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La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte V. Il festschrift, il "cerchio magico", e la costruzione del mito dell'Intellighenzia tecnocratica

Autore: Pietro Villari, archeologo e naturalista, 12 Agosto 2022. Tutti i diritti riservati.

Dedico questo scritto a Agostino Cordova, ex procuratore della Repubblica di Palmi e di Napoli (1).

Unglüchlick das Land, das Helden nötig hat”, Bertold Brecht, “Leben des Galilei”, (scena 13a), 1938-1947

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Non è facile trovare le parole…”: quelle vicende di devastazione dei beni culturali siciliani divenute palinsesti che possono essere raschiati e riscritti “tutte le volte che si vuole

Gli storici conoscono bene il problema che da sempre affligge il loro mestiere. La storia, anche quella di un personaggio pubblico, essendo strettamente collegata a quella della collettività nella quale ha ricoperto ruoli di elevata responsabilità, dovrebbe essere una narrazione sistematica dei fatti di cui si conserva memoria, degni di essere ricordati e tramandati ai posteri, purché effettuata sulla solida base della metodologia d’indagine critica. 

Nel caso del vissuto di tecnocrati della pubblica amministrazione, la descrizione critica dello svolgimento di fatti realmente accaduti nei quali ebbero ruoli importanti, è fondamentale per lo studio di problematiche regionali d’ordine sociale, politico, economico, militare e religioso quali quelle siciliane. Paradossalmente, è per questo motivo che i principi teorici costituenti le credenziali di affidabilità della ricerca storica, divengono spesso inapplicabili quando dalla teoria si passa alla pratica.

Ne sono esempio le recenti narrazioni, inerenti a personaggi che hanno svolto funzioni cardinali nella struttura del complesso sistema dominante, dove è possibile constatare come i curricula sono soggetti alla mondatura di quanto rappresenti l’evidenza di attività controverse, borderline o non di rado illegali. Difatti, il potere costituito non può permettersi di lasciare trapelare alle masse notizie che possano ledere in modo indelebile la tradizionale reputazione di onestà intellettuale, preparazione tecnica e intransigenza dell’applicazione delle leggi dello Stato, delle Istituzioni preposte a presidiare il territorio, quali sono le Soprintendenze ai beni culturali e ambientali della Regione Siciliana. 

Così la storia di un uomo di potere di pubblica visibilità (a differenza degli elementi presenti nel vertice stegocratico, il cui vissuto è destinato a restare in perenne ombra, ignoto all’opinione pubblica) prescelto a curare gli interessi di gruppi di potere funzionali al sistema dominante (2), viene modificata in stile veritiero divenendo “un palinsesto che può essere raschiato e riscritto tutte le volte che si vuole” (3)

Alcune di queste manipolazioni vengono parzialmente smascherate, mostrando quel poco che basta e mai citando poteri superiori. Generalmente, questi eventi deflagrano in periodi di profonda crisi politica o economica, durante i quali si verificano collisioni di interessi tra gruppi di potere all’interno del “precinto” nazionale, talora conducendo al ridimensionamento o alla eliminazione di alcuni di questi. Si tratta di situazioni pilotate sin dall’inizio dal vertice del potere dominante nazionale, o che lo divengono nel corso degli accadimenti, essendo necessari alla manipolazione dell’opinione pubblica, infondendo in queste l’illusione che gli organi inquirenti dello Stato svolgono sempre il loro lavoro in piena autonomia e a salvaguardia dei valori della democrazia. 

La celebre frase sopra citata in corsivo e grassetto è tratta da “1984”, un inquietante romanzo di George Orwell dove è attribuita a un manuale, scritto dal misterioso Emmanuel Goldstein. Nome fittizio di un personaggio di grande potere al vertice di una “fratellanza” che pubblicamente agisce opponendosi al potere dominante, denominato Partito Totalitario, ma che segretamente persegue lo scopo di esserne un apparato di prevenzione, individuando i nemici. Fin qui ci troviamo innanzi a un racconto d’invenzione, ma Orwell sorprende il lettore quando inizia a descrivere la “Teoria e prassi del collettivismo oligarchico”, Cap. I, “L’Ignoranza è forza”. 

Come da un autentico manuale, qui possiamo apprendere l’essenza delle tecniche e delle finalità della manipolazione: “Raccontare deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci davvero, dimenticare ogni atto che nel frattempo sia divenuto sconveniente e poi, una volta che ciò si renda di nuovo necessario, richiamarlo in vita dall’oblio per tutto il tempo che serva, negare l’esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso prendere atto di quella stessa realtà che si nega, tutto ciò è assolutamente indispensabile” (4)

Non è stato appurato se Orwell avesse usufruito di parti di un manuale compilato da un’agenzia governativa occidentale o se fosse una sua invenzione. E se vi fossero similitudini operative da manuale con il programma di alcune logge massoniche presenti in Italia. Al proposito è da citare quanto emerso nel corso del gennaio 2017 alla Commissione Parlamentare Antimafia, quando nel corso della audizione dell’ex Gran Maestro della Gran Loggia del Grande Oriente d’Italia, Giuliano Di Bernardo, questi rivelò le attività della Colosseum, una loggia storica di Roma. Allestita per volere di funzionari delle Forze Alleate all’indomani della Liberazione, il Di Bernardo asseriva di essere riuscito a chiuderla alla fine degli anni 1980, in quanto era stato accertato che vi si continuavano le attività di centro di affluenza di agenti dell’Intelligence statunitense (5)

 

All’ombra della stegocrazia: il fallito processo a un gruppo di funzionari della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina 

Dell’esistenza di un sistema totalitario di carattere stegocratico ne abbiamo illuminante contezza nelle stranezze, limitanti e devianti, avvenute in parecchie vicende siciliane. 

Prendiamo qui ad esempio quanto accaduto nel corso dell’inchiesta e del processo aventi per oggetto le attività di un folto gruppo di dirigenti della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, tra i quali diversi archeologi (che anni dopo troveremo tra i fedeli scelti o ammessi, a partecipare al festschrift dedicato all’ex soprintendente di Siracusa, Giuseppe Voza, come vedremo più avanti). Il gruppo era sin dal 2003 attenzionato dal GICO (Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata) istituito presso il Comando Nucleo Provinciale di Polizia Tributaria di Messina, che nella primavera del 2004 aveva trasmesso al Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina dott. Angelo Cavallo, una voluminosa e ben articolata informativa avente per oggetto il Procedimento Penale n. 3037/03 RGNR. Mod. 21 (6)

L’informativa contiene il frutto delle lunghe e complesse indagini (sopralluoghi, intercettazioni telefoniche, interrogatori, consulenze tecniche e in seguito anche perquisizioni effettuati presso uffici pubblici e abitazioni private) l’anno addietro. Si tratta di un documento di notevole interesse storico, dall’effetto devastante per l’immagine della pubblica amministrazione regionale siciliana, in quanto gli specialisti del GICO si spinsero a mettere nero su bianco che ritenevano d’identificare nella Soprintendenza di Messina la connotazione di “organizzazione che riassume le caratteristiche di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla commissione di vari delitti, a cui partecipano, a seconda dei ruoli ricoperti…”, che coinvolgeva ben quindici dei suoi funzionari e sette imprenditori, ai quali nel procedimento si aggiungono anche i nomi di politici e professionisti, per un totale di 49 persone. E, fatto ancora più grave, appariva evidente come i funzionari attenzionati, ricoprendo ruoli apicali all’interno della Soprintendenza, avessero messo “l’intera struttura al servizio di terze persone esterne alla stessa, al fine di poterne ricavare utilità fruibili immediatamente o in epoche future”, e “di fatto barattato l’attività funzionale della Pubblica Amministrazione… approfittando di una enorme massa di capitali pubblici, messi a disposizione dalla Comunità europea per la riqualificazione e la valorizzazione delle aree archeologiche dislocate per tutta la provincia di Messina”

E via così, illustrando un contesto criminale ai limiti del surreale, sottoposto a forme di condizionamento da parte di “forze esterne …(le quali) come ampiamente dimostrato… (avrebbero compromesso) la determinazione e l’imparzialità dei soggetti preposti e che interferiscono con il regolare funzionamento dei servizi”. Situazioni “che sembrano puntualmente ripetersi in diverse aree archeologiche di quella provincia regionale” al punto che il GICO definisce “un clima di inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’Ente e di abuso delle pubbliche funzioni che trovano la loro naturale conseguenza nella violazione dei beni giuridici che le norme in parola intendono tutelare”

Le imputazioni individuate a carico di 48 persone, ovvero del soprintendente, della direttrice della sezione beni archeologici e di uno stuolo di altri alti dirigenti archeologi e funzionari tecnico-amministrativi, politici e imprenditori lasciavano poco margine d’azione alla difesa in quanto accompagnate da prove documentali. L’accusa di avere allestito una associazione al servizio di un sistema affaristico di stampo criminale, indussero il prestigioso gruppo investigativo della Guardia di Finanza a chiedere la carcerazione preventiva per molti di loro, al fine di impedire l’inquinamento delle prove. 

Trascorsero parecchi anni e sembrava che l’indagine si fosse arenata in un ufficio della Procura di Messina, ma un mio intervento alla O.L.A.F., l’organismo antifrode europeo con sede a Bruxelles, e i controlli svolti da suoi investigatori in Sicilia avevano dato una forte scossa alle indagini, riuscendo parecchi anni dopo a giungere al rinvio a giudizio di una parte degli accusati (7)

A questo punto il colpo di scena: poco prima della promulgazione del verdetto, la difesa chiese e ottenne la regressione del procedimento allo stato di indagini preliminari a causa, fu detto, della presenza di vizi di forma procedurale. Come spesso accade e forse in questo caso anche pianificabile, dopo dieci anni di costose attività d’indagine degli specialisti GICO e OLAF e quelle processuali, sopraggiunse la prescrizione dei reati per decadenza dei termini di legge. L’evento, a quel tempo disastroso per l’immagine della giustizia siciliana, era prevedibile considerate le lentezze e le stranezze che accompagnarono l’intera vicenda già nel corso delle indagini, quando, ad esempio, agli investigatori fu incredibilmente negato di effettuare alcune ben mirate perquisizioni, tra le quali un appartamento e il contenuto di una cassetta di sicurezza sita in una banca.

Il seguito della vicenda è da manuale di criminologia applicata alla pubblica amministrazione: il principale indagato per le sue responsabilità di direttore dell’Istituzione, il soprintendente ai BB.CC.AA. di Messina, morì precocemente alcune settimane prima della promulgazione del verdetto di rinvio a giudizio del Tribunale di Messina, e con esso molti segreti di vicende legate al suo operato e alla sua militanza massonica. Tutti i funzionari accusati fecero una splendida carriera o andarono tranquillamente in pensione anni dopo, godendosi le lautissime buonuscite regionali. Alcuni continuarono ad ottenere, pur da pensionati, persino prestigiosi incarichi privati dall’Assessorato regionale per i Beni Culturali, Ambientali e dell’Identità siciliana (quando si dice un nome, una garanzia). Difatti, una legge emanata ad hoc per i dirigenti già posti in pensione, persino nel caso di una dirigente archeologa pluripregiudicata per reati contro il patrimonio culturale, permette loro di stipulare prestigiosi contratti d’incarico succosamente retribuiti, affinché la Pubblica Amministrazione “continui ad avvalersi della loro professionalità di alti dirigenti della regione”. 

Il percorso giuridico lascia inquietanti interrogativi derivanti da un insieme fattuale di circostanze d’interesse criminologico, di curiose coincidenze, di accadimenti che mostrano sorprendenti tempistiche che hanno vanificato gran parte del complesso e l’imponente certosino lavoro svolto dagli investigatori. Ma quel che colpisce maggiormente è la totale mancanza di approfondite indagini che le forze di polizia, fatto molto grave, non hanno creduto opportuno dare luogo a procedere: l’aspetto d’interesse sia scientifico che finanziario, quantitativo e qualitativo della irrecuperabile devastazione di aree archeologiche, della distruzione di dati e reperti d’interesse archeologico

Inoltre, l’indagine del GICO avrebbe potuto costituire una solida base, per iniziare a intraprendere quello che necessitava già dagli anni 1980, ovvero una indagine coordinata a livello regionale su quelle tipologie di devastazioni, seguendo appositi protocolli d’urgenza, dislocando contemporaneamente più squadre specializzate sul territorio e con la disponibilità di tecnologie investigative d’avanguardia. Sarebbe stata questa l’unica procedura possibile per perseguire quello che non poteva essere trattato come un evanescente caso isolato di reati comuni commessi da singoli funzionari in atti pubblici. La magistratura aveva in mano un’eccellente possibilità per mettere in luce anche le eventuali evidenze di una rete regionale di organismi criminali di stampo lobbistico rappresentata nelle logge coperte quali strutture massoniche di livello superiore, di carattere esclusivo per la loro composizione sociale, e di chiarirne il ruolo se presenti tra gli inquisiti. 

Si trattava di evidenze che dovevano essere configurate quali di massima pericolosità per lo Stato e per la Comunità Europea. Il fulcro delle indagini avrebbe dovuto essere proprio questo, il meccanismo regionale e le sue “standardizzate” attività svolte al fine di ottenere la progettazione, di gestire i grandi appalti, di captare e sfruttare a proprio vantaggio le grandi risorse finanziarie nazionali e della comunità europea. E invece, appare evidente che gli specialisti del GICO di Messina furono di fatto bloccati e non ebbero alcuna possibilità di proseguire nel livello superiore delle indagini. 

È stata così soppressa anche ogni possibilità di effettuare controlli e approfondimenti su illeciti commessi da alti funzionari e politici negli assessorati della regione; sull’esistenza all’Estero di depositi di natura tangentizia e di appurare se la Soprintendenza di Messina e le otto consorelle presenti nelle altre provincie siciliane, fossero solo un gruppo degli apparati logistici periferico operanti nell’ambito di un meccanismo regionale. 

Anziché arenarsi in indagini a livello provinciale, la Procura messinese avrebbe dovuto coordinarsi con organismi superiori, quali la Direzione Nazionale Antimafia e chiedere il coinvolgimento del Reparto Operazioni Speciali (ROS) Carabinieri e del Gruppo Archeologico della Guardia di Finanza, in grado di effettuare accertamenti contemporaneamente estesi anche a livello nazionale. Invece, si preferì procedere in modo blando e inefficace soltanto nei confronti del gruppo di funzionari della Soprintendenza di Messina, peraltro non accettando la richiesta del GICO di effettuarne l’arresto preventivo al fine di impedire loro l’inquinamento delle indagini. 

