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Solve et Coagula: la Sicilia e l'illusione di un progressismo democratico "rivoluzionario"

di Pietro Villari, 2012 e 2018. Tutti i diritti riservati.

Pubblicato online il 23 Novembre 2012 da EreticaMente.org, ritirai questo e altri articoli circa due settimane dopo, per protesta contro la sopravvenuta dura censura nei miei confronti imposta dai nuovi padroni del sito attraverso una loro uomo di fiducia, un giornalista massone e impiegato in un quotidiano tenuto in vita dalle  laute sovvenzioni governative. L’articolo fu riedito in versione integrale il 6 Ottobre 2018 su thereportersblog.com e trasferito il 18 Giugno 2020 su thereporterscorner.com.

Leggendo oggi (Settembre 2024) questo articolo del 2012 ci si può rendere perfettamente conto di come il flagello che sta per abbattersi sulla popolazione europea era ben chiaro già da parecchi anni a coloro che, come me, con libertà intellettuale prevedevano le future conseguenze e tentavano di renderle pubbliche. La reazione annichilante del sistema fu da manuale.

 

L’articolo censurato

Nel corso delle ultime settimane (ottobre 2012), l’informazione nazionale ha dedicato ampio spazio all’entusiasmo, manifestato dalla Stampa filogovernativa anglo-sassone e francese, nel commentare l’esito delle recenti elezioni siciliane. Sconvolgendone il vero significato, viene descritta una inesistente vittoria della coalizione di partiti “democratici e progressisti” che a garanzia di credibilità di rinnovamento avevano schierato un candidato anti mafioso e omosessuale, un politico di lungo corso che oggi ama parlare di rivoluzione. Anche gli analisti esteri concordano nel ritenere il risultato quale una dimostrazione di maturità dell’elettorato, di un profondo cambiamento o di una breccia aperta nei valori tradizionali che costituiscono lo zoccolo duro dell’identità isolana.

Una tale messe di opinioni non può essere liquidata quale mero frutto di una grossolana conoscenza della società siciliana, ma pura invenzione nell’ambito del perseguimento di un programma: il tentativo di distruzione e la fagocitazione di sacche culturali mediterranee, strutturalmente non compatibili al processo di globalizzazione, attraverso la realizzazione di un “meticciato” culturale standardizzato e subordinato ad un potere stegocratico.

Per quanto possa sembrare il suono di una campana stonata, un esempio di questi lavori in corso è la lotta dura alla fazione della mafia legata al vecchio sistema di potere imprenditoriale, bancario e politico italiano. Questa azione ha registrato una forte accelerazione negli anni seguenti alla caduta del blocco comunista, grazie anche ad un importante aiuto logistico giunto dal Nord America. La vecchia mafia siciliana, difatti, era dotata di una sua autonomia e costituiva una delle più importanti roccaforti europee e mediterranee che interagiva con i locali sistemi socio-economici. Oggi è stata sostituita da una organizzazione criminale la cui affiliazione al nuovo sistema globalizzante ne ha permesso l’espandersi a livello mondiale e di diversificare le sue attività economiche legalizzandone parti consistenti.

Questo cambiamento è avvenuto nell’ambito di un equilibrio dinamico raggiunto tra ormai onnipotenti organizzazioni internazionali di matrice criminale, che però potrebbe tramutarsi in violento conflitto in un futuro non lontano, in relazione al drastico acuirsi della crisi energetica mondiale.

 

Sin dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, alcuni pensatori avevano preso coscienza del pericolo che incombeva sul futuro dell’Europa, generato dall’esplosione demografica e dalla modernizzazione di popolazioni di altri continenti, sedi d’inestimabili possibilità di sfruttamento economico.

Le due guerre mondiali avvenute nella prima metà dello scorso secolo cancellarono ogni possibilità europea di resistenza ad essere assorbite dal travolgente espansionismo nordamericano, segnando il tramonto delle sue identità culturali. Una colonizzazione “democratica e progressista” ideata e conseguita dal capitalismo occidentale anche tramite l’acculturazione dei vinti, massicci bombardamenti di consigli per gli acquisti e modelli culturali demenziali, il cui impiego nel corso dell’ultimo sessantennio ha avuto un moto accelerato uniforme.

