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La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte IV: come evitare un processo per associazione a delinquere e divenire la direttrice di uno dei più importanti parchi archeologici d'Europa.

 

Autore: Pietro Villari, archeologo e naturalista. 2019, tutti i diritti riservati.  

Pubblicato on-line il 13 Agosto 2019 (http://www.thereportersblog.com, sito non più disponibile). Aggiornato al 17 Dicembre 2019. Trasferito il 19 Giugno 2020 su The Reporter's Corner   https://www.thereporterscorner.com/2019/07/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html

 

Una delle costanti che legano tutti i governi succedutisi in Sicilia negli ultimi decenni, è che qualsiasi azione utile alla collettività, ampiamente propagandata dai politici promotori, viene dagli stessi immediatamente e in sordina accompagnata da una quantità di azioni di segno contrario, quasi sempre eseguite con modalità arroganti e grossolane, le cui nefaste conseguenze per il bene pubblico spesso invalidano e sorpassano i buoni propositi originari, sino a rendere dubbia persino l’esistenza di una onesta causale.

I palazzi della cuccagna sicula le partoriscono senza sosta, ed ecco quindi maturata un’altra di queste vicende. Mascherata da una presunta spinta innovativa e dalla falsa apertura di opportunità lavorative “a tutti i giovani talenti”, in Sicilia si sta verificando l’ennesima manipolazione a favore delle fasce sociali dominanti e ai danni di quelle medie e basse, già da generazioni fortemente colpite dallo sfruttamento condotto dal potere stegocratico, sin dai tempi del suo insediamento quale governo-ombra al riparo della nascente Repubblica.

Nel settore dei Beni Culturali, sui quali si punta per magnificare i flussi turistici, si è verificata una situazione inedita e inquietante, che propone ulteriori dubbi sulla effettiva affidabilità dell’attuale governo regionale e in generale di gran parte dei pubblici poteri che amministrano l’Isola.

A imporsi con tutti i suoi interrogativi, devastanti in quanto coinvolgono i fondamenti dello Stato e non avranno mai una spiegazione plausibile, è il caso di Gabriella Tigano, appartenente a quel gruppo di rampolli della locale upperclass isolana ai quali, negli anni 1980, la Regione Siciliana trovò il modo di fare vincere un concorso di dirigente archeologo pur senza possederne la qualifica (diploma di specializzazione o dottorato di ricerca) (1).

Assieme ad altri funzionari archeologi della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina, la Tigano è stata in anni recenti oggetto di diverse indagini avviate dalla magistratura messinese, la più rilevante delle quali per l’ipotesi di un suo coinvolgimento in attività criminali svolte nell’ambito delle sue mansioni. Nel corso degli ultimi quindici anni, come vedremo, tali attività sono state monitorate da investigazioni condotte da Istituzioni d’eccellenza quali il GICO della Guardia di Finanza, finendo infine anche nel mirino della OLAF, organismo antifrode della Commissione Europea con sede a Bruxelles. Si tratta di indagini incomplete, nel senso che hanno purtroppo sofferto pesanti limitazioni,non essendo entrate nel merito di vari aspetti di notevole interesse criminologico in materia di distruzione dei beni culturali, nella fattispecie di beni mobili e immobili d’interesse archeologico per i quali non è giuridicamente applicabile alcuna prescrizione e quindi potrebbero ancora essere avviate.

Il percorso giuridico lascia inquietanti interrogativi, soprattutto su certe lentezze, regressioni allo stato delle indagini preliminari per vizi di forma procedurale, prescrizioni dei reati per decadenza dei termini di legge, archiviazioni, e non ultimo il prematuro decesso del Soprintendente ai BB.CC.AA. di Messina che, in base all’informativa GICO, avrebbe anch’esso avuto un importante ruolo nel vertice dell’organizzazione.

Si tratta di un insieme di fatti e di curiose coincidenze, che mostrano una sorprendente tempistica, accadimenti che hanno vanificato gran parte del complesso e importante lavoro svolto dagli investigatori.

Quel che immediatamente si evince da questa vicenda è che, i reati condotti da funzionari dello Stato nell’ambito di un concorso associativo di stampo criminale non possono essere trattati alla stregua di reati comuni commessi da singoli in atti pubblici (falso, truffa, furto), ma quali attività di membri di un “sistema” tale da configurare una rete regionale di organismi criminali di massima pericolosità per lo Stato. Appare quindi ovvio che, già da decenni, indagini di questa importanza avrebbero dovuto essere coordinate a livello regionale e non provinciale, seguendo appositi protocolli d’urgenza (2), dislocando contemporaneamente più squadre specializzate sul territorio e disponendo di tecnologie d’avanguardia.  

A questo proposito necessita ricordare che le soprintendenze siciliane sono organi periferici dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali. Ormai da decenni nulla di quel che accade nelle soprintendenze sfugge alla direzione generale dell’assessorato e allo staff di collaboratori assunto dall’assessore regionale di turno, tutte creature frutto di scelte e accordi sulle quali l’ultima parola spetta al vertice governativo.  

Di eguale urgenza si presenta la necessità di individuare interventi giuridici diretti a ridurre i lunghi tempi della giustizia, durante i quali gli imputati continuano non soltanto a conservare il posto di lavoro, ma persino a essere premiati con splendide carriere, come se divenissero privilegiate, poi salvate da prescrizioni deireati per sopraggiunta decorrenza dei termini, riduzione dell’entità dei reati e assoluzioni in quanto “il fatto non sussiste” (3).   

Un’operazione politica “vecchia scuola”, economicamente disastrosa, ma sempre vincente a livello mediatico e clientelare

Il governo Musumeci ha recentemente varato una ridefinizione in materia dei Parchi archeologici regionali (fortemente voluta dal suo Assessore Regionale ai BB.CC.AA. Sebastiano Tusa) (4) che, di fatto, in termini occupazionali costituisce un ulteriore aggravamento del processo ipertrofico dell’apparato regionale siciliano, operazione deprecabile non soltanto sotto il profilo strutturale ma anche economico, in quanto le spese graveranno su un bilancio finanziario dominato da un pesante indebitamento pubblico. Una ulteriore impennata delle spese amministrative laddove necessiterebbe un coraggioso intervento in senso contrario, bloccando le assunzioni affinché il mancato rimpiazzo di quanti progressivamente collocati in pensione possa condurre a una progressiva riduzione di almeno la metà di coloro attualmente impiegati negli uffici centrali e periferici degli assessorati.

Così, dopo un allegro periodo di distribuzioni d’incarichi professionali e di assunzioni per chiamata diretta, effettuate in base a criteri oscuri e nel compiacente totale silenzio dei media, operazioni prive di quelle già misere garanzie o parvenze di legalità date dai concorsi pubblici, oggi il governo della nuova Destra neoliberista sta tornando a programmare “nuovi concorsi per assumere giovani siciliani”. Già questa frase dichiara intenti illegali e deleteri per la Sicilia, in quanto fa intendere che ancora una volta tutti coloro che non sono né giovani e né siciliani hanno possibilità nulle di vincere un posto, fossero anche i migliori al mondo… È facile prevedere che saranno ancora una volta i familiari e gli amici degli appartenenti alla Nomenklatura regionale ad accaparrarsi i posti dirigenziali.

Appartenendo alla decade 1950, ovvero a quella degli odierni sessantenni che non hanno perso la memoria di quanto accaduto in Sicilia in un passato ignoto agli attuali giovani, considero questi proclami quali prodotto delle metodologie messe in atto dal gruppo di potere dominante, quello dei veri burattinai della politica e dell’economia regionale, per ottenere il consenso popolare, oggi sceso a livelli allarmanti. E che la situazione li preoccupi è un dato palese, considerando i comizi politici innanzi a piazze vuote, le elezioni dove i votanti sono meno della metà dell’elettorato e tra questo le schede nulle sono anche tante, alle decine di migliaia di giovani e meno giovani che hanno dovuto lasciare l’Isola per cercare lavoro all’Estero.

È quindi “tempo di tornare a infondere speranza”, un gioco vecchio e pericoloso in una nazione già condannata alla sudditanza dei poteri sopranazionali e al progressivo saccheggio da questi operato delle sue risorse.

Per ottenere il consenso elettorale che permette una fittizia parvenza democratica a questa società che continua a scivolare in una ancor più grave situazione predatoria svolta dai suoi padroni stranieri, le marionette della politica e della tecnocrazia regionale stanno oggi rimettendo in piedi il collaudato “poltronificio”, i ruoli dirigenziali riservati alla Casta, e il “posto fisso” degli impiegati di basso livello ad essi sottoposti, per intenderci quello spesso elargito per comprarsi la connivenza dei sindacati o dei partiti di opposizione, o per ingraziarsi pacchi di voti dell’elettorato costituito dagli amici degli amici, quelli appartenenti alla massa siciliana definibile in connivenza attiva o potenzialmente tale.

In breve, una operazione in stile “maturo” della Prima Repubblica che negli anni Settanta e Ottanta ha di fatto reso strutturale il dissesto finanziario della Regione Sicilia, moltiplicando il numero dei suoi dipendenti.

Ormai nell’Isola lo si apprende già in età adolescenziale quale fondamento della società siciliana: per perpetuarsi immutato, il “sistema” deve periodicamente cambiare trasformandosi in qualcosa apparentemente opposto, ma essenzialmente identico.

Alternando con cadenze periodiche le metodologie necessarie affinché ciò accada, il potere dominante lascia quindi trascorrere alcune generazioni prima di riproporre “innovazioni” seguendo schemi operativi vecchi ma sempre vincenti. 

Tuttavia, vi è un limite al saccheggio delle finanze e all’indebitamento pubblico, specie se questo viene acquistato da altre nazioni o da potenti network multinazionali. Nell’operazione che sta per iniziare le conseguenze negative sono solo parzialmente prevedibili, presentando un alto grado di dannosità in quanto ormai svolte con sistematica elusione dei principi fondamentali della costituzione repubblicana italiana, quelli posti a garanzia dei diritti primari dell’intera popolazione. Bisogna che lo Stato lo ammetta pubblicamente: la sovranità nazionale è già pesantemente limitata in molti settori strategici, subordinata a interessi sopranazionali che sono spesso inconciliabili con il benessere della popolazione nazionale.

Considerata la natura predatoria del neoliberismo internazionalista che costituisce il motore di questi accadimenti, è facilmente ipotizzabile che la situazione italiana sia destinata a peggiorare gravemente.

L’informativa del GICO: una organizzazione criminale al vertice della Soprintendenza di Messina.

È la primavera del 2004: sulla grande scrivania del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, dott. Angelo Vittorio Cavallo viene trasmessa  una voluminosa e ben articolata informativa avente per oggetto il Procedimento Penale n. 3037/03 RGNR. Mod. 21. Si tratta del frutto delle lunghe e complesse indagini (sopralluoghi, intercettazioni telefoniche, interrogatori, consulenze tecniche e in seguito anche perquisizioni effettuate presso uffici pubblici e abitazioni private) iniziate circa un anno addietro dal Comando Nucleo Provinciale Polizia Tributaria di Messina, nella fattispecie dagli specialisti del G.I.C.O. (Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata), una delle unità di eccellenza della Guardia di Finanza.

Sembra che le indagini siano scaturite da un controllo di routine (5), quando una mattina esaminando la cronaca cittadina riportata dai quotidiani, gli investigatori si imbattono in una strana notizia. Una gara d’appalto di lavori da eseguire in un’area archeologica sita nella provincia di Messina, era stata aggiudicata a una ditta che aveva presentato un ribasso dell’offerta pari a circa il 40%. Incuriositi dalla evidente anomalia del fatto, i finanzieri si attivano presso una fonte informativa di provata fiducia nella locale Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali. Comprendono così di essere innanzi alla punta di un gigantesco iceberg dell’illegalità, probabilmente strutturato nel corso di decenni, dove nell’ambito del complesso sistema legato agli appalti pubblici nel settore dei beni culturali, diversi funzionari avrebbero attestato il falso consentendo alle imprese vincitrici degli appalti di gonfiare il fatturato. Laddove non necessita indire gare d’appalto in quanto si tratta di piccole somme a disposizione dell’amministrazione regionale, i funzionari si rivolgono direttamente a “ditte di fiducia”, sempre le stesse, quelle che fanno parte del “sistema”.

Il responsabile del GICO avrebbe quindi chiesto e ottenuto dal comandante del nucleo di polizia tributaria di Messina di potere attivarsi per raccogliere ufficialmente le informazioni preliminari per sondare la consistenza dei reati. Il gruppo ha grandi capacità professionali e in breve i dati raccolti sono sufficienti per richiedere alla Procura di Messina di avviare indagini, che vengono concesse. Le trasmissioni di note riservate relative a questa inchiesta e che precedono l’informativa, avvenute tra il Nucleo e la Procura nel corso del 2003 e del 2004, sono decine (6). Due di queste note conterrebbero la richiesta da parte del GICO di concedere la perquisizione di una cassetta di sicurezza sita in un istituto bancario italiano, intestata a uno dei personaggi-chiave della vicenda. A questa richiesta, fondamentale per lo sviluppo delle indagini, la Procura della Repubblica avrebbe opposto un netto rifiuto (7).

