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"Objects for Eternity". Falsificazioni archeologiche, frodi internazionali e sistema di potere dominante. Parte I: Le vicende di due recenti imitazioni italiane di rari vasetti in vetro dell’Egitto faraonico.

di Pietro Villari, 28 Settembre 2023. Tutti i diritti riservati.

Rielaborazione con aggiornamenti e approfondimenti del tema, di tre articoli dell’Autore editi in lingua italiana o inglese in diversi siti on-line, tra il 2014 e il 2020. Cliccare sulle figure per la visione ad alta risoluzione.

 

Abstract - This first part of the report examines two cases, occurring during a long term research study of modern reproductions and imitations of antiquities. Particularly, are examined the activities of an Italian workshop and the marketing of two Egyptian style core-formed glass vessels (Figs. 1 and 2). Taking these examples as alarming representatives of a widespread situation, the article examines professional misconducts and misconstructions, happening at various stages of the glass making, authentication, appraisal, and marketing processes. 

Apart from these negative implications, the report brings to light,” for both the international academic world and antiquities market, how a false appraisal of these items may cause to a long list of economic situations.

The second part of the report will be posted the next months.

Fig. 1 - La moderna imitazione in pasta vitrea in stile Antico Egitto venduta per una modesta somma da una casa d’aste olandese nel 2001. Esposta quale preziosa antichità dal 2006 al 2007 in una mostra ospitata in una sala di un noto museo archeologico olandese, e come tale pubblicata in una monografia edita da una nota casa editrice tedesca. Infine, garantita da questi prestigiosi precedenti, l’oggetto venne accettato da una eminente casa d’asta francese che lo offrì per 90.000 USD. Nei panni dello sfortunato acquirente un famoso collezionista nordamericano.

 

Fig. 2 – Una moderna imitazione in stile Antico Egitto garantita autentica da un esame della termoluminescenza eseguito da un noto laboratorio germanico specializzato nel settore. Documento e foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Premessa 

Alcune notizie presenti in questo articolo furono da me pubblicate nel giugno 2014 su un sito on-line italiano (1). Circa due anni dopo, tra il febbraio e l’aprile del 2016, scrissi un nuovo articolo sulla base dei risultati ottenuti nelle ulteriori ricerche che effettuai nel 2015 e dei preziosi consigli ricevuti da diversi maestri vetrai e da colleghi archeologi. Tra tutti questi, ebbi il piacere di intraprendere una lunga, fitta e illuminante corrispondenza anche con la statunitense Prof. Dr. Nancy Lee Kelker.

Nota esperta internazionale e coautrice di monografie nel campo delle recenti falsificazioni di antichità precolombiane, Nancy si offrì di tradurre l’articolo in lingua inglese, ritenendo fosse opportuno proporlo alla ristretta comunità scientifica internazionale, mentre personalmente pensavo che anziché a “quei quattro gatti” necessitava una diffusione tramite un quotidiano che comunicasse la vicenda alle masse. In ambedue i casi, come era d'altronde logico presumere, considerati gli ambienti investigati e le personalità scientifiche coinvolte negli scandali riportati, ci trovammo innanzi a un muro di gomma. I direttori delle testate giornalistiche temevano fortemente di essere travolti da denunzie e di dovere sborsare risarcimenti onerosi. In un caso, una rivista specialistica si spinse a pretendere, quale condizione ad accogliere l’articolo, di essere messa a conoscenza dei dati “sensibili” inerenti alle attività di infiltrato nel mercato internazionale delle antiquities e loro falsificazioni, nonché dei nominativi di artigiani, mercanti, intermediari, elementi di speciali unità delle forze dell’ordine e informatori qualificati attendibili per le loro qualifiche professionali. Ovviamente risposi con un netto rifiuto, fermo restando che parti di quei dati avrebbero potuto essere eventualmente da me forniti alle magistrature di competenza, qualora fossero stati formalmente da queste richiesti e previa approvazione dei personaggi coinvolti e delle Istituzioni statali o private alle quali alcuni appartenevano.

Questa possibilità non si verificò, così come d'altronde non si era presentata nemmeno nel 2013 e nel 2014, con la pubblicazione di due miei volumi monografici sulle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche. Vi è però da dire che nel corso delle mie ricerche avevo contemporaneamente trascorso brevi periodi di collaborazione con un organismo antifrode della Commissione Europea e con unità di servizi informativi militari di Paesi europei.

Nel 2018 maturai la triste sensazione che, in linea generale, l’interesse di quei vertici fosse piuttosto rivolto al controllo delle mie attività affinché non dilagassero “ai piani alti”, quelli degli Intoccabili. Difatti, quando questo “trespass” del limite invisibile si era palesato per un insieme di coincidenze, essendo stato dapprima ammonito e infine persino convocato  presso la sede di un Comando delle forze dell’ordine a Roma con il quale avevo collaborato anni addietro.  

Decisi così di aprire un mio sito on-line, dove iniziai a pubblicare i miei articoli. Dapprima su The Reporter’s Blog dove, in data 31 luglio 2018, fu finalmente edito l’articolo tradotto in lingua Inglese Egyptian style core-formed glass forgeries, white collar crimes and national treasuries” e dal 18 giugno 2020 su The Reporter’s Corner dove è gratuitamente consultabile (https://www.thereporterscorner.com/2020/06/egyptian-style-core-formed-glass.html).

 

La ricerca sulle recenti falsificazioni italiane di reperti d’interesse archeologico

Questo articolo è uno dei risultati della ricerca che tra il 1996 e i primi mesi del 2016 fu condotta sulle recenti riproduzioni e imitazioni italiane di reperti archeologici, sostenuta esclusivamente con fondi privati (2). Durante quel lungo periodo riuscii a osservare di persona le attività di botteghe di validi artigiani, case d'asta, commercianti e collezionisti in Italia, Inghilterra, Paesi Bassi, Germania, Francia, Spagna, e in minor misura in Siria (sotto le vesti di mercante interessato alle locali riproduzioni di tappeti orientali…) e in Ucraina. Fu anche tramite questi contatti che riuscii ad avere un quadro d’insieme, costantemente aggiornato, di quanto accadeva in questo settore borderline dei traffici commerciali e delle nuove produzioni immesse in Europa e in minor misura in Nord America, Paesi della fascia Nordafricana e nel Vicino Oriente.

