune logge massoniche presenti in Italia. Al proposito è da
citare quanto emerso nel corso del gennaio 2017 alla Commissione Parlamentare
Antimafia, quando nel corso della audizione dell’ex Gran Maestro della Gran
Loggia del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, questi rivelò le attività
della Colosseum, una loggia storica di Roma. Allestita per volere di funzionari
delle Forze Alleate all’indomani della Liberazione, il Di Bernardo asseriva di
essere riuscito a chiuderla alla fine degli anni 1980, in quanto era stato
accertato che vi si continuavano le attività di centro di affluenza di agenti
dell’Intelligence statunitense (5).
All’ombra della stegocrazia: il fallito processo a un
gruppo di funzionari della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina
Dell’esistenza di un sistema totalitario di carattere
stegocratico ne abbiamo illuminante contezza nelle stranezze, limitanti e
devianti, avvenute in parecchie vicende siciliane.
Prendiamo qui ad esempio quanto accaduto nel corso
dell’inchiesta e del processo aventi per oggetto le attività di un folto gruppo
di dirigenti della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina,
tra i quali diversi archeologi (che anni dopo troveremo tra i fedeli scelti o
ammessi, a partecipare al festschrift dedicato all’ex
soprintendente di Siracusa, Giuseppe Voza, come vedremo più avanti). Il gruppo
era sin dal 2003 attenzionato dal GICO (Gruppo Investigativo Criminalità
Organizzata) istituito presso il Comando Nucleo Provinciale di Polizia
Tributaria di Messina, che nella primavera del 2004 aveva trasmesso al
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina dott.
Angelo Cavallo, una voluminosa e ben articolata informativa avente per oggetto
il Procedimento Penale n. 3037/03 RGNR. Mod. 21 (6).
L’informativa contiene il frutto delle lunghe e
complesse indagini (sopralluoghi, intercettazioni telefoniche, interrogatori,
consulenze tecniche e in seguito anche perquisizioni effettuati presso uffici
pubblici e abitazioni private) l’anno addietro. Si tratta di un documento di
notevole interesse storico, dall’effetto devastante per l’immagine della
pubblica amministrazione regionale siciliana, in quanto gli specialisti del
GICO si spinsero a mettere nero su bianco che ritenevano d’identificare nella Soprintendenza
di Messina la connotazione di “organizzazione che riassume le
caratteristiche di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata
alla commissione di vari delitti, a cui partecipano, a seconda dei ruoli
ricoperti…”, che coinvolgeva ben quindici dei suoi funzionari e sette
imprenditori, ai quali nel procedimento si aggiungono anche i nomi di politici
e professionisti, per un totale di 49 persone. E, fatto ancora più grave,
appariva evidente come i funzionari attenzionati, ricoprendo ruoli apicali
all’interno della Soprintendenza, avessero messo “l’intera struttura
al servizio di terze persone esterne alla stessa, al fine di poterne ricavare
utilità fruibili immediatamente o in epoche future”, e “di
fatto barattato l’attività funzionale della Pubblica Amministrazione…
approfittando di una enorme massa di capitali pubblici, messi a disposizione
dalla Comunità europea per la riqualificazione e la valorizzazione delle aree
archeologiche dislocate per tutta la provincia di Messina”.
E via così, illustrando un contesto criminale ai
limiti del surreale, sottoposto a forme di condizionamento da parte di “forze
esterne …(le quali) come ampiamente dimostrato… (avrebbero compromesso) la
determinazione e l’imparzialità dei soggetti preposti e che interferiscono con
il regolare funzionamento dei servizi”. Situazioni “che
sembrano puntualmente ripetersi in diverse aree archeologiche di quella
provincia regionale” al punto che il GICO definisce “un
clima di inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’Ente e di
abuso delle pubbliche funzioni che trovano la loro naturale conseguenza nella
violazione dei beni giuridici che le norme in parola intendono tutelare”.
Le imputazioni individuate a carico di 48 persone,
ovvero del soprintendente, della direttrice della sezione beni archeologici e
di uno stuolo di altri alti dirigenti archeologi e funzionari
tecnico-amministrativi, politici e imprenditori lasciavano poco margine
d’azione alla difesa in quanto accompagnate da prove documentali. L’accusa
di avere allestito una associazione al servizio di un sistema affaristico di
stampo criminale, indussero il prestigioso gruppo investigativo della Guardia
di Finanza a chiedere la carcerazione preventiva per molti di loro, al fine di
impedire l’inquinamento delle prove.
Trascorsero parecchi anni e sembrava che l’indagine si
fosse arenata in un ufficio della Procura di Messina, ma un mio intervento alla
O.L.A.F., l’organismo antifrode europeo con sede a Bruxelles, e i controlli
svolti da suoi investigatori in Sicilia avevano dato una forte scossa alle
indagini, riuscendo parecchi anni dopo a giungere al rinvio a giudizio di una
parte degli accusati (7).
A questo punto il colpo di scena: poco prima
della promulgazione del verdetto, la difesa chiese e ottenne la regressione del
procedimento allo stato di indagini preliminari a causa, fu detto, della
presenza di vizi di forma procedurale. Come spesso accade e forse in questo
caso anche pianificabile, dopo dieci anni di costose attività d’indagine degli
specialisti GICO e OLAF e quelle processuali, sopraggiunse la
prescrizione dei reati per decadenza dei termini di legge. L’evento, a
quel tempo disastroso per l’immagine della giustizia siciliana, era prevedibile
considerate le lentezze e le stranezze che accompagnarono l’intera vicenda già
nel corso delle indagini, quando, ad esempio, agli investigatori fu
incredibilmente negato di effettuare alcune ben mirate perquisizioni, tra le
quali un appartamento e il contenuto di una cassetta di sicurezza sita in una
banca.
Il seguito della vicenda è da manuale di criminologia
applicata alla pubblica amministrazione: il principale indagato per le sue
responsabilità di direttore dell’Istituzione, il soprintendente ai BB.CC.AA. di
Messina, morì precocemente alcune settimane prima della promulgazione del
verdetto di rinvio a giudizio del Tribunale di Messina, e con esso molti
segreti di vicende legate al suo operato e alla sua militanza massonica. Tutti
i funzionari accusati fecero una splendida carriera o andarono tranquillamente
in pensione anni dopo, godendosi le lautissime buonuscite regionali. Alcuni
continuarono ad ottenere, pur da pensionati, persino prestigiosi incarichi
privati dall’Assessorato regionale per i Beni Culturali, Ambientali e
dell’Identità siciliana (quando si dice un nome, una garanzia).
Difatti, una legge emanata ad hoc per i dirigenti già posti in pensione,
persino nel caso di una dirigente archeologa pluripregiudicata per reati contro
il patrimonio culturale, permette loro di stipulare prestigiosi contratti
d’incarico succosamente retribuiti, affinché la Pubblica Amministrazione “continui
ad avvalersi della loro professionalità di alti dirigenti della regione”.
Il percorso giuridico lascia inquietanti interrogativi
derivanti da un insieme fattuale di circostanze d’interesse criminologico, di
curiose coincidenze, di accadimenti che mostrano sorprendenti tempistiche che
hanno vanificato gran parte del complesso e l’imponente certosino lavoro svolto
dagli investigatori. Ma quel che colpisce maggiormente è la totale
mancanza di approfondite indagini che le forze di polizia, fatto molto grave,
non hanno creduto opportuno dare luogo a procedere: l’aspetto d’interesse sia
scientifico che finanziario, quantitativo e qualitativo della irrecuperabile
devastazione di aree archeologiche, della distruzione di dati e reperti
d’interesse archeologico.
Inoltre, l’indagine del GICO avrebbe potuto costituire
una solida base, per iniziare a intraprendere quello che necessitava già dagli
anni 1980, ovvero una indagine coordinata a livello regionale su quelle
tipologie di devastazioni, seguendo appositi protocolli d’urgenza, dislocando
contemporaneamente più squadre specializzate sul territorio e con la
disponibilità di tecnologie investigative d’avanguardia. Sarebbe stata questa
l’unica procedura possibile per perseguire quello che non poteva essere trattato
come un evanescente caso isolato di reati comuni commessi da singoli funzionari
in atti pubblici. La magistratura aveva in mano un’eccellente possibilità per
mettere in luce anche le eventuali evidenze di una rete regionale di organismi
criminali di stampo lobbistico rappresentata nelle logge coperte quali
strutture massoniche di livello superiore, di carattere esclusivo per la loro
composizione sociale, e di chiarirne il ruolo se presenti tra gli
inquisiti.
Si trattava di evidenze che dovevano essere
configurate quali di massima pericolosità per lo Stato e per la Comunità
Europea. Il fulcro delle indagini avrebbe dovuto essere proprio questo, il
meccanismo regionale e le sue “standardizzate” attività svolte al fine di
ottenere la progettazione, di gestire i grandi appalti, di captare e sfruttare
a proprio vantaggio le grandi risorse finanziarie nazionali e della comunità
europea. E invece, appare evidente che gli specialisti del GICO di Messina
furono di fatto bloccati e non ebbero alcuna possibilità di proseguire nel
livello superiore delle indagini.
È stata così soppressa anche ogni possibilità di
effettuare controlli e approfondimenti su illeciti commessi da alti funzionari
e politici negli assessorati della regione; sull’esistenza all’Estero di
depositi di natura tangentizia e di appurare se la Soprintendenza di Messina e
le otto consorelle presenti nelle altre provincie siciliane, fossero solo un
gruppo degli apparati logistici periferico operanti nell’ambito di un
meccanismo regionale.
Anziché arenarsi in indagini a livello provinciale, la
Procura messinese avrebbe dovuto coordinarsi con organismi superiori, quali la
Direzione Nazionale Antimafia e chiedere il coinvolgimento del Reparto
Operazioni Speciali (ROS) Carabinieri e del Gruppo Archeologico della Guardia
di Finanza, in grado di effettuare accertamenti contemporaneamente estesi anche
a livello nazionale. Invece, si preferì procedere in modo blando e inefficace
soltanto nei confronti del gruppo di funzionari della Soprintendenza di
Messina, peraltro non accettando la richiesta del GICO di effettuarne l’arresto
preventivo al fine di impedire loro l’inquinamento delle indagini.
Quando si verificano queste bizzarre metodologie
procedurali che fattualmente delineano un contesto molto problematico, si
lascia ampio spazio d’azione ai vertici delle organizzazioni criminali dal
“colletto bianco”, e soprattutto di coloro che a livello regionale o nazionale
rappresentano il vertice del potere stegocratico, quelli che decidono se e come
intervenire per proteggere gli affiliati indagati. Essi sono onnipresenti nel
caso di vicende che coinvolgono meccanismi regionali, permettendo di fatto di
dissolvere i problemi, tessendo abilmente la difesa, neutralizzando
investigatori, indagini e testimoni.
In questa vicenda, ad esempio, si verificò persino una
fuga di notizie dell’inchiesta in corso, che ebbe come (forse abilmente)
previsto risultato, quello surreale di mettere sotto inchiesta e
successivamente smantellare la squadra di investigatori del GICO di Messina.
Quanto alla OLAF, i suoi poteri sono limitati da quelli tecnocratici della
commissione europea e dagli interessi politici rappresentati nel parlamento
europeo. E qui il cerchio si chiude, in quanto torniamo alla base del problema
costituito dalla potenza operativa di elementi di gruppi locali a livello
transnazionale, ovvero con connessioni in grado da potere coinvolgere il Deep
State europeo, come sembra testimoniare quanto a conclusione della vicenda
venne deliberato a Bruxelles nella sede della Commissione Europea.
Innanzi a questa storia esemplare del diffuso marciume
della pubblica amministrazione, si ha la netta sensazione che lo Stato Italiano
non abbia voluto o potuto intervenire per chiarire se la situazione riscontrata
nella soprintendenza messinese (che è bene ricordare è solo una istituzione
periferica dell’Assessorato ai BB.CC.AA. della regione siciliana) fosse in
realtà solo la punta di un iceberg di dimensioni regionali, di un potente
sistema corruttivo la cui sede decisionale è sconosciuta così come la composizione
del suo vertice e i legami di questo con strutture sistemiche di livello
superiore, nazionale e transnazionali. Ed è altrettanto inquietante il fatto
che ad oggi sia ignoto il ruolo, la composizione e le attività delle attuali
superlogge massoniche che si ritiene presenti in Sicilia e nel resto d’Italia,
tollerate dallo Stato italiano, nonostante si tratti di strutture “coperte” per
proteggere la privacy dei personaggi pubblici che vi hanno aderito e, si
potrebbe presumere, anche le attività che vi sono svolte (8).
Nel caso dell’organismo che gestisce i beni culturali
e ambientali siciliani, la situazione è resa ancor più complessa e preoccupante
dal fatto che si tratta di uno di quegli Assessorati regionali
costituito da organi periferici e centrali fortemente autoreferenziale. Una
condizione tra l’altro favorita dall’atipicità di appartenere a una regione
quale la Sicilia, resa autonoma dalla concessione di uno statuto
speciale.
Il monitoraggio di una tale struttura
politico-tecnocratica potrebbe costituire la chiave per comprendere i
meccanismi di ciò che sembra inevitabilmente accaduto in tutti gli organismi
della pubblica amministrazione regionale: l’infiltrazione da parte di
quello che potremmo definire un complesso network di gruppi operativi al fine
della captazione di risorse finanziarie da assegnare alla Regione Siciliana e
della gestione di queste dal vertice del potere dominante siciliano. Gli
intrecci d’interesse politico-clientelare operati, finanche a livello
provinciale, non potrebbero esistere senza l’assenso e il controllo del sistema
dominante, e questo spiega quanto essi siano necessariamente legati a doppio
filo con quelli dell’imprenditoria isolana degli appalti pubblici.
Per non parlare di quelle grasse operazioni che sono “calate
dall’alto”, In particolare quando si tratta attività lobbistiche di
livello transnazionale o soprannazionale, tramite le quali le multinazionali
conquistano spazi nell’economia isolana, concedendo una partecipazione ai
profitti e forme di assistenza al network locale. E giù di lì, sino a
giungere ai miserabili, quei gruppi di dirigenti pubblici dalle squallide
connivenze omertose tipologicamente omologabili a quelle smascherate dal GICO
nella soprintendenza messinese. Funzionari resi piccole pedine che
ormai si contentano di privilegi da mediocri, quali la concessione di una
carriera dal percorso facilitato all’ombra della protezione di politici,
potentati finanziari e logge massoniche. Una situazione divenuta
notevolmente molto più complessa e allarmante di quella che, trent’anni fa, fu
“rivelata” con la pubblicazione del controverso Memoriale Calcara (9).