Cercai di saperne da una delle mie migliori fonti di quel periodo, il giornalista Gino Mauro, incontrandolo più volte a partire dal 2007, ma fu soltanto nel 2014, pochi mesi prima che venisse stroncato da un infarto, che volle aggiungere alcuni importanti particolari della vicenda a me ignoti. Quel che in particolare mi colpì, fu la notizia che durante una perquisizione in casa di un indagato, effettuata su disposizione della Procura nell’autunno del 2003, sarebbe stata scoperta una scatola contenente una quantità di monete, ancora incrostate di terra e prodotti di ossidazione del rame, delle quali sino al 2009 il Soprintendente non aveva reclamato la restituzione in quanto il servizio archeologico al riguardo non gli aveva ancora trasmesso non soltanto la descrizione e le foto, ma nemmeno il numero delle monete. Di questa notizia non trovo traccia nell’informativa GICO 2004, d’altronde pervenutami incompleta (8).  

Torniamo alla ricostruzione di quanto avvenuto tra gli ultimi mesi del 2003 e il primo quadrimestre 2004. Giorno dopo giorno, gli investigatori del GICO erano giunti alla convinzione che all’interno della Soprintendenza fosse presente una situazione talmente grave da configurare un contesto che in gergo poliziesco viene definito “mostro”, riferendosi alle dimensioni e alla elevata potenza organizzativa e operativa criminale. Il quadro delineato dalle intercettazioni era allarmante, essendo la Soprintendenza “nelle mani di persone esterne”, avendo le intercettazioni rivelato che l’organizzazione criminale prendeva ordini dall’esterno tramite il soprintendente, nella sua qualità di direttore dell’Istituto, coadiuvato da dirigenti di vari servizi tra i quali alcuni noti archeologi.

È del tutto lecito chiedersi se i poliziotti fossero a quel punto pervenuti al sentore di pericolo nel quale si trovavano, poiché quanto da loro scoperto non poteva che rappresentare uno dei centri operativi di un “sistema” ben radicato nelle soprintendenze siciliane e di metodologie forse presenti anche in regioni dell’Italia peninsulare, quale semplice branca di interessi di una organizzazione strutturata a livello ancora più alto, sopranazionale.

Tuttavia, pervenuti a quel livello di conoscenze era ormai troppo tardi per sottrarsi alle inevitabili conseguenze sull’esito delle indagini, sul futuro di quei poliziotti d’eccellenza invisi al Deep State. Probabilmente ciò divenne ovvio sin da quel breve ma interminabile periodo, quelle settimane a cavallo tra la composizione, la consegna dell’informativa e l’attesa di un gradito riscontro dai vertici della magistratura: il sistema dominante non avrebbe concesso alcuno spazio per divulgare quanto scoperto, né tantomeno a giungere a una sola condanna dei suoi preziosi protetti. Anzi, avrebbe trovato il modo esemplare per chiudere quella “falla” e renderla un monito a futura memoria, rendendo chiaro a tutti che in Sicilia lo Stato è cosa loro.

L’informativa soffre di pesanti limitazioni in quanto compilata tenendo presente soltanto le funzioni alle quali è preposta la Guardia di Finanza di Messina, circoscritte nell’ambito dei reati tributari commessi nella sola provincia per sua competenza territoriale. Sono però presenti cenni dell’evidenza di dannose carenze scientifiche nel merito delle quali gli investigatori non avevano alcun titolo per competere con il parere espresso dal servizio archeologico della Soprintendenza messinese, che le vigenti leggi rendono insindacabile.

Eppure già quanto trasmesso alla Procura della Repubblica di Messina avrebbe dovuto allertare il vertice di questa, attivandosi presso altre Procure per un allargamento delle indagini quantomeno in tutta l’Isola, con un diretto impegno del Comando generale della Guardia di Finanza, gli Uffici Digos e, ovviamente, il Comando Carabinieri Nucleo T.P.C. (9). 

Sembra inoltre che gli uomini del GICO cercarono nel 2003 la collaborazione di noti archeologi presso i dipartimenti di alcune università siciliane e della Calabria, ma si trovarono innanzi a netti rifiuti (10).

Probabilmente sarebbe stato opportuno riaprire le indagini su certi trasferimenti di denaro all’Estero, quelli inizialmente pervenuti su conti bancari caraibici (a nome di politici e funzionari siciliani). Nelle Isole Vergini, ad esempio, dove anni addietro erano stati individuati dalla Magistratura messinese (a occuparsene fu l’allora giovane giudice Giuseppe Verzera). Secondo un noto quotidiano locale vennero localizzati depositi per un valore di circa 50 miliardi delle vecchie lire italiane. Nell’indagine caraibica figurava anche un noto politico democristiano messinese, Luciano Ordile, che per molti anni aveva occupato la poltrona di Assessore Regionale ai Beni Culturali e Ambientali (11).

Un’altra indagine svolta dalla Procura di Messina in quegli anni di fine “Prima Repubblica”, svanita anch’essa nel più cupo silenzio mediatico, si occupò del cosiddetto “tesoro” della Democrazia Cristiana messinese. A quel tempo in ambienti giornalistici circolavano insistenti voci di un conto bancario consistente in oltre 700 miliardi di lire che venne trasferito in Svizzera via Milano e della possibile relazione con un incidente automobilistico mortale di cui fu vittima un esponente politico messinese.  

Il GICO di Messina si trovò innanzi alle connessioni periferiche di un organismo criminale “invisibile”?

L’informativa redatta dal GICO nel 2004 indica senza mezzi termini come la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Messina avesse la connotazione di una “organizzazione che riassume le caratteristiche di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata alla commissione di vari delitti a cui partecipano, a seconda i ruoli ricoperti…” ben quindici funzionari dell’Ente e sette imprenditori, ai quali nel procedimento si aggiungono anche nomi di politici e professionisti per un totale di 49 persone.

Esaminando la vicenda dal solo punto di vista tributario, al quale sono circoscritte le proprie funzioni, i finanzieri segnalano che i pubblici ufficiali della Soprintendenza di Messina hanno “falsificato le relative contabilità di cantiere” spingendosi “tramite la perpetuazione mediante artifizi contabili, a truffare la stessa pubblica amministrazione”.

Inoltre, i funzionari coinvolti, ricoprendo ruoli apicali all’interno della Soprintendenza, abbiano messo “l’intera struttura al servizio di terze persone esterne alla stessa al fine di poterne trarre varie utilità fruibili immediatamente o in epoche future”. Difatti vengono evidenziati “in modo univoco e inconfutabile gli accordi” attraverso i quali i funzionari avrebbero di fatto barattato l’attività funzionale della Pubblica Amministrazione… approfittando di una enorme massa di capitali pubblici, messi a disposizione dalla Comunità europea per la riqualificazione e la valorizzazione delle aree archeologiche dislocate per tutta la provincia di Messina”.

Gli investigatori mettono quindi in luce le direttive di vari funzionari “per lo più motivati da interessi clientelari estrinsecatisi con l’attribuzione di consulenze professionali – talvolta celate attraverso assunzioni di lavoro subordinato da richiedere alle imprese compiacenti”. Si nota “l’esubero di manodopera e di consulenze esterne senza l’effettiva o reale necessità e talvolta inadeguate dal punto di vista professionale. L’utilizzo di procedure amministrative, quali somme d’urgenza e di gare d’appalto, per le quali si sarebbero travalicati talvolta i relativi supposti di attivazione, al fine di finanziare perizie, di volta in volta suggerite da soggetti alieni alle stesse vicende amministrative ovvero al fine di reperire risorse finanziarie da impiegare verosimilmente per scopi diversi rispetto alla naturale erogazione… in particolare per quanto riguarda le somme d’urgenza)”.

Inoltre si constata la presenza di “richieste di assunzioni di forza lavoro con garanzie di sgravi per i datori di lavoro, richieste d’intervento in aree extra progettuali, autorizzazioni di sub-appalti contro ogni prescrizione contrattuale. Attivazione e finanziamento di perizie su suggerimento di forze esterne allo stesso Ente, indulgenza a ogni forma di violazione penale-amministrativa posta in essere dalle stesse imprese in fase esecutiva (ad esempio, violazione alle norme sulla sicurezza dei cantieri e utilizzo di minori in lavori pesanti)”. Tutto questo è evidente nella redazione da parte di funzionari e/o impiegati deputati a tali compiti di documenti amministrativi inattendibili, anzi falsi e, di conseguenza, nella concreta possibilità di perpetuare truffe ai danni della stessa Pubblica Amministrazione”.

Ciò avverrebbe in un clima di rapporti dai toni “eccessivamente confidenziali tra i rappresentanti delle imprese ed i tecnici della Soprintendenza” che conducono a ritenere verosimile che essi celino “rapporti diversi da quelli che dovrebbero essere i rispettivi ruoli: esecutore dei lavori e controllori ed in sostanza palesano stabili equilibri all’interno dell’Ente che vanno mantenuti per garantire interessi da ambo le parti, prevaricando così ogni minimo contenuto di trasparenza amministrativa e concorrenza”.

L’informativa al proposito descrive “illecite deviazioni dai fini istituzionali”, “atti viziati da eccesso di potere” da parte di funzionari e dirigenti e, cosa ancora maggiore gravità, il monitoraggio delle attività del soprintendente Gianfilippo Villari, ovvero il massimo responsabile dell’Istituzione, mette in luce forme di condizionamento da parte di “forze esterne” (12) che “come ampiamente dimostrato”, comprometterebbero “la determinazione e l’imparzialità dei soggetti preposti e che interferiscono con il regolare funzionamento dei servizi. Situazioni che sembrano puntualmente ripetersi in diverse aree archeologiche di quella provincia regionale”, al punto che il GICO definisce “un clima di inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’Ente e di abuso delle pubbliche funzioni che trovano la loro naturale conseguenza nella violazione dei beni giuridici che le norme in parola intendono tutelare.

Gli investigatori ritengono quindi di essere giunti a identificare un primo gruppo costituito da una cinquantina di personaggi, che opera in una sorta di associazione dedita a organizzare e gestire un vero e proprio giro di affari criminali in cui sono a vario titolo coinvolti personaggi di primo piano della casta messinese, ovvero imprenditori, professionisti, archeologi, dirigenti regionali, politici. Le indagini continuano a ritmo serrato per tutto il corso del 2003 e gli inizi del 2004, con accertamenti e approfondimenti grazie alla concessione di proroghe di ulteriore tempo, sino alla trasmissione della informativa, che evidentemente si spera sia solo la prima di una serie di operazioni derivate da questa base di dati messi in luce.

Una quantità di dati che rischia di divenire troppo grande da gestire e che travalica i compiti del G.I.C.O. e in seguito anche quelli della O.L.A.F., ovvero i reati connessi ad abusi finanziari, essendovi anche quelli di distruzione o grave danneggiamento di beni culturali (di pertinenza del Comando Carabinieri T.P.C. o della speciale sezione beni culturali della Guardia di Finanza), e quelli relativi ai rapporti tra politica, imprenditoria e potere massonico (indagini generalmente affidate alla Polizia ed in particolare alla Digos) (13).  

Gli investigatori decidono quindi di tirare le prime somme dei risultati, confidando di avere affidata una successiva “tranche” di approfondimento, e che contemporaneamente all’attività svolta in Tribunale, altre forze di polizia per loro competenza possano mettere in evidenza ulteriori e non secondari aspetti d’interesse criminologico concernenti alle attività perpetuate in Sicilia da associazioni di “colletti bianchi”.

In una tale situazione, in un ambiente investigativo ideale risulterebbe palese che la prosecuzione delle indagini con risultati ottimali sia raggiungibile solo attraverso una concertazione tra tutte quelle forze di polizia che, considerata la presenza di gelosie e antichi rancori, richiedono la ferma supervisione di un pool di magistrati di grandi capacità professionali e soprattutto di provata fedeltà allo Stato Italiano. Siamo quindi innanzi a un problema strutturale oggi praticamente insuperabile.

Bisogna riconoscere che la coraggiosa informativa GICO costituiva un eccellente punto di partenza per costruire una investigazione di fondamentale importanza per la lotta alle attività di quello che oggi iniziamo a considerare quale il massimo organismo criminale presente in Sicilia, un sistema imponente del quale da alcuni decenni hanno sentore e orrore magistrati e giornalisti di prima linea. Un organismo “invisibile” il cui vertice di potere sopranazionale ha evidentemente sede altrove, per il quale l’imprenditoria mafiosa siciliana è solo uno dei poteri indigeni europei già da decenni caduti nelle sue mani e ridotti a semplici esecutori. Un potere fluido, essenzialmente anarchico, che ha infiltrato le roccaforti dell’ideologia liberista internazionalista e del vero potere massonico, alle quali ha affiancato migliaia di centri operativi. Un “meccanismo” di immane potenza che nessuna nazione è in grado di affrontare senza disastrosi danni economici e finanziari, sino ad essere trasformati in regimi-marionetta. 