Particolare attenzione fu rivolta ai veri e propri laboratori artigianali, con sede in diverse regioni italiane, dai quali in quel periodo provenivano consistenti quantità di falsi destinati al mercato internazionale. Oltre all'ingente massa di foto e osservazioni raccolte nel corso degli anni, mi fu possibile formare e catalogare una collezione contenente circa 700 reperti selezionati, nella quasi totalità ceramici, con l'obiettivo di produrre un articolato resoconto nella fase finale della ricerca. In base a queste lunghe, pazienti e spesso pericolose attività che fui infine in grado di pubblicare i primi due volumi di una monografia dedicati allo studio, a quel tempo pionieristico, delle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche (3).

Un gruppo di questi oggetti catalogati, tutti ovviamente ben lontani dall'apparire autentici, sono stati legalmente venduti, in tre diverse case d'asta, come semplici imitazioni, offerte a prezzi modesti. Lo scopo dell'operazione era identificare e seguire gli attori di eventuali successive procedure di commercializzazione, nel caso in cui questi articoli, nonostante la loro apparenza e esposizione su cataloghi, venissero rivenduti come autentici.

Particolarmente interessanti in questo processo di “trasmutazione” sono le fasi e i meccanismi dell'autenticazione, le persone che trasformano diverse imitazioni in autentiche antichità di alto valore, fornendole di provenienze “rispettabili” e talora persino di certificati di garanzia. I due casi pertinenti a oggetti in vetro (4), qui di seguito esposti, ci danno un'idea della gravità del problema e delle sue implicazioni sociali.

 

Un moderno maestro vetraio italiano e le sue opere

Nel 1998, dopo alcuni anni trascorsi visitando dozzine di fiere di antichità europee ed esaminando i cataloghi di antichità pubblicati a partire dalla fine degli anni '80, mi fu evidente che un certo numero di vasi di ceramica definita “greca”, “etrusca”, “villanoviana”, figure di terracotta “ellenistiche” e diversi vasetti in pasta vitrea policroma, tutti offerti come autentiche antichità, appartenevano a recenti realizzazioni operate con notevole maestria da diversi artigiani, le cui caratteristiche di manifattura permettevano d’identificarle e circoscriverle in determinati ambiti regionali. Inoltre, le opere essendo tutte legate a laboratori italiani identificabili per luogo di produzione, permettevano investigazioni incrociate con i risultati del monitoraggio della periodica presenza nei veri territori di intermediari francesi, belgi, tedeschi e spagnoli, operanti quali commercianti basso profilo.

Dopo un altro anno di assidue e costose ricerche, riuscii a stabilire il contatto con uno dei misteriosi maestri riproduttori di masterpieces di vetro antico (5). Questi lavorava solo su commissione per pochi clienti fidati, possedeva notevoli capacità tecniche e versatilità nel riprodurre un'ampia gamma di manufatti archeologici in pasta vitrea. Nella produzione dei suoi manufatti in vetro eseguiti su un nucleo o soffiati a stampo, preparava personalmente tutti i materiali necessari per le sue riproduzioni, utilizzando le antiche tecniche descritte in pubblicazioni scientifiche, talora perfezionate dai suoi stessi esperimenti. Gli chiesi di produrre una dozzina di imitazioni, scelte tra gli esemplari pubblicati nelle collezioni dei musei statunitensi, accompagnati da documentazione fotografica a colori e disegni della struttura in vetro (6). Verso la fine del 2000, dopo diversi mesi di lavoro, l’artigiano fece in modo d’informarmi che i pezzi commissionati erano pronti.

Nel giugno 2001 un lotto di vasetti in pasta vitrea in diversi stili dell’antichità egizia, ellenistica e romana, insieme a diverse imitazioni di ceramiche in stile attico e corinzio, venne consegnato alla casa d’aste “Veilinggebouw de Zwaan” di Amsterdam (7) (Figg. 3, lotto 3227). Tutti gli articoli erano stati presentati al pubblico con chiarezza, specificando nel catalogo la mia garanzia espressa in qualità di archeologo che si trattava di riproduzioni o di imitazioni moderne. Le descrizioni erano altresì corredate da foto, e la non autenticità dei reperti venne più volte ricordata nel corso dell’asta pubblica, il cui corretto svolgimento era tra l’altro presenziato da un notaio.

La pubblica esposizione delle capacità riproduttive o imitative di abili artigiani moderni e la messa in commercio, tutte acquistate da antiquari e collezionisti, creò profonde ripercussioni nel florido mercato olandese delle antiquiteiten. Molti collezionisti, che a quel tempo spendevano piccole fortune nelle locali modeste fiere antiquariali olandesi, così come in quelle tedesche, belghe, francesi e inglesi, si resero conto di avere per anni subìto notevoli perdite finanziarie, acquistando a prezzi stracciati quantità di quelle che presumevano, con inconfessabile autentica gioia malandrina, "antichità appena scavate" in siti archeologici di altri Paesi, o illudendosi che fossero pervenute dal disfacimento di antiche raccolte di anonimi collezionisti, a causa di eredi ignari del vero valore di mercato (8).