Quando si verificano queste bizzarre metodologie procedurali che fattualmente delineano un contesto molto problematico, si lascia ampio spazio d’azione ai vertici delle organizzazioni criminali dal “colletto bianco”, e soprattutto di coloro che a livello regionale o nazionale rappresentano il vertice del potere stegocratico, quelli che decidono se e come intervenire per proteggere gli affiliati indagati. Essi sono onnipresenti nel caso di vicende che coinvolgono meccanismi regionali, permettendo di fatto di dissolvere i problemi, tessendo abilmente la difesa, neutralizzando investigatori, indagini e testimoni. 

In questa vicenda, ad esempio, si verificò persino una fuga di notizie dell’inchiesta in corso, che ebbe come (forse abilmente) previsto risultato, quello surreale di mettere sotto inchiesta e successivamente smantellare la squadra di investigatori del GICO di Messina. Quanto alla OLAF, i suoi poteri sono limitati da quelli tecnocratici della commissione europea e dagli interessi politici rappresentati nel parlamento europeo. E qui il cerchio si chiude, in quanto torniamo alla base del problema costituito dalla potenza operativa di elementi di gruppi locali a livello transnazionale, ovvero con connessioni in grado da potere coinvolgere il Deep State europeo, come sembra testimoniare quanto a conclusione della vicenda venne deliberato a Bruxelles nella sede della Commissione Europea. 

Innanzi a questa storia esemplare del diffuso marciume della pubblica amministrazione, si ha la netta sensazione che lo Stato Italiano non abbia voluto o potuto intervenire per chiarire se la situazione riscontrata nella soprintendenza messinese (che è bene ricordare è solo una istituzione periferica dell’Assessorato ai BB.CC.AA. della regione siciliana) fosse in realtà solo la punta di un iceberg di dimensioni regionali, di un potente sistema corruttivo la cui sede decisionale è sconosciuta così come la composizione del suo vertice e i legami di questo con strutture sistemiche di livello superiore, nazionale e transnazionali. Ed è altrettanto inquietante il fatto che ad oggi sia ignoto il ruolo, la composizione e le attività delle attuali superlogge massoniche che si ritiene presenti in Sicilia e nel resto d’Italia, tollerate dallo Stato italiano, nonostante si tratti di strutture “coperte” per proteggere la privacy dei personaggi pubblici che vi hanno aderito e, si potrebbe presumere, anche le attività che vi sono svolte (8)

Nel caso dell’organismo che gestisce i beni culturali e ambientali siciliani, la situazione è resa ancor più complessa e preoccupante dal fatto che si tratta di uno di quegli Assessorati regionali costituito da organi periferici e centrali fortemente autoreferenziale. Una condizione tra l’altro favorita dall’atipicità di appartenere a una regione quale la Sicilia, resa autonoma dalla concessione di uno statuto speciale. 

Il monitoraggio di una tale struttura politico-tecnocratica potrebbe costituire la chiave per comprendere i meccanismi di ciò che sembra inevitabilmente accaduto in tutti gli organismi della pubblica amministrazione regionale: l’infiltrazione da parte di quello che potremmo definire un complesso network di gruppi operativi al fine della captazione di risorse finanziarie da assegnare alla Regione Siciliana e della gestione di queste dal vertice del potere dominante siciliano. Gli intrecci d’interesse politico-clientelare operati, finanche a livello provinciale, non potrebbero esistere senza l’assenso e il controllo del sistema dominante, e questo spiega quanto essi siano necessariamente legati a doppio filo con quelli dell’imprenditoria isolana degli appalti pubblici. 

Per non parlare di quelle grasse operazioni che sono “calate dall’alto”, In particolare quando si tratta attività lobbistiche di livello transnazionale o soprannazionale, tramite le quali le multinazionali conquistano spazi nell’economia isolana, concedendo una partecipazione ai profitti e forme di assistenza al network locale. E giù di lì, sino a giungere ai miserabili, quei gruppi di dirigenti pubblici dalle squallide connivenze omertose tipologicamente omologabili a quelle smascherate dal GICO nella soprintendenza messinese. Funzionari resi piccole pedine che ormai si contentano di privilegi da mediocri, quali la concessione di una carriera dal percorso facilitato all’ombra della protezione di politici, potentati finanziari e logge massoniche. Una situazione divenuta notevolmente molto più complessa e allarmante di quella che, trent’anni fa, fu “rivelata” con la pubblicazione del controverso Memoriale Calcara (9)

In conclusione, i potenziamenti all’interno degli Assessorati della regione siciliana avvenuti in base alle leggi regionali emesse negli anni 1975-1977 e seguenti, ebbero come conseguenza la loro surreale ipertrofica espansione burocratica, divenendo paradossalmente funzionali a un sistemico programma di controllo delle istituzioni da parte sia del potere politico-tecnocratico insediato dal potere dominante regionale. In queste condizioni, vi è poco o nulla da sperare in termini di tutela, ricerca e salvaguardia dei beni culturali siciliani, essendo allo stato attutale incompatibile l’instaurazione in futuro di un valido e affidabile organigramma dirigenziale nell’intera piramide del Dipartimento regionale BB.CC.AA. 

 

Il festschrift in onore del soprintendente e delle devastazioni operate a Siracusa in Contrada Fusco

“Non è facile trovare le parole e i toni più appropriati per introdurre questa raccolta di scritti in onore di Giuseppe Voza”, inizia così la premessa al festschrift (10), frase che merita un approfondimento in quanto sia il celebrato che gran parte dei suoi celebranti sono indissolubilmente legati, in qualità di principali responsabili del mantenimento della dottrina e di metodologie della ricerca archeologica superate da oltre mezzo secolo, che hanno causato una enorme distruzione di beni e conoscenze archeologiche

Difatti, a causa della imposizione della loro visione limitata della ricerca archeologica hanno, di fatto, per decenni impedito la ricerca, gli studi approfonditi, la raccolta di reperti e di evidenze d’interesse archeozoologico, archeobotanico, paleoantropologico, geoarcheologico che, per citarne solo alcuni, costituiscono i fondamenti degli studi paleoambientali, paleoecologici, paleoeconomici. Ancora oggi in Sicilia questi campi di studio sono rimasti a livello pionieristico o pressoché inesistenti (11)

A questa sorta di corporazione di archeologi, reticenti ad accettare e applicare le innovazioni della moderna archeologia avvenute negli ultimi quarant’anni, il sistema di potere dominante ha concesso, in cambio di servigi, di potersi trincerare impunemente entro una monolitica forma di omertà e connivenza. 

L’evidenza e le conseguenze di questo patto scellerato emergono ovunque in Sicilia ed in particolare vi sono almeno quattro vicende che, se fossero oggetto di approfondite indagini, costituirebbero un massiccio corpus a testimonianza della magnitudine dei crimini commessi da quello che potrebbe configurarsi quale un possente network criminale. 

Una di queste è la devastazione dei beni archeologici e paleontologici di Contrada Fusco, sita alla periferia di Siracusa, dove il soprintendente oggi emerito, il Voza del Festschrift e dei suoi festeggianti, oltre a operare nel rispetto dell’istituzione da lui diretta, avrebbe dovuto tutelare i beni e il sito nella sua integrità. Riassumo brevemente la vicenda della quale fui testimone, nella qualità di archeozoologo nel corso degli scavi svolti nell’estate 1988 nel corso dei quali, oltre a continuare l’esplorazione della necropoli, avevano quell’anno messo in luce l’importante area archeologica monumentale di età ellenistica (12)

Alla fine degli anni 1970, un controverso progetto di una nuova tratta ferroviaria Targia-Siracusa, viene presentato al vaglio delle istituzioni preposte al rilascio dei nulla osta necessari al finanziamento dell’opera. Al tavolo tecnico partecipa anche la Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Siracusa, che suggerisce una variante del percorso, pur sapendo che avrebbe in ogni caso comportato la distruzione di parte di una necropoli di età greca. Si trattava di un’area sita in Contrada Fusco, che difatti in seguito rivelerà la presenza di circa duemila tombe d’età greca e alcune di età barbarica, essendo già state in quel luogo rinvenute tracce nel corso di lavori stradali sin dal 1842 e nel 1868 per l’apertura di una cava di pietra. Nel 1893, gli scavi condotti dal Soprintendente Paolo Orsi localizzarono ben 393 tombe d’età greca e 69 attribuite a milizie barbariche presenti nella Siracusa sotto Teodorico e poi nel periodo bizantino. 

Negli anni 1980 il progetto viene accettato dalla Soprintendenza con la condizione che la si lasci dapprima scavare le tombe presenti lungo la tratta per mettere in salvo i reperti archeologici in esse contenuti. E questo costituisce un trabocchetto, in quanto nessun archeologo può essere certo di quel che cela il sottosuolo. Difatti, nel 1988 si constata che oltre alla necropoli vi sono una serie di monumenti di età romana repubblicana e ricche tombe ipogeiche barbariche, assieme a altre tipicità che, a mio parere di archeologo (13)formavano un contesto decisamente incompatibile con il rilascio del nulla osta. 

Senza alcun dubbio, l’area meritava di essere valorizzata quale museo all’aperto in quanto, scoprii entusiasta, sottostanti alle tombe d’età greca vi sono ricchissime evidenze di un paleoambiente lacustre di età infrapleistocenica, contenente straordinarie testimonianze fossili botaniche e faunistiche preistoriche, queste ultime caratterizzate da abbondanti resti scheletrici di elefanti, ippopotami e di specie a quel tempo ignote, databili a circa duecentomila anni addietro. Mi era ben chiaro sin dagli inizi: avevo innanzi di uno dei più importanti giacimenti preistorici d’Europa

Nel mese di luglio avevo informato della scoperta sia il soprintendente Giuseppe Voza che Beatrice Basile, nella sua qualità di dirigente archeologa incaricata degli scavi. Ma considerate le risposte di questi e altri spiacevoli episodi che erano accaduti nel corso degli scavi nelle successive settimane, nel mese di agosto fui costretto per tutelarmi sia professionalmente che fisicamente, a doverlo specificare per iscritto persino per via postale, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno. 

Nel profondamente corrotto sistema dei grandi appalti pubblici gestiti dalla regione siciliana in quegli anni, gli accordi tra politica, mafia, imprenditoria e quant’altri gruppi di potere appartenenti al Deep State regionale dovevano essere rispettati. I dirigenti superiori dell’Amministrazione pubblica ne rispondevano direttamente al loro politici di riferimento posti al vertice degli Assessorati regionali. Solo un paio di loro si ribellarono a quel marciume e la pagarono con la vita, tutti gli altri pensarono alla carriera e alla famiglia, e divennero conniventi. Simili situazioni avvennero anche all’interno delle forze di polizia e della magistratura. 

Agli inizi di settembre 1988 il soprintendente Voza, nonostante i miei tentativi di convincerlo del contrario, rilasciò il nullaosta per gli sbancamenti necessari alla realizzazione nell’area della tratta ferroviaria. E lo fece nonostante vi erano ulteriori aspetti illegali della vicenda. Nel corso di lunghi anni di scavi archeologici svolti dalla soprintendenza in contrada Fusco, la parte dell’area di massimo interesse archeologico e paleontologico, compresa quella monumentale erano costati una cifra corrispondente a parecchi milioni di euro attuali. Il rilascio del nullaosta causò lo sbancamento in profondità per permettere la costruzione della parte terminale di una galleria ferroviaria e il restante percorso in direzione di Siracusa. Per la sua realizzazione furono spesi illegalmente una quantità di soldi pubblici, in quanto il primo finanziamento di 105 miliardi di lire, oggi equivalenti a circa cento milioni di euro, non avrebbe dovuto essere utilizzato per opere sotterranee in quell’area senza preventivamente conoscere quali evidenze archeologiche vi fossero lungo la tratta. Una galleria lunga tre chilometri, inopportunamente realizzata con soldi pubblici senza conoscere quale sorta di monumenti archeologici vi fossero al suo sbocco e sul tracciato. 

E tutto questo senza che nessuna istituzione pubblica o privata solo fiatasse evidenziarlo. Fu così che lo sbocco della galleria fu realizzato, tra l’altro ad alcune decine di metri dall’entrata dell’attuale cimitero di Siracusa, facendo tranquillamente scempio di quanto messo in luce da scavi archeologici e paleontologici, grazie al nulla osta rilasciato dal soprintendente Voza. 

Un nullaosta anomalo, considerato che il patrimonio monumentale per il quale le vigenti norme di legge richiedevano la tutela esercitata dalla soprintendenze, forze di polizia e magistratura, non doveva essere consegnato all’opera delle ruspe. Alle evidenze sopra citate bisogna anche aggiungere la scomparsa di una grande grotta naturale costituita da più ambienti, nei quali ricordo bene che furono rinvenute alcune tombe delle quali una entro sarcofago plumbeo con ricco corredo e un lungo tratto di camminamento militare ipogeico. 

Le grotte sono difese da specifiche ferree leggi dello Stato italiano e non possono essere distrutte, o cementificate o in nessun altro modo alterate in modo permanente, in quanto il fine della tutela è quello di preservare la formazione carsica e il microambiente in esse contenuto. E questo, nonostante il nullaosta era ben noto soprattutto al soprintendente e ai suoi dirigenti. 

Per ironia della sorte, dopo avere ruspato l’area e speso novanta miliardi per la gigantesca traforazione atta a costruire la galleria ferroviaria, le operazioni si fermarono in quanto la nuova dirigenza delle Ferrovie dello Stato (il Commissario Straordinario Mario Schimberni) aveva deciso di abbandonare il progetto, avendo constatato che a fronte di 100 miliardi di lire già spesi, oltretutto con modalità inappropriata, l’opera era ancora ben lontana dalla completa realizzazione. 

