Visualizzazione post con etichetta rifiuti tossici. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta rifiuti tossici. Mostra tutti i post

Sicilia tossica. Come trasformare una regione in discarica di rifiuti tossici europei.

di Pietro Villari, 2014. Tutti i diritti riservati.

Articolo pubblicato on-line il 4 Aprile 2014 e ripubblicato con alcuni aggiornamenti su thereportersblog.com il 04 Ottobre 2018. Trasferito su the reporterscorner.com il 18 Giugno 2020.

 

Per trent’anni, grazie al ben foraggiato e selezionato allevamento regionale di burocrati corrotti e imprenditori conniventi, il sottosuolo dell’Isola è stato imbottito di rifiuti tossici, anche nucleari. Paventando una immane catastrofe ambientale da disinnescare, adesso arriva puntuale la manna delle improrogabili costose bonifiche… Ma in alcune aree l’impennata dei decessi dovuti ai tumori è già un bollettino di guerra. Pericolosamente a rischio il futuro delle filiere trainanti dell’economia regionale: turismo, agricoltura e allevamento.

------------------

“Questa è terra di Sicilia”, pensavano fiduciosi gli abitanti, “qui da noi non accadrà mai. La Campania è altra cosa, un caos, lì non c’è la mafia che ci protegge e la Terra dei Fuochi è cosa loro e non nostra”.

E invece, un piano concepito e protetto da un potere stegocratico agiva nel silenzio di collaudate connivenze e corruzioni: da decine di anni i fusti contenenti rifiuti tossici raggiungevano l’Isola, trovandovi una sepoltura di lusso entro monumenti dell’archeologia industriale siciliana, le gallerie delle miniere in disuso.

Al problema molti anni fa era stata persino dedicata una delle fortunate serie televisive de “La Piovra”, ove il popolo aveva potuto ammirare come la mafia d’onore si fosse fermamente opposta ed era riuscita a evitarne l’arrivo nell’Isola.
Un esempio da manuale di quanto e come, al fine di condizionare le masse, i burattinai dei media governativi possano spingersi nella “metasomatizzazione” dei fatti.

Da qualche mese si ipotizza che i “fusti della morte” già presenti in Sicilia ammontino a migliaia, ma per conoscerne approssimativamente la loro quantità e posizione sull’intero territorio regionale, oggi si spera che vi sia qualcuno ancora in vita di quei pochi “addetti ai lavori”, e soprattutto che abbia il permesso di parlare, fosse solo per l’egoistico interesse d’incentivarne l’avvio del ricco business delle bonifiche.

Tuttavia, nel caso esistesse una diffusione capillare, dovuta alla connivenza anche di piccole imprese in appalti pubblici e privati, sembra plausibile che difficilmente si potrà ricostruire una completa mappa degli interri. Tutte le ipotesi giungono a delineare i tratti di una grave emergenza regionale.

Un collaboratore di Giustizia, Leonardo Messina, lo aveva raccontato al giudice Paolo Borsellino pochi giorni prima che questi venisse assassinato, con una tecnicamente esagerata ma simbolicamente perfetta carica d’esplosivo, un’azione compiuta da quella che è sempre stata manovalanza regionale qualificata, ed evidentemente commissionata da un sistema che non ammette ingerenze.

Cosa Nostra usava dal 1984 le gallerie sotterranee per smaltire le scorie nucleari” una frase che il Messina pronunciò quale testimone diretto, in quanto aveva lavorato come caposquadra nella miniera di Pasquasia (chiusa 22 anni fa, vi si estraevano sali potassici), in provincia di Enna al confine con quella di Caltanissetta.


L’indagine svolta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ha recentemente condotto al sequestro della miniera in quanto sarebbe emerso un traffico illecito di rifiuti tossici, tale da rappresentare un pericoloso potenziale di disastro ambientale. L’attività si sarebbe avvalsa della complicità, attiva o passiva (vale ormai la pena di specificarlo ?), di una rete di funzionari pubblici e imprenditori.