Secondo le informazioni che raccolsi nel 2013, un vasetto in pasta vitrea egiziana appartenente al lotto venduto all’asta tenuta nel 2001 ad Amsterdam venne acquistato, quale moderna riproduzione, da un ricco collezionista olandese (9). Ne seguii il percorso successivo, animato soprattutto da quanto questa esperienza permetteva di mettere in luce quale un aspetto inquietante del mercato internazionale delle antiquities, del collezionismo, delle case d’aste e persino del gotha accademico. L’intera vicenda venne immediatamente insabbiata, per usare un termine del giornalismo investigativo, sia a livello mediatico che giuridico, così come avvenne per le migliaia di reperti-evidenza pubblicate nei miei volumi sulle falsificazioni di ceramiche italiane d’interesse archeologico, editi in Olanda nel 2013 e nel 2014 dall’Archaeological Centre. Lobbismo e corporativismo proteggono perfettamente quanto collegato a questo business riservato ai colletti bianchi dell’intero pianeta: chi tenta di opporsi è destinato quantomeno all’emarginazione.

Fig. 3 – Il gruppo di mere imitazioni di oggetti in vetro dell’antichità, venduti come tali nel 2001 da una casa d’aste olandese.

 

Fig. 4 – Il catalogo dell’asta 17 Giugno 2010, edito da una rinomata casa d’aste francese, nel corso della quale fu venduta l’imitazione in vetro dell’Antico Egitto, accompagnata da espertizzi eseguiti da specialisti e falsa provenienza creata alcuni anni prima nel corso di una mostra tenuta presso una famosa museale universitaria olandese.

 

 

Le vie oscure del marketing. Esempio 1) il tubetto di vetro in stile egiziano

Nonostante lo scandalo derivato dall’esposizione della presenza di moderne riproduzioni o imitazioni di notevole livello tecnico, esso non fu di alcun impedimento a quanto avvenne in seguito. Difatti, appena cinque anni dopo, nel 2006, una delle riproduzioni vendute dalla casa d’aste “de Zwaan” salì alla ribalta internazionale come una preziosa reliquia dell’antico Egitto, essendo stata identificata da un gruppo di esperti di fama internazionale in una famosa mostra (17 marzo 2006 al 25 novembre 2007) tenutasi presso il Museo Allard Pierson, prestigiosa istituzione dell’Università di Amsterdam. Nel catalogo della mostra intitolata “Objects for Eternity: Egyptian Antiquities from the F.W. Arnold Meijer Collection” (Fig. 5), l’egittologa tedesca Birgit Schlick-Nolte, nota top expert internazionale, descrisse il piccolo tubetto in stile egiziano come una preziosa opera d’arte creata durante il “Nuovo Regno, tra la fine della XVIII dinastia all'inizio della XIX dinastia, c. 1350 – 1250 a.C.” (10).

Fig. 5 – La monografia edita nel 2006 nella quale il vasetto è entusiasticamente descritto quale autentico da una famosa egittologa tedesca, e fornito della falsa provenienza da una collezione olandese degli anni 1930.


Il reperto ha la forma di una colonna templare egizia in miniatura, alta 10,9 cm e con un diametro di 3,9 cm; è leggermente svasato nella parte inferiore, mentre nella parte superiore si allarga per definire la forma ramificata di una palma, in cima alla quale è presente un collo corto e rigido che termina con una bocca indistinta. Realizzato utilizzando la tecnica del nucleo removibile, nella quale il vetraio riveste un'asta di ferro con una miscela di argilla, sabbia e sterco modellata nella forma che assumerà il vaso. La particolare composizione di questo nucleo permetterà l'estrazione dell'asta al termine del processo produttivo. Dapprima, tenendo l’asta con il nucleo in basso, questo viene ruotato nel vetro fuso contenuto in un recipiente ceramico, dove la temperatura di fusione è mantenuta costante su un fuoco. Ottenuta la forma vitrea, che nella fattispecie è di colore blu cobalto, su di essa sono applicate a filo fuso delle sottili bacchette di vetro bianco e giallo che, utilizzando un piccolo strumento, vennero “pettinate”  sul corpo del vaso in modo da creare la decorazione a foglie di palma stilizzate. Bande colorate furono usate, anch’esse con la tecnica ad avvolgimento a filo di pasta vitrea a temperatura di fusione, per decorare il collo e la bocca del vaso.

Dal punto di vista tecnico si tratta di un procedimento complesso durante il quale, oltre alla qualità della pasta vitrea adoperata, è il livello di abilità dell’artigiano ad avere un ruolo determinante nel raggiungimento dell’armonia estetica dell’opera. Ricerche storiche, condotte su una varietà di esemplari autentici, indicano che questi vasetti in miniatura venivano usati come contenitori per polveri cosmetiche, principalmente una miscela di galena (grigio-argento), malachite (verde) e antimonio (nero). I cosmetici erano usati sia da uomini che da donne in Egitto e altrove, dalla preistoria fino ai tempi moderni. Gli antichi egiziani chiamavano “mesedmet” il cosmetico oggi meglio noto con il termine “kohl”, di derivazione araba. La polvere veniva mescolata con olio d’oliva e applicata come una crema attorno alle ciglia superiori e inferiori, per proteggere gli occhi dalle infezioni e per ottenere un effetto estetico simile all’eyeliner odierno.

Variamente attribuita ai regni di Akhenaton, Tutankhamon e Ramses II, questi vasetti erano molto ambiti da ricchi collezionisti, fondazioni private e istituzioni pubbliche. Il principale motivo era che, storicamente, si trattava di oggetti che venivano spesso donati dai Faraoni ai templi, ai propri familiari o ai generali che si erano distinti per il loro valore.

La mostra organizzata dal Museo Archeologico dell'Università di Amsterdam, presentava opere provenienti da un'importante collezione privata di manufatti egizi, tutti di proprietà del collezionista olandese F.W. Arnold Meijer. Il catalogo edito per accompagnare l’evento, comprendeva articoli descrittivi delle opere compilati a cura di tre egittologi di fama internazionale, i professori Carol A.R. Andrews e Jacobus van Dijk (anche nella qualità di redattori), e da Birgit Schlick-Nolte nella qualità di consulente anche per la maiolica e il vetro dell’Antico Egitto. Inoltre, vi erano gli scritti di Maarten J. Raven, Hans D. Schneider, Martin von Valk, Julia Harvey, W. Raymond Johnson, Wolfram Grajetzki, Edith Bernhauer e, last but not least di Robert A. Lunsingh-Scheurleer, direttore del Museo Allard Pierson e noto collezionista di antichità greche, ellenistiche e romane prodotte anche nell’Antico Egitto.