In conclusione, i potenziamenti all’interno degli
Assessorati della regione siciliana avvenuti in base alle leggi regionali
emesse negli anni 1975-1977 e seguenti, ebbero come conseguenza la loro
surreale ipertrofica espansione burocratica, divenendo paradossalmente
funzionali a un sistemico programma di controllo delle istituzioni da parte sia
del potere politico-tecnocratico insediato dal potere dominante regionale. In
queste condizioni, vi è poco o nulla da sperare in termini di tutela, ricerca e
salvaguardia dei beni culturali siciliani, essendo allo stato attutale
incompatibile l’instaurazione in futuro di un valido e affidabile organigramma
dirigenziale nell’intera piramide del Dipartimento regionale BB.CC.AA.
Il festschrift in onore del soprintendente e
delle devastazioni operate a Siracusa in Contrada Fusco
“Non è facile trovare le parole e
i toni più appropriati per introdurre questa raccolta di scritti in onore di
Giuseppe Voza”, inizia così la premessa
al festschrift (10), frase che merita un
approfondimento in quanto sia il celebrato che gran parte dei suoi celebranti
sono indissolubilmente legati, in qualità di principali responsabili
del mantenimento della dottrina e di metodologie della ricerca archeologica
superate da oltre mezzo secolo, che hanno causato una enorme distruzione di
beni e conoscenze archeologiche.
Difatti, a causa della imposizione della loro visione
limitata della ricerca archeologica hanno, di fatto, per decenni impedito la
ricerca, gli studi approfonditi, la raccolta di reperti e di evidenze
d’interesse archeozoologico, archeobotanico, paleoantropologico,
geoarcheologico che, per citarne solo alcuni, costituiscono i fondamenti degli
studi paleoambientali, paleoecologici, paleoeconomici. Ancora oggi in Sicilia
questi campi di studio sono rimasti a livello pionieristico o pressoché
inesistenti (11).
A questa sorta di corporazione di archeologi,
reticenti ad accettare e applicare le innovazioni della moderna archeologia
avvenute negli ultimi quarant’anni, il sistema di potere dominante ha concesso,
in cambio di servigi, di potersi trincerare impunemente entro una monolitica
forma di omertà e connivenza.
L’evidenza e le conseguenze di questo patto scellerato
emergono ovunque in Sicilia ed in particolare vi sono almeno quattro vicende
che, se fossero oggetto di approfondite indagini, costituirebbero un
massiccio corpus a testimonianza della magnitudine dei crimini commessi da
quello che potrebbe configurarsi quale un possente network criminale.
Una di queste è la devastazione dei beni archeologici
e paleontologici di Contrada Fusco, sita alla periferia di Siracusa, dove il
soprintendente oggi emerito, il Voza del Festschrift e dei suoi festeggianti,
oltre a operare nel rispetto dell’istituzione da lui diretta, avrebbe dovuto
tutelare i beni e il sito nella sua integrità. Riassumo brevemente la vicenda
della quale fui testimone, nella qualità di archeozoologo nel corso degli scavi
svolti nell’estate 1988 nel corso dei quali, oltre a continuare l’esplorazione
della necropoli, avevano quell’anno messo in luce l’importante area
archeologica monumentale di età ellenistica (12).
Alla fine degli anni 1970, un controverso progetto di
una nuova tratta ferroviaria Targia-Siracusa, viene presentato al vaglio delle
istituzioni preposte al rilascio dei nulla osta necessari al finanziamento
dell’opera. Al tavolo tecnico partecipa anche la Soprintendenza ai beni
culturali e ambientali di Siracusa, che suggerisce una variante del percorso,
pur sapendo che avrebbe in ogni caso comportato la distruzione di parte di una
necropoli di età greca. Si trattava di un’area sita in Contrada Fusco, che difatti
in seguito rivelerà la presenza di circa duemila tombe d’età greca e alcune di
età barbarica, essendo già state in quel luogo rinvenute tracce nel corso di
lavori stradali sin dal 1842 e nel 1868 per l’apertura di una cava di pietra.
Nel 1893, gli scavi condotti dal Soprintendente Paolo Orsi localizzarono ben
393 tombe d’età greca e 69 attribuite a milizie barbariche presenti nella
Siracusa sotto Teodorico e poi nel periodo bizantino.
Negli anni 1980 il progetto viene accettato dalla
Soprintendenza con la condizione che la si lasci dapprima scavare le tombe
presenti lungo la tratta per mettere in salvo i reperti archeologici in esse
contenuti. E questo costituisce un trabocchetto, in quanto nessun archeologo
può essere certo di quel che cela il sottosuolo. Difatti, nel 1988 si constata
che oltre alla necropoli vi sono una serie di monumenti di età romana
repubblicana e ricche tombe ipogeiche barbariche, assieme a altre tipicità che,
a mio parere di archeologo (13), formavano un contesto
decisamente incompatibile con il rilascio del nulla osta.
Senza alcun dubbio, l’area meritava di essere
valorizzata quale museo all’aperto in quanto, scoprii entusiasta, sottostanti
alle tombe d’età greca vi sono ricchissime evidenze di un paleoambiente
lacustre di età infrapleistocenica, contenente straordinarie testimonianze
fossili botaniche e faunistiche preistoriche, queste ultime caratterizzate da
abbondanti resti scheletrici di elefanti, ippopotami e di specie a quel tempo
ignote, databili a circa duecentomila anni addietro. Mi era ben chiaro sin
dagli inizi: avevo innanzi di uno dei più importanti giacimenti
preistorici d’Europa.
Nel mese di luglio avevo informato della scoperta sia
il soprintendente Giuseppe Voza che Beatrice Basile, nella sua qualità di
dirigente archeologa incaricata degli scavi. Ma considerate le risposte di
questi e altri spiacevoli episodi che erano accaduti nel corso degli scavi
nelle successive settimane, nel mese di agosto fui costretto per tutelarmi sia
professionalmente che fisicamente, a doverlo specificare per iscritto persino
per via postale, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno.
Nel profondamente corrotto sistema dei grandi appalti
pubblici gestiti dalla regione siciliana in quegli anni, gli accordi tra
politica, mafia, imprenditoria e quant’altri gruppi di potere appartenenti al
Deep State regionale dovevano essere rispettati. I dirigenti superiori
dell’Amministrazione pubblica ne rispondevano direttamente al loro politici di
riferimento posti al vertice degli Assessorati regionali. Solo un paio di loro
si ribellarono a quel marciume e la pagarono con la vita, tutti gli altri pensarono
alla carriera e alla famiglia, e divennero conniventi. Simili situazioni
avvennero anche all’interno delle forze di polizia e della magistratura.
Agli inizi di settembre 1988 il soprintendente Voza,
nonostante i miei tentativi di convincerlo del contrario, rilasciò il nullaosta
per gli sbancamenti necessari alla realizzazione nell’area della tratta
ferroviaria. E lo fece nonostante vi erano ulteriori aspetti illegali della
vicenda. Nel corso di lunghi anni di scavi archeologici svolti dalla
soprintendenza in contrada Fusco, la parte dell’area di massimo interesse
archeologico e paleontologico, compresa quella monumentale erano costati una
cifra corrispondente a parecchi milioni di euro attuali. Il rilascio del
nullaosta causò lo sbancamento in profondità per permettere la costruzione
della parte terminale di una galleria ferroviaria e il restante percorso in
direzione di Siracusa. Per la sua realizzazione furono spesi illegalmente una
quantità di soldi pubblici, in quanto il primo finanziamento di 105 miliardi di
lire, oggi equivalenti a circa cento milioni di euro, non avrebbe dovuto essere
utilizzato per opere sotterranee in quell’area senza preventivamente conoscere
quali evidenze archeologiche vi fossero lungo la tratta. Una galleria lunga tre
chilometri, inopportunamente realizzata con soldi pubblici senza conoscere
quale sorta di monumenti archeologici vi fossero al suo sbocco e sul tracciato.
E tutto questo senza che nessuna istituzione pubblica
o privata solo fiatasse evidenziarlo. Fu così che lo sbocco della galleria fu
realizzato, tra l’altro ad alcune decine di metri dall’entrata dell’attuale
cimitero di Siracusa, facendo tranquillamente scempio di quanto messo in luce
da scavi archeologici e paleontologici, grazie al nulla osta rilasciato dal
soprintendente Voza.
Un nullaosta anomalo, considerato che il patrimonio
monumentale per il quale le vigenti norme di legge richiedevano la tutela
esercitata dalla soprintendenze, forze di polizia e magistratura, non doveva
essere consegnato all’opera delle ruspe. Alle evidenze sopra citate bisogna
anche aggiungere la scomparsa di una grande grotta naturale costituita da più
ambienti, nei quali ricordo bene che furono rinvenute alcune tombe delle quali
una entro sarcofago plumbeo con ricco corredo e un lungo tratto di camminamento
militare ipogeico.
Le grotte sono difese da specifiche ferree leggi dello
Stato italiano e non possono essere distrutte, o cementificate o in nessun
altro modo alterate in modo permanente, in quanto il fine della tutela è quello
di preservare la formazione carsica e il microambiente in esse contenuto. E questo, nonostante il nullaosta era ben noto
soprattutto al soprintendente e ai suoi dirigenti.
Per ironia della sorte, dopo avere ruspato l’area e
speso novanta miliardi per la gigantesca traforazione atta a costruire la
galleria ferroviaria, le operazioni si fermarono in quanto la nuova dirigenza
delle Ferrovie dello Stato (il Commissario Straordinario Mario Schimberni)
aveva deciso di abbandonare il progetto, avendo constatato che a fronte di 100
miliardi di lire già spesi, oltretutto con modalità inappropriata, l’opera era
ancora ben lontana dalla completa realizzazione.
Fu a quel punto che si attivò il “meccanismo”
regionale che ha il suo culmine nelle dichiarazioni rilasciate alla Stampa dal
Presidente della Regione on.le Rino Nicolosi, il quale alla fine dicembre 1989
dichiara che sin dalla fine di ottobre aveva tentato di fissare un appuntamento
con il ministro dei Trasporti, poi accordato nel mese di gennaio 1990, nel
tentativo di impegnarsi a trovare una soluzione alla vicenda (14).
Nel frattempo al parlamento nazionale sin dall’ottobre
1989, quando il nuovo vertice delle Ferrovie dello Stato aveva compreso in
quale situazione “alla siciliana” si era impantanato nel Siracusano, un gruppo
politicamente trasversale di politici siciliani (probabilmente elementi di
riferimento partitocratico e dell’imprenditoria funzionali allo stanziamento di
risorse finanziarie necessari al “sistema degli appalti”) riesce a
stravolgere il piano statali ideato dal commissario Schimberni del “taglio dei
rami secchi” che indebitavano le FF.SS.) e includere la ripresa dei lavori
ferroviari e persino di nuovi inserendoli nel “piano Bernini” (il ministro dei
Trasporti). L’elemento di spicco di questo gruppo è il Sottosegretario al
Ministero del Tesoro, il democristiano siracusano on.le Luigi “Gino” Foti, del
quale riporto l’interessante frase nella quale spiega che il successo
dell’operazione è “frutto di un elaborato confronto in commissione
camerale, e l’approvazione del piano non lasciano ormai più dubbi” sulla
imminente ripresa dei lavori, attendendosi ormai solo la firma del decreto
ministeriale e l’accettazione del Parlamento siciliano (15).
Furono quindi svolti ulteriori lavori di scavo per il
recupero dei reperti paleontologici lungo una piccola porzione del percorso
della tratta ferroviaria salvatasi dallo sbancamento, affidati a un giovane
laureato in geologia anziché a un team di esperti, come richiesto non soltanto
da me ma anche da alcuni paleontologi delle Università di Palermo e
Messina.
A seguito di una forte protesta organizzata a Siracusa
dal sindacato CGIL alla quale intervennero numerosi operai che testimoniarono
di attività di devastazione di beni archeologici e paleontologici operate
nell’area, nel 1995 la soprintendenza rispose con una controversa mostra di
alcuni reperti rinvenuti. In seguito, tuttavia, lo Stato stanziò le somme
necessarie al completamento dei lavori ferroviari che furono consegnati nella
seconda metà degli anni 1990, ripetendosi quanto era accaduto nel 1988, ma questa
volta l’area divenne transitabile ai treni.
In occasione della mostra allestita nel 1995 della
quale furono principali protagonisti il soprintendente Voza, ovvero colui che
aveva, nella sua qualità di primo responsabile dell’Istituzione, partecipato al
tavolo tecnico per la progettazione della tratta ferroviaria e in seguito
concesso lo sbancamento dell’area archeologica e paleontologica, e la
funzionaria archeologa direttrice degli scavi in contrada Fusco, Beatrice
Basile, che dichiararono surrealisticamente l’intenzione di crearvi un’area
museale all’aperto… pur essendo ormai programmata per essere giornalmente
solcata dal traffico ferroviario (16). I giornalisti la definirono
“la Jurassic Park siciliana”, fortunatamente rimasta a livello di propaganda
autoreferenziale del Deep State alla siciliana.
Il Festschrift della metodica distruzione del
patrimonio bio- e geoarcheologico siciliano e il meccanismo tangentizio
partitocratico
Le prime notizie su quanto avvenuto in Contrada Fusco
riuscirono a filtrare solo grazie all’articolo del giornalista Fabrizio Carbone
che le riassunse in un articolo dai toni scandalistici e imperdonabile
narrazione confusa e imprecisa, pubblicato l’8 ottobre 1989 da Panorama, un
noto settimanale a tiratura nazionale (17). Quando chiesi
spiegazione di tale rovinosa presentazione, riservata ad uno dei più importanti
scempi di beni archeologici e paleontologici della storia d’Italia, tacendo
fatti circostanziati e gravi, il giornalista mi rispose che l’articolo aveva
subito sostanziali tagli e rimaneggiamenti dalla direzione della rivista.
Aggiunse che aveva informato dell’accaduto alcuni dirigenti del partito
comunista, in quanto preoccupato da possibili ritorsioni si stampo
mafioso.
Effettivamente, tempo dopo, ricevetti le telefonate
degli on.li Pietro Folena da Palermo e Nino Consiglio da Siracusa, e dal sen.