Trent’anni orsono, a dispetto di quanto rassicurato dalla “fiction” televisiva, vi sarebbe stato un patto tra mafia e camorra affinché, assieme alla Campania, anche la Sicilia divenisse una sorta di Eldorado del più grande affare del secolo, con margini di guadagno pari a quelli della droga: utilizzare alcune aree quale pattumiera dei rifiuti tossici provenienti da aziende di tutta Europa, comprese quelle di altre regioni italiane. Da quanto trapelato dalle indagini, il flusso sarebbe stato gestito, in partnership, dalle cosche casalesi e catanesi.

Un aspetto preoccupante emerge dalla constatazione di come sia stato possibile un simile gigantesco movimento di mezzi senza che nessuna istituzione, non solo regionale, ma anche nazionale e di altri stati europei per quanto di competenza ne sia mai venuta a conoscenza, che nessuno abbia mai efficacemente tentato o avuto la forza di impedire quegli accumuli in Sicilia.
E quella imponente rete di centinaia di logge massoniche distribuite sul territorio regionale le quali, piaccia o meno, nella pratica operano anche come centri di raccolta di informazioni e basi di controllo, di monitoraggio della società, ove le notizie ritenute rilevanti sono riferite e discusse dagli associati sino ai pervenire ai vertici dell’organizzazione? 

Si tratta solo di materiale buono per ingrassare le tesi complottistiche, che da ormai un decennio parlano con insistenza di un piano di destabilizzazione di aree e centri di poteri del pianeta, concepito da una parte della massoneria e finalizzato alla instaurazione di un “caos ab ordo”, l’avvento di un nuovo ordine mondiale ?.

 

Che esista una rapace sorta di Spectre delle grandi multinazionali del crimine dal colletto bianco, ormai impunibili, innanzi alla quale gli Stati contano poco o nulla, è purtroppo probabile. Tuttavia, bisogna ammettere che le associazioni criminali, la politica e le massonerie siciliane hanno una grande responsabilità nei guai che affliggono e che rischiano di distruggere il futuro economico dell’Isola.

A chi si occupa di cronaca siciliana, ormai più nulla stupisce delle azioni dei governi che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni in Sicilia, formati da appartenenti ai quadri superiori del monolite politico-burocratico isolano, diretto con pugno di ferro da una misteriosa e complessa sovrastruttura, una sorta di rete padronale della cui esistenza quasi nulla trapela al popolo.

Il modello comportamentale tipico di questo sistema di governo, al quale l’Italia dell’immediato Dopoguerra volle troppo generosamente riconoscere un’ampia autonomia, è la doppiezza ove ogni atto è subito seguito da altri di intensità uguale o maggiore, ma di senso contrario. Il termine è necessario per spiegare ai non siciliani il verificarsi di una lunghissima serie di vicende altrimenti incomprensibili. Tra le centinaia, l’assunzione al comune di Palermo di oltre un centinaio di autisti che non possedevano la patente richiesta dalle leggi: ” E quale sarebbe il problema” fu la risposta dei burocrati ai cronisti “impareranno…“, ovviamente con corsi istituiti a spese pubbliche.

Ma anche l’assunzione di dipendenti pubblici in musei che dopo oltre ventánni attendono ancora di essere costruiti; le spese per una esilarante cartellonistica aeroportuale e stradale in lingua Inglese, zeppa di errori… Si tratta di una quantità di ilaritàtali da sembrare un artefatto fasullo, ideato per gettare discredito sull’intera popolazione, ma non lo è.

 

E’ in questo contesto che si pone la lodevole iniziativa politico-burocratica di tutelare e valorizzare turisticamente le miniere siciliane in disuso, l’emissione di vincoli quali importanti beni culturali, essendo monumenti dell’archeologia industriale e patrimonio dell’identità siciliana. E’ severamente vietato quindi alterare lo stato dei luoghi.
L’altra faccia della medaglia, che si contrappone immediatamente ai buoni propositi e li neutralizza, è la realtà dei fatti testimoniata dalla lunghissima latitanza di tutte le Istituzioni regionali (ma anche di quelle statali) e la mancanza d’interventi diretti a stroncare l’uso di queste miniere quali discariche di rifiuti tossici, il cui impatto sulla salute e sull’ambiente inizia già a essere quello di un bollettino di guerra destinato inesorabilmente a peggiorare.