Fu a quel punto che si attivò il “meccanismo” regionale che ha il suo culmine nelle dichiarazioni rilasciate alla Stampa dal Presidente della Regione on.le Rino Nicolosi, il quale alla fine dicembre 1989 dichiara che sin dalla fine di ottobre aveva tentato di fissare un appuntamento con il ministro dei Trasporti, poi accordato nel mese di gennaio 1990, nel tentativo di impegnarsi a trovare una soluzione alla vicenda (14)

Nel frattempo al parlamento nazionale sin dall’ottobre 1989, quando il nuovo vertice delle Ferrovie dello Stato aveva compreso in quale situazione “alla siciliana” si era impantanato nel Siracusano, un gruppo politicamente trasversale di politici siciliani (probabilmente elementi di riferimento partitocratico e dell’imprenditoria funzionali allo stanziamento di risorse finanziarie necessari al “sistema degli appalti”) riesce a stravolgere il piano statali ideato dal commissario Schimberni del “taglio dei rami secchi” che indebitavano le FF.SS.) e includere la ripresa dei lavori ferroviari e persino di nuovi inserendoli nel “piano Bernini” (il ministro dei Trasporti). L’elemento di spicco di questo gruppo è il Sottosegretario al Ministero del Tesoro, il democristiano siracusano on.le Luigi “Gino” Foti, del quale riporto l’interessante frase nella quale spiega che il successo dell’operazione è “frutto di un elaborato confronto in commissione camerale, e l’approvazione del piano non lasciano ormai più dubbi” sulla imminente ripresa dei lavori, attendendosi ormai solo la firma del decreto ministeriale e l’accettazione del Parlamento siciliano (15)

Furono quindi svolti ulteriori lavori di scavo per il recupero dei reperti paleontologici lungo una piccola porzione del percorso della tratta ferroviaria salvatasi dallo sbancamento, affidati a un giovane laureato in geologia anziché a un team di esperti, come richiesto non soltanto da me ma anche da alcuni paleontologi delle Università di Palermo e Messina. 

A seguito di una forte protesta organizzata a Siracusa dal sindacato CGIL alla quale intervennero numerosi operai che testimoniarono di attività di devastazione di beni archeologici e paleontologici operate nell’area, nel 1995 la soprintendenza rispose con una controversa mostra di alcuni reperti rinvenuti. In seguito, tuttavia, lo Stato stanziò le somme necessarie al completamento dei lavori ferroviari che furono consegnati nella seconda metà degli anni 1990, ripetendosi quanto era accaduto nel 1988, ma questa volta l’area divenne transitabile ai treni. 

In occasione della mostra allestita nel 1995 della quale furono principali protagonisti il soprintendente Voza, ovvero colui che aveva, nella sua qualità di primo responsabile dell’Istituzione, partecipato al tavolo tecnico per la progettazione della tratta ferroviaria e in seguito concesso lo sbancamento dell’area archeologica e paleontologica, e la funzionaria archeologa direttrice degli scavi in contrada Fusco, Beatrice Basile, che dichiararono surrealisticamente l’intenzione di crearvi un’area museale all’aperto… pur essendo ormai programmata per essere giornalmente solcata dal traffico ferroviario (16). I giornalisti la definirono “la Jurassic Park siciliana”, fortunatamente rimasta a livello di propaganda autoreferenziale del Deep State alla siciliana. 

 

Il Festschrift della metodica distruzione del patrimonio bio- e geoarcheologico siciliano e il meccanismo tangentizio partitocratico 

Le prime notizie su quanto avvenuto in Contrada Fusco riuscirono a filtrare solo grazie all’articolo del giornalista Fabrizio Carbone che le riassunse in un articolo dai toni scandalistici e imperdonabile narrazione confusa e imprecisa, pubblicato l’8 ottobre 1989 da Panorama, un noto settimanale a tiratura nazionale (17). Quando chiesi spiegazione di tale rovinosa presentazione, riservata ad uno dei più importanti scempi di beni archeologici e paleontologici della storia d’Italia, tacendo fatti circostanziati e gravi, il giornalista mi rispose che l’articolo aveva subito sostanziali tagli e rimaneggiamenti dalla direzione della rivista. Aggiunse che aveva informato dell’accaduto alcuni dirigenti del partito comunista, in quanto preoccupato da possibili ritorsioni si stampo mafioso. 

Effettivamente, tempo dopo, ricevetti le telefonate degli on.li Pietro Folena da Palermo e Nino Consiglio da Siracusa, e dal sen. Mangiapane da Messina, che mi annunziarono di essersi attivati con altri colleghi del vertice nazionale e regionale del partito, presentando interrogazioni alla Camera dei Deputati, al Senato e all’Assemblea regionale siciliana. Inoltre, dalla redazione del settimanale a tiratura regionale “L’Ora”, sita a Palermo, ricevetti l’invito a chiarire la vicenda scrivendo degli articoli e pubblicando una mia lettera. 

Come prevedibile l’attenzione crollò progressivamente in alcuni mesi, e la solidarietà dei politici scomparve: qualcosa era accaduto. Dagli ultimi mesi del 1990 sino al 1994 soggiornai raramente e per limitati periodi in Sicilia, dedicandomi a attività archeologiche in vari Continenti. Dalla metà del 1995, a causa di ulteriori problematiche più volte insorte in contrada Fusco, fui costretto a lasciare definitivamente l’Italia trasferendomi in Olanda con la mia famiglia, lontano dalle Soprintendenze siciliane e dal sistema di poteri di cui erano e sono a tutt’oggi parte. 

Riuscii a contestualizzare i fatti accaduti in contrada Fusco solo otto anni dopo, quando nell’ottobre del 1997 un articolo del quotidiano “la Repubblica” a firma dei giornalisti Attilio Bolzoni e Francesco Viviano, rese pubblico il contenuto di un importante documento testimoniale. Inviato alla magistratura catanese da Rino Nicolosi, ex Presidente della Regione Siciliana, conteneva la descrizione di quello che lo stesso politico definiva il “meccanismo” di corruttela politico-imprenditoriale dominante l’amministrazione regionale siciliana nel periodo 1985-1991 coincidente con la sua presidenza. Si badi bene che nel documento il politico tace sulla composizione dei livelli superiori del sistema dominante e sulle modalità di rapporti intercorsi nel periodo della sua presidenza tra la partitocrazia al governo e la mafia, le obbedienze massoniche e i vertici della chiesa cattolica presenti nell’Isola. 

Con il senno di poi, oggi possiamo supporre che per i vertici stegocratici siciliani, il documento consegnato da Nicolosi alla magistratura doveva rappresentare un’eccellente occasione per liberarsi di quel peso ormai inutile che erano divenuti i vecchi gestori della politica isolana. Rami secchi che vennero tagliati e eliminati in poco tempo dalle indagini della magistratura, lasciata libera di agire in quel campo, determinando la scomparsa dalla scena politica di molte eminenze. La classe dirigenziale tecnocratica dell’Amministrazione regionale venne risparmiata in quanto necessaria al nuovo corso del sistema. Tutto era apparentemente cambiato per mantenere intatto il sistema dominante associandolo a nuove modalità di gestione e sfruttamento dei fondi statali ai quali in seguito si associarono anche quelli dell’Unione Europea. 

Nicolosi si limitò a descrivere soltanto quel che conosceva bene, il “meccanismo” politico-clientelare relativo alla spartizione di enorme somme di denaro proveniente dagli appalti pubblici, fornendo anche i nomi dei principali politici di riferimento della corruttela partitocratica regionale. Per quanto concerneva il PCI (partito comunista italiano) il punto di riferimento del sistema degli appalti era l’impresa edile “Mangiapane” facente capo alla famiglia del senatore Mangiapane, impresa strettamente legata alla cordata comunista messinese, dove in qualità di segretaria regionale vi era Angela Bottari (anch’essa messinese come il Mangiapane). E, difatti, Nicolosi indica proprio la Bottari quale punto di riferimento politico PCI (assieme a Adriana Laudani, di Palermo). 

Erano questi i “compagni” inseriti nel Mazzo dei Pupi contenente le eminenze politiche siciliane, rappresentanti i partiti dell’arco costituzionale, che vengono identificati da Nicolosi quali i gestori dell’attività di spartizione politico-clientelare di circa 30.000 miliardi di lire per appalti di opere pubbliche nell’Isola nell’arco di sei anni, dal 1985 al 1991. Come se non bastasse, a questa attività, “dopo un articolato confronto politico nel PCI”, continua l’ex Presidente Nicolosi, dal 1989 al 1991 si aggiunse anche l’attività delle cosiddette “cooperative rosse”, una rete nazionale dedita ad attività illecite di ambito politico-clientelare comunista, in seguito oggetto di una clamorosa indagine della magistratura. Altro che paladini della difesa dei diritti essenziali del proletariato e, tantomeno, delle richieste di punizioni esemplari da impartire agli autori della devastazione dei beni archeologici e paleontologici di Contrada Fusco (18)

Al “meccanismo” rivelato da Rino Nicolosi si presumeva derivassero i tesori tangentizi depositati, dalla seconda metà degli anni 1970 alla fine degli anni 1980, da vari politici e funzionari siciliani, e localizzati nel paradiso fiscale delle Isole Vergini da un magistrato della Procura di Messina, se ricordo bene l’ancora giovane Giuseppe Verzera. Tra i vari conti spiccava anche quello attribuito all’ex Assessore ai Beni Culturali e Ambientali della regione siciliana on.le Luciano Ordile, che i media riportavano ammontare a cinquanta miliardi di lire. Rinviato a processo, sull’inchiesta calò un impenetrabile silenzio stampa. Era presumibile che l’intera somma dei depositi tangentizi del sistema isolano raggiungeva parecchie decine di migliaia di miliardi di lire, considerando che il solo “tesoretto” a disposizione della Democrazia Cristiana messinese (il maggior partito di governo di quel tempo) ammontava secondo una inchiesta della Guardia di Finanza (se ricordo bene, specificato nel fascicolo “Astone e altri”), a 700 miliardi di lire, che probabilmente attraverso un libero professionista trasferitosi stabilmente in quell’anno a Milano, finì in un deposito bancario svizzero a quel tempo inespugnabile dalla magistratura italiana. 

Conservo memoria del fatto che nella Messina che contava, quella degli arricchiti nell’arco di un paio di decenni, in quell’anno vi era un gran fermento. Non era un mistero che in quelle isole caraibiche, paradisi fiscali “off-shore” in quanto garantivano l’inviolabilità del segreto bancario, oltre alla lunga fila di nomi di politici, alti dirigenti e imprenditori attivi nel “meccanismo”, circolava voce che vi fossero anche personaggi che non potevano essere compromessi, per cui la vicenda rischiava di avere un decorso tragico. Cito questi ricordi, in quanto si tratta dello stesso Ordile lodato dal soprintendente Voza, in una intervista rilasciata in quegli anni dal giornalista Salvo Benanti, per l’esattezza l’1 ottobre 1989, una settimana prima che il settimanale Panorama pubblicasse le devastazioni di Contrada Fusco. Alla domanda “Un assessore regionale con cui si è trovato particolarmente bene?” il soprintendente risponde “Non ho dubbi, ho lavorato benissimo con Luciano Ordile…” (19)

Ed è da credergli, anche perché sei anni dopo, nel maggio 1995, li troviamo ancora assieme, ma questa volta agli arresti domiciliari, ognuno nella sua bella abitazione. L’accusa stavolta è di aver commesso illeciti amministrativi (abuso d’ufficio aggravato, peculato e falso in concorso…) riguardava le modalità organizzative di una mostra culturale in Giappone in occasione delle Universiadi di Fukuoka tenute nel 1997. La vicenda è emblematica dell’arroganza di quei poteri politici e burocratici, che sembra ritenessero di non avere nemici all’altezza di ostacolare le bizzarre e pasticciate attività che, in tutta autoreferenza, definivano di alto spessore culturale. 

Avevano fondati motivi per credersi invulnerabili, in quanto tutto si dissolse in breve tempo. Assurdamente, fu il giudice Lorenzo Matassa del Tribunale di Palermo a divenire l’oggetto di una quantità di pesanti attacchi da parte del circo mediatico regionale e nazionale, reo di avere messo ai domiciliari il Voza, e in breve trasferito per molti anni al Tribunale di Firenze. Calmate così le acque, l’On.le Ordile si eclissò dalla scena politica regionale. Al proposito è da dire che il troppo rumore di manette e le pessime figure non sono tollerati dal sistema dominante. 

Il soprintendente Voza, viceversa, ne uscì anche questa volta senza danni per la sua carriera, che continuò tranquillamente a Siracusa per altri dieci anni. Tuttavia, l’aspetto poco noto della vicenda di Fukuoka è il grande risalto a quel tempo ad essa dato da tutte le maggiore redazioni della stampa estera, presentata in tutto il suo squallore, con gravissimo danno per l’immagine della capacità operativa dello Stato Italiano quale promotore di simili eventi internazionali. In Francia, ad esempio, Le Journal des Arts” titolò, “Forcing à la sicilienne au Japon. Procès rocambolesque à Palermo” (Forzatura alla siciliana in Giappone. Incredibile processo a Palermo). 

Il titolo allude evidentemente al significato dato nel linguaggio della malavita, che si riferisce alle tristemente note metodologie di “Estorsione alla siciliana”. Al quale venne associato, tra altre evidenze, anche il comportamento dell’assessore regionale al Turismo, quel Luciano Ordile, politico democristiano già per molti anni sulla poltrona di assessore regionale ai Beni Culturali, Ambientali e per l'Identità siciliana (nomen omen)insediato su quella poltrona da ben quindici anni, che alle domande del giudice, riporta con feroce e divertita ironia il giornale francese, per una settimana continuò a chiudersi nella tipica risposta malandrina in stretto dialetto siciliano: “Nun saccio niente”… (20). 

Fu un secondo duro colpo per il Voza in quanto era la seconda volta che lo arrestavano. Difatti, alcuni anni prima, su richiesta del pubblico ministero del Tribunale di Siracusa Dott.ssa Angela Petroiusti, la mattina dell’11 dicembre 1993 era stato per la prima volta tratto in arresto dai militari della Guardia di Finanza. Trasferito nel carcere cittadino, vi fu trattenuto ospite per una settimana, in regime d’isolamento assoluto, ovvero di divieto di colloquiare persino con i difensori per sette giorni. Un provvedimento evidentemente ritenuto precauzionale ai fini della salvaguardia del corretto svolgimento delle delicate indagini. 

Tuttavia, la magistratura siracusana fu oggetto di forti pressioni, operate con l’ausilio di una campagna mediatica a sostegno di un appello sottoscritto da colleghi del Voza (come avvenne anche in occasione del suo arresto nel 1995, essendo coinvolto nel sopra citato colossale scandalo internazionale avvenuto in Giappone). Il soprintendente su dapprima scarcerato e poco tempo dopo tutto finì nel nulla anche quella volta. Secondo l’accusa formulata nel 1993, Voza avrebbe negli anni favorito le attività di due piccoli imprenditori titolari di ditte di costruzioni e pulizie, affidandogli lavori pressoché in esclusiva utilizzando il meccanismo del cottimo fiduciario, un classico nelle soprintendenze siciliane di quegli anni. 