Mangiapane da Messina, che mi annunziarono di essersi attivati con altri
colleghi del vertice nazionale e regionale del partito, presentando
interrogazioni alla Camera dei Deputati, al Senato e all’Assemblea regionale
siciliana. Inoltre, dalla redazione del settimanale a tiratura regionale
“L’Ora”, sita a Palermo, ricevetti l’invito a chiarire la vicenda scrivendo
degli articoli e pubblicando una mia lettera.
Come prevedibile l’attenzione crollò progressivamente
in alcuni mesi, e la solidarietà dei politici scomparve: qualcosa era accaduto.
Dagli ultimi mesi del 1990 sino al 1994 soggiornai raramente e per limitati
periodi in Sicilia, dedicandomi a attività archeologiche in vari Continenti.
Dalla metà del 1995, a causa di ulteriori problematiche più volte insorte in
contrada Fusco, fui costretto a lasciare definitivamente l’Italia trasferendomi
in Olanda con la mia famiglia, lontano dalle Soprintendenze siciliane e dal
sistema di poteri di cui erano e sono a tutt’oggi parte.
Riuscii a contestualizzare i fatti accaduti in
contrada Fusco solo otto anni dopo, quando nell’ottobre del 1997 un articolo
del quotidiano “la Repubblica” a firma dei giornalisti Attilio Bolzoni e
Francesco Viviano, rese pubblico il contenuto di un importante documento
testimoniale. Inviato alla magistratura catanese da Rino Nicolosi, ex
Presidente della Regione Siciliana, conteneva la descrizione di quello che lo
stesso politico definiva il “meccanismo” di corruttela politico-imprenditoriale
dominante l’amministrazione regionale siciliana nel periodo 1985-1991
coincidente con la sua presidenza. Si badi bene che nel documento il politico
tace sulla composizione dei livelli superiori del sistema dominante e sulle
modalità di rapporti intercorsi nel periodo della sua presidenza tra la
partitocrazia al governo e la mafia, le obbedienze massoniche e i vertici della
chiesa cattolica presenti nell’Isola.
Con il senno di poi, oggi possiamo supporre che per i
vertici stegocratici siciliani, il documento consegnato da Nicolosi
alla magistratura doveva rappresentare un’eccellente occasione per liberarsi di
quel peso ormai inutile che erano divenuti i vecchi gestori della politica
isolana. Rami secchi che vennero tagliati e eliminati in poco tempo dalle
indagini della magistratura, lasciata libera di agire in quel campo,
determinando la scomparsa dalla scena politica di molte eminenze. La classe
dirigenziale tecnocratica dell’Amministrazione regionale venne risparmiata in
quanto necessaria al nuovo corso del sistema. Tutto era apparentemente
cambiato per mantenere intatto il sistema dominante associandolo a nuove
modalità di gestione e sfruttamento dei fondi statali ai quali in seguito si
associarono anche quelli dell’Unione Europea.
Nicolosi si limitò a descrivere soltanto quel che
conosceva bene, il “meccanismo” politico-clientelare relativo alla spartizione
di enorme somme di denaro proveniente dagli appalti pubblici, fornendo anche i
nomi dei principali politici di riferimento della corruttela partitocratica
regionale. Per quanto concerneva il PCI (partito comunista italiano) il punto
di riferimento del sistema degli appalti era l’impresa edile “Mangiapane”
facente capo alla famiglia del senatore Mangiapane, impresa strettamente legata
alla cordata comunista messinese, dove in qualità di segretaria regionale vi
era Angela Bottari (anch’essa messinese come il Mangiapane). E, difatti,
Nicolosi indica proprio la Bottari quale punto di riferimento politico PCI
(assieme a Adriana Laudani, di Palermo).
Erano questi i “compagni” inseriti nel Mazzo
dei Pupi contenente le eminenze politiche siciliane, rappresentanti i
partiti dell’arco costituzionale, che vengono identificati da Nicolosi quali i
gestori dell’attività di spartizione politico-clientelare di circa 30.000
miliardi di lire per appalti di opere pubbliche nell’Isola nell’arco di sei
anni, dal 1985 al 1991. Come se non bastasse, a questa attività, “dopo un
articolato confronto politico nel PCI”, continua l’ex Presidente Nicolosi,
dal 1989 al 1991 si aggiunse anche l’attività delle cosiddette “cooperative
rosse”, una rete nazionale dedita ad attività illecite di ambito
politico-clientelare comunista, in seguito oggetto di una clamorosa
indagine della magistratura. Altro che paladini della difesa dei diritti
essenziali del proletariato e, tantomeno, delle richieste di punizioni
esemplari da impartire agli autori della devastazione dei beni archeologici e
paleontologici di Contrada Fusco (18).
Al “meccanismo” rivelato da Rino Nicolosi si presumeva
derivassero i tesori tangentizi depositati, dalla seconda metà
degli anni 1970 alla fine degli anni 1980, da vari politici e funzionari
siciliani, e localizzati nel paradiso fiscale delle Isole Vergini da
un magistrato della Procura di Messina, se ricordo bene l’ancora giovane
Giuseppe Verzera. Tra i vari conti spiccava anche quello attribuito all’ex
Assessore ai Beni Culturali e Ambientali della regione siciliana on.le Luciano
Ordile, che i media riportavano ammontare a cinquanta miliardi di lire.
Rinviato a processo, sull’inchiesta calò un impenetrabile silenzio stampa. Era
presumibile che l’intera somma dei depositi tangentizi del sistema isolano
raggiungeva parecchie decine di migliaia di miliardi di lire, considerando che
il solo “tesoretto” a disposizione della Democrazia Cristiana messinese (il
maggior partito di governo di quel tempo) ammontava secondo una inchiesta della
Guardia di Finanza (se ricordo bene, specificato nel fascicolo “Astone e altri”),
a 700 miliardi di lire, che probabilmente attraverso un libero professionista
trasferitosi stabilmente in quell’anno a Milano, finì in un deposito bancario
svizzero a quel tempo inespugnabile dalla magistratura italiana.
Conservo memoria del fatto che nella Messina che
contava, quella degli arricchiti nell’arco di un paio di decenni, in quell’anno
vi era un gran fermento. Non era un mistero che in quelle isole caraibiche,
paradisi fiscali “off-shore” in quanto garantivano l’inviolabilità del segreto
bancario, oltre alla lunga fila di nomi di politici, alti dirigenti e
imprenditori attivi nel “meccanismo”, circolava voce che vi fossero anche
personaggi che non potevano essere compromessi, per cui la vicenda rischiava di
avere un decorso tragico. Cito questi ricordi, in quanto si tratta dello stesso
Ordile lodato dal soprintendente Voza, in una intervista rilasciata in quegli
anni dal giornalista Salvo Benanti, per l’esattezza l’1 ottobre 1989, una
settimana prima che il settimanale Panorama pubblicasse le devastazioni di
Contrada Fusco. Alla domanda “Un assessore regionale con cui si è trovato
particolarmente bene?” il soprintendente risponde “Non ho dubbi,
ho lavorato benissimo con Luciano Ordile…” (19).
Ed è da credergli, anche perché sei anni dopo,
nel maggio 1995, li troviamo ancora assieme, ma questa volta agli arresti
domiciliari, ognuno nella sua bella abitazione. L’accusa stavolta è di aver
commesso illeciti amministrativi (abuso d’ufficio aggravato, peculato e falso
in concorso…) riguardava le modalità organizzative di una mostra culturale in
Giappone in occasione delle Universiadi di Fukuoka tenute nel 1997. La
vicenda è emblematica dell’arroganza di quei poteri politici e burocratici, che
sembra ritenessero di non avere nemici all’altezza di ostacolare le bizzarre e
pasticciate attività che, in tutta autoreferenza, definivano di alto spessore
culturale.
Avevano fondati motivi per credersi invulnerabili, in
quanto tutto si dissolse in breve tempo. Assurdamente, fu il giudice Lorenzo
Matassa del Tribunale di Palermo a divenire l’oggetto di una quantità di
pesanti attacchi da parte del circo mediatico regionale e nazionale, reo di
avere messo ai domiciliari il Voza, e in breve trasferito per molti anni al
Tribunale di Firenze. Calmate così le acque, l’On.le Ordile si eclissò dalla
scena politica regionale. Al proposito è da dire che il troppo rumore di manette
e le pessime figure non sono tollerati dal sistema dominante.
Il soprintendente Voza, viceversa, ne uscì anche
questa volta senza danni per la sua carriera, che continuò tranquillamente a
Siracusa per altri dieci anni. Tuttavia, l’aspetto poco noto della vicenda di
Fukuoka è il grande risalto a quel tempo ad essa dato da tutte le maggiore
redazioni della stampa estera, presentata in tutto il suo squallore, con gravissimo
danno per l’immagine della capacità operativa dello Stato Italiano quale
promotore di simili eventi internazionali. In Francia, ad
esempio, “Le Journal des Arts” titolò, “Forcing à la
sicilienne au Japon. Procès rocambolesque à Palermo” (Forzatura
alla siciliana in Giappone. Incredibile processo a Palermo).
Il titolo allude evidentemente al significato dato nel
linguaggio della malavita, che si riferisce alle tristemente note metodologie
di “Estorsione alla siciliana”. Al quale venne associato, tra altre evidenze,
anche il comportamento dell’assessore regionale al Turismo, quel Luciano
Ordile, politico democristiano già per molti anni sulla poltrona di assessore
regionale ai Beni Culturali, Ambientali e per l'Identità siciliana (nomen
omen)insediato su quella poltrona da ben quindici anni, che alle
domande del giudice, riporta con feroce e divertita ironia il giornale
francese, per una settimana continuò a chiudersi nella tipica risposta
malandrina in stretto dialetto siciliano: “Nun saccio niente”…
(20).
Fu un secondo duro colpo per il Voza in quanto
era la seconda volta che lo arrestavano. Difatti, alcuni anni prima, su
richiesta del pubblico ministero del Tribunale di Siracusa Dott.ssa Angela
Petroiusti, la mattina dell’11 dicembre 1993 era stato per la prima volta
tratto in arresto dai militari della Guardia di Finanza. Trasferito nel carcere
cittadino, vi fu trattenuto ospite per una settimana, in regime d’isolamento
assoluto, ovvero di divieto di colloquiare persino con i difensori per sette
giorni. Un provvedimento evidentemente ritenuto precauzionale ai fini della
salvaguardia del corretto svolgimento delle delicate indagini.
Tuttavia, la magistratura siracusana fu oggetto di
forti pressioni, operate con l’ausilio di una campagna mediatica a sostegno di
un appello sottoscritto da colleghi del Voza (come avvenne anche in occasione
del suo arresto nel 1995, essendo coinvolto nel sopra citato colossale scandalo
internazionale avvenuto in Giappone). Il soprintendente su dapprima scarcerato
e poco tempo dopo tutto finì nel nulla anche quella volta. Secondo l’accusa
formulata nel 1993, Voza avrebbe negli anni favorito le attività di due piccoli
imprenditori titolari di ditte di costruzioni e pulizie, affidandogli lavori
pressoché in esclusiva utilizzando il meccanismo del cottimo fiduciario, un
classico nelle soprintendenze siciliane di quegli anni.
I finanzieri avevano rinvenuto tracce di quello che
sostenevano essere prove fattuali in documenti risalenti sin al 1987. Le accuse
andavano dalla turbativa d’asta all’abuso di atti d’ufficio e al falso. A
seguito di un appello sottoscritto da ben 148 autorità nel campo della cultura
nazionale e internazionale, inviato all’Assessore regionale ai beni culturali.
Nel suo articolo del 16 dicembre Gianni Bonina, cronista del quotidiano
“La Sicilia” si spinge a scrivere una frase illuminante sulla vera posta in gioco
in quella vicenda, in quanto egli afferma che nell’appello “si
sottintende un larvato richiamo all’autorità giudiziaria che
continua a tenere in isolamento un uomo la cui rimessione in libertà non
costituirebbe alcun pericolo per il mantenimento dell’intangibilità delle
prove” e così gli studiosi firmatari “confidano che al collega
vengano risparmiate nell’iter giudiziario forme che tornano a mortificazione
dell’immagine che Voza ha sempre custodito, per il prestigio dell’archeologia
siciliana, nel mondo della cultura”.
I potenti o ex potenti che levano gli scudi per
difendere in primo luogo la categoria e sostenere il Voza, onde non
finisca per vuotare il sacco su quanto indubbiamente doveva conoscere su quello
che quattro anni dopo l’ex Presidente della Regione Siciliana, Rino Nicolosi
chiamò il “meccanismo” degli appalti. Gli inquirenti lo sapevano: era
il metodo collaudato con successo in quegli anni dal magistrato Antonio Di
Pietro e altri delle procure dell’Italia “nordista”. Se il potente
soprintendente fosse crollato e avesse accettato di collaborare con gli
inquirenti, avrebbe potuto fare luce su quasi un ventennio di rapporti
affaristici tra politica, vertici della pubblica amministrazione regionale,
imprenditori, massoneria, mafia e forsanche alcune attività delle missioni
archeologiche straniere in Sicilia note in alcuni uffici dei Servizi italiani
della Difesa.
Il documento è quindi interessante in quanto indica
chi si sia immediatamente attivato per rassicurare del sostegno il
soprintendente, anche se il provvedimento di richiesta di arresto era già
trapelato dall’ufficio dei militari. Difatti, la notizia salendo di grado
arriva al militare massone, che in loggia la comunica a sua volta a chi di
dovere e la notizia viene servita “fraternamente” all’interessato. Anche questo
era un classico dell’andazzo di quegli anni lontani (adesso, invece…).
Tra quei potenti che ci persero momentaneamente il
sonno, in pool position troviamo i firmatari dell'appello: Antonino Di Vita,
sicilianissimo direttore della Scuola Italiana ad Atene; Luigi Bernabò Brea e
Paola Pelagatti quali ex soprintendenti per la Sicilia Orientale; Giovanni
Rizza, Ernesto De Miro e Nicola Bonacasa quali direttori degli istituti di
archeologia delle tre università siciliane di quel tempo, rispettivamente
Catania, Messina e Palermo. A questi seguono Mauro Cristofolini dell’Università
di Napoli; Attilio Stazio, presidente dell’Istituto per la Magna Grecia di
Taranto; Fausto Zevi dellUniversita' La Sapienza, Roma; i professori Gullino,
Traversari e La Rocca rispettivamente delle università di Torino, Venezia e
Pisa. Dall’Estero si associarono Carl Nylander, Presidente dell’Unione
internazionale degli istituti di Archeologia; George Vallet titolare degli
scavi di una missione francese da molti anni attiva nel Siracusano, e alcuni
elementi dell’Accademia delle scienze di Monaco di Baviera (21).