Questa grave idiosincrasia, la doppiezza apparentemente schizofrenica, costituisce i fondamenti funzionali al sistema della corruzione e della connivenza, due pratiche in Sicilia molto apprezzate e diffuse e che premiano la complicità con il prezioso marchio di “affidabilità”. Un marchio che altrove in Europa è ancora infamante, ma qui molto ambito soprattutto da burocrati, politici, professionisti, imprenditori e persino a alcuni di coloro che indossando una toga o una uniforme dovrebbero difendere le leggi dello Stato.

 

Oltre al gigantesco labirinto di Pasquasia, all’attenzione della magistratura vi è almeno un’altra grande miniera, la solfara di Bosco Palo di Serradifalco, in provincia di Caltanissetta, territorio recentemente caratterizzato da un’altissima incidenza di tumori.
Bella pensata fina quella di mettere dei fusti in un simile ambiente corrosivo, provocare un’ecatombe di poveri disgraziati “tumorati” (mi si perdoni il conio del termine ma è tempo di riconoscerlo quale crimine) per poter poi declamare ad alta voce le grandi somme necessarie alla messa in sicurezza dell’ambiente, che rimarrà comunque inutilizzabile per centinaia di anni.

Anche il sistema che ruota attorno alla Sanità ha da rallegrarsi per l’aumento degli affari. Medicine, analisi, visite a pagamento, ricoveri ospedalieri, nuovi macchinari e pezzi di ricambio, corsi di aggiornamento… Occorrono vagonate di milioni di euro. Diciamolo chiaramente, quello di creare una massa di pazienti che necessita cure antitumorali e degli effetti collaterali può rivelarsi un business eccellente per la mafia, anche per pensare ad un futuro dei propri figli, quali specialisti in medicina. Un fenomeno di lavanderia e promozione sociale, ampiamente praticato anche in altri settori regionali, quale quello dei beni culturali, che trova illustri precedenti nel continente americano.

 

Dopo aver letto le prime scarne notizie, nella maggioranza silenziosa dei siciliani da qualche mese sta iniziando a insinuarsi un dubbio, espresso in famiglia, sottovoce al bar e in ufficio, nei mercati rionali innanzi alle verdure e alla carne la cui provenienza locale non è più urlata con orgoglio dai venditori: e se, oltre a queste miniere, groviglio di chilometri di gallerie in parte già riempite da rifiuti tossici e sigillate, nel tempo si sia sviluppato anche un fenomeno di diffusione capillare dei fusti anche in altri siti, perpetuato grazie alla connivenza di imprenditori che hanno ottenuto appalti pubblici e privati in tutto il territorio siciliano?

D’altronde, da decenni gli inquirenti si trovano innanzi all’abbondanza di ditte edili in alcune provincie dell’Isola, di attivissime banche locali, di piste che conducono persino in certi ambienti romani un tempo insospettabili.

Oltre alle vecchie miniere in disuso, quindi, potrebbero essere state utilizzate aree d’interesse naturalistico e archeologico, quali grotte, aree cimiteriali ipogeiche, sotterranei di antiche strutture abitative, persino nel corso di appalti pubblici di ripristino dei luoghi, pulitura e restauro.
Si può quindi facilmente comprendere come il problema della localizzazione di queste aree inquinate e la loro messa in sicurezza, sia irrisolvibile senza la testimonianza di quanti possano permettere agli inquirenti di compilare una mappa dei siti. Una corsa contro il tempo, diretta a evitare o limitare alla popolazione siciliana una serie di calamità di proporzioni bibliche.

Quella che il Procuratore Capo di Caltanissetta, Sergio Lari, indica come un’inchiesta ancora agli inizi rischia di divenire la pietra tombale del turismo, dell’agricoltura e dell’allevamento dell’Isola, così come sta avvenendo in Campania. Distrutte quelle filiere produttive, l’economia siciliana non avrà futuro se non nelle attività criminali.