A quest’ultimo, a quel tempo tra l’altro anche docente presso l’Università di Liegi (Belgio), si deve l'introduzione del catalogo, in cui spiega che “the catalogue has been researched and written by an international team of specialists at the invitation of the collector. Among the authors, the name of the collector himself also figures. Like the exhibition, he supported generously, the catalogue testify to a deep involvement in the culture it represent so radiantly” (“il catalogo è stato studiato e scritto da un gruppo internazionale di specialisti su invito del collezionista. Tra gli autori, figura anche il nome del collezionista stesso. Così come per la mostra che egli ha generosamente sostenuto, il catalogo testimonia il profondo coinvolgimento nella cultura che rappresenta in modo così radioso”). Un riconoscimento molto entusiasta della generosità di Meijer come principale mecenate della mostra e del catalogo (11).

Nel catalogo, il vasetto oggetto di questo racconto è descritto alle pagine 116-118 quale reperto 2.26, accompagnato da due figure a colori e, a pagina 256 “Appendice A: storia recente della collezione” la sua provenienza è dichiarata come: “Veilinggebouw De Zwaan, Amsterdam, giugno 2001: lotto 3227 (non illustrato). Da una proprietà olandese, acquistato in Egitto negli anni 1930” (12).

Una nota a pagina 263, in "Appendice C: Autenticità e composizione materiale", riguarda l'autenticazione dell’oggetto, ove si afferma che, generalizzando, molti elementi della collezione sono stati sottoposti a test tra cui ED-and WD-XRF (Energy Dispersed and Wavelenght Dispersed X-ray Fluorescence spectroscopy), SEM (scanning electron microscopy) e EDX (Energy Dispersed X-ray microelement analyser) e XRD (X-ray diffraction). Tutte le analisi di laboratorio sono state eseguite in Germania dalla Antiques AnalyticsInstitute for Scientificc Authenticity Testing sotto la direzione del professor Robert Neunteufel. Ad eccezione delle misurazioni XRD eseguite presso l'Università di Tubinga, i test sono stati condotti presso un laboratorio privato con sede a Eppstein. Tuttavia, è significativo constatare come i risultati di questi presunti test di autenticità riguardanti l'oggetto 2.26 (il vasetto di recente imitazione italiana) non fossero stati inclusi nel catalogo. Si tratta di una scelta eclatante e stonata, considerata l'importanza del vasetto pubblicizzato nel catalogo. Così come incuriosisce il fatto che, due anni dopo la chiusura della mostra, questa eccellenza della collezione fu offerta a diverse case d'asta europee specializzate nella vendita di antichità. Alla fine venne accettato dalla ditta Pierre Berge a Parigi e pubblicato nel catalogo dell'asta del 17 giugno 2010 (lotto n. 134) (Fig. 4) con una stima d'asta di 90.000 euro. Un ricco collezionista americano, interessato al pezzo, assoldò un esperto di vetri antichi di fama internazionale per esaminare l’oggetto in vendita a Parigi. Dopo averlo visionato, l'esperto lo ritenne autentico e il pezzo fu acquistato.

Nel 2011, un caro amico dell'University College di Londra il cui dottorato verteva su ricerche di laboratorio eseguite anche sugli antichi vetri egiziani, mi raccontò alcuni passaggi finali delle avventure del mio umile vasetto e del suo riposo dorato in una lussuosa residenza nordamericana. Stupito e incuriosito, decisi di provare a saperne di più, ma presto mi imbattei in un muro di imbarazzato o ostile silenzio. La situazione cambiò nel 2013, quando ricevetti nuove informazioni da un noto collezionista inglese, il Dr. Bron Lipkin (13).  

 

Esempio 2) Come un'analisi TL ha reso autentico e prezioso un krateriskos in stile egiziano

Nel 2013, dopo aver ricevuto nuove informazioni su quella che può ragionevolmente essere definita “la Stangata parigina” (14), si era palesata la necessità di ottenere nuove prove per un articolo pubblicato nel giugno 2014, in cui il caso veniva finalmente esposto (15). Fu così che contattai il maestro vetraio italiano e gli commissionai tre ulteriori imitazioni che, puntualmente, mi furono consegnati diversi mesi dopo. La qualità era leggermente inferiore a quella del gruppo precedente, in quanto forse si trattava di vecchi tentativi di produzioni scartate, ma non mi lamentai in quanto l'intero lotto mi venne donato dall'artista ai fini del mio studio. Il gruppo comprendeva un tubetto del tipo usato quale contenitore di kohl, con tipica forma colonnare egiziana, ma rappresentante una variante del primo esemplare venduto all'asta in Olanda nel giugno 2001; un altro vasetto egiziano (nella fattispecie un krateriskos) (Figg. 2 e 6-14), di stile coevo al primo, e un altro vasetto anch’esso policromo ma in stile ellenistico.

Si tratta di una bottiglietta biansata, integra e misurante 9,5 cm di altezza, realizzato in pasta vitrea policroma nello stile del Nuovo Regno, XVIII-XIX dinastia, o 1400-1350 a.C., che ebbe faraoni quali Amenhotep III e Akhenaton. L'aggiunta del viola scuro e del bianco indica un riferimento ad un’antica tecnica elamita (agli esempi di vasi rinvenuti nel tempio di Choga Zanbil, in Iran, databili al XIII secolo a.C.) (16) (particolare in Figg. 7 e 8). Il fondo è blu turchese con decorazioni bianche, gialle, blu scuro e viola; tutti i colori sono opachi. Gli esemplari ai quali questa recente imitazione si ispira, avevano la funzione di contenere unguenti profumati.