A seguito della sua presenza tra i firmatari di questa
lettera, chiusi con una drastica telefonata il mio ventennale rapporto di
amicizia con Luigi Bernabò Brea.
Riflettendo su queste e altre vicende, nel 1997 ero
pervenuto alla convinzione che l’intervento effettuato otto anni addietro dagli
esponenti politici comunisti avesse avuto finalità tutt’altro che amichevoli.
Una finzione d’apparenza, usata per sondare quanto conoscessi delle illegalità
amministrative svolte nel cantiere di contrada Fusco (notizie che
provvidenzialmente tenni per me, nella vana attesa di essere chiamato a
testimoniare dalla magistratura), e per stabilire le contromisure da adottare
in base alla valutazione del mio grado di potenziale dannosità per il
“meccanismo” regionale, del quale erano tra i principali attori quantomeno due
degli esponenti comunisti con i quali ero venuto in contatto. Mi resi conto,
con forte amarezza, che le interrogazioni presentate in sede Parlamentare erano
per lo più un espediente per fare credere, alla collettività profana, che tra i
partiti dell’arco costituzionale esistesse una opposizione alle attività dei
colletti bianchi, del quale invece proprio il PCI costituiva parte connivente
attiva.
In realtà, sin dai tempi del segretario
nazionale Enrico Berlinguer (un’altra icona dietro la quale nascondere qualcosa
di losco, in questo caso, i panni sporchi della nomenklatura partitocratica),
all’incirca dagli inizi degli anni 1970, pezzi di quel partito erano andati
sempre più alla deriva. Avrei dovuto comprendere, ma non avevo ancora le chiavi
di quel livello di conoscenza, che le interrogazioni all’Assemblea Regionale e
alla Camera dei Deputati erano parte della finzione di routine e non avrebbero
avuto alcun seguito investigativo.
Nel 1993 fu il Deputato dell’Assemblea regionale
siciliana Francesco (“Franco”) Piro, elemento di spicco del movimento politico
“La Rete” presieduto da Leoluca Orlando, a presentare una serie di
interrogazioni indirizzate al Presidente della Regione siciliana e
all’Assessore regionale ai Beni Culturali e Ambientali, per avere delucidazioni
sia sulla vicenda di Contrada Fusco e sia sulla verifica di quanto avevo
dichiarato in una serie di articoli, pubblicati su quotidiani di tiratura
regionale, circa l’esistenza di metodiche distruzioni del patrimonio
bioarcheologico siciliano. Le risposte dell’Assessore regionale arrivarono
stringate e basate solo su informazioni di parte, ovvero di carattere
autoreferenziale, ricevute dal personale dirigente della Soprintendenza
siracusana. Anche in quel caso, Piro (con il quale a quel tempo affrontammo
diverse battaglie in difesa dei beni culturali e ambientali), mi rivelò che
esponendo i fatti all’Assemblea regionale aveva avuto la sensazione di essere
stato rimbalzato da un enorme, inamovibile, muro di gomma, in un ambiente
caratterizzato da una palpabile cappa di omertà in grado di attutire il clamore
di qualsiasi iniziativa di contrasto.
Nonostante tutti questi sforzi, e l’evidenza delle
devastazioni, sperimentai con tristezza che nessuna delle associazioni
ambientaliste o in difesa del patrimonio culturale, volle intervenire
favorevolmente nella vicenda. Erano tutte fortemente politicizzate da quella
“nuova” Sinistra che aveva fiutato l’enorme tornaconto in termini di immagine.
Scoprii che il sistema siciliano aveva stabilmente incluso loro rappresentanti
nel consiglio regionale dei beni culturali e ambientali, e in altre simili
commissioni di controllo e legislative, e che le attività di queste
associazioni o dei singoli professionisti ad esse legate, venivano spesso
finanziate con fondi regionali siciliani. Un conflitto d’interessi camuffato o
comunque una situazione che presentava zone d’ombra che non lasciavano ben
sperare sulla correttezza del loro operato. Da parte sua, la magistratura non
fu in grado o non ritenne opportuno convocarmi nella qualità di testimone per
un approfondimento dei fatti da me presentati, nel corso del 1988, in due
esposti presso la sede del Comando Carabinieri di Siracusa diretta da Emilio
Borghini, se ben ricordo aveva ancora i gradi di capitano (22).
Quando alcuni anni dopo, nel 1991 o 1992, incontrai
casualmente il Borghini adesso con i gradi di colonnello, in un ufficio del
Tribunale di Palermo, avemmo una breve conversazione durante la quale mi
aggiornò brevemente sull’esito del sopralluogo effettuato assieme in contrada
Fusco nel settembre 1988: mi aveva segnalato alla procura di Siracusa quale
testimone affidabile. Nient’altro. Nel gennaio del 2019 il giornale “Il
Fatto Quotidiano” mise in evidenza la presenza del Col. Emilio Borghini e
del Cap. Giovanni Arcangioli quali i due ufficiali di più alto grado del gruppo
di carabinieri fotografati a Palermo il 19 luglio 1992, in una precisa area
della scena che si presentava poco dopo il mortale agguato ai danni del giudice
Paolo Borsellino e della sua scorta. L’articolo cita le dichiarazioni di Angelo
Garavaglia, esponente e attivista del movimento “Agende Rosse”, autore
di un’accurata analisi di quel triste evento, nella quale egli pone in evidenza
la necessità di appurare quale ruolo avesse avuto quel gruppo di carabinieri,
soprattutto in relazione alla scomparsa dell’agenda rossa del giudice.
Difatti, inquirenti e giornalisti considerano
altamente probabile che l’agenda fosse contenuta in una borsa prelevata dal
Cap. Arcangiolo all’interno dell’auto di servizio usata dal magistrato, e
trasportata nell’ufficio del questore Arnaldo La Barbera. Sembra che l’agenda
contenesse informazioni raccolte dal giudice Borsellino su varie vicende di
alta criminalità avvenute in Sicilia, tra le quali la cosiddetta trattativa
Stato-Mafia nella quale si riteneva fossero implicate alte cariche dello Stato
e dell’Arma dei Carabinieri (23).
Se dovessero emergere ulteriori notizie su questa
strage, dietro la quale si nasconde il vero volto del potere invisibile che
domina le Istituzioni statali visibili ai profani, quella zona d’ombra dove
Stato e Deep State coincidono, si potrebbe forse giungere ad avere un quadro
anche su cosa sia realmente accaduto anche in vicende quale quella di contrada
Fusco.
Mi riferisco in particolare agli interventi operati da
personaggi appartenenti alla Pubblica Amministrazione e a elementi appartenenti
a apparati preposti alla difesa del Deep State nazionale, inteso quale entità
operativa d’élite del potere invisibile dello Stato e del vertice dei poteri
transnazionale e soprannazionali del Blocco Occidentale. È a strutture
periferiche di questi organismi, che si devono imputare parte delle attività di
delegittimazione di testimoni o personaggi comunque scomodi, distruggendone
metodologicamente la vita privata e professionale, se necessario anche a
livello internazionale. Le loro modalità operative sembrano seguire un
protocollo, contenente una scala progressiva d’interventi programmata sulla
base di differenti tipologie punitive: depistaggio, disinformazione,
controinformazione, propaganda, opinione pubblica, ignoratio elenchi,
argomentazione (argumentum ad ignorantia, argomentum ad baculum, argomentum ad
hominem, ecc.), manipolazione dei mass media, macchina del fango, distruzione
della reputazione, (e, infine) assassinio del personaggio.
Dovetti aspettare sino all’agosto del 1995 affinché
quanto accaduto in Contrada Fusco venisse professionalmente approfondito da due
giornalisti “dalla schiena dritta”. Erano accadute delle novità e sollecitati
dalle coraggiose pubbliche dichiarazioni, rilasciate nel corso di una
manifestazione da sindacalisti e operai che avevano lavorato sin a quell’anno
nel cantiere di contrada Fusco, il direttore dell’Ente Fauna Siciliana, Bruno
Ragonese e l’ambientalista (tutt’altro che filo-governativo) Ettore Rizza, pubblicarono
un lungo e circostanziato articolo sulla rivista bimestrale “Grifone”, edita
dall’Ente. Il titolo andava dritto ai fatti: “Fusco, una distruzione enorme,
incredibile, irreparabile. Non deve restare impunita”. L’articolo riporta
integralmente anche una mia lunga lettera, contenente chiarimenti richiesti
dalla redazione in qualità di testimone dello svolgimento di alcuni fatti
accaduti nel 1988 e seguenti (24).
Per quanto concerne l’area comunale di Messina
desidero ricordare i miei interventi sui quotidiani locali per tentare di
fermare le ruspe che sventrarono l’importante complesso residenziale di età
romana e bizantina, denominata dai locali giornali Villa di Santa Melania; i
ritrovamenti durante gli scavi edili nell’area del Tribunale di Messina.
Infine, la devastazione con ruspe, la cementificazione e l’illegale deposizione
di materiali chimici (alcuni non identificati) e altri materiali di risulta nel
sotterraneo di un importante castello medievale appartenente agli imperatori
della dinastia sveva, avvenuta tra il 2005 e 2006 in una importante parte
dell’area archeologica e paesaggistica di Monte Belvedere di Fiumedinisi, in
provincia di Messina: responsabili il Comune di Fiumedinisi e diversi
funzionari della sezione archeologica della soprintendenza di Messina, molti
dei quali segnalati dal GICO nel 2004 per parecchie altre vicende accadute in
provincia di Messina.
È profondamente deprimente constatare che si tratta di
decine di vicende tutti rimaste puntualmente impunite, pur essendo tra l’altro
associate a gravi danni all’erario. Oggi non resta che avere fede nella
possibilità che almeno in un futuro, nonostante gli inquinamenti e le perdite
di evidenze che la vicenda ha purtroppo subito nel corso dei decenni, le prove
raccolte possano sopravvivere tra mille difficoltà. E che possano essere utili
a una nuova classe dirigente siciliana desiderosa di affrancarsi dal pesante
passato, mettendo in luce e analizzando criticamente le vicende criminali
ricorrenti nella gestione dei beni archeologici dell’Isola almeno sin dagli
anni 1960. Forse solo allora si potrà fare pulizia di certe onorificenze,
emesse in discutibile autoreferenza da istituzioni dello Stato infiltrate o
attivamente conniventi di cordate politico-affaristiche, a favore di personaggi
appartenenti a gruppi di potere imposti e protetti dal sistema dominante per
sostenere il mito dell’affidabilità tecnocratica delle sue
creature: furono squisite eccellenze miracolosamente attive e potenti in un
sistema marcio, oppure emeriti criminali, “pezzi da novanta” giunti alla
vecchiaia impuniti e privi del senso dello Stato?
Festschrift e “Cerchio magico”
In lingua tedesca, il termine “festschrift” è usato
per indicare un insieme di scritti prodotti da un gruppo di persone, molti dei
quali ex colleghi o personaggi appartenenti ad altre istituzioni operanti nello
stesso settore lavorativo, generalmente al fine di festeggiare la carriera di
un pensionato da essi ritenuto onorabile. Nel caso qui esaminato, si tratta di
una iniziativa organizzata in Sicilia da un comitato promotore e sostenuta dal
lavoro dei curatori del volume, le cui attività, come da essi stessi
evidenziato in questo esempio alla siciliana, sono state monitorate
dalla moglie del festeggiato (25).
Il festschrift con il quale coloro che,
ritenendo apprezzabile la carriera di Giuseppe Voza, ex soprintendente ai Beni
Culturali e Ambientali di Siracusa, hanno in tal modo inteso celebrarla (26),
sono tutti anche se a vario grado, degni d’interesse per eventuali futuri studi
sull’insieme di gruppi di potere, definiti “cerchi magici” dalla recente
terminologia d’uso mediatico. Si nota difatti la presenza di personaggi che
hanno dominato e purtroppo condizionato o precluso il corretto sviluppo di
tutte le attività archeologiche siciliane nel corso degli ultimi cinque
decenni, grazie ai molteplici legami con, o alla appartenenza a, quadri medi
del potere dominante (27).
Il primo quesito che dobbiamo porci su questa sorta di
comunità dai caratteri lobbistici autoreferenziali, composta da
tecno-burocrati, accademici e politici, verte sull’improbabilità fattuale che i
partecipanti non avessero coscienza di perseguire quel che può essere definito
un protocollo cerimoniale, tra l’altro già ben collaudato per altri personaggi
con carriere simili a quella del celebrato, scandito da rituali e da eccessi di
drammatizzazione del tradizione “liturgica”.
Difatti, la prima fondamentale manipolazione del magus consiste
nel rituale di perimetrazione del “cerchio magico” (28), ben
evidenziata dalle limitazioni imposte ai curatori del festschrift. Ne troviamo
esempio nella scelta dei fedelissimi, delle tematiche dei loro contributi, e
l’esclusione di quella ventina di discipline proprie delle scienze naturali,
tra le quali persino l’archeozoologia, l’archeobotanica, la paleoantropologia,
e la geoarcheologia (tra i più importanti le evidenze provenienti dallo studio
dei paleosuoli e delle microstratigrafie, le analisi petrografiche, ecc.). Un
amplissimo settore della ricerca scientifica che permette di giungere a
risultati importanti degli studi paletnologici, paleoecologici e
paleoeconomici, già da parecchi decenni ritenute tra i fondamentali campi
d’interesse dell’archeologia moderna di indirizzo antropologico nella sua più
ampia accezione (29).
La loro esclusione da questo festschrift corrisponde,
per fare un esempio comparativo in campo astronomico, alla pretesa di poter
compilare una esauriente mappa lunare semplicemente fotografandone un decimo di
quella visibile usando una vecchia camera fotografica. Cosa si direbbe se
accadesse davvero? Questa mancanza nel festschrift riflette quanto accade in
Sicilia da molti decenni ai siti archeologici in fase di scavo, con
l’aggravante che una volta eseguito non vi è una seconda possibilità di usufruire
di quelle evidenze che non sono state raccolte. Come pagine di un libro
bruciate dopo averlo sfogliato con scarsa attenzione. È questa
macroscopica lacuna dottrinale, a primo acchito, la più importante e drammatica
testimonianza tramandata ai posteri da questo festschrift, evocante direttori
di scavo che hanno preferito ignorare il dovere imposto dalla moderna
metodologia archeologica sin dagli anni 1970, di formare valide équipes
specialistiche all’altezza di seguire standard professionali sia nello svolgimento
degli scavi e che degli studi.