Ma è purtroppo all’etnolisi, un termine tecnico curiosamente censurato dai dizionari italiani, che sembra riconducibile lo scenario futuro siciliano e di altre aree mediterranee. Esso si originerà da un nuovo tipo di colonizzazione che già vediamo affacciarsi al nostro orizzonte, in ampie aree dell’Africa equatoriale e meridionale, ove agli accordi di cooperazione commerciale e militare con potenze asiatiche o di spregiudicati potentati multinazionali, si è associata la pratica della espropriazione delle ricchezze e la schiavitù economica di massima parte della popolazione.

 

Nel corso della sua travagliata storia, l’Isola era sempre riuscita nell’impossibile, ovvero di assorbire le culture colonizzatrici facendole proprie, modificandole attraverso la mitezza del clima, il fascino misterico e la bellezza sacrale dei paesaggi, la sua fortemente radicata tradizione popolare. Protetta da questo incantesimo, per millenni la Sicilia aveva sciolto ed amalgamato culture diverse giunte con la potenza delle armi, cristallizzandosi in età moderna in una entità che avrebbe potuto elevarsi a Nazione, dotata di una propria lingua e caratterizzata da un proprio modus vivendi.

Il Regno delle Due Sicilie volle convivere con la Sicilianità, nel cui territorio potette rifugiarsi durante la parentesi napoleonica. Viceversa, quello savoiardo tentò di annientarla giungendo all’uso della violenza sanguinaria, per poi rinunziare all’impresa abbondonandola al suo destino dopo averne saccheggiato e distrutto la florida economia. Non riuscì a comprenderla nemmeno il Fascismo Mussoliniano, che dovette arrendersi di fronte ai “consigli” dei locali gerarchi di non alzare il livello della lotta alla mafia ai piani alti. Fallì anche il tentativo di un efficace contrasto alle attività delle logge massoniche le quali, nonostante il loro pubblico scioglimento giunsero ad avere sedi “coperte” negli stessi quartieri o edifici ove risiedevano esponenti del PNF. Per non citare i rapporti tra fascismo siciliano ed ebrei, nonostante le leggi razziali.

Il Fascismo siciliano del Ventennio fu un mondo a parte del quale a tutt’oggi ben poco è stato studiato.  Parzialmente assimilato e adattato alla locale tradizione, di esso ciò che più piacque alle tre differenti popolazioni meticce isolane fu la sua anima popolare, l’apertura autenticamente rivoluzionaria all’interclassismo e al modernismo, l’aspetto socialista localmente pragmatico. L’antico status di Provincia Romana, riaffiorato con il culto della Romanità, ripropose implicitamente una indipendenza geografica e storica dalla Penisola, anche se mai furono dimenticate le spoliazioni subite dal console Verre, il disboscamento per trasformarla nel “granaio di Roma”, la rivolta di Ducezio, l’abbandono all’invasione dei Vandali. A parte la convergenza degli influenti interessi mafiosi sin dal periodo dell’occupazione anglo-americana, quell’antico status evocato dal Fascismo ebbe un ruolo nella base ideologica sulla quale sorse il movimento indipendentista siciliano grazie al quale alcuni anni dopo il governo italiano riconobbe all’Isola uno statuto dotato di ampia autonomia.

Dal Dopoguerra la Sicilia ha assunto una sempre maggiore importanza dapprima quale presidio militare statunitense, sino a divenire oggi una importante sede operativa dotata di più basi in espansione. Le sue vicende politiche sono state inevitabilmente legate con filo doppio a quelle del resto dell’Europa del Patto Atlantico. L’esistenza del blocco sovietico aveva concesso qualche decennio di sopravvivenza ai sistemi nazionali europei, anche se gradatamente assoggettati agli interessi delle multinazionali del capitalismo occidentale uscito vincente dal secondo conflitto mondiale. Inoltre, grazie alla intensa opera di collaborazionismo con i vincitori, la vecchia mafia aveva ottenuto preziose coperture, forse vere e proprie concessioni di privilegi, che come abbiamo detto sono durate sino al crollo del Muro di Berlino.

 

Oggi i Siciliani si trovano innanzi all’epilogo della loro doppia sconfitta, come popolo mediterraneo ed europeo, agli in inizi di una crisi economica mondiale che impone l’espropriazione dei beni dei popoli vinti e l’assoggettamento per via militare di ulteriori popolazioni. Li aspetta l’ultimo atto della tabula rasa della loro identità nazionale, lo svuotamento di antichi valori sostituiti da uno schiavismo globalizzante, attraverso un’opera di “normalizzazione” di un nuovo tipo di collaborazionista, oggi mascherato negli indecenti panni di un progressismo democratico, pseudo giustizialista e cattolico.