Fig. 6 – Imitazione di un krateriskos in vetro dell’Antico Egitto. Sottoposto all’analisi TL presso un noto laboratorio germanico, risultò prodotto all’incirca 3400 anni fa, come indicato nel certificato corredato di grafici che ne garantisce l’antichità… Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 7Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 8 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Il vasetto presenta un corto orlo orizzontale, irregolare e leggermente inclinato verso l'esterno, con bordo arrotondato. L'orlo è costituito da una cordicella di pasta vitrea gialla avvolta a spirale assieme a una in blu scuro. L’alto collo cilindrico, rastremato verso il basso dove ad angolo ottuso si inserisce sulla spalla, è decorato con un motivo a zigzag con andamento irregolare, costituito da linee opache separate di colore giallo, viola scuro e bianco. Il corpo bulboso è decorato con motivo a festoni irregolari con linee separate opache in viola scuro e bianco alternati a linee gialle. Il piede è alto e strombato, con lato inferiore concavo con bordo arrotondato, sul quale è applicato un filo di pasta vitrea in giallo opaco. Due anse ad archetto orizzontale sono applicate ai lati opposti della spalla.

Le tecniche utilizzate per la produzione del vaso riproducono quelle di simili esemplari antichi: 1) corpo e collo formati su un nucleo; 2) anse e piede applicati; 3) fili di pasta vitrea applicati, marmorizzati o non marmorizzati a formare fasci di linee o semplici linee. In definitiva, la forma e la tecnica richiamano il Werkkreis III della classificazione Nolte (17).

Alla fine del 2015, un laboratorio privato tedesco specializzato nella datazione basata sulla misurazione della termoluminescenza (TL-analysis), mi chiese di studiare una riproduzione in vetro presente nella mia collezione, che mostrava caratteri simili all'esempio da me esposto nell'articolo on-line pubblicato nel 2014 (18). La richiesta fu giustificata come necessità di confrontare i risultati con quelli di reperti autentici o ritenuti tali, e venne accompagnata dall’offerta di rilascio gratuito del relativo rapporto TL, essendo stati tutti i costi di ricerca coperti da finanziatori anonimi del laboratorio. Nel corso della conversazione ebbi la chiara sensazione che mi si stava nascondendo qualcosa, ma l’operazione era scientificamente interessante e quindi accettai l’offerta, con l’accordo che mantenessi i diritti d’uso dell’analisi compresa la loro pubblicazione.

Il proprietario del laboratorio tedesco, il tecnico specializzato Ralf Kotalla, tornò quindi in Olanda dove in mia presenza fotografò il vasetto e effettuò il carotaggio di un campione dei resti del nucleo in argilla intrappolati nella superficie interna del recipiente al momento della sua realizzazione. Lo specialista era stato da me pienamente informato che l'oggetto era di recente manifattura realizzata in Italia. Alcune settimane dopo, ricevetti una email contenente un messaggio di congratulazioni del Kotalla il quale, con mio profondo stupore e inquietudine trasmetteva la notizia che il test TL aveva chiaramente indicato i resti del nucleo del vasetto come “cotti in antico… 3400 anni BP +/- 20%” (19) (Fig. 9-14) e che sarebbe seguita la trasmissione del certificato di autenticità.

Fig. 9 – TL-report relativo alla moderna imitazione di un krateriskos dell’Antico Egitto. Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 10 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 11 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 12 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 13 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 14 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.


Come promesso, nel gennaio 2016, ricevetti il completo rapporto TL firmato dallo stesso Ralf Kotalla, rilasciato a compenso della mia collaborazione (Figg. 2 e 9-14). Contemporaneamente, lo specialista mi inoltrò un’ulteriore richiesta di trovare finalmente delle “vere riproduzioni” utili per gli studi… Ne nacque una breve discussione via email nella quale cercai inutilmente di convincerlo della recente manifattura del reperto, avendolo egli certificato quale autentico. Alla fine decisi di troncare ogni rapporto di collaborazione, anche sulla base di allarmanti informazioni tra le quali quelle pervenutimi per iscritto dal Prof. Thomas Schäfer, direttore dell’Istituto di archeologia classica dell’Università di Tubinga (20).

 

Il problema della definizione di “autenticità”

Non pochi collezionisti, commercianti e case d'asta, sino a circa alcuni decenni orsono, pretendevano di potere ancora asserire che un'analisi TL di esito positivo, sia pur certificata da un professionista, dava loro un appiglio legale per tentare di vendere impunemente, quale autentica reliquia, persino un reperto acquistato all’asta quale imitazione (surclassandolo quale errata attribuzione). Nel caso della seconda recente e stilisticamente affatto convincente imitazione qui esposta, del valore di poche centinaia di euro, la certificazione equivaleva alla reale possibilità di ottenere da una casa d’aste (o da un direttore di un museo nel caso di un prestito temporaneo o di una donazione ai fini di deduzione di oneri fiscali), una valutazione compresa tra 120.000 e 150.000 euro. In termini tecno-criminali, la base per una frode ben congegnata, se corroborata da provenienze abilmente sofisticate e dalla disinvolta disponibilità di una case d’aste e di un gruppo di accademici.

Oggi, grazie a vicende come quelle che pubblicai un decennio addietro, dello stesso tenore di questo articolo, simili frodi sono ormai divenute impossibili, presumo, senza l’intervento di organizzazioni che sono in grado di garantire l’impunità di vari livelli di corruttela e connivenze, tali da secretare le operazioni di sofisticazione degli oggetti. Al momento di una seria compravendita ogni reperto di valore deve ormai essere accompagnato da un elenco di informazioni non soltanto credibili “sulla parola”, ma verificate e soddisfacenti al fine di garantirne non soltanto l’autenticità ma anche la provenienza. Un rapporto TL (tra l’altro sottomesso a ulteriori analisi chimico-fisiche a conferma del risultato) costituisce solo uno dei documenti da valutare ulteriormente nell’ambito dell’intero contesto d’informazioni.

È quindi ovvio come un vetraio di talento non può più permettersi di produrre qualche dozzina di questi oggetti di alto valore commerciale, e offrirli in commissione a un commerciante o a un collezionista, per poi ritirarsi con gli utili ricavati su un’isola tropicale, magari iniziando un’attività di ristorazione o alberghiera.