Pur di non rinunziare al potere autoreferenziale
concesso dal cerchio magico regionale e tipicamente siciliano di quegli anni, i
vecchi baroni dell’archeologia locale ed i loro “followers” hanno di fatto
mantenuto sino a alcuni anni orsono metodologie di studio e ricerca pressoché
identiche a quelle del diciannovesimo secolo, attraverso sterramenti atti al
recupero di manufatti artistici con i quali agganciarsi a fonti storiche. Un
problema purtroppo ancora attuale in alcune aree della Sicilia, continuando a
determinare danni inestimabili nei siti archeologici proprio da parte di
archeologi presenti nelle università e nelle soprintendenze isolane (30).
Scorrendo l’indice dei celebranti e il tema dei loro
contributi al festeggiato, comprendiamo quindi di essere innanzi all’opera di
uno di quei “cerchi magici” dell’archeologia che considerano le discipline bio-
e geoarcheologiche non come campi fondamentali della ricerca archeologica, ma
quali “scienze applicate all’archeologia” e quindi “ancillari” come
spesso da ragazzo sentivo ripetermi da Luigi Bernabò Brea, uno dei loro eroi
mitizzati. Il festschrift costituisce quindi un importante documento
storico fornendo l’elenco (purtroppo parzialmente incompleto a causa di
parecchi deceduti o per l’assenza coloro che non hanno voluto o potuto
partecipare), di quanti sono stati ideatori o a vario titolo conniventi delle
distruzioni di importanti beni culturali (e in alcuni casi anche ambientali)
dello Stato e che non saranno mai processati per quanto effettuato
nell’esercizio delle loro rispettive pubbliche funzioni con grado
dirigenziale.
Procedendo nell’osservazione critica, notiamo
un’ulteriore importante evidenza che permette di contestualizzare questo
festschrift. Chi si è posto all’interno del “cerchio magico” ha manifestato di
accettare il credo e le regole stabilite dal magus che lo ha
tracciato intorno a sé, anche quale luogo-Entità protettiva propria e dei suoi
fedeli che attendono alle sue attività, entrati dopo avere dato prova della
loro affidabilità. Considerando le finalità e le circostanze che accompagnano
l’opera di chi si pone al vertice di questi gruppi, il termine magister non
può qui essere utilizzato in quanto inappropriato (31).
Nei cerimoniali celebrativi che scandiscono e
caratterizzano il programma di questo festschrift, i fedeli sono chiamati a
manifestare la loro fiducia e stima nel celebrato. Questa attività possiede
anche una valenza occulta, una manipolazione magica nota agli iniziati, ma
generalmente completamente ignota alle giovani leve dell’archeologia, quelle
non ancora ammesse nei circoli esoterici nei quali militano con vario grado e
fortuna la maggior parte dei pubblici dirigenti archeologi.
È quindi qui opportuno chiarire che la manipolazione
sopra citata è, in quell’ambiente, ritenuta in grado di condurre alla
liberazione di energie atte a fortificare il magus (ricordando
che la somma abilità del magus è quella di apparire in pubblico, e persino a
parte dei suoi fedeli, quale un magister pur sapendo di non
esserlo), la sua immagine, e consolidare la coesione del suo gruppo. Accettando
gli effetti (non sempre) benefici della circolazione di “flussi di energie”
attraverso l’axis, nella fattispecie tra la base del gruppo e il magus e
viceversa, si celebra e si consolida anche la posizione dei fedeli all’interno
di questo sistema chiuso di potere.
In termini magico-esoterici, il momento della chiusura
del perimetro del cerchio determinante sia l’isolamento protettivo da quanto
esistente all’esterno di esso e sia la determinazione del campo operativo,
costituisce un atto di definizione di aspetti qualitativi e quantitativi
simbolicamente equivalenti a quelli dell’apposizione di un sigillo.
La produzione dei festschrift in onore di funzionari
pubblici, appartenendo alla tipologia di cerimonie contenenti attività di
condizionamento mentale della società, quando svolte in queste particolari
cerchie hanno ripercussioni positive per il sistema dominante, sia a livello
regionale che nazionale. Esse sono ben accette dal potere costituito, in quanto
funzionali al continuo sforzo da questo dedicato per infondere nella
collettività il gradimento, la fiducia e il rispetto della classe dirigenziale
della pubblica amministrazione, a beneficio dello Stato e quindi a pieno
vantaggio del vertice stegocratico. È questo il motivo principale del forte
impegno profuso nella divulgazione, tramite i media, di simili cerimonie
celebrative, includendo anche funerali e ricorrenze, in onore di
personaggi-icona da parte delle principali testate giornalistiche del
sistema.
Non è un caso che, negli ultimi decenni, in ambito
comunitario europeo strutture simili ai “cerchi magici”, qualsiasi sia stato il
loro campo di azione nelle filiere governative, sono stati spesso realizzati a
ridosso di gruppi di potere dalla forte connotazione Deep State, quale ritengo
probabile sia avvenuto nel caso del “monolite dei Beni Culturali”
siciliano.
La celebrazione di un tecnocrate veterano da parte di
questi cerchi magici, qui intesi quali gruppi di base e officine di sostegno e
legittimazione autoreferenziale del sistema dominante regionale, è un evento
che ha altresì la funzione di rendere pubblici i nominativi di giovani
elementi. Si tratta di collaboratori esterni distintisi, anche per la loro
provata affidabilità, nel corso delle loro attività nel “monolite”
dell’Amministrazione regionale o statale (in questo caso quello regionale
siciliano dei Beni Cultuali e Ambientali). La maggior parte sono parenti
stretti o di altro grado relazionale affettivo o clientelare (pacchetti di voti
elettorali, amanti, scambi “do ut des” tra personaggi appartenenti ai
vertici dirigenziali di istituzioni statali o regionali). Dalle loro fila
verranno negli anni selezionati coloro che entreranno nell’organigramma
dell’amministrazione regionale e a tempo debito, eventualmente, in quelli superiori
della piramide dirigenziale del potere regionale o di quello nazionale. D'altronde,
una prassi iniziatica simile avviene nella filiera del potere
politico-tecnocratico, dove i prescelti sono chiamati a ricoprire alcuni dei
massimi vertici istituzionali dello Stato.
Ad un diverso livello delle finalità dell’evento,
appartengono le manipolazioni delle quali le giovani leve generalmente hanno
affatto o minore consapevolezza, al pari delle masse profane, pur avvenendo
quotidianamente sotto gli occhi di tutti. L’attività di condizionamento qui
consiste nella continua alterazione della conoscenza di quanto accade
nella società, attraverso la negazione di ogni dato oggettivo, che ha la
conseguenza di cancellare la memoria sul reale svolgimento di vicende accadute
nel passato. Viene in tal modo generata nella popolazione una ignoranza della
realtà per rafforzarne il potere, privandola di termini di confronto dannosi al
sistema.
E qui torniamo al problema evidenziato da George
Orwell ben settant’anni orsono nel suo romanzo “1984", e alla sua
“intuizione profonda”, visionaria, dell’esito finale del processo
manipolatorio: il trionfo della memoria alterata in ogni singolo individuo, in
modo da essere uniformata a quella del sistema dominante che lo
scrittore chiama il Partito Totalitario, il cui vero
immenso potere è il controllo della società veicolato da una tirannia
stegocratica (32).
Da quanto sembra trasparire o possibile intuire dai
risultati delle recenti vicende giudiziarie e inchieste giornalistiche, le
manipolazioni operate nell’ambito regionale siciliano dei beni culturali
appartengono alla fascia media del network dei gruppi del sistema dominante
nazionale, nei quali ogni gruppo possiede specifiche competenze e campi
d’interesse, a seconda i quali militano anche politici e alti funzionari
statali, affiancati da accademici locali o d’Oltralpe che operano o hanno
operato in Sicilia. Nell’Isola, il gruppo dei beni culturali appare
caratterizzato da una forte tendenza a perseguire, ormai da diversi decenni, la
costruzione di una sorta di tempio virtuale ove vengono venerate le immagini,
profondamente rimaneggiate di alcuni personaggi appartenenti a diverse
generazioni di alti funzionari dell’amministrazione regionale o del mondo
accademico, dipinte quali d’inossidabile onestà intellettuale e mirabili servi
dello Stato, fulgidi esempi da imitare.
L’edulcorata narrazione mitologica prodotta a sostegno
di questa sorta di pantheon virtuale è affidata alle
testimonianze di amicizia e rispetto tributate dalle gerarchie di sodali e
novelli discepoli che concorrono a costituire un monolitico “racconto
veritiero”. Il contesto è quello della perpetuazione del mito eroico ove il
celebrato, esaltando il curriculum vitae di veterano tecnocrate appositamente
costruito nel “sistema” autoreferente (che lo ha protetto in cambio della
fedeltà connivente), giunge a essere descritto per quel che necessita al suo
sistema di appartenenza, ovvero quale dotato di qualità umane e meriti
scientifici che onorano coloro che fanno parte di quella comunità.
Di queste vitalità (intese quali manifestazioni di
energie vitali) si fregiano e si nutrono i suoi fedeli, i celebranti il
festschrift, tramite la loro partecipazione qui prescelta, o accettata, e
comunque condizionata all’affettuoso monitoraggio della moglie del
celebrato come rivelano gli estasiati curatori, quasi fossero le comparsate di
uno dei filmati che un tempo la signora produceva nella “Moana
Cinematografica” (33). Nell’accettare il potere di questa
atipica figura muliebre condividente il potere del celebrato in quanto stretta
parente, studiosi e burocrati le si sottomettono gratificati dall’essere stati
identificati e scelti quali appartenenti al gruppo elitario, ritenendo di avere
in tal modo aumentato anche il proprio prestigio all’interno del monolite dei
beni culturali regionali e, in questo caso, del settore archeologico.
Nonostante la presenza di questi aspetti surreali da repubblica bananiera,
l’evento riesce a divenire un utile documento storico, la radiografia di quel
cerchio di potere tramandata ai posteri, dove i partecipanti ingaggiati nella
costruzione di un mito divengono essi stessi parte della narrazione mitologica.
Anche per questa evidenza, l’intera operazione merita ulteriori
riflessioni.
Festschrift e narrazione del potere dominante
Osservata dall’esterno, estrapolandola dal suo
ambiente autoreferenziale che da decenni domina tutte le attività
dell’archeologia siciliana, la vicenda mostra gli aspetti grotteschi di quelle stravaganti
situazioni dove sono presenti stonature tipicamente siciliane, quasi fossero
una esasperazione in chiave attuale di tematiche antiche, già evidenziate da
Luigi Pirandello in alcune sue novelle, opere teatrali andate in scena sin dai
primi decenni dello scorso secolo (34).
Ecco quindi “Il berretto a sonagli”, dove
troviamo la teoria delle tre corde presenti nella mente di chi in Sicilia deve
viverci (la seria, la civile, e la pazza), e la descrizione delle loro modalità
d’uso per sopravvivere in quella realtà sociale. E la novella “Certi
obblighi”, anch’essa tradotta in opera teatrale, dove un tale difende
l’immagine del suo prestigio sociale, definita Il Pupo, dietro la quale sono
nascoste tutte le gravi, inconfessabili, realtà di ognuno di coloro che hanno
raggiunto posizioni di potere. Il personaggio è assillato dal bisogno di
mantenere integra quella falsa onorabilità costruitagli attorno dal sistema che
lo sostiene e al contempo lo sfrutta, appunto come un pupazzo, per i propri
propositi.
Nelle vicende attuali possiamo allargare l’esempio
anche a quei sodali celebranti il pirandelliano Pupo dalle tre corde del
momento, in quanto tramite riti e cerimoniali quali quelli presenti nel
festschrift, scelgono di ricevere la protezione, gli onori e le gratificazioni
finanziarie, ovvero il potere tanto ambito, in cambio di connivenze attive o
passive necessarie a testimoniare l’affidabilità della loro omertà corporativa.
Una qualità indispensabile in tutti i sodalizi di quel tipo, compresi i “club
service” della borghesia (35).
Pirandello, che cent’anni fa conosceva quanto fosse
facile, e lo è ancor più oggi, di essere colpiti dall’anatema della morte
civile, si guardò bene dall’esporre personaggi appartenenti ai gruppi del
Potere dominante nella Sicilia del suo tempo. Limitandosi alla descrizione di
situazioni, le sue commedie riescono tuttavia a offrire interessanti spunti per
contestualizzare vicende accadute negli ultimi decenni. Ne calzerebbero a
pennello parecchie nella Sicilia dai tanto decantati quanto devastati e abusati
beni culturali e ambientali.
Per quanto riguarda Siracusa, necessita riesumare
dall’oblio quella mai degnamente approfondita dalla magistratura o dalle forze
dell’ordine, concernente gli scavi archeologici e paleontologici svolti in Contrada
Fusco. Una vicenda che da sola, se correttamente investigata, avrebbe
potuto fornire una chiara idea dei meccanismi voraci e distruttori che
caratterizzano la piramide di potere che sin dall’ultimo quarto dello scorso
secolo ha soffocato l’economia e impedito un sano sviluppo del tessuto della
società siciliana.
A veder meglio, oggi gli aspetti più comuni nelle
vicende dove il potere dominante si manifesta, sono l’arroganza e la
prevaricazione perpetuate a danno delle masse e dei beni appartenenti alla
collettività. Ormai un modus vivendi, normalizzato dalle
manipolazioni psicologiche delle masse, che caratterizza una delle attività del
network del potere dominante in Sicilia, di quei gruppi che spesso necessitano
celarsi dietro maschere e miti di personaggi simili a quelli pirandelliani,
fatti Pupi benemeriti, al riparo dei quali tessere i loro affari. Coloro che,
investiti del potere inquirente, riescono a condurre senza gravi intoppi i
dovuti approfondimenti di queste vicende, sono destinati a pervenire alla
opprimente sensazione di non poter mai cessare di metterle in luce, a causa
della diffusione e quantità di intrecci che saltano fuori indagando in ogni
direzione, trovandovi talora collegamenti anche internazionali e, in alcuni
casi, risalenti a decenni addietro.