Gli inquirenti avranno certamente constatato, ma non ne trovo traccia nella parte dell’informativa GICO in mio possesso, come sin dalla fine degli anni 1980, ovvero da oltre un quarto di secolo, vi fossero Ditte definite di fiducia alle quali coloro che si sono succeduti nel ruolo di soprintendente e direttore del servizio archeologico della soprintendenza BB.CC.AA. di Messina affidavano i lavori per somme consistenti, non però tali da dovere indire gare d’appalto, come stabilito dalle vigenti leggi. Tuttavia, è il numero dei lavori ottenuti per incarico diretto dalle Soprintendenze che determina il giro di affari di questi personaggi. Approfondendo le indagini, possiamo constatare (ed è forse questo il dato maggiormente inquietante della vicenda) come queste ditte e alcuni di questi dirigenti archeologi hanno semplicemente continuato questo rapporto “fiduciario” anche presso la Soprintendenza di Messina quel che già facevano sin dagli anni 1970 presso l’allora Soprintendenza alle Antichità per la Sicilia Orientale con sede in Siracusa, e che questo si nota chiaramente per quanto riguarda alcuni imprenditori messinesi e siracusani e alcuni dei dirigenti archeologi. Si badi bene che sono tutti personaggi citati nell’informativa inviata dal GICO alla magistratura messinese, per alcuni dei quali si chiedeva di spiccare ordine di arresto a fini cautelativi.

Dei 49 nominativi ai quali il GICO attribuì reati, per ben 14 avanzò espressa richiesta alla magistratura di emettere un’ordinanza di custodia cautelare (ovvero carcerazione preventiva al fine di evitare l’inquinamento delle indagini in corso). Tra questi vi sono ben tre dirigenti archeologi della Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina: Umberto Spigo, la moglie di questi Maria Giovanna Bacci (che risultava pluri-pregiudicata…), e Gabriella Tigano (della quale ci occupiamo in questo articolo). Si tratta di personaggi-chiave della vicenda, che agiscono con la copertura del soprintendente Gianfilippo Villari, già noto esponente della massoneria siciliana e amico di lunga data dell’allora Assessore Regionale ai Beni Culturali, Raffaele Lombardo (14). In quel momento il soprintendente ha in corso una ventina di processi per vicende inerenti allo svolgimento delle sue mansioni lavorative. Deceduto nel Settembre del 2009 a causa delle conseguenze di una forma aggressiva di tumore all’apparato digerente, non giungerà innanzi al G.U.P.per processo che per quanto concerne le responsabilità nei reati contestate dal GICO, che per altri imputati si protrarrà sino al 2014. Originario della provincia di Enna, pochi anni addietro era stato candidato alle elezioni a sindaco di quella città, raccogliendo circa 25.000 voti quale alfiere di “Forza Italia”, il partito fondato dal noto Silvio Berlusconi, ma venne superato di poco dal candidato della lista di Sinistra.

È da mettere in evidenza che oltre all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare per vari indagati, il GICO chiese alla Magistratura messinese due interventi di fondamentale importanza per il contrasto alle attività evidenziate: il sequestro preventivo delle somme finanziate nell’ambito dei P.O.R., i fondi strutturali elargiti dall’Unione Europea alla Regione Sicilia e da questa alla Soprintendenza di Messina e “la proposizione agli organi competenti” ovvero all’Assessorato ai BB.CC.AA. della Regione Siciliana “ della sostituzione dei soggetti in atto o già preposti al Servizio III (archeologico) della Soprintendenza di Messina.

Dovranno passare quattordici anni affinché i risultati di altre indagini condotte in Sicilia,  quale ad esempio la gravissima vicenda di Banca Nuova, poi ridimensionata in quel che attualmente è stato circoscritto a “Caso Montante”, iniziassero a porre le basi per ipotizzare la reale esistenza di un “organismo criminale” di livello superiore, mantenuto invisibile. Esso dominerebbe la complessa società siciliana, sarebbe costituito da personalità incensurate di alta professionalità, in modo da essere definibile quale un gruppo di potere nazionale strettamente connesso a quello soprannazionale. Inizialmente creato per il controllo militare di territori d’interesse strategico (quali appunto la Sicilia) del cosiddetto Blocco Occidentale, recentemente questo organismo sta attraversando una fase di cambiamenti determinati dall’avvento di nuovi equilibri al vertice del potere finanziario internazionale che tendono a ridimensionare quello occidentale e colonizzarne parte.

Sarà questo scontro, che nel vicino futuro potrebbe determinare la condizione di “visibilità” di parte dell’attuale potere dominante in Italia, del quale ad oggi resta ignota persino la denominazione. Per motivi di pura necessità terminologica, sembra qui verosimile attribuirgli un termine provvisorio di Vero Potere (Deep State, Governo-ombra), o piuttosto un semplice ma ben descrittivo ”sistema di potere dominante”. Il termine “Deep States network” dovrebbe invece essere usato quando riferito alla condizione sopranazionale nell’ambito dei Paesi del Blocco Occidentale.

È probabile che in Italia sia realmente esistita e oggi forse ancora in parte funzionante limitatamente al livello regionale, una struttura piramidale simile a quella descritta nel controverso “Memoriale Calcara”, compilato da un collaboratore di giustizia in seguito giudicato inattendibile dalla magistratura. In base a esso, sino agli inizi degli anni 1990 i vertici del potere regionale siciliano e quello nazionale italiano erano distinti gerarchicamente, il primo subordinato al secondo, ovvero in linea di potere perpendicolare. Ognuno sarebbe stato gestito da un proprio centro decisionale, rispettivamente definiti “Commissione regionale”, e “Supercommissione nazionale”. Calcara accenna anche a un organismo superiore a queste, anch’esso definito “supercommissione”, ma di competenza soprannazionale del quale non fornisce alcuna ulteriore specificazione. Se la descrizione corrispondesse a verità, appare ovvio che queste strutture non avrebbero potuto deliberare senza essere affiancate da centri progettuali e unità operative, non citate dal Calcara, che d’altronde non rivela alcun nominativo dei personaggi che farebbero parte delle Commissioni (15).  

Come silenziare e rendere innocua un’indagine alfa

Per misurare il potere che domina la Sicilia è forse sufficiente constatare l’esistenza della sua ombra proiettata sulla vicenda qui esposta, bastante a determinare l’autocensura dei media sino al momento in cui, dopo parecchi anni dal suo inizio giudiziario, tutto si è dissolto nei meandri di in tribunale, usando vizi di forma procedurali e prescrizioni. Il nulla, che ha pesato sull’investigazione aperta dalla OLAF (Case OF/2007/0022) e conclusa senza raccomandazioni alla Commissione Europea. Impedendo così il risarcimento dei sostanziosi danni causati all’Unione Europea. Un esito che ha umiliato gli sforzi, la professionalità, il ruolo di difensori della collettività, la fedeltà allo Stato degli uomini del GICO.

Nell’invisibilità rimane protetta l’intera struttura che ha permesso (e vi sono elementi per presumere essa continui tranquillamente ancor oggi), a “persone esterne” di impartire ordini ai vertici della soprintendenza messinese. Una sorta di Spectre (16) talmente potente da non essere mai stata quantomeno oggetto dell’interesse dei media europei, costituita da personaggi e probabilmente da apparati innominabili: il più pericoloso organismo criminale di “colletti bianchi” operante in Sicilia, e in generale in Italia, volendo qui limitare l’interesse di cronaca a una piccola parte del territorio oggetto delle sue attività.

Tuttavia, i presupposti di questo corso degli eventi era già prevedibile. Sarebbe stato sufficiente scorrere, ad esempio, le trascrizioni delle intercettazioni avvenute nel corso di colloqui tra due dirigenti superiori dell’amministrazione regionale siciliana. Cito, fra le tante, tre telefonate, il cui riassunto e spezzoni di frasi sono riportate nel quinto capitolo dell’Informativa GICO del 2004, avvenute il 28/11/2003 (Progr. 4329, 4331, e 4358).

Nella prima il Soprintendente Gianfilippo Villari telefona a Maria Carollo, dirigente del Servizio Ispettivo del Dipartimento Regionale Beni culturali e ambientali ed Educazione permanente, con sede a Palermo, informandola dell’intervento della Guardia di Finanza. Nella seconda telefonata il Soprintendente, aggiorna la funzionaria precisando che “la cosa sta divenendo più seria del previsto in quanto, oltre all’esecuzione di una perquisizione presso l’abitazione di Umberto (Spigo) ci sarebbero dei problemi con il cantiere di San Fratello”. Nella terza conversazione, Villari e Carollo continuano a commentare l’intervento della Guardia di Finanza, in particolare il Soprintendente rivela di essere stato informato da Umberto Spigo dei reati contestati dai finanzieri, aggiungendo che “la cosa è ben più grave del previsto e di avere avvisato, prima che la notizia venisse pubblicata sui quotidiani, il Direttore Generale dell’Assessorato Regionale” evidentemente al fine di concertare un intervento. Inoltre, il Soprintendente informa la funzionaria “del sequestro di una monetina rinvenuta a casa dello Spigo”.

Anche se non vi sono prove di un intervento del vertice assessoriale e/o di altri centri di ben maggiore potere, bisogna constatare che i media non renderanno pubblica la vicenda e che poche e scarne informazioni appariranno solo quasi sei anni dopo, in due articoli pubblicati nel novembre e nel dicembre 2009, ovvero pochi mesi dopo la morte del Soprintendente. Il primo è un articolo a firma di Michele Schinella, pubblicato da “Centonove”, un settimanale messinese a limitata tiratura regionale, che rompe il silenzio fornendo le notizie filtrate in vista dell’udienza preliminare tenuta dal giudice Maria Vermiglio, al quale segue un succinto aggiornamento con l’esito dell’udienza, pubblicato dalla redazione di “Stampa Libera” il 4/11/2009 (17).

Dopo questi due isolati episodi, che riducono la vicenda al caso di un presunto gruppo di funzionari infedeli, scende nuovamente il silenzio durato sino ad oggi, ovvero ben dieci anni nonostante due esposti presentati dallo scrivente nel 2014, rispettivamente per loro competenza ad uno speciale reparto della Guardia di Finanza, Messina e al Comando Carabinieri T.P.C., Roma. Non ne conosco il seguito, ma penso sia sufficiente rivelare di non avere mai ricevuto un successivo benché minimo riscontro. Un silenzio che rivela più di quanto mi aspettassi. 

Le numerosissime trascrizioni e sintesi di queste telefonate tra funzionari, politici, imprenditori e liberi professionisti, riportate nell’Informativa, presentano una importante testimonianza storica delle condizioni nelle quali è caduta l’archeologia siciliana in questi ultimi decenni. Se ne ricava uno squallido spaccato della ricerca archeologica sottomessa al servizio del sistema degli appalti pubblici, finita di “poteri” privi di scrupoli, ma di archeologi il cui squallore professionale e caratteriale è peggiore delle eminenze di quelle “Entità”.

È triste la presenza di funzionari archeologi per i quali metodologie e comportamenti illegali (tra i più comuni il falso in atti pubblici e la truffa), sono evidenziati quali routine applicata nei siti archeologici monitorati dal GICO. Ma è ancor più sconcertante constatare come non soltanto nessun archeologo delle università siciliane, ma persino di quelle nazionali e estere che hanno operato studi e ricerche in Sicilia, abbia voluto infrangere il muro di omertà e si può anzi osservare come ognuno di essi abbia partecipato con il silenzio, con connivenze che non possono essere definite meramente passive.

Le ulteriori indagini svolte dalla Commissione Europea (O.L.A.F., Case OF/2007/0022)

A parte i gravi danni al patrimonio archeologico e monumentale che ad oggi rimangono non quantificati, e quelli finanziari inflitti allo Stato Italiano e all’Unione Europea, vi è quello commesso sulla popolazione della provincia di Messina, che dalla vicenda ha imparato in quale modo, raggiungendo una posizione di potere all’interno della Regione Siciliana, nessuno venga punito quando appartenente a organismi criminali presenti all’interno delle Istituzioni dello Stato, come evidenziato dall’Informativa GICO 2004 e successivamente oggetto dall’indagine svolta dall’Office Européen de Lutte Antifraude di Bruxelles (O.L.A.F.) (18).

Ma quel che forse ha più di ogni altra evidenza convinto la popolazione ad astenersi dall’intraprendere persino goliardiche discussioni tra amici al bar su questo genere di fatti, è la possibilità di soffrire una serie di avversità, la cui dannosità è proporzionale alla gravità delle esternazioni. Esse inizialmente appaiono quali improvvise insorgenze di serie di avversità, che nei casi più gravi possono giungere alla condizione di isolamento, di vera e propria “morte sociale” a conclusione di operazioni di discredito professionale e di aspetti della vita privata condotti con tecnologie telematiche produttrici di verità abilmente progettate, costruite e diffuse. La morte sociale è oggi divenuta una condizione alla quale il “sistema dominante” relega chiunque gli arrechi disturbo al punto che si decide di non eliminarlo fisicamente lasciando consumare la vittima nella orrenda sofferenza di scontare colpe non commesse, lasciandolo inoltre alla mercé della tortura del pubblico disprezzo. Quel che da inquietante surplus caratterizza queste vicende è l’assoluta mancanza di una presa di posizione della collettività, evidente espressione silenziosa di una condizione di oppressione di tutti i fondamentali diritti sociali (19).