E’ la somma di tutte le paure dei Siciliani quella che si sta per avverare nell’Isola, la cui posizione di crocevia tra Eurasia ed Africa per un ricorso della Storia la riporta a rivestire una importanza strategica a livello mondiale. Se da una parte il capitalismo occidentale vuole solo spremerle le ultime ricchezze senza rinunciare a restarvi con le sue importanti basi militari, sono le potenze asiatiche emergenti adesso ad ambirla maggiormente, forti della imponente pianificazione del loro commercio mondiale fondato su uno sfruttamento di stampo neo colonialistico, appoggiati da un apparato militare che in pochi anni supererà sia in qualità che in quantità quello del blocco Occidentale. Queste potenze, ed in particolare la Cina, sono pressate da un vertiginoso incremento demografico che richiede sempre maggiori approvvigionamenti energetici per non entrare nel baratro di una recessione insanabile. Colpito dalla profonda crisi strutturale dalle origini inconfessabili, il sistema socio-economico occidentale indietreggia progressivamente su tutti i fronti, vacilla sino a indurre alcuni autorevoli osservatori a domandarsi quando e come crollerà, se per istinto di sopravvivenza sceglierà  la strada della reazione militare o se i suoi vertici accetteranno di fare una fine simile a quella dei resti dell’aristocrazia Ispano-Moresca nel corso dei decenni successivi alla Conquista.

Si sta oggi assistendo ad un progressivo deterioramento degli equilibri internazionali e alla insorgenza di potentati privati, che nell’Europa meridionale sono di fatto subentrati in quasi tutte le sovranità nazionali, assorbendone le risorse energetiche. Questi potentati attualmente agiscono senza colpire le nazioni nelle quali le loro basi logistiche sono ospiti, in particolare quelle anglosassoni, ma è una situazione momentanea in quanto con il peggiorare della crisi la situazione finirà per estendersi all’intera Europa, unica vera perdente dei precedenti conflitti mondiali.

Ciò che più colpisce un comune osservatore, non è la reazione della classe politica e imprenditoriale europea, che salvo rare eccezioni si è sempre distinta per codardia e opportunismo di maniera, per la totale sottomissione ai nuovi padroni del mondo. No, è piuttosto la non-reazione della massa immobilizzata, incapace di reagire in quanto composta da individui intrappolati nella paura di avere inflitta la tortura della morte civile.

 

Torniamo quindi alla piccola Sicilia, simile nelle dimensioni all’Olanda, dotata di ben maggiori ricchezze rispetto a quella e tuttavia con una popolazione in massima parte in difficoltà economiche o indigente. In uno Stato degno del rispetto dei suoi cittadini, le recenti elezioni del Governatore e dei componenti del Parlamento siciliano avrebbero dovuto essere dichiarate nulle, in quanto la maggioranza degli aventi diritto al voto si è astenuta. La popolazione non ha avuto altro modo per bocciare senza appello, affatto graditi, sia i candidati scelti dai partiti e sia le balcaniche aggregazioni di più partiti tra loro ideologicamente distanti. Avrebbero dovuto essere indette nuove elezioni, avendo cura di scegliere nuovi candidati e nuove formule politiche non solo coraggiose ma soprattutto sagge.

Invece, si preferisce falsificare la realtà senza ascoltare la voce del popolo, con gli sgherri del potere a gridare in coro e internazionalmente al miracolo, stravolgendo il significato dei risultati. Così, una coalizione di partiti votata da meno di due decimi degli elettori è stata elevata a massa del cambiamento, vincitrice e degna di governare. D’altronde, movimenti e partiti, apparati d’informazione, tutti avevano fatto orecchie da mercante quando, nel corso della campagna elettorale, con una frase che circolava in tutti gli ambienti il popolo si chiedeva, con quell’amara auto-ironia tutta siciliana: Dobbiamo andare a votare per un presunto galantuomo appoggiato da delinquenti, o un delinquente appoggiato da presunti galantuomini ?”   