Oggi, per tentare di conoscere il lato oscuro di quel
che è accaduto negli ultimi decenni del secolo passato, pur con il mero fine di
comprendere il presente, possiamo solo ricorrere ai lavori di quegli
intellettuali definiti “eretici” dai loro contemporanei. Di coloro che si
rendevano rei di eresia contro il pensiero dominante, avendo esaminato in modo
metodologico e razionale i fatti, mostrando ai semplici come interpretare cosa
vi fosse dietro gli accadimenti di quegli anni, e poter illuminare con l’intuizione
visionaria gli occulti aspetti del potere.
Bisogna ricorrere alle circostanze delle cause di
morte, dalla sociale sino a quella fisica, per comprendere quanto il potere
costituito tema gli “eretici” e li elimini dopo averli screditati,
delegittimati e isolati, seguendo la metodologia della dottrina inquisitoria
che agendo sul fisico mira a estirpare quelle qualità proprie della mente
eretica. Secondo Sciascia, queste qualità sono la dignità intellettuale e la
potenza della libertà; quel che Pasolini definiva il potere di esercitare
pienamente “l’esame critico dei fatti” (36). Ed è davvero
singolare come questa qualità sia avversata sia dalla “chiesa di Pietro” che da
quella “di Giovanni”, ovvero dalla chiesa cattolica e dalle massonerie,
dichiarando di essere state un tempo vittime di quelle tirannie oligarchiche
che inizialmente aspiravano a contrastare e alle quali oggi sono
ancillari.
Con la pubblicazione del racconto “Todo Modo”,
Leonardo Sciascia già nel 1974 aveva lasciato intravedere gli aspetti delle
cinque Entità che a quel tempo componevano il i livelli medio-alti di quella
parte del potere dominante visibile alle masse. Mediante un congegno
descrittivo d’immagini e situazioni allegoriche, sono impietosamente esposte
realtà di dinamiche appartenenti agli anni 1960 e 1970, spingendosi a presagi
o intuizioni profonde di un futuro funesto non solo
all’oligarchia politica, imprenditoriale e religiosa, ma anche a quella
intellettuale sia di “sistema” che “eretica”. Avendo chiaro quanto stava
accadendo, o sarebbe accaduto sino al tragico tracollo della Prima Repubblica,
riuscì a preconizzare l’avvento di quella nazione che oggi constatiamo in parte
progetto già realizzato e in parte “in progress”(37).
È in “Todo Modo” che Sciascia evidenzia alcuni
aspetti dell’efferatezza criminale di quel contesto che preferisce definire il
“sistema costituente”, talora accompagnandoli da simbologie occulte
(ovvero da livelli di lettura riservati agli iniziati), financo alla carica
autodistruttiva dei poteri che erano entrati in grave e violento conflitto di
interessi nell’Italia degli anni 1970 (così come accadde ancora nella prima
metà degli anni 1990). Due anni dopo la pubblicazione del romanzo, nel 1976,
queste tipicità furono drammaticamente evidenziate da Elio Petri nel suo film
ispirato all’opera di Sciascia, al punto di conservarne il titolo quale chiave
interpretativa di primo livello. Così come lo scrittore, anche Petri si astenne
dal contestualizzare l’evento nell’ambito delle volontà del vertice dei poteri
dominanti i Paesi del Blocco Occidentale, i suoi personaggi tacciono
l’esistenza non solo di un vertice stegocratico dei poteri transnazionale e
soprannazionali, ma anche di quella quinta colonna a esso legata e posizionata
all’interno del vertice della Sinistra italiana già negli anni 1960. Eppure,
Petri riesce a indurre lo spettatore a percepire la presenza di un potere
superiore i cui Pupi sono la mafia, gli apparati dello Stato e le altre Entità
esposte negli anni 1990 da quanto semplicizzato nel Memoriale Calcara (38).
Negli anni 1990 quale conseguenza della dissoluzione
della classe politica sovietica, la Sinistra filo-statunitense probabilmente
infiltrata agli inizi degli anni 1960 nel quadro della nuova politica
progettata nei potenti “think tank” accademici attivati ai tempi dei
fratelli Kennedy, grazie ai quali la lobby democratica riuscì a divenire la
forza politica di riferimento del potere transnazionale occidentale. Fu un
capolavoro dell’Intelligence americana, probabilmente sostenuto da massicce
attività “psyops” di cui si hanno tracce negli archivi statali
statunitensi e nelle inchieste italiane pertinenti a gravi interferenze operate
da apparati di altri Paesi dell’Alleanza Atlantica (39).
Costituita da varie forze reclutate nella sua
variegata galassia di partiti, gruppi e movimenti (con l’aggiunta di personaggi
pervenuti da altre forze del Centro), iniziò un dialogo anche con una parte
delle eminenze della Chiesa Cattolica, in particolare dalla Compagnia di Gesù
(meglio noti quale l’ordine dei Gesuiti) al cui fondatore Sant’Ignazio di
Loyola, riconduce il titolo del libro di Sciascia, ovvero la chiave di lettura
del “Progetto” operativo transnazionale.
La lontananza dai bisogni del proletariato da parte
dell’élite della Sinistra partitocratica, già emersa quale uno dei fondamenti
della lotta al sistema indetta dal cosiddetto terrorismo rosso, ritorna oggi in
tutta la sua realtà di imperdonabile tradimento delle aspettative delle masse,
ormai trascinate nella povertà e in una nuova forma di schiavismo, avendo perso
i diritti civili guadagnati in quasi duecento anni di lotte operaie e
contadine. Abbandonate al loro destino, sono oggi alla mercé di un nuovo potere
nazionale, di fatto sottomesso alle volontà del Nuovo Ordine Mondiale
teorizzante il liberismo duro della Nuova Destra emergente dal caos, dalla fame
e dalla disperazione.
Il fatto che, nel solo arco di mezzo secolo, è stato
smantellato quello che sembrava il monolitico sistema politico-affaristico
della “prima repubblica”, eliminando i capi e le cordate ad essi fedeli, ma non
la classe tecnocratica, è un dato fattuale che ben difficilmente potrebbe
essere presentato quale casuale. Probabilmente, nei Paesi appartenenti al
Blocco Occidentale è in corso un piano di ampi e profondi cambiamenti
dell’intera gamma non solo degli aspetti socio-economici, ma antropologici
nell’accezione più ampia del termine affinché il potere, rigenerandosi, possa
tramandarsi saldamente nelle mani del vertice stegocratico capitalista.
Evidentemente programmata minuziosamente, con perfetta
tempistica dove svettano coincidenze talora davvero inquietanti, l’operazione
registra sviluppi incontrastati che permettono un’accelerazione lineare
uniforme dello svolgimento. Una situazione che sembra ormai incontrollabile, al
punto da essere prevedibili gravi ripercussioni sulla stabilità finanziaria e
quindi sociale non solo dell’Unione Europea, ma dell’intera area appartenente
al Blocco Occidentale, intravedendosi nell’arco di alcune decine di anni la
possibilità di una drastica deriva degli attuali assetti
politico-governativi (40).
È questa la realtà che, pur esondando come un fiume
impetuoso, scorre quasi inosservata dalle masse e puntualmente oscurata,
all’occorrenza, dalla tempestività di un qualche bizzarro assassinio; pandemie
originate da ricerche scientifiche borderline svolti in
laboratori delle superpotenze; scandali a luci rosse; festschrift celebranti
falsi miti.
Ecco quindi l’inquietante clan familiare siciliano di
Pupi capipopolo di pirandelliana memoria, provenienti dagli allevamenti della
vecchia politica che da pezzenti li trasformò in milionari, oggi riciclatisi
nella versione di Liberatori dell’Isola ai quali la copertura stegocratica
permette esternazioni eversive, superare impunemente decine di processi e
l’atipica veloce ascesa a alte cariche pubbliche mirando alla Presidenza del
Parlamento siciliano. A coronare questo caos pilotato, è l’insediamento di una
abilmente confezionata tecnocrazia resa insindacabile e quindi impunibile, in
quanto predestinata a Entità superpartes, a surreale quanto
improponibile emblema di onestà professionale e di fedeltà ai valori della
Repubblica italiana.
Gli ingredienti ci sono tutti, sembra di essere
tornati al periodo dell’Allied Government in Sicilia dal 1943 al 1945, alle sue
operazioni di “de-sovranizzazione” degli apparati pubblici, a quel controverso
sistema di allestimento della nuova classe dirigente che lo accompagnò assieme
alla riapertura delle logge massoniche e del Rotary Club, quali istituzioni
funzionali al controllo del potere militare Alleato e in seguito dell’Alleanza
Atlantica. La successiva emanazione della Costituzione della Repubblica
Italiana, appare quale un vademecum di buoni propositi non validi nei confronti
del Deep State, quello argutamente definito da Sciascia il “potere
costituente”, al quale oggi possiamo aggiungere “transnazionale e di quello
nazionale da questo creato”, riferendoci alla sede del vertice
decisionale e ai suoi Pupi indigeni.
Il mito dell’Intellighenzia tecnocratica
siciliana
In Sicilia, come d’altronde nel resto d’Italia, i
caratteri strutturali dell’organizzazione Deep State e di quei gruppi operanti
quali organismi periferici con specifiche funzioni operative nel territorio,
sono ancor oggi “Terra Incognita”. Sin dai tempi dell’assassinio del
poliziotto italo-americano Joseph “Joe” Petrosino, avvenuto a Palermo nel
lontano 1909, nessun investigatore, per quanto abile, è mai riuscito a vivere
abbastanza da raccogliere le evidenze fattuali che permettano di mappare e
descrivere il network dei poteri forti, compreso quello massonico, su cui si
fonda il vertice stegocratico.
Attualmente, chi in Sicilia procede a proprio rischio
nella conoscenza della reale organizzazione sociale nella quale vivono oltre
sei milioni di abitanti, possiede soltanto la possibilità di effettuare
un’attività di osservazione di eventi ai quali i media di sistema hanno dato
risalto, tenendo tuttavia presente che ciò può verificarsi soltanto quando sia
ritenuta funzionale a specifiche finalità del potere dominante. Ad esempio, nel
caso dei vari aspetti presenti nelle modalità di realizzazione del festschrift
confezionato in onore di un anziano alto funzionario della Regione Siciliana al
quale, per lunghi decenni, è stato permesso di mantenere la mansione di
soprintendente ai Beni Culturali in un’area problematica dell’Isola quale
quella Orientale, è sempre osservabile la presenza di meccanismi di
manipolazione e esaltazione delle attività svolte. È difatti l’attenta
osservazione e l’analisi degli accadimenti e del loro contenuto nei molteplici
livelli di espressione simbolica, che permette di comprendere i meccanismi e le
finalità dell’operazione nell’ambito funzionale e strutturale del sistema
dominante.
Come abbiamo visto, dietro la necessità di organizzare
il festschrift vi è sempre una scala di finalità che conducono i celebranti a
seguire le indicazioni dettate dagli organizzatori per lo svolgimento di
specifici cerimoniali e il sistema dominante a vagliarlo e propagandarlo. Ed è
questa una delle rare circostanze, mediante le quali, un cronista può
apprendere fondamentali informazioni su ciò di cui da un punto di vista
energetico questo tipo di “cerchio magico” e il sistema di cui fa parte si
nutrono per sopravvivere. Una importante nozione che deve essere tenuta
presente dagli investigatori, anche nel caso della pratica di altre tipologie
di rituali talora persino “efferati” svolti da particolari cerchie di fedeli,
non so dire se presenti o meno anche nel cerchio magico qui attenzionato, dove
tuttavia possiamo presumere che la principale finalità dell’intera operazione è
lo scambio di poteri, che necessita di offerte energetiche di elevato
livello.
Nella realizzazione del festschrift oltre agli atti
cerimoniali pubblici, costituenti nella forma un insieme simile a quello
liturgico puntualmente “osservato” dal vertice dei celebranti, è possibile
constatare come mediante una offerta di energia psichica (gli scritti, anche se
qui deliberatamente limitati ad alcuni campi della ricerca archeologica) si
voglia referenziare: a) l’appartenenza a una élite; b) la
purificazione e la mitizzazione dell’intero operato del celebrato, perpetuando
il credo nell’esistenza di alti funzionari animati dai valori della Repubblica
Italiana; c) l’attività di costruzione “in progress” di una
“narrazione dominante” dove entro un contesto auto-referenziale vengono
esposte le qualità e i poteri delle Istituzioni pubbliche coinvolte (Stato,
Regione Siciliana, Assessorato Regionale, Soprintendenza) e della sua élite,
eliminando le evidenze fattuali negative.
La costruzione del mito dell’intellighenzia (41) tecnocratica
siciliana, così come nel caso diametralmente opposto del “character
assassination” (42), avviene mediante la produzione di un
insieme di atti con i quali il Deep State, avendo potuto tessere lentamente e
per lunghi decenni le sue trame, è ormai in grado di condizionare lo Stato
nella disattenzione generale, persino nella programmazione delle spese
pluriennali. Come se fosse divenuto una inevitabile forma parassitaria cronica,
alla quale si è abituati a dare poca o nessuna importanza, pur essendo
effettiva la gravità delle conseguenze (43).
Nel caso del personaggio qui attenzionato, oltre alla
costruzione e protezione del curriculum dirigenziale, è intervenuta anche la
nomina di Cavaliere dell’Ordine Nazionale al Merito rilasciata da uno dei più
controversi presidenti della repubblica francese, François Mitterrand, noto
massone e esoterista (44). Nonostante l’esistenza di macchie
indelebili nella carriera professionale del soprintendente Voza, quali i
decenni di conduzione di scavi e studi deliberatamente del tutto privi di parti
fondamentali delle moderne metodologie e tecnologie della ricerca scientifica
archeologica, comportando gravi perdite di beni culturali, e le devastazioni
permesse nell’area archeologica e paleontologica di Contrada Fusco a Siracusa,
nel 2004, lo Stato italiano si spinse a onorarlo con il titolo di
“soprintendente emerito di Siracusa”, e il Consiglio Comunale di Siracusa lo
nominò cittadino onorario (45).
L’insieme dei fatti, se inquadrati nell’ambito
delle cronache siciliane degli ultimi cinquant’anni, sembra indicare uno di
quei personaggi che nonostante diversi “incidenti di percorso” venuti alla
luce, sia ormai riuscito a raggiungere lo status riservato ai dirigenti
pubblici “intoccabili” e, infine, “venerabili” propri del monolitico pantheon
dell’amministrazione regionale siciliana. Tuttavia, si osserva che malgrado la
costruzione del curriculum propedeutico alle raggiunte finalità, questo dirigente
non ritenne prudente accedere a una rilevanza di grado superiore, ovvero alla
cerchia tecnocratica operativa a livello governativo nazionale, come invece
avvenne nel caso del Soprintendente Sebastiano Tusa negli ultimi anni
precedenti alla morte (46).