In realtà, questo tipo di truffe si svolgono ancora ma utilizzando reperti comuni, venduti presso case d’aste di livello secondario, che nonostante enfatiche asserzioni pubblicitarie di carattere autoreferenziale, non possiedono validi esperti nel settore delle antiquities, o nelle fiere antiquariali a non più di alcune migliaia di euro, una situazione che costringe gli artigiani a un duro e continuo lavoro privo di vie di fuga. Così, i mercanti che tengono queste botteghe in vita ma al guinzaglio, concedono loro non più di alcune centinaia di dollari al pezzo, in alcuni rari casi forse poco più, al punto che le produzioni di qualità costituiscono entrate limitate rispetto a quelle che queste botteghe ottengono con la massiccia produzione di riproduzioni o imitazioni di qualità scadente destinate al mercato turistico al costo di pochi euro al pezzo.

Tuttavia, i maestri artigiani ad alto costo continuano a operare in altri campi della falsificazione dell’antiquariato archeologico. Tra questi primeggiano quelli dediti all’arte del mosaico o della statuaria e gli incisori di pietre dure. I loro lavori sono riservati a clienti accuratamente selezionati, operando con “affidabilità” esclusivamente nell’ambito di organizzazioni criminali di stampo lobbistico. Di conseguenza, quando per vari motivi i rapporti d’affari e le protezioni vengono troncate dagli intermediari, gli artigiani sono costretti a cercare nuovi contatti intermediari o entrare direttamente nel mercato “mettendosi in proprio”. In tal modo essi si avviano quasi sempre al destino di subire immediate ritorsioni ed essere trasformati in un pubblico e scandaloso esempio, costituendo altresì quel che in gergo poliziesco viene denominato “scarecrow” (spaventapasseri, nel senso simbolico di misero pupazzo crocefisso sul campo), di efficace ammonimento per i loro colleghi.

 

L’investigazione. Quis custodiet ipsos custodes? (21)

Vicenda 1. Lo scandalo della truffa operata mediante l’imitazione di un contenitore di forma a tubetto di vetro dell’Antico Egitto, ci offre uno spaccato del mondo del ricco e potente ambiente del collezionismo e del commercio antiquariale e della sua capacità di coinvolgere accademici di massimo livello. In particolare, l'opportunità di effettuare alcune riflessioni sull’affidabilità del mondo accademico, sulle carenze dell’operato delle pubbliche istituzioni proposte per legge al controllo delle attività delle case d’asta specializzate nel settore antiquariale, di mercanti e di collezionisti. Carenze progressivamente maggiori quando si tratta di organizzazioni di stampo lobbistico, che costituiscono i centri dei rapporti d'affari e il loro legame con elementi dell’alta finanza internazionale.

Il resoconto dell’ascesa di un’opera ottenute con materiali, tecniche e caratteri stilistici storico-artistici storpiati in tutta mediocrità, e che ciò nonostante data in prestito e esibita per alcuni anni in un museo, catalogato e valutato quale un prezioso oggetto dell’antichità, pubblicato da un gruppo dal gotha accademico internazionale dell’egittologia, e alcuni anni dopo messo all’asta e venduto a prezzo esorbitante dal suo potente proprietario, rivela come il mercato dell’arte contenga insidie tali da potersi trasformare in un ambiente economico inaffidabile, cospiratorio o, nella migliore delle ipotesi, ridicolamente inetto.

Bisogna innanzitutto constatare come la rivelazione mediatica di queste frodi non ha avuto alcun impatto sulla lunga lista di accademici e di esperti a vario titolo coinvolti nell’autenticazione di questi oggetti. In questa vicenda, ad esempio, nulla è noto di come sia potuto accadere che nessuno degli esperti costituenti l’eccellenza internazionale non si sia accorto, immediatamente e facilmente, che il manufatto presentato da uno dei tre curatori della mostra e che coordinava e supervisionava i loro lavori, inserito quale un capolavoro dell’arte egizia, corrispondesse in realtà ad una mera imitazione. Sebbene sia possibile che la superficie fosse stato debolmente “migliorata” dopo l'acquisto all’asta, gli elementi base costituenti il vetro non possono a tutt’oggi essere modificati.

Inoltre, sembra altamente improbabile che tali esperti non avessero ritenuto opportuno sottoporre anche il “tubetto di vetro” ad analisi chimico-fisiche, considerato anche che si trattava del reperto più importante della collezione privata da loro studiata e della mostra e del catalogo dove fu descritto con enfasi e presentato alla comunità scientifica e al pubblico internazionale. È impossibile credere che nessuno degli esperti di quel livello non avesse constatato quanto le analisi di laboratorio fossero fondamentali anche per tutelare la propria professionalità e che, ciò nonostante, non l’abbia formalmente richiesto al Museo Archeologico dell’Università di Amsterdam nella qualità di organizzatore dell’evento.  

Non di minore importanza per le finanze pubbliche, tutto ciò considerato sorge un’ulteriore quesito: a quanto ammontarono, a carico delle casse statali olandesi, il contratto assicurativo e il servizio di vigilanza per le operazioni di trasporto e per tutto il periodo nel quale, questa insoddisfacente imitazione, fu esibita nel museo olandese in quanto ritenuta autentica per cause ancora rimaste tutte da verificare ?

Oltre alla mancanza di risultati di analisi pubblicati esistono altre constatazioni che impongono pesanti sospetti sull’operazione di autenticazione di questo reperto. La sua provenienza da una collezione olandese a partire dagli anni 1930, dopo essere stato acquistato in Egitto, è chiaramente falsa e difatti non è presente nel catalogo d’asta del 2001, dove difatti anche nel corso dell’asta venne dichiarata quale una recente imitazione. E d’altronde come potrebbe dato che non corrisponde a verità nemmeno quanto affermato nel volume della mostra, che nel catalogo d'asta del 2001 l'oggetto risultasse “non illustrato”. Difatti, esso è invece presente e ben identificabile nella foto pubblicata a pagina 221 (lotto numero 3227).