Tutto ciò premesso, la OLAF entrò in gioco, in seguito a mia circostanziata richiesta, quando erano ormai trascorsi due anni dall’invio dell’informativa GICO alla Procura messinese, e alla non accolta richiesta avanzata dalla polizia giudiziaria di spiccare una serie di mandati di cattura. Sembra che la pratica fosse stata archiviata dal giudice Angelo Cavallo, oggi alla Procura di Patti dove tra l’altro conduce le indagini sulla misteriosa morte di due poliziotti, riaperte dopo una prima archiviazione da lui stesso operata quando alla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Messina (20).

Fu a quel punto che nell’estate 2006, mentre mi trovavo impegnato a documentare gli scempi di beni culturali e paesaggistici nel territorio di Fiumedinisi (21), intervenne una serie di accadimenti che per puntuale imprevedibilità e intreccio di corrispondenze è impossibile attribuire al frutto dell’ingegno umano, ma a quel mistero che con rassegnata prudenza gli investigatori sono soliti denominare “curiosa cadenza di coincidenze, fatti e circostanze evidentemente casuali”. Entrai tra l’altro in possesso di parte dell’informativa del GICO, recapitatami in modo anonimo in Olanda, e dopo averla letta e presunto la genuinità quale documento giudiziario, presi contatto con la O.L.A.F. in quanto vi si configuravano gravi reati ai danni della Comunità Europea.

Mantenni i contatti con la O.L.A.F. frequentandola anche negli anni seguenti. Nel 2008 volle associarsi anche un dottorando in archeologia presso una università inglese, tale Andrea Vianello, con il quale incontrammo un ufficiale della Guardia di Finanza e un magistrato italiano che conducevano le indagini aperte dall’organismo della Commissione Europea (22). Saranno gli accertamenti avviati dalla O.L.A.F. a convincere il giudice per le indagini preliminari, dott. Antonino Genovese, a riaprire le indagini precedentemente archiviate dalla Procura di Messina.

Bisognerà aspettare il 4 dicembre 2009, per vedere giungere il procedimento innanzi alla giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina (GUP, Maria Giovanna Vermiglio) (23). Ma si tratta ormai di una indagine azzoppata, che anziché allargata si è ristretta a diciotto indagati. Vengono decisi sette rinvii a giudizio per i reati di falso e truffa, tra i quali spicca il nominativo del dirigente archeologo Umberto Spigo, mentre le posizioni di due indagati vengono stralciate.

Per altri nove indagati, tra i quali le dirigenti archeologhe Bacci e Tigano, la giudice, accogliendo in parte le obiezioni degli avvocati della difesa, rilevò la presenza di un vizio di forma procedurale, decidendo quindi di regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari e di restituire tutti gli atti al pubblico ministero. Come calcolabile, considerata la lentezza della giustizia italiana, sopraggiunse la decadenza dei termini processuali e la prescrizione dei reati. Sulla base di questo strano percorso giudiziario l’investigazione OLAF fu chiusa senza raccomandazioni alla Commissione Europea, di modo che questa non ebbe alcuna possibilità di potere richiedere alla Regione Siciliana un ingente risarcimento dei danni subiti dall’Unione Europea (procedimento di recupero di fondi europei elargiti dal POR 2001/2007). A sua volta, se effettuato, la regione avrebbe potuto rivalersi sui funzionari colpevoli delle frodi. Questo triste epilogo rivela l’effettiva inconsistenza e i limiti delle attività investigative della OLAF quando innanzi ai poteri forti siciliani.

È tuttavia da ricordare come, in prima istanza, i funzionari europei della OLAF avessero considerata reale la presenza di pesanti irregolarità nell’uso dei fondi elargiti dalla comunità europea, dando credito a quanto già evidenziato dal GICO. Dal dicembre 2009 sulla vicenda cade il più fitto mistero, quello che in questi casi sembra solito giungere a proteggere i dirigenti superiori trovati con le mani nella marmellata, in quanto pedine del sistema dominante. E così il silenzio continuerà anche dopo la presentazione di due esposti da parte dello scrivente nella prima metà del 2014 (24): la vicenda scompare dalle cronache e i burocrati in “guanti bianchi” coinvolti in qualità di imputati sono oggi divenuti ancor più potenti di prima o hanno potuto tranquillamente andare in pensione con tutti i notevoli benefici loro riservati dalla Regione Siciliana.

Per dovere di cronaca bisogna però mettere in evidenza come, avviata l’indagine OLAF, negli anni 2007-2008 Umberto Spigo e la moglie Maria Giovanna Bacci (a quel tempo già pluripregiudicata), pur essendo indagati dalla Procura di Messina e al centro dell’investigazione di un organismo della Comunità Europea, verranno omaggiati dal Ministero per i Beni Culturali italiano in pieno accordo con la Regione Siciliana, con l’invio a ricoprire, rispettivamente, la carica di Soprintendente per la Lombardia e di Soprintendente per il Piemonte con la delega anche per la Liguria. Potevano partire da soli, senza la numismatica Amalia Mastelloni, che le intercettazioni del GICO rivelano essere legata da un intimo rapporto di amicizia con lo Spigo? Ovviamente no, e la tipa diviene Soprintendente Archeologo per le Tre Venezie. Scattano immediate le proteste del vertice veneto della “Lega” che chiede spiegazioni al Ministero di competenza. La Mastelloni viene trasferita a Roma presso il Mibac, ma l’interim di quella soprintendenza viene clamorosamente assegnato allo Spigo, che viene così a trovarsi a soprintendere ai beni archeologici di gran parte del Settentrione italiano: un potere accentratore mai verificatosi prima e dopo di lui. Si tratta di una delle vicende burocratiche più misteriose dell’archeologia italiana.

In pratica, tramite questo accordo firmato dal Ministro per i Beni Culturali, On.le Francesco Rutelli (sì, proprio quello che i gloriosi media nazionali non perdono occasione di presentare quale un paladino nell’opera di difesa dei beni culturali italiani…) con la Regione Siciliana, alla coppia di indagati Spigo-Bacci, quest’ultima pluripregiudicata per vicende inerenti alla gestione di beni culturali, viene assegnato il controllo dei Beni Archeologici del Nord Italia. Un incarico gravoso in quanto vi sono aree vincolate o da vincolare sulle quali devono essere eseguite importanti opere pubbliche (che necessitano relazioni tecniche di liberi professionisti incaricati dalla Soprintendenza e nulla osta dei funzionari), posizione che occuperanno per circa un anno.

Dopo questa parentesi i tre rientreranno in Sicilia alla grande, con l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione totalmente nelle mani dei politici siciliani, che nonostante le inchieste a loro carico ancora in corso, li promuove mandandoli a dirigere importanti incarichi. Allo Spigo, sarà assegnata la Direzione delle aree museali delle Isole Eolie, al quale succederà nell’incarico l’amata amica Amalia Mastelloni.

Nel frattempo, momentaneamente promossa e trasferita al Nord Italia la Bacci, dal 2007 è Gabriella Tigano a divenire Direttrice della sezione beni archeologici della Soprintendenza, e dal 2019 Direttrice del Parco di Naxos, che contiene anche altre importanti aree d’interesse archeologico della fascla ionica messinese quali Francavilla e la riserva naturale orientata di Fiumedinisi e Monte Scuderi. In quest’ultima si distinguerà per il silenzio osservato nella vicenda del restauro architettonico e degli scavi archeologici effettuati nel Castello Belvedere di Fiumedinisi dal Comune di Fiumedinisi e dall Sezione Archeologica della Soprintendenza, sotto la direzione di Giovanna Maria Bacci, assistita dalla funzionaria Maria Grazia Vanaria, una vicenda grave, dai risvolti inquietanti che nemmeno due esposti presentati nel 2014 non sono riusciti a scuotere l’interesse della magistratura messinese (25).

I dirigenti regionali siciliani e le “regole non scritte” sulla spartizione degli appalti.

Agli inizi degli anni 1990 la magistratura siciliana riesce a incastrare l’on.le Rino Nicolosi, catanese, cinque volte presidente della Regione Siciliana. Definito “cugino” dal leader libico Gheddafi con il quale intratteneva stretti rapporti, era parente dei Soprintendenti Vincenzo e Sebastiano Tusa (padre e figlio), e di un altro funzionario archeologo operativo presso la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Catania, il Nicolosi viene arrestato per una serie di scandali e decide di collaborare con i giudici vuotando il sacco sul sistema degli appalti dal 1988 al 1992. Tenendo conto della collaborazione, i giudici applicheranno uno sconto di pena, impartendogli quindi cinque anni e mezzo di carcere.

Nicolosi rilascerà un’eclatante intervista al giornalista Alfio Sciacca del quotidiano a diffusione nazionale “Il Corriere della Sera” dove, a precisa domanda rivoltagli dal giornalista, risponde che il “sistema degli appalti” in Sicilia funzionerebbe per vie di fatto, senza riunioni collegiali tra politici e imprenditori, con una tangente fissa del 2,5% su ogni appalto. Il totale delle somme raccolte su migliaia di appalti veniva poi distribuito tra i partiti dell’arco costituzionale, e qualche briciola arrivava anche alla Destra a quel tempo all’opposizione, mentre i comunisti avrebbero gestito un loro meccanismo tangentizio e clientelare rappresentato dalle cosiddette “cooperative rosse”. Di questo sistema, secondo il Nicolosi, avrebbe fatto parte anche la mafia che raccomandava ditte appaltatrici in mano a suoi affiliati o a imprenditori conniventi. Il ruolo dei questo sistema i funzionari regionali è primario, in quanto consistente in rapporti di connivenza (passiva o attiva), nelle mansioni previste dalla legge, ovvero di controllori dello svolgimento delle gare d’appalto e dei lavori (26).

È interessante notare come nonostante avesse ricoperto per ben cinque volte la carica di Presidente della Regione Siciliana, e quindi fosse al vertice del potere politico regionale, Rino Nicolosi pur citando gli affari pilotati dai vertici mafiosi e politici, tace su quelli commessi dalle altre Entità componenti il potere dominante di quel periodo, quali la massoneria, la chiesa cattolica, i media, i sindacati e non ultimo il ruolo dei servizi segreti italiani. Non sappiamo se i giudici gli avessero rivolto domande in tal senso, ma possiamo constatare la presenza di queste importanti e inopportune omissioni, che bisogna ritenere dovute alla consapevolezza dell’esistenza di un limite oltre al quale, evidentemente, non è concesso esternare, né tantomeno indagare. Per quanto concerne l’organismo criminale superiore “invisibile” non possiamo che convincerci quanto immutato sia rimasta questa condizione di paura e di omertà, che sembra a volte determinare una vera e propria autocensura persino all’interno di una parte dei poteri inquirenti dello Stato.

Riassumendo, i “patti non scritti” sono chiari a tutti i partecipanti al “sistema” e quindi anche a quanti militano nella piramide del potere della Regione Sicilia, e tra questi i dipendenti dell’Assessorato Regionale per i Beni Culturali. È la prima “verità” rivelata ai neofiti, a coloro che entrano a far parte di questa cuccagna, dove “mamma comanda e picciotto va e fa”.  

L’affidabilità è il frutto di questo impegno accettato con l’assunzione. Formuliamolo a futura memoria: la Regione Siciliana ti paga molto di più rispetto agli altri impieghi pubblici, ti concede abbondanti benefici, e in cambio tu tieni il becco chiuso su quanto avviene in ufficio e nel territorio di competenza, divieni connivente attivo in quanto sai, vedi e non parli. Se e quando raggiungerai il ruolo dirigenziale farai quel che ti viene chiesto di fare, compromettendoti ancora di più e entrando a fare parte effettiva del “mondo di mezzo” del potere, quello di congiunzione, tra la piramide visibile e quella superiore invisibile.

Sistema dominante e organizzazione massonica

Volendo avere immediata contezza della potenza del sistema dominante, è sufficiente constatare come sino ad oggi nessuno, nemmeno gli “addetti ai lavori” quali criminologi, investigatori, sociologi e giornalisti professionisti, ha mai scritto due righe sull’organizzazione criminale di poteri sopranazionali, sul network Deep States, che ha inglobato e domina le entità nazionali. Anzi domandiamoci soltanto questo, se vi sia stato un giornalista professionista che abbia mai voluto verificare quanto sia pur sommariamente citato nel controverso Memoriale Calcara. E non si tratta di una atipicità italiana, colpendo indiscriminatamente anche i cronisti esteri, come se questi abbiano preferito adeguarsi alla consegna del silenzio, all’autocensura.