I finanzieri avevano rinvenuto tracce di quello che sostenevano essere prove fattuali in documenti risalenti sin al 1987. Le accuse andavano dalla turbativa d’asta all’abuso di atti d’ufficio e al falso. A seguito di un appello sottoscritto da ben 148 autorità nel campo della cultura nazionale e internazionale, inviato all’Assessore regionale ai beni culturali. Nel suo articolo del 16 dicembre Gianni Bonina, cronista del quotidiano “La Sicilia” si spinge a scrivere una frase illuminante sulla vera posta in gioco in quella vicenda, in quanto egli afferma che nell’appello “si sottintende un larvato richiamo all’autorità giudiziaria che continua a tenere in isolamento un uomo la cui rimessione in libertà non costituirebbe alcun pericolo per il mantenimento dell’intangibilità delle prove” e così gli studiosi firmatari “confidano che al collega vengano risparmiate nell’iter giudiziario forme che tornano a mortificazione dell’immagine che Voza ha sempre custodito, per il prestigio dell’archeologia siciliana, nel mondo della cultura”

I potenti o ex potenti che levano gli scudi per difendere in primo luogo la categoria e sostenere il Voza, onde non finisca per vuotare il sacco su quanto indubbiamente doveva conoscere su quello che quattro anni dopo l’ex Presidente della Regione Siciliana, Rino Nicolosi chiamò il “meccanismo” degli appalti. Gli inquirenti lo sapevano: era il metodo collaudato con successo in quegli anni dal magistrato Antonio Di Pietro e altri delle procure dell’Italia “nordista”. Se il potente soprintendente fosse crollato e avesse accettato di collaborare con gli inquirenti, avrebbe potuto fare luce su quasi un ventennio di rapporti affaristici tra politica, vertici della pubblica amministrazione regionale, imprenditori, massoneria, mafia e forsanche alcune attività delle missioni archeologiche straniere in Sicilia note in alcuni uffici dei Servizi italiani della Difesa. 

Il documento è quindi interessante in quanto indica chi si sia immediatamente attivato per rassicurare del sostegno il soprintendente, anche se il provvedimento di richiesta di arresto era già trapelato dall’ufficio dei militari. Difatti, la notizia salendo di grado arriva al militare massone, che in loggia la comunica a sua volta a chi di dovere e la notizia viene servita “fraternamente” all’interessato. Anche questo era un classico dell’andazzo di quegli anni lontani (adesso, invece…). 

Tra quei potenti che ci persero momentaneamente il sonno, in pool position troviamo i firmatari dell'appello: Antonino Di Vita, sicilianissimo direttore della Scuola Italiana ad Atene; Luigi Bernabò Brea e Paola Pelagatti quali ex soprintendenti per la Sicilia Orientale; Giovanni Rizza, Ernesto De Miro e Nicola Bonacasa quali direttori degli istituti di archeologia delle tre università siciliane di quel tempo, rispettivamente Catania, Messina e Palermo. A questi seguono Mauro Cristofolini dell’Università di Napoli; Attilio Stazio, presidente dell’Istituto per la Magna Grecia di Taranto; Fausto Zevi dellUniversita' La Sapienza, Roma; i professori Gullino, Traversari e La Rocca rispettivamente delle università di Torino, Venezia e Pisa. Dall’Estero si associarono Carl Nylander, Presidente dell’Unione internazionale degli istituti di Archeologia; George Vallet titolare degli scavi di una missione francese da molti anni attiva nel Siracusano, e alcuni elementi dell’Accademia delle scienze di Monaco di Baviera (21)

A seguito della sua presenza tra i firmatari di questa lettera, chiusi con una drastica telefonata il mio ventennale rapporto di amicizia con Luigi Bernabò Brea. 

Riflettendo su queste e altre vicende, nel 1997 ero pervenuto alla convinzione che l’intervento effettuato otto anni addietro dagli esponenti politici comunisti avesse avuto finalità tutt’altro che amichevoli. Una finzione d’apparenza, usata per sondare quanto conoscessi delle illegalità amministrative svolte nel cantiere di contrada Fusco (notizie che provvidenzialmente tenni per me, nella vana attesa di essere chiamato a testimoniare dalla magistratura), e per stabilire le contromisure da adottare in base alla valutazione del mio grado di potenziale dannosità per il “meccanismo” regionale, del quale erano tra i principali attori quantomeno due degli esponenti comunisti con i quali ero venuto in contatto. Mi resi conto, con forte amarezza, che le interrogazioni presentate in sede Parlamentare erano per lo più un espediente per fare credere, alla collettività profana, che tra i partiti dell’arco costituzionale esistesse una opposizione alle attività dei colletti bianchi, del quale invece proprio il PCI costituiva parte connivente attiva. 

 In realtà, sin dai tempi del segretario nazionale Enrico Berlinguer (un’altra icona dietro la quale nascondere qualcosa di losco, in questo caso, i panni sporchi della nomenklatura partitocratica), all’incirca dagli inizi degli anni 1970, pezzi di quel partito erano andati sempre più alla deriva. Avrei dovuto comprendere, ma non avevo ancora le chiavi di quel livello di conoscenza, che le interrogazioni all’Assemblea Regionale e alla Camera dei Deputati erano parte della finzione di routine e non avrebbero avuto alcun seguito investigativo. 

Nel 1993 fu il Deputato dell’Assemblea regionale siciliana Francesco (“Franco”) Piro, elemento di spicco del movimento politico “La Rete” presieduto da Leoluca Orlando, a presentare una serie di interrogazioni indirizzate al Presidente della Regione siciliana e all’Assessore regionale ai Beni Culturali e Ambientali, per avere delucidazioni sia sulla vicenda di Contrada Fusco e sia sulla verifica di quanto avevo dichiarato in una serie di articoli, pubblicati su quotidiani di tiratura regionale, circa l’esistenza di metodiche distruzioni del patrimonio bioarcheologico siciliano. Le risposte dell’Assessore regionale arrivarono stringate e basate solo su informazioni di parte, ovvero di carattere autoreferenziale, ricevute dal personale dirigente della Soprintendenza siracusana. Anche in quel caso, Piro (con il quale a quel tempo affrontammo diverse battaglie in difesa dei beni culturali e ambientali), mi rivelò che esponendo i fatti all’Assemblea regionale aveva avuto la sensazione di essere stato rimbalzato da un enorme, inamovibile, muro di gomma, in un ambiente caratterizzato da una palpabile cappa di omertà in grado di attutire il clamore di qualsiasi iniziativa di contrasto. 

Nonostante tutti questi sforzi, e l’evidenza delle devastazioni, sperimentai con tristezza che nessuna delle associazioni ambientaliste o in difesa del patrimonio culturale, volle intervenire favorevolmente nella vicenda. Erano tutte fortemente politicizzate da quella “nuova” Sinistra che aveva fiutato l’enorme tornaconto in termini di immagine. Scoprii che il sistema siciliano aveva stabilmente incluso loro rappresentanti nel consiglio regionale dei beni culturali e ambientali, e in altre simili commissioni di controllo e legislative, e che le attività di queste associazioni o dei singoli professionisti ad esse legate, venivano spesso finanziate con fondi regionali siciliani. Un conflitto d’interessi camuffato o comunque una situazione che presentava zone d’ombra che non lasciavano ben sperare sulla correttezza del loro operato. Da parte sua, la magistratura non fu in grado o non ritenne opportuno convocarmi nella qualità di testimone per un approfondimento dei fatti da me presentati, nel corso del 1988, in due esposti presso la sede del Comando Carabinieri di Siracusa diretta da Emilio Borghini, se ben ricordo aveva ancora i gradi di capitano (22)

Quando alcuni anni dopo, nel 1991 o 1992, incontrai casualmente il Borghini adesso con i gradi di colonnello, in un ufficio del Tribunale di Palermo, avemmo una breve conversazione durante la quale mi aggiornò brevemente sull’esito del sopralluogo effettuato assieme in contrada Fusco nel settembre 1988: mi aveva segnalato alla procura di Siracusa quale testimone affidabile. Nient’altro. Nel gennaio del 2019 il giornale “Il Fatto Quotidiano” mise in evidenza la presenza del Col. Emilio Borghini e del Cap. Giovanni Arcangioli quali i due ufficiali di più alto grado del gruppo di carabinieri fotografati a Palermo il 19 luglio 1992, in una precisa area della scena che si presentava poco dopo il mortale agguato ai danni del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta. L’articolo cita le dichiarazioni di Angelo Garavaglia, esponente e attivista del movimento “Agende Rosse”, autore di un’accurata analisi di quel triste evento, nella quale egli pone in evidenza la necessità di appurare quale ruolo avesse avuto quel gruppo di carabinieri, soprattutto in relazione alla scomparsa dell’agenda rossa del giudice. 

Difatti, inquirenti e giornalisti considerano altamente probabile che l’agenda fosse contenuta in una borsa prelevata dal Cap. Arcangiolo all’interno dell’auto di servizio usata dal magistrato, e trasportata nell’ufficio del questore Arnaldo La Barbera. Sembra che l’agenda contenesse informazioni raccolte dal giudice Borsellino su varie vicende di alta criminalità avvenute in Sicilia, tra le quali la cosiddetta trattativa Stato-Mafia nella quale si riteneva fossero implicate alte cariche dello Stato e dell’Arma dei Carabinieri (23)

Se dovessero emergere ulteriori notizie su questa strage, dietro la quale si nasconde il vero volto del potere invisibile che domina le Istituzioni statali visibili ai profani, quella zona d’ombra dove Stato e Deep State coincidono, si potrebbe forse giungere ad avere un quadro anche su cosa sia realmente accaduto anche in vicende quale quella di contrada Fusco. 

Mi riferisco in particolare agli interventi operati da personaggi appartenenti alla Pubblica Amministrazione e a elementi appartenenti a apparati preposti alla difesa del Deep State nazionale, inteso quale entità operativa d’élite del potere invisibile dello Stato e del vertice dei poteri transnazionale e soprannazionali del Blocco Occidentale. È a strutture periferiche di questi organismi, che si devono imputare parte delle attività di delegittimazione di testimoni o personaggi comunque scomodi, distruggendone metodologicamente la vita privata e professionale, se necessario anche a livello internazionale. Le loro modalità operative sembrano seguire un protocollo, contenente una scala progressiva d’interventi programmata sulla base di differenti tipologie punitive: depistaggio, disinformazione, controinformazione, propaganda, opinione pubblica, ignoratio elenchi, argomentazione (argumentum ad ignorantia, argomentum ad baculum, argomentum ad hominem, ecc.), manipolazione dei mass media, macchina del fango, distruzione della reputazione, (e, infine) assassinio del personaggio. 

Dovetti aspettare sino all’agosto del 1995 affinché quanto accaduto in Contrada Fusco venisse professionalmente approfondito da due giornalisti “dalla schiena dritta”. Erano accadute delle novità e sollecitati dalle coraggiose pubbliche dichiarazioni, rilasciate nel corso di una manifestazione da sindacalisti e operai che avevano lavorato sin a quell’anno nel cantiere di contrada Fusco, il direttore dell’Ente Fauna Siciliana, Bruno Ragonese e l’ambientalista (tutt’altro che filo-governativo) Ettore Rizza, pubblicarono un lungo e circostanziato articolo sulla rivista bimestrale “Grifone”, edita dall’Ente. Il titolo andava dritto ai fatti: “Fusco, una distruzione enorme, incredibile, irreparabile. Non deve restare impunita”. L’articolo riporta integralmente anche una mia lunga lettera, contenente chiarimenti richiesti dalla redazione in qualità di testimone dello svolgimento di alcuni fatti accaduti nel 1988 e seguenti (24)

Per quanto concerne l’area comunale di Messina desidero ricordare i miei interventi sui quotidiani locali per tentare di fermare le ruspe che sventrarono l’importante complesso residenziale di età romana e bizantina, denominata dai locali giornali Villa di Santa Melania; i ritrovamenti durante gli scavi edili nell’area del Tribunale di Messina. Infine, la devastazione con ruspe, la cementificazione e l’illegale deposizione di materiali chimici (alcuni non identificati) e altri materiali di risulta nel sotterraneo di un importante castello medievale appartenente agli imperatori della dinastia sveva, avvenuta tra il 2005 e 2006 in una importante parte dell’area archeologica e paesaggistica di Monte Belvedere di Fiumedinisi, in provincia di Messina: responsabili il Comune di Fiumedinisi e diversi funzionari della sezione archeologica della soprintendenza di Messina, molti dei quali segnalati dal GICO nel 2004 per parecchie altre vicende accadute in provincia di Messina. 

È profondamente deprimente constatare che si tratta di decine di vicende tutti rimaste puntualmente impunite, pur essendo tra l’altro associate a gravi danni all’erario. Oggi non resta che avere fede nella possibilità che almeno in un futuro, nonostante gli inquinamenti e le perdite di evidenze che la vicenda ha purtroppo subito nel corso dei decenni, le prove raccolte possano sopravvivere tra mille difficoltà. E che possano essere utili a una nuova classe dirigente siciliana desiderosa di affrancarsi dal pesante passato, mettendo in luce e analizzando criticamente le vicende criminali ricorrenti nella gestione dei beni archeologici dell’Isola almeno sin dagli anni 1960. Forse solo allora si potrà fare pulizia di certe onorificenze, emesse in discutibile autoreferenza da istituzioni dello Stato infiltrate o attivamente conniventi di cordate politico-affaristiche, a favore di personaggi appartenenti a gruppi di potere imposti e protetti dal sistema dominante per sostenere il mito dell’affidabilità tecnocratica delle sue creature: furono squisite eccellenze miracolosamente attive e potenti in un sistema marcio, oppure emeriti criminali, “pezzi da novanta” giunti alla vecchiaia impuniti e privi del senso dello Stato?

 

Festschrift e “Cerchio magico” 

In lingua tedesca, il termine “festschrift” è usato per indicare un insieme di scritti prodotti da un gruppo di persone, molti dei quali ex colleghi o personaggi appartenenti ad altre istituzioni operanti nello stesso settore lavorativo, generalmente al fine di festeggiare la carriera di un pensionato da essi ritenuto onorabile. Nel caso qui esaminato, si tratta di una iniziativa organizzata in Sicilia da un comitato promotore e sostenuta dal lavoro dei curatori del volume, le cui attività, come da essi stessi evidenziato in questo esempio alla siciliana, sono state monitorate dalla moglie del festeggiato (25)

 Il festschrift con il quale coloro che, ritenendo apprezzabile la carriera di Giuseppe Voza, ex soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali di Siracusa, hanno in tal modo inteso celebrarla (26), sono tutti anche se a vario grado, degni d’interesse per eventuali futuri studi sull’insieme di gruppi di potere, definiti “cerchi magici” dalla recente terminologia d’uso mediatico. Si nota difatti la presenza di personaggi che hanno dominato e purtroppo condizionato o precluso il corretto sviluppo di tutte le attività archeologiche siciliane nel corso degli ultimi cinque decenni, grazie ai molteplici legami con, o alla appartenenza a, quadri medi del potere dominante (27)

Il primo quesito che dobbiamo porci su questa sorta di comunità dai caratteri lobbistici autoreferenziali, composta da tecno-burocrati, accademici e politici, verte sull’improbabilità fattuale che i partecipanti non avessero coscienza di perseguire quel che può essere definito un protocollo cerimoniale, tra l’altro già ben collaudato per altri personaggi con carriere simili a quella del celebrato, scandito da rituali e da eccessi di drammatizzazione del tradizione “liturgica”. 