Note
1) E a
quanti con medesimo coraggio e lealtà allo Stato italiano parteciparono alle
sue pionieristiche e pericolose indagini, fondate sulla scoperta di un
intreccio di rapporti tra personaggi di primo piano appartenenti a logge
massoniche italiane, organizzazioni criminali di alto livello, partiti politici
e alta finanza, operativi anche in ambito internazionale. Primi raggi di luce
su un occulto sistema di potere in grado di condizionare pesantemente le
attività primarie dello Stato italiano.
2) Ne ho
scritto ampiamente sin dal 2009, dapprima con brevi interventi a margine su
alcuni blog in lingua italiana di studiosi dell’argomento, iniziando nel 2012 a
pubblicare articoli su diversi siti on-line, tra i quali nel 2014
coscienzeinrete.net. Dal giugno 2018 aprii un mio sito in lingua italiana e
inglese presso un host statunitense (thereportersblog.com, non più attivo);
infine dal 18 giugno 2020 ad oggi sul presente blog thereporterscorner.com dove
iniziai a pubblicare nuove inchieste e a ripubblicai parte dei vecchi articoli,
accompagnandoli da aggiornamenti.
In un recente libro-intervista dal titolo
eloquente (Alessandro Sallusti & Luca Palamara, 2022, Lobby &
Logge. Le cupole occulte che controllano il “Sistema” e divorano
l’Italia, Rizzoli, pp. 1-251), vi è una frase messa il evidenza in
quarta di copertina: “Esiste un sistema invisibile in cui nuotano
faccendieri, servizi segreti più o meno deviati, logge più o meno semplicemente
lobby che usano la magistratura e l’informazione per regolare conti, consumare
vendette, fare affari”. Trovo che la definizione ignori deliberatamente,
forse per non spostare l’attenzione del lettore, quali siano agli inizi del
ventunesimo secolo le reali condizioni di quello che, in termini di occupazione
militare, può essere oggi denominato il Precinto Italia. Una situazione ben più
complessa e articolata di quella descritta dai due autori del libro, in quanto
mantenendosi nell’ambito nazionale risulta ormai ovvia la sudditanza dei
network regionali a strutture di potere appartenenti a livelli superiori
(nazionali e transnazionali), che permettono d’ipotizzare l’esistenza di una
organizzazione soprannazionale, strutturata piramidalmente e dal vertice
stegocratico, funzionale all’imponente meccanismo di controllo e sfruttamento
costituito dal Dopoguerra ad oggi, presumibilmente ideato per giungere ad un
monolitico e incontrastato potere dominante totalitario del Blocco Occidentale.
Una delle quattro o cinque Entità a vertice oligarchico che tra alcuni decenni
si contenderanno il dominio delle risorse del pianeta.
Per tale ragione preferisco non adoperare il
termine Lobby&Logge, anche se circoscritto alle vicende dove sono visibili
e identificabili gruppi di poteri regionali e nazionali appartenenti al network
di livello medio della “Piramide Occidentale”.
Nel 2019, il massone Gioele Magaldi e la
giornalista Laura Maragnani nel loro “Massoni. Società a responsabilità
illimitata. La scoperta delle UR-Lodges” (Chiarelettere ed., pp. 1-656)
hanno definito le UR-Lodges, logge massoniche di livello superiore, “coperte”
da massima riservatezza per i personaggi vi sono ammessi e per le attività che
vi si svolgono. Anche in questo caso non credo che si tratti di un termine
esaustivo per definire l’intera piramide del sistema dominante e in particolare
i rapporti indiretti tra il gruppo al vertice e gli innumerevoli gruppi di
base. Tuttavia, il termine aiuta a configurare la presenza di un network di
Entità lobbistiche transazionali di elevata pericolosità criminale, in grado di
destabilizzare intere nazioni, o di ricattarle costringendole a sottostare alla
massiccia sottrazione di energie vitali.
3) Orwell G.,
2012, 1984, Mondadori ed., traduzione in lingua italiana
dall’originale inglese, edito nel 1949 da Secker&Warburg. Si tratta di un
romanzo probabilmente ispirato a vicende reali, a uno scritto e a un autore
forse realmente esistiti.
4) Orwell
G., 2012, 1984, op. citata in nota 3.
5) https://www.zoom24.it/2017/01/31/massoneria-ndrangheta-lex-gran-maestro-goi-intuizione-cordova-oggi-realta-41585/
6) la grave
vicenda è stata approfondita nell’articolo: “La Tecnocrazia e il Sistema di
Potere in Sicilia, Parte IV. Come evitare un processo per associazione a
delinquere e divenire la direttrice di uno dei più importanti parchi
archeologici d’Europa”, dapprima pubblicata il 13 agosto 2019 dal mio sito
on-line “The Reporters Blog”, oggi non più attivo, e dal 19 Giugno 2020 sul
presente blog “The Reporter’s Corner”: https://www.thereporterscorner.com/2019/08/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html
7) Per
consultare il procedimento: Office Européen de Lutte Antifraude, Bruxelles
(O.L.A.F.): Case OF/2007/0022; e l’articolo “La Tecnocrazia e il Sistema di
Potere in Sicilia. Parte IV. Come evitare un processo…”, op. citata in nota
6. Ritengo illuminante constatare che al proposito del processo avvenuto
dopo l’intervento degli investigatori O.L.A.F., nessun mezzo stampa ha ritenuto
opportuno renderne noto l’esito.
Dei rinvii a giudizio esistono scarne notizie
pubblicate dal settimanale: Centonove, il 13/11/2009, a firma di Michele
Schinella: “Messina, l’inchiesta: archeologi col ricarico. Travolti da una
inchiesta giudiziaria i funzionari della Soprintendenza. Sono sospettati di
avere attestato il falso consentendo così alle imprese di gonfiare il
fatturato. I nomi degli indagati e i siti nel mirino”. E da Stampa Libera,
sito on-line fondato e diretto dal giornalista Enrico Di Giacomo (fratello di
Caterina Di Giacomo, dirigente presso la soprintendenza di Messina, anni dopo
divenuta Direttrice del Museo Regionale di Messina) l’articolo venne pubblicato
a firma della redazione il 4/11/2009 “Appalti alla Soprintendenza di
Messina: decisi sette rinvii a giudizio. Atti al PM per nove indagati, nuova
udienza per due”.
8) rimando
all’importante risultato delle indagini svolte dalla polizia tedesca di
Karlsruhe concernenti una misteriosa superloggia operativa a livello
internazionale (Supranational Ur-Lodge). Floriana Bulfon e Giulio Rubino, 22
Gennaio 2018, La mafia è un modello da esportazione: così le cosche si
sono radicate in Germania”, in “l’Espresso”:
http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/01/16/news/la-mafia-e-un-modello-da-esportazione-cosi-e-sbarcata-in-germania-1.317090
(consultato il 30 luglio 2018). Per le implicazioni di questa vicenda in
Sicilia leggasi anche Villari P., 12 settembre 2018, Sicilia.
Riflessioni sui recenti decessi di due dei migliori investigatori della polizia,
dapprima pubblicato on-line sul sito “The Reporter’s Blog” (non più attivo) e
dal 19 settembre 2020 trasferito sul presente “The Reporter’s Corner”
https//thereporterscorner.com
9) per
approfondimenti e note bibliografiche rimando al mio articolo “Strutture
operative transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un
criminologo sull’Arca di Noah”, un tempo pubblicato su The Reporters Blog
il 27 luglio 2018 sia in lingua inglese che italiana (non più consultabilile
on-line), e dal 18 Giugno 2020 trasferito sul presente blog: https://thereporter
10) AA.VV.,
2020, Siracusa, la Sicilia, l’Europa: scritti in onore di Giuseppe Voza,
Torri del Vento Ed., Palermo.
11) Invito
il lettore a consultare quanto ho espresso nella Premessa, pp.3-4 della
monografia archeozoologica Villari P., 1995, Le faune della tarda
preistoria nella Sicilia Orientale, Ente Fauna Siciliana, Siracusa, pp.
1-493; in appendice al romanzo Villari P., 2013, L’indagine orfica,
Archaeological Centre ed., Assendelft, terza edizione, Riflessioni sul
“sistema” dell’archeologia siciliana, pp.311-324, (aggiornamento della
prima edizione novembre 2006); e nel mio articolo “La distruzione del
patrimonio bioarcheologico italiano: alcune considerazioni tecniche d’interesse
criminologico sull’operato della Regione Siciliana” pubblicato il 7
Febbraio 2014 nel sito “Coscienze in Rete” e con aggiornamenti apportati in
data 18 giugno 2020 consultabile anche su https://thereporterscorner.com
12) purtroppo
mi venne impedito un approfondito studio degli splendidi reperti pleistocenici
e delle centinaia di carotaggi di paleosuoli che misi in luce nell’estate 1988
in contrada Fusco. Devo al Prof. Giovanni Costa, a quel tempo Direttore del
Dipartimento di Biologia dell’Università di Catania, l’invito a pubblicare
nella prestigiosa rivista “Animalia”, fondata dal suo predecessore e nostro
comune amico Prof. Marcello La Greca, lo studio archeozoologico dei resti
rinvenuti nello scavo di una delle strutture monumentali di Contrada Fusco, a
quel tempo erroneamente specificatami dalla direttrice dello scavo quale un
Ninfeo sacro ad Apollo datato al IV secolo a.C. e anni dopo da questa corretta
al III-II secolo a.C. Il monumento venne ruspato assieme ad altri per la
controversa costruzione dello sbocco della galleria ferroviaria della tratta
Targia-Siracusa. Carbone F., 8 Ottobre 1989, In treno sui fossili,
in “Panorama” settimanale di attualità, p. 67, Milano; Villari P., 1991, Resti
faunistici dal Ninfeo del Fusco, Siracusa, in Animalia, vol.18, pp.
163-174.
13) titolo
specialistico conseguito con il massimo dei voti nel 1984, presso la Scuola
Speciale dell’Università di Pisa.
14) Salvo
Benanti, 30 dicembre 1989, Cintura ferroviaria impegno di Nicolosi,
in “La Sicilia”, pag. 14.
15) Salvatore
Maiorca, 1 febbraio 1990, “Questione ferroviaria ora tocca alla Regione,
in “La Sicilia”, pag. 14.
16) La
dirigenza della soprintendenza riprendeva una mia ipotesi d’intervento “Per
un parco paleontologico” pubblicata integralmente sei anni addietro dal
giornale “L’Ora” edito a Palermo, Sabato 16/Domenica 17 dicembre 1989, pag. 6.
In quell’anno il progetto aveva ancora un senso, ma certamente non nel 1995,
avendo le ruspe devastato il sito e la tratta ferroviaria tranciato il sito!...
L’intervista rilasciata dal personale dirigente della sezione archeologica di
questa soprintendenza costituisce un triste esempio di manipolazione dei fatti
operato con arrogante prevaricazione del sistema dominante nell’ambito dei beni
culturali e ambientali. Giuseppe Aloisio, Un parco-museo sogno
realizzabile, in Prospettive Siracusa, Rivista economica mensile della
Camera di Commercio Industria Artigianato di Siracusa, Anno XIV, n. 4, settemre
1995, pp. 11-13.
17) Carbone
F., 8 Ottobre 1989, In treno sui fossili, op. citata in nota
12.
18) https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/10/08/nicolosi-accusa-ras-della-sicilia.html
19) Salvo
Benanti, 1 ottobre 1989, Il soprintendente festeggia le nozze d’argento
con Siracusa, in “I Fatti della Domenica”, pag. 8.
20) Le
Journal des Arts, 1 novembre 1997, n.30
https://www.lejournaldesarts.fr/actualites/forcing-la-sicilienne-au-japon-99947
21) Alcuni anni
dopo la Petroiusti, a seguito di una tentata strage in tribunale di Siracusa
(una bomba sotto la poltrona della giudice) sventato, secondo la dichiarazione
degli inquirenti, da un sottufficiale della Guardia di Finanza, venne
trasferita “per motivi di incompatibilità ambientale” al Tribunale di Firenze.
La stessa località fu riservata a quel tempo anche al giudice Lorenzo Matassa
del Tribunale di Palermo, scontrandosi anch’esso con il Voza per averlo messo
agli arresti domiciliari in relazione alla vicenda delle irregolari
esportazioni di preziosi reperti archeologici in Giappone per il valore di nove
miliardi di lire. Effettivamente, la coincidenza è inquietante e richiederebbe
un approfondimento, anche a livello di rapporti di equilibrio di poteri tra
logge massoniche di livello superiore appartenenti alle due fratellanze dette
“giuridica” e “sapienza”. Per le notizie sull’arresto e sui firmatari, si
leggano gli articoli di Aldo Mantineo, domenica 12 dicembre 1993, Erano
sempre le stesse ditte a eseguire i lavori, in La Gazzetta del Sud, pag.
13; Gianni Bonina, Voza subito in libertà, giovedì 16 dicembre
1993, in “La Sicilia”, pag. 14.
22) Anzi,
nell’inverno 1988-1989, seguendo il consiglio dell’ufficiale che temeva
realistica la possibilità che si verificassero problemi provenienti da frange
della criminalità siracusana, forse in relazione a quanto rivelato su di esse
dal settimanale Panorama, fui costretto ad allontanarmi momentaneamente dalla
Sicilia. Vissi nel profondo disagio la precauzione di dovere cambiare alloggio
con una certa frequenza tra Toscana, Veneto e Lazio. Non fu piacevole perdere
l’amicizia di numerosi colleghi, terrorizzati dalla possibilità di subire
ritorsioni, essendo a quel tempo molto potente quella sorta di entità
corporativa costituita dagli accademici e dei burocrati dell’archeologia
siciliana all’interno dell’allora Ministero per i Beni Culturali, del Consiglio
Nazionale delle Ricerche e nella Scuola Archeologica Italiana ad Atene.
Nel 1989 iniziai quindi a lavorare in Perù, per
studi e campagne di scavo che allargai a Cile e Polinesia sino alla fine del
1991, quando tra i moai dell’Isola di Pasqua fui raggiunto da
una rocambolesca comunicazione della polizia cilena, che m’informava di essere
ricercato dalle forze di polizia italiane, non era specificata alcuna
motivazione.