Detto questo, bisogna ammettere che generalmente coloro che si occupano a livello giornalistico professionale delle organizzazioni criminali presenti nei limiti dell’orticello isolano siciliano, preferiscono non approfondire con proprie indagini, le vicende dove si palesano ruoli di connivenza svolti in anni recenti da una parte delle istituzioni poste al controllo della legalità, ovvero servizi segreti, magistratura e forze dell’ordine, cioè quel che in un unico “abbraccio” affaristico, possiamo definire il campo d’azione delle “famiglie” massoniche.

Quando a causa di lotte interne per il potere qualcosa affiora rendendosi visibile alla popolazione, si ha la sensazione che si attivi immediatamente una sorta di protocollo di pronto intervento, essenzialmente manipolatorio, in base al quale l’apparato mediatico di sistema ridimensiona o determina la scomparsa dei fatti, in modo che l’opinione pubblica creda si tratti di casi isolati d’importanza secondaria, per lo più frutto di problemi privati.

Per avere piena libertà di azione, il vertice nazionale di ogni Deep State e il network sopranazionale al quale esso appartiene devono continuare a restare invisibili. Si tratta di una manipolazione che opera sfruttando dinamiche attivabili a livello inconscio.  

Negli ultimi anni, tuttavia, si sono rese visibili, sia pure in modo evanescente, alcuni centri periferici di quella sorta di territorio soprannazionale costituito dalle superlogge massoniche, della cui esistenza e alta pericolosità sociale esistono prove di pubblico dominio grazie anche ad alcune recenti investigazioni della polizia tedesca (27). Le maggiori superlogge sono i luoghi dove vengono vagliate le modalità di progettazione, controllo e condizionamento delle attività regionali, nazionali e sopranazionali presentate dalle migliaia di strutture think-tank presenti nelle università pubbliche e private, nelle fondazioni e nei centri di ricerca privati. Il loro fine primario è di garantire e ottimalizzare il perpetuarsi dello sfruttamento economico del Blocco Occidentale nell’ambito del grande sistema del libero mercato globale. 

Le strutture superiori delle organizzazioni massoniche sono “coperte”, ovvero rese invisibili ai non addetti ai lavori, ovvero riservate a personaggi che nella società occupano posizioni importanti sia nel settore pubblico che in quello privato. Una sorta di aristocrazia che garantisce, ricavandone evidentemente un sostanzioso ritorno di potere, anche economico, nell’ambito dell’ordine strutturale dell’intera collettività. In Sicilia la presenza di queste strutture potrebbe pesare al punto da influenzare notevolmente l’avanzamento, collocazione o congelamento delle carriere di funzionari dello Stato, di militari, di accademici ma anche delle attività di personalità private quali politici e imprenditori, facilitando per proprio tornaconto lobbistico, le carriere di coloro che hanno mostrato affidabilità nel corso della loro militanza nelle famiglie massoniche.

È per questo motivo che se l’informativa del GICO e gli accertamenti della OLAF fossero stati oggetto di tutti quegli approfondimenti investigativi che meritavano, oggi con tutta probabilità saremmo qui a constatare una mole di informazioni che puntano all’ingranaggio periferico del potere criminale sopranazionale, quello mantenuto invisibile per renderlo “intoccabile”, le cui principali funzioni in Sicilia sono dirette al totale controllo e sfruttamento della società, purtroppo insistente in una delle regioni europee di massimo interesse strategico militare del Blocco Occidentale.

Uno dei più gravi problemi che si possano verificare nel corso delle indagini è che il coinvolgimento di personalità di spicco appartenenti alle classi dominanti, vengano rivelati a terzi sin dalle fasi di monitoraggio. Queste “fughe di notizie” avvengono soprattutto quando i nominativi attenzionati appartengono a personaggi iscritti presso associazioni di potere, quali le logge massoniche o a persone considerate avverse al “sistema”. Per quanto concerne i massoni, le informazioni possono essere comunicate ai confratelli nel corso della frequentazione della loggia di appartenenza e in particolare tra esponenti della fratellanza giuridica) e nelle superlogge, al riparo delle quali inquirenti e indagati possono incontrarsi per il bene dell’associazione, considerato primario rispetto a quello dello Stato.

Nel caso di una persona “di rispetto”, difatti, si cercherà di intervenire operando preventivamente una copertura mediatica e giuridica al fine di creare il minore danno possibile al sistema dominante, all’intera organizzazione muratoria e al buon nome delle pubbliche istituzioni (28).  

La maggior parte delle fughe di notizie che pervengono ai giornalisti, quelle che permettono a televisioni, radio, quotidiani on-line di fare a gara nella spettacolarizzazione di scandali di questo livello, sono finalizzati a attirare una folta audience che serva al gruppo di potere al quale appartiene la testata giornalistica, e sia a far crescere i guadagni legati ai servizi pubblicitari. Esse pervengono dopo che le informative arrivano alle procure di competenza territoriale, rivelate da poteri che usano i media nelle guerre tra lobbies politiche e finanziarie avversarie. Tuttavia, essendo i dirigenti regionali generalmente protetti al servizio del sistema dominante, a volte, come avvenne per la vicenda dell’informativa GICO del 2004, si può osservare l’imposizione di un totale silenzio stampa (29).

“Si rassegni. Ha idea di quanto costi allo Stato la formazione di un dirigente della Soprintendenza?”

Questa domanda mi fu rivolta anni addietro da un architetto a quel tempo Direttore Generale dell’Assessorato ai Beni Culturali, Ambientali e Pubblica Istruzione della Regione Sicilia, un tipo che durò poco, detronizzato a seguito di uno scandalo ben poco edificante. Il tono non era amichevole e rappresentava la risposta a una mia precisa domanda: il motivo per il quale una funzionaria archeologa, pluripregiudicata, continuava tranquillamente a collezionare denunzie e condanne dalla magistratura e allo stesso tempo sempre più importanti incarichi dirigenziali sia amministrativi che scientifici (30).

La risposta ricevuta è puntuale nel rivelare il vero potere dei dirigenti regionali siciliani, ovvero il loro bagaglio di esperienze lavorative, la militanza risultata fedele e affidabile al sistema dominante sino a divenire un riferimento in grado di gestire tutti gli aspetti tecnico-amministrativi necessari alla progettazione, alla messa in opera e al controllo degli appalti nel settore di loro competenza. Ma quel che più conta, come ha rivelato l’investigazione del GICO in base alla quale si mosse anche la OLAF, è la loro capacità di soddisfare le esigenze politico-clientelari e quelle economiche degli imprenditori. Queste generalmente avvengono attraverso la commissione di vari reati, tra i quali spiccano il falso in atti pubblici e le frodi condotte con fondi statali, regionali e della Comunità europea sino a causare la distruzione di beni archeologici appartenenti alla Regione Siciliana.

In Sicilia, per arrivare nel gruppo dirigenziale al vertice di una Soprintendenza, di un Polo Museale o di un Parco archeologico, i funzionari devono quindi percorrere un lunghissimo periodo di apprendistato che dura non meno di quindici anni. Vediamone quindi le tappe sotto un profilo professionale e criminologico. Il primo passo è l’assunzione, che può avvenire solo in base a una convergenza di raccomandazioni da parte di personaggi noti e graditi al sistema in quanto suoi affidabili conniventi, quali ad esempio i politici, e di quei funzionari che li hanno messi alla prova in cantieri di scavo, allestimenti di musei, realizzazione di studi e partecipazioni a convegni.

Indetti i concorsi o, come avvenuto negli ultimi decenni, con assunzioni definite “stabilizzazioni” di “lavoratori precari” regionali. Un assurdo in quanto si tratta di incarichi lavorativi conferiti da funzionari a liberi professionisti che, dopo alcuni anni assumono la qualifica di “lavoratori precari” regionali per i quali si è ritenuto democratico procedere con “stabilizzazioni”, ovvero con l’assunzione nella pubblica amministrazione a tempo indeterminato. In pratica un escamotage ideato dal sistema dominante per piazzare i propri protetti in posti chiave dell’amministrazione pubblica, eliminando i problemi generati dai concorsi pubblici.

Nessun incarico professionale o possibilità di vincere un concorso è invece possibile a coloro il cui nominativo compare nel “libro nero” custodito presso la direzione di ogni assessorato regionale (praticamente una insormontabile condanna a vita).

Per quanto riguarda gli archeologi “graditi”, essi hanno la possibilità di accedere alla lista dei prescelti, entrando di ruolo in base al potere contrattuale dei loro “protettori”. Il curriculum scientifico del candidato ha quindi importanza secondaria rispetto al potere del suo garante e al grado di affidabilità, soprattutto caratteriale, dimostrata dal candidato negli anni di collaborazione professionale.

Dopo l’assunzione inizia la gavetta all’ombra dei dirigenti e dei funzionari anziani, che gradualmente li introducono ai meccanismi tecnico-amministrativi. Anno dopo anno, essi imparano a relazionarsi con i dirigenti superiori, con gli alti apparati dello Stato, con il potere accademico e quello imprenditoriale, a identificare i “poteri forti” e tutti coloro che appartenenti alla casta o da essa protetti, devono essere trattati con dovuto rispetto, distinguendoli da quelli che non rappresentano altro se non l’emarginazione delle classi sociali inferiori per le quali il riconoscimento dei propri diritti civili è ormai divenuto un sogno irrealizzabile.

Negli anni il tecnocrate impara alla perfezione il funzionamento del sistema degli appalti, il meccanismo politico-clientelare ad esso collegato e la mappa del potere, ovvero la struttura piramidale “visibile” nella quale egli è entrato a fare parte parecchio tempo addietro.

Essendogli stato affidato anche il controllo delle attività scientifiche di accademici e liberi professionisti nazionali e stranieri che operano nella provincia sotto la sua giurisdizione, il funzionario archeologo ha così opportunità di apprendere le moderne metodologie di ricerca, di tutela e di valorizzazione dei beni archeologici e partecipa alle pubblicazioni scientifiche, compresi articoli e monografie di carattere internazionale, generalmente senza sostenere alcuna spesa. In tal modo gli viene data la grande possibilità di percorrere una via preferenziale di formazione del curriculum scientifico con numerosissime attività pur svolgendo una funzione scientifica marginale, ma è il numero delle pubblicazioni (spesso si tratta soltanto di apporre la firma in un lavoro di gruppo) e delle partecipazioni a convegni e progetti di eccellenza che fornirà al sistema che lo protegge il diritto di proporlo a incarichi dirigenziali sempre più importanti sia dal punto di vista degli appalti che politico-clientelare.

Accumulando centinaia di titoli tecnico-scientifici in un modo così facile, potrà permettersi di prevalere su quanti hanno al loro attivo molto meno “aria fritta”, ma pubblicazioni pionieristiche e monografie di alto valore scientifico per le quali occorrono decenni di lavoro sul campo.

Si creano così personalità scientifiche che rappresentano la grande beffa del sistema nei confronti di quanti hanno a proprie spese e in tutta onestà percorso studi di eccellenza a livello internazionale giungendo a eccellenti risultati pionieristici di ricerca scientifica, ai quali sono pervenuti dopo decenni di ricerca scientifica solitaria, costosa e talora resa difficile proprio da coloro che sono conniventi del sistema. Ciò nonostante, il funzionario potrà giungere al grado di dirigente superiore soltanto se gradito ai poteri dominanti, identificabili nella comunione delle cinque Entità formulate dal Memoriale Calcara, o di una lobby accreditata che si assume la responsabilità della scelta.

Conclusioni: marionette tragicomiche alla periferia di un sistema “invisibile”

Scorrendo la trama della vicenda che ha al centro i funzionari della sezione archeologica della Soprintendenza di Messina, si ha la forte sensazione che il sistema di potere dominante in Sicilia abbia imposto la massima copertura per silenziare quanto coraggiosamente messo in luce dagli uomini del GICO. Così, anziché essere licenziati in tronco o quanto meno rimossi dalle loro mansioni e trasferiti altrove, i funzionari inquisiti non soltanto hanno potuto evitare di essere perseguiti dalla giustizia italiana, ma hanno addirittura amplificato il loro potere all’interno dell’amministrazione e della società isolana, avanzando di grado, giungendo a ricoprire prestigiosi incarichi dirigenziali come avvenuto nel caso qui esposto della dirigente archeologa Tigano, dei suoi colleghi Bacci e Spigo, e di tutti i giovani funzionari archeologi a essi sottoposti che collaboravano alle attività.

Vi è poi un altro aspetto inquietante che in Sicilia riguarda le inchieste la cui importanza è evaporata nel corso delle procedure giudiziarie. Il recente Caso Montante rivela come esse possano altresì divenire parte importante dell’attività di dossieraggio, ovvero di formazione di quegli archivi che persone di potere costituiscono al fine di ottenere i fedeli servigi di quanti detengono ruoli dirigenziali nella pubblica amministrazione e in tutti gli altri settori-chiave della società isolana e nazionale.