In realtà, sia per il potere stegocratico regionale e sia per il governo nazionale dei tecnocrati imposti da supervisori stranieri, in Sicilia come altrove e alla stregua di qualsiasi altro comune cittadino, i politici sono solo dei burattini privi di una propria libertà di azione nei confronti del “sistema”. La piramide dei loro padroni che li sovrasta ne dispone a piacimento, tramite il controllo di tutti i poteri forti dello Stato: chi accenna una opposizione agli ordini provenienti dall’alto viene eliminato senza pietà, con la morte civile o fisica. Uno scandalo, una condanna penale, una malattia gravemente invalidante e talora mortale, altrimenti una benevola uscita di scena silenziosa.

 

Cosa quindi potremmo mai aspettarci dalla Sicilia della coalizione della “rivoluzione democratica e progressista” (così come da quella apparentemente avversaria definita “Destra”)? Ci si può risparmiare di spingersi a evocare truci scenari di magie ed esoterismi, per intuire che il nuovo Parlamento regionale accetterà senza alcun autentico atto di ribellione l’alienazione di gran parte del patrimonio immobiliare regionale, la costruzione dell’inutile e devastante Ponte sullo Stretto, un forte incremento della progressiva perdita di sovranità territoriale con la concessione di infrastrutture (quali aeroporti, porti, imprese alimentari, catene alberghiere, ecc.), dei ricchi giacimenti petroliferi e minerari mai sfruttati, delle ampie aree strategiche per lo sviluppo del turismo e dell’agricoltura di alta qualità, il tutto a favore di potentati commerciali stranieri, cinesi, russi, arabi, australiani e altri.

Ma in cosa consiste allora la novità, il cambio di rotta del nuovo governo siciliano tanto strombazzato dalla Stampa a livello planetario? La lotta alla vecchia mafia, da tempo spodestata dal suo ruolo di padrona dell’Isola, o ai locali gruppi “Stiddari”? L’omosessualità dichiarata, ma cattolicamente ambigua e sofferente, di un non più giovane governatore? I tagli operati dalla nuova Giunta Regionale alla spesa pubblica e l’assunzione di precari (quelli selezionati dall’ancora intatto corrotto apparato politico e burocratico) nella già straboccante pubblica amministrazione, peraltro con ruoli inutili, ingaggiati con un decreto anziché con un pubblico concorso al quale tutti i cittadini potrebbero fruire del diritto di partecipare e con uguali opportunità? Oppure, aspettarci un piano di ristrutturazione di fatto affidato a multinazionali straniere in cambio di un simbolico piatto di lenticchie?

In queste condizioni il futuro della Sicilia appare tracciato: dapprima la miseria, una lenta agonia elargita al popolo dallo strozzinaggio del “potere Occidentale” sostenuto dalle forze democratiche, e infine la privazione di gran parte del patrimonio pubblico e privato, dei diritti civili elementari, ad uso dei nuovi padroni stranieri e della sua classe imprenditoriale d’importazione. Tutto ciò sperando che, nel frattempo, non si aggiungano anche gli orrori delle nuove conquiste della tecnologia militare, i bioarmamenti selettivi a livello genetico, ovvero razziale, il cui uso molti analisti considerano ormai come un’opzione sostenibile all’allarme rosso demografico alla base della crisi energetica.

 

Se il neo governatore Rosario Crocetta volesse davvero fare una rivoluzione dovrebbe dimettersi adesso, denunciando la triste realtà, restituendo il potere al popolo e consentendo lo svolgimento di nuove elezioni. Che si presenti senza l’appoggio di certi “pezzi da Novanta” ormai storici del suo partito, alle attività dei quali il neo governatore rischia invece di fare da paravento e forsanche seguire la fine dei suoi predecessori. Non vada più a inginocchiarsi innanzi a certi imprenditori all’indomani della vittoria, e stia bene attento nella scelta dei collaboratori o nel riproporre i soliti alti dirigenti dell’apparato amministrativo regionale, nel migliore dei casi interamente connivente alla corruzione. Presenti al popolo un vero piano di sviluppo territorialmente sostenibile, allontanando l’incubo della svendita del patrimonio pubblico e privato regionale a potentati criminali multinazionali, compromettendo gravemente il futuro dei Siciliani. Solo allora, forse, la popolazione riuscirà ad avere fiducia nella politica.

Potrà mai la Sicilia aspettarsi tutto questo da un “rivoluzionario” proveniente dall’ambiente petrolifero dell’ENI, da un professionista della politica isolana, da un elemento organico a quella piramide che detiene tutte le leve del potere?

 

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