Difatti, la prima fondamentale manipolazione del magus consiste nel rituale di perimetrazione del “cerchio magico” (28), ben evidenziata dalle limitazioni imposte ai curatori del festschrift. Ne troviamo esempio nella scelta dei fedelissimi, delle tematiche dei loro contributi, e l’esclusione di quella ventina di discipline proprie delle scienze naturali, tra le quali persino l’archeozoologia, l’archeobotanica, la paleoantropologia, e la geoarcheologia (tra i più importanti le evidenze provenienti dallo studio dei paleosuoli e delle microstratigrafie, le analisi petrografiche, ecc.). Un amplissimo settore della ricerca scientifica che permette di giungere a risultati importanti degli studi paletnologici, paleoecologici e paleoeconomici, già da parecchi decenni ritenute tra i fondamentali campi d’interesse dell’archeologia moderna di indirizzo antropologico nella sua più ampia accezione (29)

La loro esclusione da questo festschrift corrisponde, per fare un esempio comparativo in campo astronomico, alla pretesa di poter compilare una esauriente mappa lunare semplicemente fotografandone un decimo di quella visibile usando una vecchia camera fotografica. Cosa si direbbe se accadesse davvero? Questa mancanza nel festschrift riflette quanto accade in Sicilia da molti decenni ai siti archeologici in fase di scavo, con l’aggravante che una volta eseguito non vi è una seconda possibilità di usufruire di quelle evidenze che non sono state raccolte. Come pagine di un libro bruciate dopo averlo sfogliato con scarsa attenzione. È questa macroscopica lacuna dottrinale, a primo acchito, la più importante e drammatica testimonianza tramandata ai posteri da questo festschrift, evocante direttori di scavo che hanno preferito ignorare il dovere imposto dalla moderna metodologia archeologica sin dagli anni 1970, di formare valide équipes specialistiche all’altezza di seguire standard professionali sia nello svolgimento degli scavi e che degli studi. 

Pur di non rinunziare al potere autoreferenziale concesso dal cerchio magico regionale e tipicamente siciliano di quegli anni, i vecchi baroni dell’archeologia locale ed i loro “followers” hanno di fatto mantenuto sino a alcuni anni orsono metodologie di studio e ricerca pressoché identiche a quelle del diciannovesimo secolo, attraverso sterramenti atti al recupero di manufatti artistici con i quali agganciarsi a fonti storiche. Un problema purtroppo ancora attuale in alcune aree della Sicilia, continuando a determinare danni inestimabili nei siti archeologici proprio da parte di archeologi presenti nelle università e nelle soprintendenze isolane (30)

Scorrendo l’indice dei celebranti e il tema dei loro contributi al festeggiato, comprendiamo quindi di essere innanzi all’opera di uno di quei “cerchi magici” dell’archeologia che considerano le discipline bio- e geoarcheologiche non come campi fondamentali della ricerca archeologica, ma quali “scienze applicate all’archeologia” e quindi “ancillari” come spesso da ragazzo sentivo ripetermi da Luigi Bernabò Brea, uno dei loro eroi mitizzati. Il festschrift costituisce quindi un importante documento storico fornendo l’elenco (purtroppo parzialmente incompleto a causa di parecchi deceduti o per l’assenza coloro che non hanno voluto o potuto partecipare), di quanti sono stati ideatori o a vario titolo conniventi delle distruzioni di importanti beni culturali (e in alcuni casi anche ambientali) dello Stato e che non saranno mai processati per quanto effettuato nell’esercizio delle loro rispettive pubbliche funzioni con grado dirigenziale. 

Procedendo nell’osservazione critica, notiamo un’ulteriore importante evidenza che permette di contestualizzare questo festschrift. Chi si è posto all’interno del “cerchio magico” ha manifestato di accettare il credo e le regole stabilite dal magus che lo ha tracciato intorno a sé, anche quale luogo-Entità protettiva propria e dei suoi fedeli che attendono alle sue attività, entrati dopo avere dato prova della loro affidabilità. Considerando le finalità e le circostanze che accompagnano l’opera di chi si pone al vertice di questi gruppi, il termine magister non può qui essere utilizzato in quanto inappropriato (31)

Nei cerimoniali celebrativi che scandiscono e caratterizzano il programma di questo festschrift, i fedeli sono chiamati a manifestare la loro fiducia e stima nel celebrato. Questa attività possiede anche una valenza occulta, una manipolazione magica nota agli iniziati, ma generalmente completamente ignota alle giovani leve dell’archeologia, quelle non ancora ammesse nei circoli esoterici nei quali militano con vario grado e fortuna la maggior parte dei pubblici dirigenti archeologi. 

È quindi qui opportuno chiarire che la manipolazione sopra citata è, in quell’ambiente, ritenuta in grado di condurre alla liberazione di energie atte a fortificare il magus (ricordando che la somma abilità del magus è quella di apparire in pubblico, e persino a parte dei suoi fedeli, quale un magister pur sapendo di non esserlo), la sua immagine, e consolidare la coesione del suo gruppo. Accettando gli effetti (non sempre) benefici della circolazione di “flussi di energie” attraverso l’axis, nella fattispecie tra la base del gruppo e il magus e viceversa, si celebra e si consolida anche la posizione dei fedeli all’interno di questo sistema chiuso di potere. 

In termini magico-esoterici, il momento della chiusura del perimetro del cerchio determinante sia l’isolamento protettivo da quanto esistente all’esterno di esso e sia la determinazione del campo operativo, costituisce un atto di definizione di aspetti qualitativi e quantitativi simbolicamente equivalenti a quelli dell’apposizione di un sigillo. 

La produzione dei festschrift in onore di funzionari pubblici, appartenendo alla tipologia di cerimonie contenenti attività di condizionamento mentale della società, quando svolte in queste particolari cerchie hanno ripercussioni positive per il sistema dominante, sia a livello regionale che nazionale. Esse sono ben accette dal potere costituito, in quanto funzionali al continuo sforzo da questo dedicato per infondere nella collettività il gradimento, la fiducia e il rispetto della classe dirigenziale della pubblica amministrazione, a beneficio dello Stato e quindi a pieno vantaggio del vertice stegocratico. È questo il motivo principale del forte impegno profuso nella divulgazione, tramite i media, di simili cerimonie celebrative, includendo anche funerali e ricorrenze, in onore di personaggi-icona da parte delle principali testate giornalistiche del sistema. 

Non è un caso che, negli ultimi decenni, in ambito comunitario europeo strutture simili ai “cerchi magici”, qualsiasi sia stato il loro campo di azione nelle filiere governative, sono stati spesso realizzati a ridosso di gruppi di potere dalla forte connotazione Deep State, quale ritengo probabile sia avvenuto nel caso del “monolite dei Beni Culturali” siciliano. 

La celebrazione di un tecnocrate veterano da parte di questi cerchi magici, qui intesi quali gruppi di base e officine di sostegno e legittimazione autoreferenziale del sistema dominante regionale, è un evento che ha altresì la funzione di rendere pubblici i nominativi di giovani elementi. Si tratta di collaboratori esterni distintisi, anche per la loro provata affidabilità, nel corso delle loro attività nel “monolite” dell’Amministrazione regionale o statale (in questo caso quello regionale siciliano dei Beni Cultuali e Ambientali). La maggior parte sono parenti stretti o di altro grado relazionale affettivo o clientelare (pacchetti di voti elettorali, amanti, scambi “do ut des” tra personaggi appartenenti ai vertici dirigenziali di istituzioni statali o regionali). Dalle loro fila verranno negli anni selezionati coloro che entreranno nell’organigramma dell’amministrazione regionale e a tempo debito, eventualmente, in quelli superiori della piramide dirigenziale del potere regionale o di quello nazionale. D'altronde, una prassi iniziatica simile avviene nella filiera del potere politico-tecnocratico, dove i prescelti sono chiamati a ricoprire alcuni dei massimi vertici istituzionali dello Stato. 

Ad un diverso livello delle finalità dell’evento, appartengono le manipolazioni delle quali le giovani leve generalmente hanno affatto o minore consapevolezza, al pari delle masse profane, pur avvenendo quotidianamente sotto gli occhi di tutti. L’attività di condizionamento qui consiste nella continua alterazione della conoscenza di quanto accade nella società, attraverso la negazione di ogni dato oggettivo, che ha la conseguenza di cancellare la memoria sul reale svolgimento di vicende accadute nel passato. Viene in tal modo generata nella popolazione una ignoranza della realtà per rafforzarne il potere, privandola di termini di confronto dannosi al sistema

E qui torniamo al problema evidenziato da George Orwell ben settant’anni orsono nel suo romanzo “1984", e alla sua “intuizione profonda”, visionaria, dell’esito finale del processo manipolatorio: il trionfo della memoria alterata in ogni singolo individuo, in modo da essere uniformata a quella del sistema dominante che lo scrittore chiama il Partito Totalitarioil cui vero immenso potere è il controllo della società veicolato da una tirannia stegocratica (32)

Da quanto sembra trasparire o possibile intuire dai risultati delle recenti vicende giudiziarie e inchieste giornalistiche, le manipolazioni operate nell’ambito regionale siciliano dei beni culturali appartengono alla fascia media del network dei gruppi del sistema dominante nazionale, nei quali ogni gruppo possiede specifiche competenze e campi d’interesse, a seconda i quali militano anche politici e alti funzionari statali, affiancati da accademici locali o d’Oltralpe che operano o hanno operato in Sicilia. Nell’Isola, il gruppo dei beni culturali appare caratterizzato da una forte tendenza a perseguire, ormai da diversi decenni, la costruzione di una sorta di tempio virtuale ove vengono venerate le immagini, profondamente rimaneggiate di alcuni personaggi appartenenti a diverse generazioni di alti funzionari dell’amministrazione regionale o del mondo accademico, dipinte quali d’inossidabile onestà intellettuale e mirabili servi dello Stato, fulgidi esempi da imitare. 

L’edulcorata narrazione mitologica prodotta a sostegno di questa sorta di pantheon virtuale è affidata alle testimonianze di amicizia e rispetto tributate dalle gerarchie di sodali e novelli discepoli che concorrono a costituire un monolitico “racconto veritiero”. Il contesto è quello della perpetuazione del mito eroico ove il celebrato, esaltando il curriculum vitae di veterano tecnocrate appositamente costruito nel “sistema” autoreferente (che lo ha protetto in cambio della fedeltà connivente), giunge a essere descritto per quel che necessita al suo sistema di appartenenza, ovvero quale dotato di qualità umane e meriti scientifici che onorano coloro che fanno parte di quella comunità. 

Di queste vitalità (intese quali manifestazioni di energie vitali) si fregiano e si nutrono i suoi fedeli, i celebranti il festschrift, tramite la loro partecipazione qui prescelta, o accettata, e comunque condizionata all’affettuoso monitoraggio della moglie del celebrato come rivelano gli estasiati curatori, quasi fossero le comparsate di uno dei filmati che un tempo la signora produceva nella “Moana Cinematografica” (33). Nell’accettare il potere di questa atipica figura muliebre condividente il potere del celebrato in quanto stretta parente, studiosi e burocrati le si sottomettono gratificati dall’essere stati identificati e scelti quali appartenenti al gruppo elitario, ritenendo di avere in tal modo aumentato anche il proprio prestigio all’interno del monolite dei beni culturali regionali e, in questo caso, del settore archeologico. Nonostante la presenza di questi aspetti surreali da repubblica bananiera, l’evento riesce a divenire un utile documento storico, la radiografia di quel cerchio di potere tramandata ai posteri, dove i partecipanti ingaggiati nella costruzione di un mito divengono essi stessi parte della narrazione mitologica. Anche per questa evidenza, l’intera operazione merita ulteriori riflessioni. 

 

Festschrift e narrazione del potere dominante 

Osservata dall’esterno, estrapolandola dal suo ambiente autoreferenziale che da decenni domina tutte le attività dell’archeologia siciliana, la vicenda mostra gli aspetti grotteschi di quelle stravaganti situazioni dove sono presenti stonature tipicamente siciliane, quasi fossero una esasperazione in chiave attuale di tematiche antiche, già evidenziate da Luigi Pirandello in alcune sue novelle, opere teatrali andate in scena sin dai primi decenni dello scorso secolo (34)

Ecco quindi “Il berretto a sonagli”, dove troviamo la teoria delle tre corde presenti nella mente di chi in Sicilia deve viverci (la seria, la civile, e la pazza), e la descrizione delle loro modalità d’uso per sopravvivere in quella realtà sociale. E la novella “Certi obblighi”, anch’essa tradotta in opera teatrale, dove un tale difende l’immagine del suo prestigio sociale, definita Il Pupo, dietro la quale sono nascoste tutte le gravi, inconfessabili, realtà di ognuno di coloro che hanno raggiunto posizioni di potere. Il personaggio è assillato dal bisogno di mantenere integra quella falsa onorabilità costruitagli attorno dal sistema che lo sostiene e al contempo lo sfrutta, appunto come un pupazzo, per i propri propositi. 

Nelle vicende attuali possiamo allargare l’esempio anche a quei sodali celebranti il pirandelliano Pupo dalle tre corde del momento, in quanto tramite riti e cerimoniali quali quelli presenti nel festschrift, scelgono di ricevere la protezione, gli onori e le gratificazioni finanziarie, ovvero il potere tanto ambito, in cambio di connivenze attive o passive necessarie a testimoniare l’affidabilità della loro omertà corporativa. Una qualità indispensabile in tutti i sodalizi di quel tipo, compresi i “club service” della borghesia (35)

Pirandello, che cent’anni fa conosceva quanto fosse facile, e lo è ancor più oggi, di essere colpiti dall’anatema della morte civile, si guardò bene dall’esporre personaggi appartenenti ai gruppi del Potere dominante nella Sicilia del suo tempo. Limitandosi alla descrizione di situazioni, le sue commedie riescono tuttavia a offrire interessanti spunti per contestualizzare vicende accadute negli ultimi decenni. Ne calzerebbero a pennello parecchie nella Sicilia dai tanto decantati quanto devastati e abusati beni culturali e ambientali. 