Un funzionario ricattabile non può che aprire le porte del suo ufficio alle organizzazioni criminali del potere dominante, divenendone connivente attivo. Gli viene creata una carriera protetta, una corsia preferenziale attraverso la quale giunge a posti dirigenziali prestigiosi purchè rispetti gli ordini che gli pervengono dall’alto.

Gli esposti o le denunzie che in questi casi giungono alle forze dell’ordine o direttamente alla magistratura, una volta superato il vaglio pervengono al giudice per le indagini preliminari, che predispone accertamenti. Se sussistono elementi di reato il G.I.P. li trasmetterà al G.U.P., il giudice per le udienze preliminari. Bisogna constatare che questo percorso può durare diversi anni e quasi sempre non si andrà oltre il rinvio a giudizio o comunque alla fine non sortiranno alcun effetto sulla carriera. Generalmente, la vicenda sarà archiviata o sortirà lievi condanne, andando a costituire parte di un ulteriore dossier spesso contenente notizie atte a poter riaprire l’inchiesta. Per assurdo, l’affidabilità e la totale fedeltà del funzionario al sistema dominante è garantita anche dalla quantità di dossier che potrebbero determinare pesanti condanne, risarcimenti allo Stato e licenziamento.

Dopo anni di connivenza, i funzionari giudicati particolarmente abili saranno premiati con onori pubblici e privati, mentre coloro definiti “sacrificabili” divengono come vacche da latte rovinate dalle tecniche di mungitura. In quanto attori principali di operazioni criminali sulle quali potrebbero rendere testimonianza, non ci sarebbe da stupirsi se un giorno si scoprissero casi in cui questi funzionari siano stati eliminati dal sistema in via precauzionale, con modalità difficilmente identificabili. Si considerino ad esempio malattie a decorso mortale, attacchi cardiaci, tragici incidenti mortali o suicidi che non di rado presentano stranezze procedurali e connotazioni riferibili a significati esoterici. Contro queste metodologie evidentemente operate da professionisti altamente specializzati, che probabilmente hanno sostituito gli eclatanti assassinii messi in atto nel passato per mezzo di manovalanza mafiosa, quei pochi che ancora oggi si battono contro la criminalità organizzata non possono opporre alcuna difesa. Inoltre si tratta di operazioni che presentano il “vantaggio” di impiegare specialisti “coperti”, inesistenti negli schedari consultabili dalle ordinarie forze di polizia, ignoti ai livelli medi e bassi della criminalità, evitando così fughe di notizie da parte dei “collaboratori di giustizia”.

La nomina della dirigente Tigano alla direzione dell’importante e vastissimo Parco Archeologico di Naxos e della coesistenza in questa istituzione di un’altra funzionaria già attenzionata dalla magistratura per fatti avvenuti in siti del versante tirrenico del messinese, Maria Grazia Vanaria, non possono passare inosservate. Le posizioni di Direttrice del Parco e di funzionaria archeologa, permettono di proporsi anche quale elementi di spicco della comunità scientifica siciliana nelle relazioni intercorrenti con prestigiose istituzioni accademiche straniere. Si possono facilmente immaginare le conseguenze che potrebbero seguire alla divulgazione delle condanne sostenute dalle due burocrati, le gravi ripercussioni sull’immagine dell’intero sistema di ricerca scientifica, di protezione e di valorizzazione dei beni archeologici siciliani.

Bisogna chiedersi quale fedeltà allo Stato possa rappresentare quella di un Governo regionale siciliano che permette a funzionari di “provata affidabilità al sistema”, come nel caso di Gabriella Tigano, di poter tranquillamente giungere alle poltrone di sottopotere degli assessorati regionali.

Basta tirare le somme. Se i Governi (di Centrodestra e di Destra) rispettivamente presieduti da Totò Cuffaro (17 luglio 2001 – 18 gennaio 2008) e da Raffaele Lombardo (28 aprile 2008 – 10 novembre 2012) ritennero di non dovere quantomeno sospendere Gabriella Tigano assieme a molti altri colleghi e rinnovare l’organico della soprintendenza di Messina, essendo oggetto di importanti indagini in corso nelle quali erano contestati reati di falso e truffa, il successivo Governo (di Sinistra) di Rosario “Saro” Crocetta (10 novembre 2012 – 18 novembre 2017) si comportò come se nulla fosse accaduto, spingendosi anzi a premiare la signora avanzandola al ruolo di direttrice della sezione archeologica della Soprintendenza ai BB.CC. di Messina.

E adesso, il Governo (di Destra, 18 novembre 2017 – in corso) presieduto dall’ex missino Nello Musumeci (la cui nuova formazione politica è “Diventerà Bellissima”…), non ha voluto essere da meno, nominando questa tipica creatura della burocrazia regionale alla direzione di uno dei parchi archeologici più importanti non soltanto della Sicilia, ma dell’Europa. Insediatasi al suo nuovo posto di comando, la neo-direttrice è stata omaggiata dalla visita della vedova del defunto Assessore Regionale ai BB.CC. Sebastiano Tusa, che nonostante si sia sempre occupata di arte contemporanea è succeduta al marito alla guida della potente Soprintendenza del Mare. Tusa, del quale questo sito si è già occupato, è divenuto post mortem una sorta di nume tutelare all’ombra del quale il Governo Musumeci sembra ritenere insindacabili certe azioni (31).      

Esaminando tutte le attività svolte dalle due sezioni regionali, Palermo e Siracusa, del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) risulta evidente che non sono mai state constatate evidenze di organizzazioni criminali che abbiano influenzato l’attività di funzionari degli organismi centrali e periferici dell’Assessorato ai Beni Culturali e Ambientali della Regione Siciliana. Nessuna loro indagine ha mai identificato la presenza di disastrose attività di distruzione di beni archeologici effettuata durante scavi  e restauri in importanti siti archeologici eseguiti sotto la direzione di organismi e funzionari di tale assessorato, o di istituti universitari operanti sotto il loro controllo. Si consideri quale esempio eclatante la loro totale assenza nell’ambito dello scempio operato dalla locale Soprintendenza in contrada Fusco di Siracusa o durante gli scavi e il restauro del Castello Belvedere di Fiumedinisi operato dalla consorella messinese con fondi dell’otto per mille donati da contribuenti alla chiesa cattolica e che lo Stato Italiano ha distratto per l’impiego nel settore dei beni culturali, con effetti deleteri.

I risultati giudicati “fruttuosi” dal Comando TPC non vanno oltre attività attribuite a miseri tombaroli, mercanti e altri personaggi che non appartengono agli apparati statali. Un dato di fatto che già da decenni avrebbe dovuto allertare le massime Istituzioni dello Stato, i partiti politici, i media. È palese ormai a chiunque che le Istituzioni regionali siciliane nel settore dei beni culturali sono divenute sorta di santuari “intoccabili” del sistema dominante, al punto che per coloro che desiderano giustizia possono solo sperare in un evento esterno naturale, in un cataclisma liberatorio epocale. 

Per concludere, gli aspetti criminologici presenti nella vicenda che vede implicata la dirigente Gabriella Tigano, alcuni dei quali fortemente caratterizzati da situazioni surreali, sono di grande interesse per comprendere come, a iniziare dall’Unità d’Italia, la Sicilia sia potuta giungere all’attuale condizione di devastazione culturale, sociale e finanziaria.

Ma non è sufficiente rendere pubbliche le modalità operative del sistema di potere dominante siciliano, delle attività criminali delle organizzazioni che lo compongono, essendo d’importanza primaria la necessità d’identificare il loro ruolo nello scacchiere (o meglio nel network) dei poteri sopranazionali. È solo approfondendo e allargando i campi d’investigazione di vicende come quella evidenziata dal GICO nel 2004, o di quelle registratesi a Fiumedinisi nell’area del Castello Belvedere tra il 2006 e il 2014 che si può riuscire a comporre un quadro d’insieme,realistico, della situazione degli abusi e dei danni irreparabili perpetuati nell’ambito della gestione dei beni archeologici siciliani anche attraverso il sistema degli appalti e del “poltronificio” clientelare.

Le indagini-chiave non possono che essere indirizzate ai rapporti tra superlogge massoniche, istituti bancari, imprenditoria e i loro rispettivi ruoli svolti nelle operazioni di “lavaggio” di grandi quantità di denaro di illecita provenienza, nel settore sia privato che pubblico. Difatti, i finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europea per attività di valorizzazione dei beni culturali possono costituire una forte attrazione per il riciclaggio di denaro di provenienza illegale, soprattutto se il “business” è diretto da potenti gruppi multinazionali, costituendo la base (sino a un quarto del costo totale, il resto è elargito a fondo perduto) per operazioni di grande impatto sull’economia regionale, quale ad esempio quello del comparto turistico-alberghiero di alto livello.

Un sistema di gestione dei beni culturali dove i soprintendenti, i direttori dei parchi archeologici e naturali ai beni culturali e le piramidi dirigenziali a essi sottoposti, svolgono ormai la funzione di esecutori, ben ricompensati con agevolazioni economiche e sociali, non ultima ciò che sembrerebbe una impunità di fatto. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza una massa di interventi legislativi che permettono una legale imbrigliatura delle attività di quelle ultime sacche di resistenza presenti nella magistratura e nelle forze dell’ordine, ancora disposte a intervenire anche in quei casi dove vi fossero insabbiamenti e corruzione dei poteri.

Il silenzio degli accademici non soltanto operanti in Sicilia, ma dell’intera “koinè” dell’archeologia italiana e europea, può essere interpretata solo quale connivenza di chi sente, vede e omertosamente non parla.

Parte della popolazione sta fuggendo dalla Sicilia e dall’Italia, in quanto questo sistema criminale è giunto a una fase di controllo dello Stato che non lascia spazio a tutti coloro che non sono disposti a piegarsi o non sono prescelti a servire, da schiavi, nelle arroganti e pericolose piramidi del potere. In questa situazione, la miope arroganza dei politici riesce solo a spingersi a proporre che bisogna fermare l’emigrazione dei giovani geni definiti “le eccellenze” (i figli della “casta” e dei loro sgherri), ignorando la massa, come se l’orrenda logica degli aristoi al vertice massonico avesse ormai seppellito le lotte per la conquista dei diritti del popolo di vivere in uno Stato sociale. Un libero farneticare impensabile sino a pochi decenni orsono, un’altra spallata per spingere l’Occidente in una ecatombe sociale.

È questo il nuovo corso della politica regionale inaugurato dal Presidente Nello Musumeci, che per un quarto di secolo ha militato nel disciolto Movimento Sociale Italiano i cui esponenti sono squallidamente finiti al servizio del potere occidentale che dicevano di combattere. Ecco quindi la casta di colletti neri che i media si sono affrettati a dipingere di bianco immacolato, una sarabanda politica ben meno che mediocre, capace solo di fantasticare un proprio futuro nel quale sin da oggi proclama “Sarà Bellissima”.

Note

1 – Per assurdo, al concorso per il ruolo di dirigenti archeologi delle Soprintendenze della Regione Siciliana si era ammessi anche se in possesso di un semplice certificato di frequenza del primo anno di una Scuola di Specializzazione in Archeologia, non aveva alcuna importanza se gli esami relative alle materie fossero stati superati e con quali voti. Inoltre, il bando di concorso si spinse a limitare l’accesso a quanti in possesso della laurea in lettere classiche, cosicché i posti per archeologi preistorici furono interdetti agli archeologi specializzati in preistoria presso la prestigiosa Scuola di Specializzazione dell’Università di Pisa, sezione Archeologia Preistorica, ai quali dagli anni 1970 sino alla metà degli anni 1980 l’accesso era per tradizione di eccellenza, sia italiana che francese, riservato ai soli laureati in Scienze Naturali, o Biologiche, o Geologiche. Fu così evitata la partecipazione al concorso del fior fiore della ricerca scientifica nel settore, fatto che ha avuto conseguenze disastrose.

2 – in quanto si tratta di una “quinta colonna” che tende a demolire quel che resta dei fondamenti che tutelavano i diritti dell’intera popolazione sui quali sorse la Repubblica.

3 – nel sostenere le ingenti spese legali, i funzionari sono protetti da mamma Regione, che si premura a fornirgli una conveniente polizza assicurativa a copertura di questi “incidenti” del lavoro.

4 – al proposito dei soprintendenti, padre e figlio, Vincenzo e Sebastiano Tusa, si rimanda a quanto questo sito ha ampiamente riportato in una serie di articoli ri-postati in data odierna in questo sito in data odiernna: 17 Aprile 2019, “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte Prima. Nozioni introduttive: attraverso la morte delle sue creature celebra sé stesso e si rigenera”; 16 Maggio 2019, “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte II. Nel nome del padre, del figlio e della Stegocrazia”; 5 Giugno 2019, “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere in Sicilia. Parte III. La Destra neoliberista e i neo-Ronin della stegocrazia”.