Resta ancora da stabilire se queste pubbliche affermazioni che falsificano quanto dichiarato nel catalogo Veilinggebouw de Zwaan datato al 2001, furono fornite dal proprietario della collezione al momento del prestito dell’opera al suddetto museo di Amsterdam, o da parte di qualcuno dello staff dirigenziale di questo, o sono l’esito di una curiosa serie di “errori” nella compilazione del catalogo della mostra da parte dei top experts. Accettando il vasetto in prestito per l’esposizione museale, la direzione avrà certamente sottoposto a verifica la documentazione di autenticità e di provenienza, o comunque accertato la veridicità di quanto dichiarato dal generosissimo collezionista. Oppure qualcuno ha “modificato” le informazioni rilasciate all'atto di vendita emesso dalla casa d'aste “de Zwaan”? E che dire dell'esperto di fama internazionale, inviato a Parigi dal collezionista americano, che nonostante le sue apparenze dichiarò autentico il vasetto?

La vicenda getta seri dubbi non solo sulla provenienza e l'autenticità della collezione Meijer, ma anche sulle recenti acquisizioni del Museo Archeologico Allard Pierson e quindi sul personale tecnico-scientifico dell’Università di Amsterdam, e in definitiva, considerate le eccellenze accademiche a vario titolo coinvolte, sull'intera comunità archeologica internazionale.

E qui giungiamo a una dolorosa constatazione. L’insieme delle attività a dir poco borderline presenti in questa tela di ragno, tra l’altro abilmente e pazientemente tessuta nel corso di diversi anni, avrebbe dovuto avere implicazioni disastrose non solo per il mercato antiquario ma anche dell’affidabilità della ricerca scientifica accademica nei campi dell’archeologia e della storia dell’arte. E invece non accadde nulla, a testimonianza dell’esistenza di un potere dominante occidentale che riesce a dissolvere qualsiasi problema possa arrecare gravi problemi d’immagine ai suoi apparati d’eccellenza, rendendoli impunibili: impedendo che si attivino le autorità di competenza, ignorando pubblicamente l’esistenza del problema. In taluni casi, come vedremo in sede di pubblicazione della terza parte dedicata a questa vicenda, il sistema reagisce arrecando gravi danni a chi tenta non soltanto di investigare ma persino di evidenziarli. Queste reazioni rappresentano la testimonianza del volto oscuro del potere dominante presente in ogni Stato, affetto da comportamenti dominati da malefica banalità.

Vicenda 2. Il krateriskos di vetro in stile egiziano. La datazione di un recipiente di vetro manufatto su un nucleo mediante l’analisi della termoluminescenza (TL), si basa sulla misurazione dell'energia contenuta nelle particelle contenute nell’argilla presente nel nucleo, principalmente quarzo e feldspati (un gruppo di minerali silicati), calcolata sulla loro ultima cottura. L’analisi dovrebbe dare risultati chiari e pienamente attendibili, come nel caso di questo vasetto, essendo il nucleo rimasto intrappolato sulla superficie interna dei vasi alla temperatura di 1000 gradi Celsius. Successivamente, per la decorazione policroma, si applicano a filo le bacchette colorati di pasta vitrea riscaldate ad una temperatura non inferiore quei 650 gradi Celsius.

Tuttavia, il risultato dell’analisi non è mai affidabile in quanto i risultati possono essere compromessi nel corso di varie fasi, nel periodo intercorrente tra la produzione e l’esame scientifico. Nel caso di vasetti del tipo in esame, deve essere dapprima appurata l’attendibilità di una delle evidenze fondamentali, ovvero se i rari di resti argillosi del nucleo siano attribuibili a una deposizione primaria o siano di recente introduzione, ovvero applicati per alterare il risultato dell’analisi. Il fatto che il TL-report sia risultato inattendibile si presta a diverse interpretazioni. Alcune di esse sono:

1) i resti del nucleo furono inseriti all'interno della superficie interna dopo la cottura, utilizzando un impasto applicato a freddo e contenente minerali presenti in argille prelevate in vasi cotti nel 1350-1250 a.C.;

2) il manufatto (o il solo impasto applicato) è stato sottoposto a tecniche non precisamente conosciute nella letteratura scientifica, che possono modificare la misurazione del TL (irradiazione ? una soluzione impregnante calibrata ?);

3) errori accaduti durante le analisi di laboratorio. 

Entrambe le storie qui riportate hanno implicazioni strettamente legate a un acuto articolo scientifico di Mark Rasmussen (22), pubblicato ben sedici anni fa, a favore di uno standard per una doverosa diligenza da applicare nel corso dell’autenticazione. In questo veniva già sottolineato come e perché la mancanza di tecniche scientifiche nelle diverse fasi dell'indagine può influenzare il risultato. Proponeva quindi come primo passo una corretta valutazione della provenienza e della documentazione del bene in esame. In effetti, nel caso dei nostri due resoconti relativi a imitazioni di vasetti egiziani, appare chiaro che questo fondamentale esame del processo di attribuzione dell’autenticità dei reperti è stato fasi ignorato o falsificato in più occasioni.

Il secondo passo importante dell'autenticazione è la “storia della conservazione” dell’oggetto, perché è noto che diversi trattamenti conservativi e tecniche di analisi, inclusa l'esposizione a radiazioni X e di altro tipo, o ad alcuni materiali utilizzati per pulire, proteggere o consolidare l'oggetto in tempi antecedenti all’esame, possono compromettere le analisi. Ciò è particolarmente importante considerando che la maggior parte delle collezioni private non sono gestite da un conservatore qualificato e che molte delle antiche collezioni pubbliche non dispongono di registrazioni accurate.