Per quanto riguarda Siracusa, necessita riesumare dall’oblio quella mai degnamente approfondita dalla magistratura o dalle forze dell’ordine, concernente gli scavi archeologici e paleontologici svolti in Contrada Fusco. Una vicenda che da sola, se correttamente investigata, avrebbe potuto fornire una chiara idea dei meccanismi voraci e distruttori che caratterizzano la piramide di potere che sin dall’ultimo quarto dello scorso secolo ha soffocato l’economia e impedito un sano sviluppo del tessuto della società siciliana. 

A veder meglio, oggi gli aspetti più comuni nelle vicende dove il potere dominante si manifesta, sono l’arroganza e la prevaricazione perpetuate a danno delle masse e dei beni appartenenti alla collettività. Ormai un modus vivendi, normalizzato dalle manipolazioni psicologiche delle masse, che caratterizza una delle attività del network del potere dominante in Sicilia, di quei gruppi che spesso necessitano celarsi dietro maschere e miti di personaggi simili a quelli pirandelliani, fatti Pupi benemeriti, al riparo dei quali tessere i loro affari. Coloro che, investiti del potere inquirente, riescono a condurre senza gravi intoppi i dovuti approfondimenti di queste vicende, sono destinati a pervenire alla opprimente sensazione di non poter mai cessare di metterle in luce, a causa della diffusione e quantità di intrecci che saltano fuori indagando in ogni direzione, trovandovi talora collegamenti anche internazionali e, in alcuni casi, risalenti a decenni addietro. 

Oggi, per tentare di conoscere il lato oscuro di quel che è accaduto negli ultimi decenni del secolo passato, pur con il mero fine di comprendere il presente, possiamo solo ricorrere ai lavori di quegli intellettuali definiti “eretici” dai loro contemporanei. Di coloro che si rendevano rei di eresia contro il pensiero dominante, avendo esaminato in modo metodologico e razionale i fatti, mostrando ai semplici come interpretare cosa vi fosse dietro gli accadimenti di quegli anni, e poter illuminare con l’intuizione visionaria gli occulti aspetti del potere. 

Bisogna ricorrere alle circostanze delle cause di morte, dalla sociale sino a quella fisica, per comprendere quanto il potere costituito tema gli “eretici” e li elimini dopo averli screditati, delegittimati e isolati, seguendo la metodologia della dottrina inquisitoria che agendo sul fisico mira a estirpare quelle qualità proprie della mente eretica. Secondo Sciascia, queste qualità sono la dignità intellettuale e la potenza della libertà; quel che Pasolini definiva il potere di esercitare pienamente “l’esame critico dei fatti” (36). Ed è davvero singolare come questa qualità sia avversata sia dalla “chiesa di Pietro” che da quella “di Giovanni”, ovvero dalla chiesa cattolica e dalle massonerie, dichiarando di essere state un tempo vittime di quelle tirannie oligarchiche che inizialmente aspiravano a contrastare e alle quali oggi sono ancillari. 

Con la pubblicazione del racconto “Todo Modo”, Leonardo Sciascia già nel 1974 aveva lasciato intravedere gli aspetti delle cinque Entità che a quel tempo componevano il i livelli medio-alti di quella parte del potere dominante visibile alle masse. Mediante un congegno descrittivo d’immagini e situazioni allegoriche, sono impietosamente esposte realtà di dinamiche appartenenti agli anni 1960 e 1970, spingendosi a presagi o intuizioni profonde di un futuro funesto non solo all’oligarchia politica, imprenditoriale e religiosa, ma anche a quella intellettuale sia di “sistema” che “eretica”. Avendo chiaro quanto stava accadendo, o sarebbe accaduto sino al tragico tracollo della Prima Repubblica, riuscì a preconizzare l’avvento di quella nazione che oggi constatiamo in parte progetto già realizzato e in parte “in progress”(37)

È in “Todo Modo” che Sciascia evidenzia alcuni aspetti dell’efferatezza criminale di quel contesto che preferisce definire il “sistema costituente”, talora accompagnandoli da simbologie occulte (ovvero da livelli di lettura riservati agli iniziati), financo alla carica autodistruttiva dei poteri che erano entrati in grave e violento conflitto di interessi nell’Italia degli anni 1970 (così come accadde ancora nella prima metà degli anni 1990). Due anni dopo la pubblicazione del romanzo, nel 1976, queste tipicità furono drammaticamente evidenziate da Elio Petri nel suo film ispirato all’opera di Sciascia, al punto di conservarne il titolo quale chiave interpretativa di primo livello. Così come lo scrittore, anche Petri si astenne dal contestualizzare l’evento nell’ambito delle volontà del vertice dei poteri dominanti i Paesi del Blocco Occidentale, i suoi personaggi tacciono l’esistenza non solo di un vertice stegocratico dei poteri transnazionale e soprannazionali, ma anche di quella quinta colonna a esso legata e posizionata all’interno del vertice della Sinistra italiana già negli anni 1960. Eppure, Petri riesce a indurre lo spettatore a percepire la presenza di un potere superiore i cui Pupi sono la mafia, gli apparati dello Stato e le altre Entità esposte negli anni 1990 da quanto semplicizzato nel Memoriale Calcara (38)

Negli anni 1990 quale conseguenza della dissoluzione della classe politica sovietica, la Sinistra filo-statunitense probabilmente infiltrata agli inizi degli anni 1960 nel quadro della nuova politica progettata nei potenti “think tank” accademici attivati ai tempi dei fratelli Kennedy, grazie ai quali la lobby democratica riuscì a divenire la forza politica di riferimento del potere transnazionale occidentale. Fu un capolavoro dell’Intelligence americana, probabilmente sostenuto da massicce attività “psyops” di cui si hanno tracce negli archivi statali statunitensi e nelle inchieste italiane pertinenti a gravi interferenze operate da apparati di altri Paesi dell’Alleanza Atlantica (39)

Costituita da varie forze reclutate nella sua variegata galassia di partiti, gruppi e movimenti (con l’aggiunta di personaggi pervenuti da altre forze del Centro), iniziò un dialogo anche con una parte delle eminenze della Chiesa Cattolica, in particolare dalla Compagnia di Gesù (meglio noti quale l’ordine dei Gesuiti) al cui fondatore Sant’Ignazio di Loyola, riconduce il titolo del libro di Sciascia, ovvero la chiave di lettura del “Progetto” operativo transnazionale. 

La lontananza dai bisogni del proletariato da parte dell’élite della Sinistra partitocratica, già emersa quale uno dei fondamenti della lotta al sistema indetta dal cosiddetto terrorismo rosso, ritorna oggi in tutta la sua realtà di imperdonabile tradimento delle aspettative delle masse, ormai trascinate nella povertà e in una nuova forma di schiavismo, avendo perso i diritti civili guadagnati in quasi duecento anni di lotte operaie e contadine. Abbandonate al loro destino, sono oggi alla mercé di un nuovo potere nazionale, di fatto sottomesso alle volontà del Nuovo Ordine Mondiale teorizzante il liberismo duro della Nuova Destra emergente dal caos, dalla fame e dalla disperazione. 

Il fatto che, nel solo arco di mezzo secolo, è stato smantellato quello che sembrava il monolitico sistema politico-affaristico della “prima repubblica”, eliminando i capi e le cordate ad essi fedeli, ma non la classe tecnocratica, è un dato fattuale che ben difficilmente potrebbe essere presentato quale casuale. Probabilmente, nei Paesi appartenenti al Blocco Occidentale è in corso un piano di ampi e profondi cambiamenti dell’intera gamma non solo degli aspetti socio-economici, ma antropologici nell’accezione più ampia del termine affinché il potere, rigenerandosi, possa tramandarsi saldamente nelle mani del vertice stegocratico capitalista. 

Evidentemente programmata minuziosamente, con perfetta tempistica dove svettano coincidenze talora davvero inquietanti, l’operazione registra sviluppi incontrastati che permettono un’accelerazione lineare uniforme dello svolgimento. Una situazione che sembra ormai incontrollabile, al punto da essere prevedibili gravi ripercussioni sulla stabilità finanziaria e quindi sociale non solo dell’Unione Europea, ma dell’intera area appartenente al Blocco Occidentale, intravedendosi nell’arco di alcune decine di anni la possibilità di una drastica deriva degli attuali assetti politico-governativi (40)

È questa la realtà che, pur esondando come un fiume impetuoso, scorre quasi inosservata dalle masse e puntualmente oscurata, all’occorrenza, dalla tempestività di un qualche bizzarro assassinio; pandemie originate da ricerche scientifiche borderline svolti in laboratori delle superpotenze; scandali a luci rosse; festschrift celebranti falsi miti. 

Ecco quindi l’inquietante clan familiare siciliano di Pupi capipopolo di pirandelliana memoria, provenienti dagli allevamenti della vecchia politica che da pezzenti li trasformò in milionari, oggi riciclatisi nella versione di Liberatori dell’Isola ai quali la copertura stegocratica permette esternazioni eversive, superare impunemente decine di processi e l’atipica veloce ascesa a alte cariche pubbliche mirando alla Presidenza del Parlamento siciliano. A coronare questo caos pilotato, è l’insediamento di una abilmente confezionata tecnocrazia resa insindacabile e quindi impunibile, in quanto predestinata a Entità superpartes, a surreale quanto improponibile emblema di onestà professionale e di fedeltà ai valori della Repubblica italiana. 

Gli ingredienti ci sono tutti, sembra di essere tornati al periodo dell’Allied Government in Sicilia dal 1943 al 1945, alle sue operazioni di “de-sovranizzazione” degli apparati pubblici, a quel controverso sistema di allestimento della nuova classe dirigente che lo accompagnò assieme alla riapertura delle logge massoniche e del Rotary Club, quali istituzioni funzionali al controllo del potere militare Alleato e in seguito dell’Alleanza Atlantica. La successiva emanazione della Costituzione della Repubblica Italiana, appare quale un vademecum di buoni propositi non validi nei confronti del Deep State, quello argutamente definito da Sciascia il “potere costituente”, al quale oggi possiamo aggiungere “transnazionale e di quello nazionale da questo creato, riferendoci alla sede del vertice decisionale e ai suoi Pupi indigeni. 

 

Il mito dell’Intellighenzia tecnocratica siciliana 

In Sicilia, come d’altronde nel resto d’Italia, i caratteri strutturali dell’organizzazione Deep State e di quei gruppi operanti quali organismi periferici con specifiche funzioni operative nel territorio, sono ancor oggi “Terra Incognita”. Sin dai tempi dell’assassinio del poliziotto italo-americano Joseph “Joe” Petrosino, avvenuto a Palermo nel lontano 1909, nessun investigatore, per quanto abile, è mai riuscito a vivere abbastanza da raccogliere le evidenze fattuali che permettano di mappare e descrivere il network dei poteri forti, compreso quello massonico, su cui si fonda il vertice stegocratico. 

Attualmente, chi in Sicilia procede a proprio rischio nella conoscenza della reale organizzazione sociale nella quale vivono oltre sei milioni di abitanti, possiede soltanto la possibilità di effettuare un’attività di osservazione di eventi ai quali i media di sistema hanno dato risalto, tenendo tuttavia presente che ciò può verificarsi soltanto quando sia ritenuta funzionale a specifiche finalità del potere dominante. Ad esempio, nel caso dei vari aspetti presenti nelle modalità di realizzazione del festschrift confezionato in onore di un anziano alto funzionario della Regione Siciliana al quale, per lunghi decenni, è stato permesso di mantenere la mansione di soprintendente ai Beni Culturali in un’area problematica dell’Isola quale quella Orientale, è sempre osservabile la presenza di meccanismi di manipolazione e esaltazione delle attività svolte. È difatti l’attenta osservazione e l’analisi degli accadimenti e del loro contenuto nei molteplici livelli di espressione simbolica, che permette di comprendere i meccanismi e le finalità dell’operazione nell’ambito funzionale e strutturale del sistema dominante. 

Come abbiamo visto, dietro la necessità di organizzare il festschrift vi è sempre una scala di finalità che conducono i celebranti a seguire le indicazioni dettate dagli organizzatori per lo svolgimento di specifici cerimoniali e il sistema dominante a vagliarlo e propagandarlo. Ed è questa una delle rare circostanze, mediante le quali, un cronista può apprendere fondamentali informazioni su ciò di cui da un punto di vista energetico questo tipo di “cerchio magico” e il sistema di cui fa parte si nutrono per sopravvivere. Una importante nozione che deve essere tenuta presente dagli investigatori, anche nel caso della pratica di altre tipologie di rituali talora persino “efferati” svolti da particolari cerchie di fedeli, non so dire se presenti o meno anche nel cerchio magico qui attenzionato, dove tuttavia possiamo presumere che la principale finalità dell’intera operazione è lo scambio di poteri, che necessita di offerte energetiche di elevato livello. 

Nella realizzazione del festschrift oltre agli atti cerimoniali pubblici, costituenti nella forma un insieme simile a quello liturgico puntualmente “osservato” dal vertice dei celebranti, è possibile constatare come mediante una offerta di energia psichica (gli scritti, anche se qui deliberatamente limitati ad alcuni campi della ricerca archeologica) si voglia referenziare: a) l’appartenenza a una élite; b) la purificazione e la mitizzazione dell’intero operato del celebrato, perpetuando il credo nell’esistenza di alti funzionari animati dai valori della Repubblica Italiana; c) l’attività di costruzione “in progress” di una “narrazione dominante” dove entro un contesto auto-referenziale vengono esposte le qualità e i poteri delle Istituzioni pubbliche coinvolte (Stato, Regione Siciliana, Assessorato Regionale, Soprintendenza) e della sua élite, eliminando le evidenze fattuali negative. 