Sull’aggravamento del processo ipertrofico dell’apparato regionale siciliano e del dissesto finanziario segnalo: Antonio Fraschilla in “La Repubblica”, 18 marzo 2010, pag. 31 “Sicilia, al museo più custodi che visitatori. Il record a Ravanusa: dieci addetti e neanche un biglietto venduto”; Andrea Cannizzaro, in Live Sicilia, 31 maggio 2019, “Avvocati, comunicatori e tanti “ex” Ars e governo: consulenti ed esterni (chi sono gli esperti e i collaboratori del governatore, deputati e assessori)”; Redazione, in “Gazzetta del Sud”, 21 agosto 2019, “L’esercito dei dipendenti regionali, i ‘numeri’ dell’assessore Grasso. ‘Il dato è in media con il quadro nazionale’. Ma appena qualche giorno fa la Corte dei Conti aveva ribadito le critiche”.

5 – informazione confidenziale approfondita nel corso di due incontri, avvenuti nel 2014, con il giornalista Gino Mauro, ex direttore della redazione di Messina del quotidiano “La Sicilia”, con il quale avevo in precedenza collaborato professionalmente dalla seconda metà degli anni 1980 sino alla metà degli anni 1990. Mauro fu stroncato da un infarto pochi mesi dopo, nel marzo 2015, mentre ricoverato in un ospedale siciliano dove da diverse settimane attendeva invano di essere sottoposto a un’operazione.

6 – in base ai dati presenti nell’informativa è possibile constatare che dal 2003 sino alla metà del 2004 alla Procura, solo per questa prima fase, avessero contezza di ben trentotto note riservate relative a questa indagine.

7 – informazione confidenziale ricevuta da Gino Mauro, che l’avrebbe appresa dal Soprintendente poco tempo prima della sua tragica morte. Vedi nota 5.

8 – vedi nota 5. Il Mauro mi rivelò che le più recenti notizie in suo possesso su queste monete risalivano al 2009, e sino a quella data le monete sarebbero state ancora custodite presso un ufficio della Guardia di Finanza di Messina. Aveva appreso la vicenda dal Soprintendente Gianfilippo Villari, suo fraterno amico da molti anni, con il quale aveva condiviso la militanza massonica e particolari dottrine e pratiche esoteriche. A difesa dell’amico Soprintendente, Mauro rivelò che esso era stato molto contrariato dal comportamento dei funzionari del servizio archeologico della Soprintendenza e preoccupato di evitare fughe di notizie, in quanto si configurava la responsabilità di detenzione indebita con l’aggravante del ruolo di funzionario dello Stato preposto alla tutela di quei reperti.

Occorre precisare che nell’informativa GICO compare il sequestro di una sola “monetina”, non meglio identificata, operato a casa dei coniugi Spigo e Bacci, dirigenti archeologi della Soprintendenza. Contestai questo particolare al Mauro, ma egli ribadì che al Soprintendente fosse giunta “autorevole” conferma in camera caritatis che i finanzieri avessero prelevato dalla casa di uno degli indagati una scatola contenente molte monete antiche, fresche di scavo, ovvero ancora da sottoporre alle prime operazioni di pulitura. Gli stretti rapporti di amicizia tra il giornalista e il Soprintendente sono evidenti nella realizzazione di un viaggio, confermatomi dallo stesso Mauro, realizzato negli Emirati Arabi, e precisamente a Dubai, al quale parteciparono anche i due figli del dirigente.

Il Soprintendente morì poco tempo dopo quel viaggio, agli inizi del settembre 2009 a causa dell’improvviso aggravamento di una grave forma tumorale, proprio quando stavano per concludersi le nuove indagini, riaperte da un GIP messinese sulla base delle investigazioni condotte da un organismo antifrode della Commissione Europea erano ancora in corso. Si tratta di una delle curiose coincidenze avvenute in questa vicenda.

9 – pur tenendo presente che sia alla sede centrale dell’Assessorato per i Beni Culturali e Ambientali della regione Sicilia sin dalla seconda metà degli anni 1980 e alcuni dei funzionari elencati nell’informativa GICO, tra i quali il soprintendente e i dirigenti archeologi, si riferivano alle due sezioni siciliane del Nucleo con il rassicurante appellativo di affidabilità “i nostri carabinieri”. Ne ho purtroppo avuto modo di verificarne il significato anni addietro, in relazione a quanto avvenuto al Castello Belvedere di Fiumedinisi.

Bisogna inoltre mettere in evidenza come di recente il noto Caso Banca Nuova-Confindustria-Montante abbia evidenziato gravissimi episodi di corruzione che hanno coinvolto i vertici siciliani delle Forze dell’Ordine.

10 – confidenziale da Gino Mauro, 2010, confermata e approfondita dallo stesso nel 2014. Sarebbe utile condurre accertamenti sull’argomento con gli investigatori del GICO, a quel tempo operativi a Messina, per avere un quadro del comportamento osservato dal baronato dell’archeologia siciliana in quel periodo, nonché degli stretti legami intercorsi tra quello e i colleghi della soprintendenza messinese. In particolare le attività della Tigano, dapprima funzionaria e dal 2008 direttrice della sezione archeologica, che aveva condotto i suoi studi nella locale università dove lavoravano quali docenti anche entrambi i suoi genitori, punto di riferimento di diritto amministrativo di studenti poi divenuti elementi di rispetto della locale magistratura e avvocatura.

11 – si trattava di un geometra impiegato del locale Genio Civile, poi portaborse di un politico democristiano messinese al quale in seguito riuscì a soffiare la clientela e anche il suo protettore, il Ministro Buttiglione, a sua volta legato a potenti ambienti della Curia Vaticana.

Le indagini erano scaturite da una manifestazione organizzata dalla regione Siciliana in Giappone, realizzata con grande dispendio di denaro pubblico finito su un conto caraibico tramite un allevatore di cavalli siciliano residente in Inghilterra… La vicenda dello sperpero di denaro pubblico, dove non mancarono tratti talmente surreali da provocare persino l’ilarità popolare, condusse la Procura messinese a spiccare un mandato di arresto nei confronti dell’Ordile.

12 – evidentemente nell’ambito delle “entità” (poteri) messi in evidenza dal controverso Memoriale Calcara, costituite da massoneria, imprenditoria, politica. Si legga quanto detto sull’argomento in questo blog, 30 luglio 2018,“Strutture operative transnazionali e il network sopranazionale Deep States. Un criminologo nell’ARCA di Noah”, e gli approfondimenti alle note 16, 17, 18, 19 e 20. Ulteriori notizie sul Memoriale Calcara sono presenti nella serie “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano…” nelle parti precedenti alla presente.

13 – La sigla Digos è riferita alla Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali che comprende alcuni uffici periferici della Polizia di Stato italiana, ai quali sono attribuite specifiche competenze e che fanno riferimento al DCPP, la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione che ha sede nel Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno. Gli uffici pertinenti alla Digos sono presenti in ogni Questura italiana.

14 – copia del passaporto massonico rilasciato dal Grande Oriente d’Ialia (G.O.I.) al Soprintendente Gianfilippo Villari, a ove è identificato con il titolo di maestro di quarto grado risalente agli anni 1980 è presente tra gli allegati di una informativa della Digos di Catania del 1998 in relazione a fatti avvenuti quando soprintendente ai BB.CC.AA. di Enna.    

15 – Si rimanda agli articoli specificati in nota 12. Il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara è stato recentemente dichiarato “testimone non attendibile” nel corso di un processo tenuto presso il Tribunale di Palermo, che ha condotto all’assoluzione dall’accusa di mafia di un antiquario originario di Castelvetrano, in provincia di Trapani. Questa pur pesante condizione giuridica non risolve tuttavia il dubbio che il Memoriale Calcara contenga effettivamente importanti rivelazioni che future indagini potranno confermare. Quel che invece corrisponde a certezza della vicenda Calcara è la presenza di aspetti terribilmente oscuri non solo sul grado di affidabilità delle fonti informative, ma soprattutto sulla loro gestione e sulla funzione dei media.

Si ricordi tuttavia che anche i collaboratori di giustizia Massimo Ciancimino e Leonardo Messina hanno dichiarato l’esistenza sia delle cosiddette “5 Entità” che della “Commissione Nazionale”. Circa la reale esistenza delle “Entità” ne hanno accennato anche i politici Piero Grasso e Walter Veltroni.

La sensazione è che una parte delle rivelazioni di Vincenzo Calcara possano provenire da quanto appreso, vero o falso che sia, attraverso contatti con elementi a conoscenza di vicende e situazioni inerenti al vertice del potere siciliano e nazionale. Bisogna quindi chiedersi chi possa avere avuto interesse a manovrarlo, screditarlo e quali siano state le finalità a lungo termine.   

Vincenzo Calcara, 29 maggio 2014, in www.19luglio1992.com/vincenzo-calcara-da-confronto-verranno-fuori-i-nomi-della-super-commissione-nazionale

Gian J. Morici, 4 agosto 2018, in “www.lavalledeitempli.net/2018/08/04/vincenzo-calcara-trasportai-tritolo-borsellino/

Gian J. Morici, 11 agosto 2018, in www.lavalledeitempli.net/2018/08/11/caso-calcara-intervista-alla-giornalista-simona-mazza/

16 – frutto della fantasia dello scrittore Ian Fleming, comparsa per la prima volta nel 1961 nel romanzo “Thunderball”, seguito nel 1962 da “Dr. No”, noti al grande pubblico attraverso le loro trasposizioni cinematografiche, parte di una serie di film aventi come personaggio principale l’agente segreto James Bond. Tuttavia già nel 1954, nel romanzo “Moonraker” Fleming aveva descritto, senza citarne il nome, una simile organizzazione sopranazionale e apolitica, alla quale partecipano ex dirigenti dei servizi segreti nazionalsocialisti, considerata dalla critica quale un avvertimento dello scrittore circa l’esistenza di una reale organizzazione della Destra internazionalista che usa per le sue attività tutte le maggiori organizzazioni criminali del pianeta.

Sembra che Fleming, morto prematuramente d’infarto nel 1964 a soli 56 anni, si fosse ispirato ai caratteri di personaggi realmente esistiti e a quanto appreso nel corso delle sua militanza in qualità di ufficiale dei servizi segreti della marina inglese, operativo ai massimi livelli dirigenziali nel corso della seconda guerra mondiale tra il 1939 e il 1945, passando poi (come molte spie oggigiorno operative sotto copertura) al giornalismo, essendo tra i fondatori e corrispondenti de “The Sunday Times”, sino al 1961.  

17 – articolo in “Centonove”, del 13/11/2009 di Michele Schinella, “Messina, l’inchiesta: archeologi col ricarico. Travolti da una inchiesta giudiziaria i funzionari della Soprintendenza. Sono sospettati di avere attestato il falso consentendo così alle imprese di gonfiare il fatturato. I nomi degli indagati e i siti nel mirino”.

Stampa Libera (fondato e diretto da Enrico Di Giacomo, fratello di Caterina Di Giacomo, una delle dirigenti della Soprintendenza, anni dopo divenuta direttrice del Museo Civico di Messina), pubblicato dalla redazione il 4/11/2009 “Appalti alla Soprintendenza di Messina: decisi sette rinvii a giudizio. Atti al PM per nove indagati, nuova udienza per due”.

18 – la OLAF fu creata dalla Commissione Europea nel 1999 per combattere le frodi, la corruzione e altre attività illegali che affliggono gli interessi finanziari dell’Unione Europea. La principale azione è quello di recupero di fondi erogati quando identificati quali spesi illegalmente, agendo sullo Stato al quale erano affidati. Ciò considerato la OLAF non interviene sull’Istituzione, in questo caso la Soprintendenza, ma sullo Stato o regione autonoma, come nel caso della Sicilia, generalmente rivalendosi sulle somme che dovrebbero essere assegnate in seguito. Per i reati di frode nei confronti dell’Unione Europea non esiste prescrizione e prima o poi lo Stato riconosciuto essere sede di spese illegali sarà comunque costretto a pagare.

La procedura è la seguente: l’informazione giunge al reparto operativo che la esamina e la passa, accompagnata da una propria valutazione, alla Direzione Generale della OLAF che decide se accoglierla o non procedere nelle indagini. Se accolta, viene aperto un fascicolo e le indagini sono svolte sul campo dai propri ispettori che possono avvalersi anche di collaborazione di corpi di polizia presenti sul territorio. Nei casi complessi come quello registrato a Messina le indagini possono richiedere anche alcuni anni, e alla fine il risultato viene inviato alla Commissione Europea alla quale spetta di decidere se iniziare un’azione di recupero dei fondi a carico dello Stato dove sono avvenute le frodi o archiviare l’indagine.

19 – vedasi anche quanto espresso sulla condizione di morte sociale nell’articolo 17 aprile 2019, “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano…, op.cit. Parte I.

20 – si rimanda all’articolo pubblicato in questo sito il 12 settembre 2018, “Sicilia. Riflessioni sui recenti decessi di due dei migliori investigatori della polizia” e alla recente recente presa di posizione della Commissione Antimafia sull’agguato all’ex Direttore del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, avvenuto nel 2016.