Giunto in Italia, mi recai al Tribunale di
Messina dove scoprii che si trattava della denunzia inoltrata da due archeologi
dirigenti della Soprintendenza di Messina. La notizia criminis consisteva in
alcune frasi da me rilasciate nel corso di una intervista concessa a un
quotidiano locale, dove descrivevo i loro scavi archeologici per quel che
erano: affidati ad assistenti addirittura privi di titoli professionali,
nonostante l’importanza e la ricchezza di evidenze archeologiche di quei siti.
Inoltre, i due classici burocrati non avevano impiegato tecniche di
campionamento moderne, quali la fondamentale flottazione o persino la semplice
setacciatura dei sedimenti, e una lunga serie di altre dannose e intollerabili
incompetenze. Nel 1992 sopraggiunse la separazione dalla famiglia creata nel
1980 in Italia. Quell’anno trascorsi parecchi mesi per effettuare uno studio
presso il Servizio Archeologico Statale Olandese, poi mi trasferii a Roma per
lavorare in una struttura dell’Ordine di Malta e infine dal settembre di
quell’anno presi domicilio a Genova per lavorare presso l’Istituto Italiano di
Archeologia Sperimentale diretto da Santo Tinè. L’anno dopo questi venne
costretto da forti pressioni ricevute da personaggi che non volle mai
specificare (alle mie domande rispose imbarazzato “Ci sono cose e nomi che è
meglio non sapere”), chiedendomi di sospendere la mia presenza a Genova,
pur rimanendo membro dell’Istituto (“in attesa di tempi migliori”).
Negli anni successivi non vi fu un solo luogo di lavoro, all’Estero, dove entro
sei mesi non venivo rintracciato e screditato professionalmente a causa di
pressioni provenienti da personaggi rimasti ignoti o che, in un caso, conoscevo
solo di nome.
Nel 1993 venni estromesso, senza ricevere alcuna
motivazione, dal secondo convegno nazionale dell’associazione degli
archeozoologi italiani, che si tenne a Siracusa, pur essendo il pioniere degli
studi archeozoologici siciliani. Non volli più partecipare alle attività di
quella associazione, lasciando anche decadere il mio status di associato. Nel
1995 mi dimisi dall’associazione degli archeozoologi europei il cui vertice era
ormai finito nelle mani di un sistema accademico formato da soli laureati in
scienze umanistiche. Alla fine, agli inizi del 1996 decisi di dedicarmi a
fondare una ditta dove svolgere sotto copertura investigazioni nel settore
archeologico sotto copertura in contatto con alcune forze di polizia europee.
Quando da Genova, agli inizi del 2000 il prof. Santo Tinè mi telefonò in Olanda
per chiedermi se fossi interessato alla cattedra di archeozoologia disponibile
in una università della Campania, fui felice di dover declinare l’offerta con
la buona scusa di essere da tempo affetto da una malattia progressivamente
invalidante. Riporto tutto questo per fare comprendere cosa comporti scontrarsi
con le ottusità del sistema costituito siciliano.
23) https://ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/01/22/quei-dueufficiali-e-la-scomparsa-dellagenda-rossa74914134.
24) Bruno Ragonese
e Ettore Rizza, 27 agosto 1995, “Fusco: una distruzione enorme, incredibile,
irreparabile. Non deve restare impunita” in “Grifone”, bimestrale dell’Ente
Fauna Siciliana, pp. 4-6.
25) rimando
alle note 10 e 33.
26) In ordine di
apparizione constatiamo presenti: le tecnocrati Licia Vlad Borrelli e Maria
Teresa Currò Pisanò; gli archeologi Massimo Cultraro, Maria Bernabò Brea,
Sebastiana Lagona, Lorenzo Guzzardi, Sebastiano Tusa (deceduto in un incidente
aereo, in termini esoterici “caduto dall’alto”, l’anno precedente alla
pubblicazione del volume), Anita Crispino, Rosa Maria Albanese Procelli,
Massimo Frasca, Michel Gras, Rosa Lanteri, Dario Palermo, Madeleine Cavalier,
Umberto Spigo, Maria Costanza Lentini, Gioconda Lamagna, Concetta Ciurcina,
Rosalba Amato, Paola Pelagatti, Filippo Giudice, Giovanna Maria Bacci, Pier
Giovanni Guzzo, Maria Musumeci, Giovanni Di Stefano, Malcom Bell, Ernesto De
Miro; il numismatico Giuseppe Guzzetta e infine il politico Fabio Granata. In
seconda fila, troviamo la Tabula gratulatoria, ovvero coloro che si
sono limitati a inviare congratulazioni, dove troviamo: i tecnocrati Sergio
Gelardi e Marco Salerno; gli archeologi Beatrice Basile, Maria Grazia
Branciforti, Rosalba Panvini, Andrea Patanè, Francesco Privitera, Salvatore
Rizza, Vincenzo Scuderi; la numismatica Maria Caccamo Caltabiano e l’architetto
Paolo Paolini.
27) Rimando
a quanto ho espresso in nota 11.
28) per
usare un linguaggio matematico qui scevro di conoscenze della tradizione magica
cerimoniale, il simbolo del cerchio corrisponde alla rappresentazione piana di
un sistema chiuso di forma sferica, ovvero armonica. Secondo lo psichiatra Carl
Gustav Jung, il cerchio è un simbolo di totalità, entro il quale è proiettato
uno stato di coscienza. Essendo l’archetipo dell’individuazione psichica, chi
lo traccia opera l’affermazione del proprio Sé. Jung C.V., 1972), Psicologia
e Alchimia, Bollati Boringhieri ed.(titolo originale Psycologie und
Alchimie, prima edizione, 1935)
29) per
approfondimenti rimando a quanto avevo scritto nel 1995 nelle pagine della
Premessa nella mia monografia Le faune della tarda preistoria nella
Sicilia Orientale, op. cit. in nota 11.
30) in nota
11.
31) magister
è qui inteso colui che opera per il bene della collettività, e non per
perseguire finalità personali o per il proprio ristretto gruppo di seguaci,
come avviene nel caso del magus.
32) Orwell G.,
2012, 1984, op. citata in nota 3.
33) Si trattava di
una società avente sede legale in Siracusa, operante nel settore
cinematografico. Risulta che negli anni grassi dell’Amministrazione Regionale
siciliana, i surreali 1980’s isolani, la Moana Cinematografica usufruì di
sovvenzioni pubbliche stanziate dall’Assessorato per i Beni Culturali e
Ambientali, per l’ammontare di diversi miliardi delle vecchie lire italiane.
Probabilmente è una di quelle storie siciliane che meriterebbero di essere
approfondite, comparendovi tra gli altri anche le figure di Paolo Berlusconi,
fratello del più noto Silvio; del regista Folco Quilici che non volle inserire
alcun accenno di questa “esperienza” nel suo curriculum vitae; e di Rino
Nicolosi, ex Presidente della Regione Siciliana nel suo memoriale consegnato
nel 1997 alla magistratura. Il nominativo di quest’ultimo risulta legato alla
controversa vicenda dell’acquisizione della collezione numismatica Pennisi di
Floristella, famiglia che accomuna in qualità di parenti sia il Nicolosi, che
l’ex soprintendente Sebastiano Tusa e un dirigente archeologo della
Soprintendenza di Catania. Villari P., 31 Agosto 1998, La vera storia
della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, in
“Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, pp.4-7, con la
prefazione del direttore Bruno Ragonese; Villari P., 30 Giugno 2000, La
vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella. 2)
Quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire, in
“Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, pp. 6-10; Villari P., 31
ottobre 1998, Saldi archeologici: il guerriero di bronzo, in
“Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, p. 12; pubblicato on-line in
“The Reporter’s Blog”, 27 settembre 2020 con aggiornamenti (titolo: Fantasmi
di processi mai nati: 1) “Saldi archeologici: il guerriero di bronzo”)
https://www.thereportersblog.com/2020/09/fantasmi-di-processi-mai-nati-1-saldi.html
34) Tra le
opere consultate segnalo: Salinari C., 1960, Miti e coscienze del
decadentismo italiano. D’Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, Pirandello,
Feltrinelli ed., Milano; Puglisi F., 1967, Luigi Pirandello,
Mondadori, Milano; Venè G.F., 1981, Pirandello fascista. La commedia
borghese tra ribellione e rivoluzione, Marsilio ed., Venezia.
35) per
approfondimenti rimando a quanto ho evidenziato in “La Tecnocrazia e il
Sistema di Potere siciliano. Parte II e Parte III.
36) Pasolini
P.P., 1975, Scritti corsari, Garzanti, Milano; Sciascia L., Elogio
dell’eresia, in “l’Ora”, 9 maggio 1979. Dopo avere osato “alzare il
tiro” nei suoi scritti invisi al Potere dominante, Pasolini divenne oggetto di
pesanti campagne di discredito, sino a cadere vittima di un assassinio di
efferata violenta, come riservato agli “eretici”. Sembra che Sciascia, uno di
quegli intellettuali che in quel periodo lo avevano emarginato, si rese conto
di averlo in tal modo esposto alla mortale punizione decretata dal vertice
stegocratico per silenziarlo e al feroce pubblico discredito che puntualmente
seguì esponendo all’indomani dell’omicidio le sue inclinazioni omosessuali con
minorenni. Decidendo di alzare anch’egli il tono delle esternazioni, Sciascia
iniziò a evidenziare alcuni meccanismi di manipolazione ai quali sono soggette
le masse, attirando come prevedibile la classica reazione del potere dominante
nei confronti degli “eretici”: campagna di discredito e perdita di consensi. Fu
un’operazione ben orchestrata che tuttavia non fu spinta sino alla
delegittimazione professionale, ma che continuò a contrariarlo sino alla sua
tragica morte avvenuta nel novembre 1989, causata da una estenuante malattia
tumorale del sangue.
Pasolini e Sciascia sono solo due esempi di
tutti quegli “eretici” di età moderna ai quali, la morte, è pervenuta
accompagnata da evidenze simboliche che, quantomeno all’apparenza o per
insondabile coincidenza, sembrano condurre alla tradizione esoterica
occidentale del Contrappasso.
37) Sciascia
L., 2003 (1974), Todo Modo, Adelphi ed., 15a edizione, pp.121,
Milano. Espressione in lingua spagnola corrispondente all’italiana “Con ogni
mezzo”, ironicamente estrapolato da una celebre frase dell’opera “Esercizi
Spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine gesuitico. San
Ignacio de Loyola, Ejercicios Espirituales, 2018, edizione a cura
di Angel A. Perez Gomez, Ediciones Mensajero, Bilbao, pp. 224). Questa
riflessione, secondo gli appartenenti all’Ordine, racchiude un senso più
profondo, implicante che qualsiasi modalità è ammessa se necessaria alla
salvezza sia del singolo cristiano che della Chiesa. Il suo significato più
inquietante dovrebbe essere tenuto presente qualora, un giorno, si vorranno
comprendere certe concezioni, profondamente radicate, nella mentalità delle
leadership stegocratiche avvicendatesi nel corso degli ultimi cinquant’anni in
Sicilia. È da queste che sono scaturite le decisioni, e le attività di
protezione alla base dei meccanismi di molte miserevoli vicende verificatisi
nella gestione della tutela dei beni culturali e ambientali dell’Isola.
38) per i
riferimenti bibliografici e approfondimenti si rimanda alla nota 9.
39) per
approfondimenti rimando a quanto ho evidenziato in “La Tecnocrazia e il
Sistema di Potere in Sicilia. Parte II e Parte III.
40) È stato
così possibile giungere oggi in vista di una ferrea oligarchia stegocratica
transnazionale del Blocco Occidentale, dove i governi hanno mansioni
decisionali marginali e le forze armate sembrano avere ormai assunto la doppia
funzione di cane da guardia e da caccia, di ciò che si prospetta quale una
delle quattro o cinque confederazioni oligarchiche del futuro. Quelle che
probabilmente domineranno un pianeta sovrappopolato, dove le condizioni
naturali di sopravvivenza antropica sono state irrimediabilmente
compromesse.
41) per il
termine rimando al Dizionario della lingua italiana Hoepli, 2018. La casa
editrice detiene anche il copyright dell’uso delle puntuali definizioni.
42) l’assassinio
del personaggio, quasi sempre seguendo la regola del Contrappasso, una delle
punizioni che le fratellanze esoteriche riservano a coloro finiti nella lista
nera del sistema dominante.
43) Icks M., Keohane J., Samoilenko S., Shiraev E.,
eds, 2014, Character Assassination, in Theory and Practice
Conference report, George Mason University’s Arlington Campus, 3-5 March,
2017.
44) Vi è una
tradizione di rapporti, anche professionali, intrattenuti da alti esponenti
della massoneria francese con i loro confratelli siciliani, che a Siracusa si
consolidarono nel corso degli anni 1960 e 1970. Vedasi in particolare in
particolare la vicenda della costruzione del santuario della Madonna delle
Lacrime, progettato e diretto da due eminenti architetti appartenenti alla
massoneria francese, e gli altrettanto potenti accademici francesi dirigenti
del CNRS, direttori o esperti delle équipe di scavo delle missioni
archeologiche francesi in quel territorio.
Alcune vicende mi furono confermate nell’estate
del 1992, pur senza fornirmi significativi chiarimenti sull’esito delle
indagini, da alcuni personalità a quel tempo operanti nella Sicilia Orientale,
tra i quali l’allora Prefetto di Catania Dott. Domenico Salazar che, con mia
moderata sorpresa, l’anno seguente si trasferì a Roma alla direzione del Sisde,
il Servizio Segreto Civile italiano. Anni dopo il ruolo di viceprefetto e
infine di prefetto di Catania venne ricoperto da Anna Polimeni, già moglie
dell’ex Soprintendente ai BB.CC.AA. di Messina per il quale, come abbiamo
scritto, nel 2004 il GICO aveva richiesto l’arresto.
45) AA.VV., 2020, op. cit. in nota 10.
46) Per
eventuali approfondimenti rimando alla lettura degli articoli pubblicati nella
serie tematica “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia”. Per
quanto concerne i legami del sistema di potere in Sicilia con quello nazionale
e del Blocco Occidentale, consiglio la lettura del mio articolo “Strutture
operative transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un
criminologo sull’Arca di Noah”, un tempo pubblicato su The Reporters Blog
il 27 luglio 2018 sia in lingua inglese che italiana, e dal 18 Giugno 2020 sul
presente blog dove è ancora gratuitamente consultabile.
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