La costruzione del mito dell’intellighenzia (41) tecnocratica siciliana, così come nel caso diametralmente opposto del “character assassination” (42), avviene mediante la produzione di un insieme di atti con i quali il Deep State, avendo potuto tessere lentamente e per lunghi decenni le sue trame, è ormai in grado di condizionare lo Stato nella disattenzione generale, persino nella programmazione delle spese pluriennali. Come se fosse divenuto una inevitabile forma parassitaria cronica, alla quale si è abituati a dare poca o nessuna importanza, pur essendo effettiva la gravità delle conseguenze (43)

Nel caso del personaggio qui attenzionato, oltre alla costruzione e protezione del curriculum dirigenziale, è intervenuta anche la nomina di Cavaliere dell’Ordine Nazionale al Merito rilasciata da uno dei più controversi presidenti della repubblica francese, François Mitterrand, noto massone e esoterista (44). Nonostante l’esistenza di macchie indelebili nella carriera professionale del soprintendente Voza, quali i decenni di conduzione di scavi e studi deliberatamente del tutto privi di parti fondamentali delle moderne metodologie e tecnologie della ricerca scientifica archeologica, comportando gravi perdite di beni culturali, e le devastazioni permesse nell’area archeologica e paleontologica di Contrada Fusco a Siracusa, nel 2004, lo Stato italiano si spinse a onorarlo con il titolo di “soprintendente emerito di Siracusa”, e il Consiglio Comunale di Siracusa lo nominò cittadino onorario (45)

 L’insieme dei fatti, se inquadrati nell’ambito delle cronache siciliane degli ultimi cinquant’anni, sembra indicare uno di quei personaggi che nonostante diversi “incidenti di percorso” venuti alla luce, sia ormai riuscito a raggiungere lo status riservato ai dirigenti pubblici “intoccabili” e, infine, “venerabili” propri del monolitico pantheon dell’amministrazione regionale siciliana. Tuttavia, si osserva che malgrado la costruzione del curriculum propedeutico alle raggiunte finalità, questo dirigente non ritenne prudente accedere a una rilevanza di grado superiore, ovvero alla cerchia tecnocratica operativa a livello governativo nazionale, come invece avvenne nel caso del Soprintendente Sebastiano Tusa negli ultimi anni precedenti alla morte (46)

 

Note

1) E a quanti con medesimo coraggio e lealtà allo Stato italiano parteciparono alle sue pionieristiche e pericolose indagini, fondate sulla scoperta di un intreccio di rapporti tra personaggi di primo piano appartenenti a logge massoniche italiane, organizzazioni criminali di alto livello, partiti politici e alta finanza, operativi anche in ambito internazionale. Primi raggi di luce su un occulto sistema di potere in grado di condizionare pesantemente le attività primarie dello Stato italiano. 

2) Ne ho scritto ampiamente sin dal 2009, dapprima con brevi interventi a margine su alcuni blog in lingua italiana di studiosi dell’argomento, iniziando nel 2012 a pubblicare articoli su diversi siti on-line, tra i quali nel 2014 coscienzeinrete.net. Dal giugno 2018 aprii un mio sito in lingua italiana e inglese presso un host statunitense (thereportersblog.com, non più attivo); infine dal 18 giugno 2020 ad oggi sul presente blog thereporterscorner.com dove iniziai a pubblicare nuove inchieste e a ripubblicai parte dei vecchi articoli, accompagnandoli da aggiornamenti. 

 In un recente libro-intervista dal titolo eloquente (Alessandro Sallusti & Luca Palamara, 2022, Lobby & Logge. Le cupole occulte che controllano il “Sistema” e divorano l’Italia, Rizzoli, pp. 1-251), vi è una frase messa il evidenza in quarta di copertina: “Esiste un sistema invisibile in cui nuotano faccendieri, servizi segreti più o meno deviati, logge più o meno semplicemente lobby che usano la magistratura e l’informazione per regolare conti, consumare vendette, fare affari”. Trovo che la definizione ignori deliberatamente, forse per non spostare l’attenzione del lettore, quali siano agli inizi del ventunesimo secolo le reali condizioni di quello che, in termini di occupazione militare, può essere oggi denominato il Precinto Italia. Una situazione ben più complessa e articolata di quella descritta dai due autori del libro, in quanto mantenendosi nell’ambito nazionale risulta ormai ovvia la sudditanza dei network regionali a strutture di potere appartenenti a livelli superiori (nazionali e transnazionali), che permettono d’ipotizzare l’esistenza di una organizzazione soprannazionale, strutturata piramidalmente e dal vertice stegocratico, funzionale all’imponente meccanismo di controllo e sfruttamento costituito dal Dopoguerra ad oggi, presumibilmente ideato per giungere ad un monolitico e incontrastato potere dominante totalitario del Blocco Occidentale. Una delle quattro o cinque Entità a vertice oligarchico che tra alcuni decenni si contenderanno il dominio delle risorse del pianeta. 

 Per tale ragione preferisco non adoperare il termine Lobby&Logge, anche se circoscritto alle vicende dove sono visibili e identificabili gruppi di poteri regionali e nazionali appartenenti al network di livello medio della “Piramide Occidentale”. 

 Nel 2019, il massone Gioele Magaldi e la giornalista Laura Maragnani nel loro “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle UR-Lodges” (Chiarelettere ed., pp. 1-656) hanno definito le UR-Lodges, logge massoniche di livello superiore, “coperte” da massima riservatezza per i personaggi vi sono ammessi e per le attività che vi si svolgono. Anche in questo caso non credo che si tratti di un termine esaustivo per definire l’intera piramide del sistema dominante e in particolare i rapporti indiretti tra il gruppo al vertice e gli innumerevoli gruppi di base. Tuttavia, il termine aiuta a configurare la presenza di un network di Entità lobbistiche transazionali di elevata pericolosità criminale, in grado di destabilizzare intere nazioni, o di ricattarle costringendole a sottostare alla massiccia sottrazione di energie vitali. 

3) Orwell G., 2012, 1984, Mondadori ed., traduzione in lingua italiana dall’originale inglese, edito nel 1949 da Secker&Warburg. Si tratta di un romanzo probabilmente ispirato a vicende reali, a uno scritto e a un autore forse realmente esistiti. 

4) Orwell G., 2012, 1984, op. citata in nota 3. 

5) https://www.zoom24.it/2017/01/31/massoneria-ndrangheta-lex-gran-maestro-goi-intuizione-cordova-oggi-realta-41585/ 

6) la grave vicenda è stata approfondita nell’articolo: “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia, Parte IV. Come evitare un processo per associazione a delinquere e divenire la direttrice di uno dei più importanti parchi archeologici d’Europa”, dapprima pubblicata il 13 agosto 2019 dal mio sito on-line “The Reporters Blog”, oggi non più attivo, e dal 19 Giugno 2020 sul presente blog “The Reporter’s Corner”: https://www.thereporterscorner.com/2019/08/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html 

7) Per consultare il procedimento: Office Européen de Lutte Antifraude, Bruxelles (O.L.A.F.): Case OF/2007/0022; e l’articolo “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte IV. Come evitare un processo…”, op. citata in nota 6.  Ritengo illuminante constatare che al proposito del processo avvenuto dopo l’intervento degli investigatori O.L.A.F., nessun mezzo stampa ha ritenuto opportuno renderne noto l’esito. 

 Dei rinvii a giudizio esistono scarne notizie pubblicate dal settimanale: Centonove, il 13/11/2009, a firma di Michele Schinella: “Messina, l’inchiesta: archeologi col ricarico. Travolti da una inchiesta giudiziaria i funzionari della Soprintendenza. Sono sospettati di avere attestato il falso consentendo così alle imprese di gonfiare il fatturato. I nomi degli indagati e i siti nel mirino”. E da Stampa Libera, sito on-line fondato e diretto dal giornalista Enrico Di Giacomo (fratello di Caterina Di Giacomo, dirigente presso la soprintendenza di Messina, anni dopo divenuta Direttrice del Museo Regionale di Messina) l’articolo venne pubblicato a firma della redazione il 4/11/2009 “Appalti alla Soprintendenza di Messina: decisi sette rinvii a giudizio. Atti al PM per nove indagati, nuova udienza per due”. 

8) rimando all’importante risultato delle indagini svolte dalla polizia tedesca di Karlsruhe concernenti una misteriosa superloggia operativa a livello internazionale (Supranational Ur-Lodge). Floriana Bulfon e Giulio Rubino, 22 Gennaio 2018, La mafia è un modello da esportazione: così le cosche si sono radicate in Germania”, in “l’Espresso”: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/01/16/news/la-mafia-e-un-modello-da-esportazione-cosi-e-sbarcata-in-germania-1.317090 (consultato il 30 luglio 2018). Per le implicazioni di questa vicenda in Sicilia leggasi anche Villari P., 12 settembre 2018, Sicilia. Riflessioni sui recenti decessi di due dei migliori investigatori della polizia, dapprima pubblicato on-line sul sito “The Reporter’s Blog” (non più attivo) e dal 19 settembre 2020 trasferito sul presente “The Reporter’s Corner” https//thereporterscorner.com

9) per approfondimenti e note bibliografiche rimando al mio articolo “Strutture operative transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un criminologo sull’Arca di Noah”, un tempo pubblicato su The Reporters Blog il 27 luglio 2018 sia in lingua inglese che italiana (non più consultabilile on-line), e dal 18 Giugno 2020 trasferito sul presente blog: https://thereporter 

10) AA.VV., 2020, Siracusa, la Sicilia, l’Europa: scritti in onore di Giuseppe Voza, Torri del Vento Ed., Palermo. 

11) Invito il lettore a consultare quanto ho espresso nella Premessa, pp.3-4 della monografia archeozoologica Villari P., 1995, Le faune della tarda preistoria nella Sicilia Orientale, Ente Fauna Siciliana, Siracusa, pp. 1-493; in appendice al romanzo Villari P., 2013, L’indagine orfica, Archaeological Centre ed., Assendelft, terza edizione, Riflessioni sul “sistema” dell’archeologia siciliana, pp.311-324, (aggiornamento della prima edizione novembre 2006); e nel mio articolo “La distruzione del patrimonio bioarcheologico italiano: alcune considerazioni tecniche d’interesse criminologico sull’operato della Regione Siciliana” pubblicato il 7 Febbraio 2014 nel sito “Coscienze in Rete” e con aggiornamenti apportati in data 18 giugno 2020 consultabile anche su https://thereporterscorner.com 

12) purtroppo mi venne impedito un approfondito studio degli splendidi reperti pleistocenici e delle centinaia di carotaggi di paleosuoli che misi in luce nell’estate 1988 in contrada Fusco. Devo al Prof. Giovanni Costa, a quel tempo Direttore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Catania, l’invito a pubblicare nella prestigiosa rivista “Animalia”, fondata dal suo predecessore e nostro comune amico Prof. Marcello La Greca, lo studio archeozoologico dei resti rinvenuti nello scavo di una delle strutture monumentali di Contrada Fusco, a quel tempo erroneamente specificatami dalla direttrice dello scavo quale un Ninfeo sacro ad Apollo datato al IV secolo a.C. e anni dopo da questa corretta al III-II secolo a.C. Il monumento venne ruspato assieme ad altri per la controversa costruzione dello sbocco della galleria ferroviaria della tratta Targia-Siracusa. Carbone F., 8 Ottobre 1989, In treno sui fossili, in “Panorama” settimanale di attualità, p. 67, Milano; Villari P., 1991, Resti faunistici dal Ninfeo del Fusco, Siracusa, in Animalia, vol.18, pp. 163-174. 

13) titolo specialistico conseguito con il massimo dei voti nel 1984, presso la Scuola Speciale dell’Università di Pisa. 

14) Salvo Benanti, 30 dicembre 1989, Cintura ferroviaria impegno di Nicolosi, in “La Sicilia”, pag. 14. 

15) Salvatore Maiorca, 1 febbraio 1990, “Questione ferroviaria ora tocca alla Regione, in “La Sicilia”, pag. 14. 

16) La dirigenza della soprintendenza riprendeva una mia ipotesi d’intervento “Per un parco paleontologico” pubblicata integralmente sei anni addietro dal giornale “L’Ora” edito a Palermo, Sabato 16/Domenica 17 dicembre 1989, pag. 6. In quell’anno il progetto aveva ancora un senso, ma certamente non nel 1995, avendo le ruspe devastato il sito e la tratta ferroviaria tranciato il sito!... L’intervista rilasciata dal personale dirigente della sezione archeologica di questa soprintendenza costituisce un triste esempio di manipolazione dei fatti operato con arrogante prevaricazione del sistema dominante nell’ambito dei beni culturali e ambientali. Giuseppe Aloisio, Un parco-museo sogno realizzabile, in Prospettive Siracusa, Rivista economica mensile della Camera di Commercio Industria Artigianato di Siracusa, Anno XIV, n. 4, settemre 1995, pp. 11-13. 

17) Carbone F., 8 Ottobre 1989, In treno sui fossili, op. citata in nota 12. 

18) https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/10/08/nicolosi-accusa-ras-della-sicilia.html 

19) Salvo Benanti, 1 ottobre 1989, Il soprintendente festeggia le nozze d’argento con Siracusa, in “I Fatti della Domenica”, pag. 8. 

20) Le Journal des Arts, 1 novembre 1997, n.30

https://www.lejournaldesarts.fr/actualites/forcing-la-sicilienne-au-japon-99947 

21) Alcuni anni dopo la Petroiusti, a seguito di una tentata strage in tribunale di Siracusa (una bomba sotto la poltrona della giudice) sventato, secondo la dichiarazione degli inquirenti, da un sottufficiale della Guardia di Finanza, venne trasferita “per motivi di incompatibilità ambientale” al Tribunale di Firenze. La stessa località fu riservata a quel tempo anche al giudice Lorenzo Matassa del Tribunale di Palermo, scontrandosi anch’esso con il Voza per averlo messo agli arresti domiciliari in relazione alla vicenda delle irregolari esportazioni di preziosi reperti archeologici in Giappone per il valore di nove miliardi di lire. Effettivamente, la coincidenza è inquietante e richiederebbe un approfondimento, anche a livello di rapporti di equilibrio di poteri tra logge massoniche di livello superiore appartenenti alle due fratellanze dette “giuridica” e “sapienza”. Per le notizie sull’arresto e sui firmatari, si leggano gli articoli di Aldo Mantineo, domenica 12 dicembre 1993, Erano sempre le stesse ditte a eseguire i lavori, in La Gazzetta del Sud, pag. 13; Gianni Bonina, Voza subito in libertà, giovedì 16 dicembre 1993, in “La Sicilia”, pag. 14. 

22) Anzi, nell’inverno 1988-1989, seguendo il consiglio dell’ufficiale che temeva realistica la possibilità che si verificassero problemi provenienti da frange della criminalità siracusana, forse in relazione a quanto rivelato su di esse dal settimanale Panorama, fui costretto ad allontanarmi momentaneamente dalla Sicilia. Vissi nel profondo disagio la precauzione di dovere cambiare alloggio con una certa frequenza tra Toscana, Veneto e Lazio. Non fu piacevole perdere l’amicizia di numerosi colleghi, terrorizzati dalla possibilità di subire ritorsioni, essendo a quel tempo molto potente quella sorta di entità corporativa costituita dagli accademici e dei burocrati dell’archeologia siciliana all’interno dell’allora Ministero per i Beni Culturali, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e nella Scuola Archeologica Italiana ad Atene. 