21 – Tra i numerosi articoli sullo scempio del Castello Belvedere di Fiumedinisi che furono pubblicati in quegli anni dai media regionali e nazionali cito:

Franco Parisi, 31 Ottobre 2008, in “La Sicilia”, Cronaca di Messina, pag. 31 “Fiumedinisi. Scoperta una discarica nel sito storico del Castello Belvedere”.

Pietro Villari. In Patrimoniosos.it, 1 Dicembre 2008, “Fiumedinisi Project: i soldi americani e le istituzioni italiane

Nicolò Conti, 3 Gennaio 2009, “Il sistema che non ammette ingerenze” in Amici di Beppe Grillo con Sonia Alfano presidente (www.soniapresidente.net/news/il-sistema-che-non-ammette-ingerenze/)

Pietro Villari, 3 Gennaio 2009, “Lettera-denuncia al presidente Raffaele Lombardo” in www.tele90.it/news.asp?news­id=5476

Pietro Villari, in coscienzeinrete.net, 4 aprile 2014, “Sicilia tossica. Come trasformare una regione in discarica di rifiuti tossici europei” 

22 – In seguito, i funzionari della O.L.A.F. constatarono che il Vianello, nonostante avesse più volte rilasciato e sottoscritto pesanti dichiarazioni nei confronti delle funzionarie della Soprintendenza messinese, anche confermate innanzi a un magistrato, aveva in seguito instaurato una stretta collaborazione di lavoro proprio con la sezione archeologica della Soprintendenza di Messina e altre consorelle siciliane. In seguito il Vianello fu tra i personaggi coinvolti e tuttavia non indagati dell’ammanco, avvenuto nel magazzino blindato del Museo di Nizza di Sicilia, di un importante reperto ceramico preistorico rinvenuto nel corso degli scavi di Fiumedinisi.

23 – si rimanda alla nota 17.

24 – presentati rispettivamente presso la Guardia di Finanza di Messina e il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, Roma, in quest’ultimo accompagnato da Solange Manfredi, nota giurista già assistente del magistrato Carlo Palermo. Nonostante la gravità dei fatti evidenziati, entrambi gli esposti non hanno sortito alcuna risposta.

25 – A conclusione di indagini preliminari, il pubblico ministero dispose l’atto di citazione davanti al Giudice monocratico presso il Tribunale di Patti (prov. di Messina) le funzionarie della Soprintendenza di Messina, Maria Giovanna Bacci, Gabriella Tigano e Maria Grazia Vanaria (quest’ultima nella qualità di direttore amministrativo della soprintendenza del sito archeologico di Patti), in ragione delle rispettive competenze per non avere impedito il deterioramento del sito archeologico della Villa Romana di Patti, omettendo di ripristinare i pannelli della copertura danneggiati dal maltempo nonostante avessero a disposizione uomini e mezzi, consentendo l’infiltrazione di acqua piovana sui mosaici (danneggiamento continuato avvenuto nell’Ottobre 2009 e nei mesi di Gennaio, Febbraio e Aprile 2010), fattispecie aggravata essendo stato il fatto commesso su cose di interesse artistico e storico. Il processo si trascinò per lunghi anni, e si concluse nel Novembre 2017 con l’assoluzione degli imputati in quanto, secondo il giudice monocratico dr. Mandanicidel Tribunale di Patti, “il fatto non sussiste”, non riconoscendo alcuna responsabilità e quindi smentendo quanto accertato dal Procuratore della Repubblica di Patti, Rosa Raffa.

Nicola Arrigo, 02 marzo 2011, “Patti: rinviato il processo sulla vicenda della Villa Romana” in www.incamminoweb.it/index.php?view=article&catid=54%3Acronaca&id=37 (archiviato)

Redazione, 01 luglio 2014, “Patti: nella Villa Romana crescono fragole e pomodori!” (vedasi le foto della gravissima situazione dei mosaici di età romana in cui crescono piante infestanti) in www.incamminoweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13730:patti-nella-villa-romana-crescono-fragole-e-pomodori&catid=106:attualita

Al proposito dello scempio di Fiumedinisi, durante il convegno “Giornate Archeologiche Nisane. Progetto di scavo a Monte Belvedere di Fiumedinisi” tenutosi nei comuni della Valle del Nisi (Nizza di Sicilia, Fiumedinisi e Alì Superiore) dal 15 al 17 Giugno 2007, tutti gli studiosi partecipanti vollero firmare una missiva, in dieci copie redatte in lingua inglese e tradotte in lingua italiana per i destinatari presso le sedi poste entro i confini nazionali: all’Assessore BBCCAA della Regione Siciliana on.le Nicola Leanza, e per conoscenza al Soprintendente BBCCAA di Messina Gianfilippo Villari, al Sindaco di Fiumedinisi, Cateno De Luca, al Nucleo di Polizia Tributaria di Messina, all’European Association of Archaeologists e infine all’Office europeen de Lutte Anti-Fraude (O.L.A.F.), Bruxelles.

“Desideriamo informarla che in occasione della nostra visita al Castello Belvedere di Fiumedinisi, Messina, che ha avuto luogo oggi a conclusione della conferenza internazionale “Giornate Archeologiche Nisane”, abbiamo osservato lo stato di conservazione delle rovine del castello e degli strati archeologici ad esso associati. Si osserva che recenti interventi, sovvenzionati dalla Unione Europea, e intesi quali restauri e scavi hanno significativamente alterato l’originale corpo di fabbrica di questo importante monumento storico. Questo non segue le raccomandazioni internazionali (ad es. The Venice Charter, 1966, ICOMOS, 1990).Il tentativo di restauro appare essere irreversibile e probabilmente renderà difficile l’intervento archeologico. Arrivati sul sito abbiamo incontrato la rappresentante della sezione archeologica della Soprintendenza ai BB.CC.AA di Messina (Maria Grazia Vanaria, ndA), responsabile dell’area. Questa ha posto domande sulle nostre presenze e professionalità e ha difeso i controversi interventi. Le informazioni e le spiegazioni che abbiamo ricevuto da questo pubblico ufficiale sono state insoddisfacenti e inadeguate, e condotte in modo aggressivo e maleducato. Ciò ha avuto luogo alla presenza di un pubblico sorpreso, che includeva le più alte cariche delle Pubbliche Autorità di Fiumedinisi e dei comuni limitrofi. Noi confidiamo che Lei prenderà dovuta nota di questa comunicazione e che ci terrà direttamente informati delle future azioni inerenti a questa vicenda. Speriamo che ci confermerà di avere ricevuto questa lettera, e ci terrà informati di ogni azione che sarà presa riguardo all’oggetto. RingraziandoLa per l’attenzione, distinti saluti, Il Comitato Scientifico del “Fiumedinisi Project”

(seguono i nominativi degli archeologi firmatari, elencati in ordine alfabetico e affiancati dai rispettivi indirizzi di posta elettronica):Domenico Falcone, Jan Marik, Domenique de Moulins, Karolina Ploska, Robert Tykot, Andrea Vianello, Pietro Villari

In seguitoPloska e De Moulins, nelle rispettive competenze inviarono alla OLAF, ognuna per quanto di competenza professionale, una circostanziata descrizione della situazione osservata al Castello di Fiumedinisi e una relazione fu effettuata dalla dott.ssa Ploska nel corso della Riunione Annuale 2007 dell’Associazione degli Archeologi Europei quell’anno tenuta all’Università di Zadar, Croazia.  

Il Vianello, in data 30 aprile 2008 volle inviare una lunghissima email all’ispettore della OLAF, Cap. Diego Rasetti, incaricato assieme al magistrato dott. Venegoni, per gli accertamenti sulle indagini GICO sui funzionari della sezione archeologica della Soprintendenza ai BBCCAA di Messina. Nella missiva Vianello critica in particolare l’operato della funzionario Maria Grazia Vanaria, nominandola, e implicitamente della dirigente Gabriella Tigano (pur senza nominare quest’ultima), chiedendo un intervento investigativo della OLAF al fine di impedire ulteriori danneggiamenti dell’importante sito archeologico e lo sperpero di fondi europei da parte di queste funzionarie. 

Poco tempo dopo il Vianello ricevette, con il benestare della Soprintendenza di Messina e del comune di Fiumedinisi che aveva fortemente criticati, abbondanti fondi europei per condurre una breve survey archeologica a Monte Belvedere di Fiumedinisi, iniziando così a operare in stretta collaborazione con le funzionarie che pochi mesi addietro aveva persino esposto alla magistratura e con altre soprintendenze siciliane.Al proposito si rimanda alla nota 22.

26 – cito un capitolo del libro di Gian Antonio Stella, 1999, Lo spreco. Italia: come buttare via due milioni di miliardi (Baldini&Castoldi, pgg 367, pubblicato da https:/ifg.uniurb.it/static/lavori-fine-corso-2002/rossittoscapstella.htm con il titolo “Il cirneco dell’Etna e il rimborso-vacanze al suocero”. Nel capitolo Stella riporta una intervista di Alfio Sciacca, giornalista del quotidiano “Corriere della Sera”, all’ex Presidente della Regione Siciliana Rino Nicolosi.

Sullo stretto rapporto tra Nicolosi e Gheddafi, si consulti ad esempio Tony Zermo, 25 Febbraio 2011, “Gheddafi un rapporto particolare. Quando Nicolosi prendeva l’aereo e incontrava Gheddafi” https:/milocca.wordpress.com/2011/02/25/gheddafi-un-rapporto-particolare”  Zermo, tra i testimoni di uno degli incontri, ricorda come Gheddafi disse a Nicolosi “Il missile che ha abbattuto il Dc9 di Ustica era americano”.

27 – per la descrizione della vicenda della superloggia massonica tedesca nella quale la polizia tedesca scoprì affiliato un mafioso siciliano, si rimanda alla lettura di “Sicilia. Riflessioni sui recenti decessi di due dei migliori investigatori della polizia” pubblicato in questo blog il 12 Settembre 2018, e a quanto specificato alle note 26/29.

Leggasi anche l’articolo di Petra Reski, giornalista tedesca autrice di saggi sulle mafie italiane, su uno studio commissionato dal Ministero delle Finanze tedesco: 27 Ottobre 2018, “Amburgo, tutto luccica e tutti sono contenti” in http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/10/27/2376/

28 – Anni addietro, nel caso del Sacco di Fiumedinisi si verificò una fuga di notizie da parte di un giovane, che le aveva apprese dal padre, a quel tempo maestro massone di nono grado iscritto nelle liste del GOI messinese. In breve, quanto a questi rivelato nella loggia e quindi coperto da segretezza, da un confratello (un giudice del Tribunale di Messina) sull’imminente arresto del sindaco di Fiumedinisi, era stato riferito dal giovane (anch’egli iscritto nella stessa loggia frequentata dal padre) nel corso di una discussione serale nella piazza del paese citando anche il giudice e il padre, rivelandone l’appartenenza massonica. Uno dei giovani presenti, registrò le dichiarazioni che finirono in mano al sindaco del paese, Cateno De Luca, il quale in seguito le divulgò nel corso di un comizio e alla Stampa nel corso di una conferenza, determinando uno scandalo di rilevanza nazionale. Fu aperta una inchiesta giudiziaria ma alla fine tutto finì in sordina.

29 – Silenzio che qualcuno interruppe nel 2006, quando iniziai a chiedere informazioni in ambienti giornalistici e presso la Soprintendenza, di quanto stava accadendo nel corso degli scavi e dei restauri operati nel Castello Belvedere di Fiumedinisi. Così, in via anonima e con modalità alquanto inquietante, l’informativa mi fu recapitata contenuta in un CD. In seguito compresi che mancava una parte riguardante interventi della Soprintendenza a Taormina, che ancora oggi non ho avuto modo di consultare al fine di apprendere di cosa si tratti, i nominativi e le vicende in essa contenuti. Nell’Indice è indicato il capitolo “Novamusa Valdemone s.r.l. e concessione in uso del Teatro Antico di Taormina”, che occuperebbe ben 21 pagine, dalla 226 alla 247 delle quali 11 relative a intercettazioni telefoniche.

30 – La parte più interessante dell’esternazione del dirigente venne dopo, surreale se non fosse avvenuta in Sicilia dove tutto sembra avere una sua propria legittima logica, frutto di quel folle empirismo che rende l’illegalità un’arte della pubblica convivenza. Difatti, alla presenza di un noto studioso messinese, il dirigente concluse con un capolavoro dell’apoteosi di classe: “… e lei vorrebbe che sospendessimo queste funzionarie o che la Regione lasciasse andare in galera dei beni così preziosi per la collettività, macchiare lunghe carriere piene di sacrifici solo per dei reati comuni (tra l’altro anche in aree archeologiche nell’espletamento delle mansioni dirigenziali, n.d.A.)… le risulta forse che è stato ammazzato qualcuno? Mi risponda, avanti, mi risponda…”. La signora è una di quelle che compaiono nelle indagini GICO per le quali si richiedeva l’arresto preventivo per truffe e frodi con fondi comunitari europei, le frodi furono in seguito accertate dagli investigatori della Commissione Europea.

31 – si rimanda a “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano. Parte I.” op. cit. in nota 4.      

  

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...