Una delle tre categorie del processo di autenticazione di Rasmussen è l’identificazione delle fonti autorevoli (esperti riconosciuti, materiale di riferimento e raccolte di riferimento). Vi si raccomanda l’estrema importanza che gli esami siano condotti da esperti qualificati e che, idealmente, dovrebbero essere consultati più esperti. Tuttavia, come mostra la prima vicenda esposta nel presente articolo, identificazioni e valutazioni accurate possono essere invalidate da “esperti” che per ragioni sconosciute (e che spetta alla magistratura appurare) sostengono autenticazioni e relazioni scientifiche affatto credibili in quanto accidentalmente erronee o falsate.

 

Note

(1) 11 giugno 2014, http://coscienzeinrete.net/arte/item/1965-il-vasetto-dell-antico-egitto-venduto-per-90000-euro-fatto-in-italia-per-pochi-spiccioli  Recentemente, l’articolo non è più tra i disponibili su quel sito.

(2) la maggior parte delle attività furono realizzate tramite la copertura legale di una ditta privata con sede nei Paesi Bassi.

(3) Villari, Pietro 2013, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. I, pp.1-224, Figg. 1- 646, Archaeological Centre, Roma

Villari, Pietro 2014, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. II, pp.1-378, Figg. 1- 1098, Archaeological Centre, Amsterdam

Villari, Pietro 2014b, op. cit. in nota 1.

(4) Si veda anche Villari, 2014b, op. citata in nota 2.

(5) cittadino italiano, la cui identità non è qui rivelata.

(6) in Grose, Fredrerik D. 1989, The Toledo Museum of Art. Early ancient Glass, New York, “kohl tube” p. 62, cat. NO. 11, tavola a colori p. 42, disegno pag. 397.

(7) Veilinggebouw de Zwaan, Amsterdam, catalogo giugno 2001, pag. 221, nn. 3220-3227.

(8) la vendita di enormi quantità di imitazioni e riproduzioni italiane come autentiche antichità raggiunse il suo apice negli anni ’70-’80. A quel tempo l'organizzazione maggiormente attiva aveva sede in Germania (Monaco di Baviera), che smerciò decine di migliaia di manufatti moderni in stile “greco” prodotti in Italia. Specializzato anche nel contrabbando di antichità, si presume che le attività fossero condotte da un cittadino siciliano che aveva creato una grande rete europea di diffusione delle merci costituita daintermediari e piccoli commercianti. Considerati i decenni di attività incontrastata, l'organizzazione dovette usufruire di ampio margine d’azione nell’ambito di protezioni ai massimi livelli internazionali.

(9) identificandolo come il signor FW Arnold Meijer.

(10) Andrews, Carol A.R. & Dijk v., Jacobus, eds. 2006, Objects for Eternity: Egyptian Antiquities from the F.W. Arnold Meijer collection, Mainz

(11) Objects for Eternity, op. cit., oggetto n. 2.26, pp. 116-118 e 256.

(12) l’indicazione è evidentemente erronea. Difatti, nel catalogo d’asta il reperto era raffigurato nella foto di gruppo delle imitazioni in vetro (pag. 221, lotti 3220-3227), e non vi era alcuna specificazione dell’ “acquisto in Egitto negli anni 1930”, essendo tra l’altro ben specificata la sua non autenticità in quanto mera imitazione.

(13) Fu un personaggio ben introdotto negli ambienti esclusivi del collezionismo e dell’esoterismo anglosassone d’ispirazione giudaica, che ebbi il piacere di frequentare diverse volte a Londra e di intrattenere una lunga e intensa corrispondenza di scambio d’informazioni durata parecchi anni. Dopo il pensionamento dal ruolo di direttore di una clinica londinese, divenne un mercante di antichità greche, romane e egiziane strettamente legato ad ambienti investigativi di lingua anglosassone anche non europei. Il suo ruolo informativo e di collegamento, mi permise di venire a conoscenza di ingranaggi, vicende (non secretate), e non ultimo delle chiavi di lettura di forme di espressione simbolica di organizzazioni piramidali la cui esistenza era stata sin a quel momento da me vagamente presunta e affatto contestualizzata. Kudos, Bron.

(14) da “The Sting”, un film di produzione anglosassone edito nel 1973, nella versione in lingua italiana noto con il titolo “La Stangata”. Vi vengono minuziosamente descritte, sin negli aspetti psicologici, le fasi di progettazione, organizzazione, preparazione e realizzazione di una truffa da manuale.

(15) Cfr. Villari, 2014b in nota 2.

(16) Cfr. Grose, 1989, pag. 61 krateriskoi nn. 8 e 9; e pag. 62 tubi Kohl nn. 10 e 11.

(17) Schlick Nolte, Brigit, 1968, Die Glasgefässe im alte Aegypten, Münchner Aegyptologische Studien, n. 14, Berlin

(18) Cfr. Villari, 2014b in nota 2.

(19) “Laboratorio Kotalla”, Katzling 2, Haigerloch, Germania. Rapporto TL n. 09R140116 (pubblicato a fine gennaio 2016). Nell rapporto è specificata anche la lunga attività di questo laboratorio: “Il più antico laboratorio privato al mondo specializzato per l'analisi TL. Dal 1979”.

(20) Una decina di giorni dopo, dagli ambienti londinesi mi pervenne, in via informale, il consiglio di non oltrepassare i limiti investigativi, fermandomi su quanto avevo appurato di scientificamente utile. Considerata la fonte, dovetti rinunziare a un viaggio in Portogallo che avevo programmato nei consueti termini di segretezza, dopo avere avvertito, come mia prassi sino a quel momento, un ufficio sito in Italia.

(21) le frasi citate in latino appartengono al satirico romano Giovenale (I-II secolo d.C., Satira VI, vv. 347-8). È tradotto come "Chi controllerà le guardie stesse?" e ha fatto riferimento al concetto di un governo fuori controllo, corrotto e oppressivo.

(22) Rasmussen, Mark 2007, Setting the Standard for Due Diligence: Scientific Techniques in the Authentication Process,, in Rare Collections, Stillwater, MN 55082 USA (www.rare-collections.com).

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...