 Nel 1989 iniziai quindi a lavorare in Perù, per studi e campagne di scavo che allargai a Cile e Polinesia sino alla fine del 1991, quando tra i moai dell’Isola di Pasqua fui raggiunto da una rocambolesca comunicazione della polizia cilena, che m’informava di essere ricercato dalle forze di polizia italiane, non era specificata alcuna motivazione. 

 Giunto in Italia, mi recai al Tribunale di Messina dove scoprii che si trattava della denunzia inoltrata da due archeologi dirigenti della Soprintendenza di Messina. La notizia criminis consisteva in alcune frasi da me rilasciate nel corso di una intervista concessa a un quotidiano locale, dove descrivevo i loro scavi archeologici per quel che erano: affidati ad assistenti addirittura privi di titoli professionali, nonostante l’importanza e la ricchezza di evidenze archeologiche di quei siti. Inoltre, i due classici burocrati non avevano impiegato tecniche di campionamento moderne, quali la fondamentale flottazione o persino la semplice setacciatura dei sedimenti, e una lunga serie di altre dannose e intollerabili incompetenze. Nel 1992 sopraggiunse la separazione dalla famiglia creata nel 1980 in Italia. Quell’anno trascorsi parecchi mesi per effettuare uno studio presso il Servizio Archeologico Statale Olandese, poi mi trasferii a Roma per lavorare in una struttura dell’Ordine di Malta e infine dal settembre di quell’anno presi domicilio a Genova per lavorare presso l’Istituto Italiano di Archeologia Sperimentale diretto da Santo Tinè. L’anno dopo questi venne costretto da forti pressioni ricevute da personaggi che non volle mai specificare (alle mie domande rispose imbarazzato “Ci sono cose e nomi che è meglio non sapere”), chiedendomi di sospendere la mia presenza a Genova, pur rimanendo membro dell’Istituto (“in attesa di tempi migliori”). Negli anni successivi non vi fu un solo luogo di lavoro, all’Estero, dove entro sei mesi non venivo rintracciato e screditato professionalmente a causa di pressioni provenienti da personaggi rimasti ignoti o che, in un caso, conoscevo solo di nome. 

 Nel 1993 venni estromesso, senza ricevere alcuna motivazione, dal secondo convegno nazionale dell’associazione degli archeozoologi italiani, che si tenne a Siracusa, pur essendo il pioniere degli studi archeozoologici siciliani. Non volli più partecipare alle attività di quella associazione, lasciando anche decadere il mio status di associato. Nel 1995 mi dimisi dall’associazione degli archeozoologi europei il cui vertice era ormai finito nelle mani di un sistema accademico formato da soli laureati in scienze umanistiche. Alla fine, agli inizi del 1996 decisi di dedicarmi a fondare una ditta dove svolgere sotto copertura investigazioni nel settore archeologico sotto copertura in contatto con alcune forze di polizia europee. Quando da Genova, agli inizi del 2000 il prof. Santo Tinè mi telefonò in Olanda per chiedermi se fossi interessato alla cattedra di archeozoologia disponibile in una università della Campania, fui felice di dover declinare l’offerta con la buona scusa di essere da tempo affetto da una malattia progressivamente invalidante. Riporto tutto questo per fare comprendere cosa comporti scontrarsi con le ottusità del sistema costituito siciliano. 

23) https://ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/01/22/quei-dueufficiali-e-la-scomparsa-dellagenda-rossa74914134. 

24) Bruno Ragonese e Ettore Rizza, 27 agosto 1995, “Fusco: una distruzione enorme, incredibile, irreparabile. Non deve restare impunita” in “Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, pp. 4-6. 

25) rimando alle note 10 e 33. 

26) In ordine di apparizione constatiamo presenti: le tecnocrati Licia Vlad Borrelli e Maria Teresa Currò Pisanò; gli archeologi Massimo Cultraro, Maria Bernabò Brea, Sebastiana Lagona, Lorenzo Guzzardi, Sebastiano Tusa (deceduto in un incidente aereo, in termini esoterici “caduto dall’alto”, l’anno precedente alla pubblicazione del volume), Anita Crispino, Rosa Maria Albanese Procelli, Massimo Frasca, Michel Gras, Rosa Lanteri, Dario Palermo, Madeleine Cavalier, Umberto Spigo, Maria Costanza Lentini, Gioconda Lamagna, Concetta Ciurcina, Rosalba Amato, Paola Pelagatti, Filippo Giudice, Giovanna Maria Bacci, Pier Giovanni Guzzo, Maria Musumeci, Giovanni Di Stefano, Malcom Bell, Ernesto De Miro; il numismatico Giuseppe Guzzetta e infine il politico Fabio Granata. In seconda fila, troviamo la Tabula gratulatoria, ovvero coloro che si sono limitati a inviare congratulazioni, dove troviamo: i tecnocrati Sergio Gelardi e Marco Salerno; gli archeologi Beatrice Basile, Maria Grazia Branciforti, Rosalba Panvini, Andrea Patanè, Francesco Privitera, Salvatore Rizza, Vincenzo Scuderi; la numismatica Maria Caccamo Caltabiano e l’architetto Paolo Paolini. 

27) Rimando a quanto ho espresso in nota 11. 

28) per usare un linguaggio matematico qui scevro di conoscenze della tradizione magica cerimoniale, il simbolo del cerchio corrisponde alla rappresentazione piana di un sistema chiuso di forma sferica, ovvero armonica. Secondo lo psichiatra Carl Gustav Jung, il cerchio è un simbolo di totalità, entro il quale è proiettato uno stato di coscienza. Essendo l’archetipo dell’individuazione psichica, chi lo traccia opera l’affermazione del proprio Sé. Jung C.V., 1972), Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri ed.(titolo originale Psycologie und Alchimie, prima edizione, 1935) 

29) per approfondimenti rimando a quanto avevo scritto nel 1995 nelle pagine della Premessa nella mia monografia Le faune della tarda preistoria nella Sicilia Orientale, op. cit. in nota 11. 

30) in nota 11. 

31) magister è qui inteso colui che opera per il bene della collettività, e non per perseguire finalità personali o per il proprio ristretto gruppo di seguaci, come avviene nel caso del magus. 

32) Orwell G., 2012, 1984, op. citata in nota 3. 

33) Si trattava di una società avente sede legale in Siracusa, operante nel settore cinematografico. Risulta che negli anni grassi dell’Amministrazione Regionale siciliana, i surreali 1980’s isolani, la Moana Cinematografica usufruì di sovvenzioni pubbliche stanziate dall’Assessorato per i Beni Culturali e Ambientali, per l’ammontare di diversi miliardi delle vecchie lire italiane. Probabilmente è una di quelle storie siciliane che meriterebbero di essere approfondite, comparendovi tra gli altri anche le figure di Paolo Berlusconi, fratello del più noto Silvio; del regista Folco Quilici che non volle inserire alcun accenno di questa “esperienza” nel suo curriculum vitae; e di Rino Nicolosi, ex Presidente della Regione Siciliana nel suo memoriale consegnato nel 1997 alla magistratura. Il nominativo di quest’ultimo risulta legato alla controversa vicenda dell’acquisizione della collezione numismatica Pennisi di Floristella, famiglia che accomuna in qualità di parenti sia il Nicolosi, che l’ex soprintendente Sebastiano Tusa e un dirigente archeologo della Soprintendenza di Catania. Villari P., 31 Agosto 1998, La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, in “Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, pp.4-7, con la prefazione del direttore Bruno Ragonese; Villari P., 30 Giugno 2000, La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella. 2) Quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire, in “Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, pp. 6-10; Villari P., 31 ottobre 1998, Saldi archeologici: il guerriero di bronzo, in “Grifone”, bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, p. 12; pubblicato on-line in “The Reporter’s Blog”, 27 settembre 2020 con aggiornamenti (titolo: Fantasmi di processi mai nati: 1) “Saldi archeologici: il guerriero di bronzo”) https://www.thereportersblog.com/2020/09/fantasmi-di-processi-mai-nati-1-saldi.html 

34) Tra le opere consultate segnalo: Salinari C., 1960, Miti e coscienze del decadentismo italiano. D’Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, Pirandello, Feltrinelli ed., Milano; Puglisi F., 1967, Luigi Pirandello, Mondadori, Milano; Venè G.F., 1981, Pirandello fascista. La commedia borghese tra ribellione e rivoluzione, Marsilio ed., Venezia. 

35) per approfondimenti rimando a quanto ho evidenziato in “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano. Parte II e Parte III. 

36) Pasolini P.P., 1975, Scritti corsari, Garzanti, Milano; Sciascia L., Elogio dell’eresia, in “l’Ora”, 9 maggio 1979. Dopo avere osato “alzare il tiro” nei suoi scritti invisi al Potere dominante, Pasolini divenne oggetto di pesanti campagne di discredito, sino a cadere vittima di un assassinio di efferata violenta, come riservato agli “eretici”. Sembra che Sciascia, uno di quegli intellettuali che in quel periodo lo avevano emarginato, si rese conto di averlo in tal modo esposto alla mortale punizione decretata dal vertice stegocratico per silenziarlo e al feroce pubblico discredito che puntualmente seguì esponendo all’indomani dell’omicidio le sue inclinazioni omosessuali con minorenni. Decidendo di alzare anch’egli il tono delle esternazioni, Sciascia iniziò a evidenziare alcuni meccanismi di manipolazione ai quali sono soggette le masse, attirando come prevedibile la classica reazione del potere dominante nei confronti degli “eretici”: campagna di discredito e perdita di consensi. Fu un’operazione ben orchestrata che tuttavia non fu spinta sino alla delegittimazione professionale, ma che continuò a contrariarlo sino alla sua tragica morte avvenuta nel novembre 1989, causata da una estenuante malattia tumorale del sangue. 

 Pasolini e Sciascia sono solo due esempi di tutti quegli “eretici” di età moderna ai quali, la morte, è pervenuta accompagnata da evidenze simboliche che, quantomeno all’apparenza o per insondabile coincidenza, sembrano condurre alla tradizione esoterica occidentale del Contrappasso

37) Sciascia L., 2003 (1974), Todo Modo, Adelphi ed., 15a edizione, pp.121, Milano. Espressione in lingua spagnola corrispondente all’italiana “Con ogni mezzo”, ironicamente estrapolato da una celebre frase dell’opera “Esercizi Spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine gesuitico. San Ignacio de Loyola, Ejercicios Espirituales, 2018, edizione a cura di Angel A. Perez Gomez, Ediciones Mensajero, Bilbao, pp. 224). Questa riflessione, secondo gli appartenenti all’Ordine, racchiude un senso più profondo, implicante che qualsiasi modalità è ammessa se necessaria alla salvezza sia del singolo cristiano che della Chiesa. Il suo significato più inquietante dovrebbe essere tenuto presente qualora, un giorno, si vorranno comprendere certe concezioni, profondamente radicate, nella mentalità delle leadership stegocratiche avvicendatesi nel corso degli ultimi cinquant’anni in Sicilia. È da queste che sono scaturite le decisioni, e le attività di protezione alla base dei meccanismi di molte miserevoli vicende verificatisi nella gestione della tutela dei beni culturali e ambientali dell’Isola. 

38) per i riferimenti bibliografici e approfondimenti si rimanda alla nota 9. 

39) per approfondimenti rimando a quanto ho evidenziato in “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte II e Parte III. 

40) È stato così possibile giungere oggi in vista di una ferrea oligarchia stegocratica transnazionale del Blocco Occidentale, dove i governi hanno mansioni decisionali marginali e le forze armate sembrano avere ormai assunto la doppia funzione di cane da guardia e da caccia, di ciò che si prospetta quale una delle quattro o cinque confederazioni oligarchiche del futuro. Quelle che probabilmente domineranno un pianeta sovrappopolato, dove le condizioni naturali di sopravvivenza antropica sono state irrimediabilmente compromesse. 

41) per il termine rimando al Dizionario della lingua italiana Hoepli, 2018. La casa editrice detiene anche il copyright dell’uso delle puntuali definizioni. 

42) l’assassinio del personaggio, quasi sempre seguendo la regola del Contrappasso, una delle punizioni che le fratellanze esoteriche riservano a coloro finiti nella lista nera del sistema dominante. 

43) Icks M., Keohane J., Samoilenko S., Shiraev E., eds, 2014, Character Assassination, in Theory and Practice Conference report, George Mason University’s Arlington Campus, 3-5 March, 2017. 

44) Vi è una tradizione di rapporti, anche professionali, intrattenuti da alti esponenti della massoneria francese con i loro confratelli siciliani, che a Siracusa si consolidarono nel corso degli anni 1960 e 1970. Vedasi in particolare in particolare la vicenda della costruzione del santuario della Madonna delle Lacrime, progettato e diretto da due eminenti architetti appartenenti alla massoneria francese, e gli altrettanto potenti accademici francesi dirigenti del CNRS, direttori o esperti delle équipe di scavo delle missioni archeologiche francesi in quel territorio. 

 Alcune vicende mi furono confermate nell’estate del 1992, pur senza fornirmi significativi chiarimenti sull’esito delle indagini, da alcuni personalità a quel tempo operanti nella Sicilia Orientale, tra i quali l’allora Prefetto di Catania Dott. Domenico Salazar che, con mia moderata sorpresa, l’anno seguente si trasferì a Roma alla direzione del Sisde, il Servizio Segreto Civile italiano. Anni dopo il ruolo di viceprefetto e infine di prefetto di Catania venne ricoperto da Anna Polimeni, già moglie dell’ex Soprintendente ai BB.CC.AA. di Messina per il quale, come abbiamo scritto, nel 2004 il GICO aveva richiesto l’arresto. 

45) AA.VV., 2020, op. cit. in nota 10. 

46) Per eventuali approfondimenti rimando alla lettura degli articoli pubblicati nella serie tematica “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia”. Per quanto concerne i legami del sistema di potere in Sicilia con quello nazionale e del Blocco Occidentale, consiglio la lettura del mio articolo “Strutture operative transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un criminologo sull’Arca di Noah”, un tempo pubblicato su The Reporters Blog il 27 luglio 2018 sia in lingua inglese che italiana, e dal 18 Giugno 2020 sul presente blog dove è ancora gratuitamente consultabile.

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