 

Da parecchi anni nell’ambiente delle Soprintendenze ai Beni Culturali e Ambientali siciliane circola con insistenza “voce” della scoperta di una serie di fusti interrati, effettuata nel corso di scavi archeologici condotti in un’ampia grotta, utilizzata nell’antichità come necropoli ipogeica. Il contenuto non commerciabile (ossa umane e ceramiche acrome in frantumi) delle tombe escavate nella roccia calcarea in gran parte accantonato e sostituito dai fusti.
Le attività di ricerca scientifica sarebbero state quindi sospese nella silenziosa attesa di un miracolo, puntualmente arrivato. Sita in una località rurale, disabitata, l’area venne lasciata priva di controllo. Un sopralluogo condotto dopo alcune settimane rivelò la scomparsa dei fusti “ad opera di ignoti”. Trasferiti chissà dove, nel silence oblige di imprenditori di fiducia e di funzionari dalle splendide carriere protette, dagli stipendi, incarichi extra e buonuscite da fare impallidire e gettare nella depressione l’intera ex Nomenklatura russa.

 

L’inchiesta della DDA di Caltanissetta potrebbe forse trovare insperati punti di corrispondenza anche in una vicenda avvenuta in quel di Fiumedinisi, sperando non sia già stata risolta nel modo sopra citato, ovvero con il trasloco in altra sede dei fusti.Accadde sei anni orsono dell’area della Riserva Naturale Orientata di Monte Scuderi-Fiumedinisi, nella cuspide peloritana, ove rimase inspiegabilmente inevasa nonostante una iniziale informativa inviata per quanto di loro competenza ad una lunga serie di Autorità preposte alla tutela del territorio.

La trama è piuttosto complessa. Vi figura anche un gruppo di funzionari della locale Soprintendenza ai Beni Culturali per i quali il GICO aveva richiesto l’arresto, ipotizzando l’esistenza di un’associazione a delinquere nell’ambito di un ben organizzato sistema dedito alla truffa con ingenti somme, provenienti da fondi pubblici anche comunitari e costituito da elementi del mondo politico-imprenditoriale-burocratico messinese nel settore degli scavi, ricerche e restauri in aree archeologiche.
La notizia criminis, riesumata in alcuni recenti esposti, riguarda certi rifiuti illegalmente interrati in un sotterraneo nel corso di scavi archeologici e restauri, eseguiti sino al 2006 dal Comune di Fiumedinisi e dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, nel castello medievale di Monte Belvedere. La scoperta avvenne in concomitanza di nuovi scavi svolti dall’Università della South Florida nel 2008, ma nonostante la sospensione dei lavori a causa dei miasmi esalati dal sotterraneo e la denuncia alle Autorità, ancora oggi non sono stati effettuati studi specialistici diretti ad accertare la natura dei rifiuti, la loro eventuale tossicità e di conseguenza non è mai stata operata una bonifica dell’area.
Come se non bastasse, i ruderi del castello sono sede di pascolo di un gregge, che si nutre anche di essenze vegetali che crescono sui rifiuti. Nessuno si chiede in quale mensa finiranno i prodotti caseari derivati da quel pascolo abusivo (oltretutto in un importante monumento pubblico!), e se qualcuno si ammalerà gravemente.

 

Il problema dei rifiuti tossici sepolti in Sicilia, la loro quantità e i devastanti effetti che si prevedono nel breve e lungo termine per la salute delle popolazioni e l’ambiente, necessitano di un intervento immediato e incisivo per fermare le attività delle ecomafie. Lo Stato ed in particolare la Magistratura, deve intervenire con una azione esemplare, soprattutto in quella infame zona grigia ove la criminalità dei colletti bianchi ha instaurato un monolitico sistema di connivenze burocratiche e politiche, da troppi decenni al centro di inchieste che nella pratica ottengono raramente una qualche incidenza.
E’ indispensabile che la corruzione dei dipendenti della pubblica amministrazione venga punita con pene dure e esemplari, che sia altresì introdotto il reato di corruzione passiva identificandolo con la connivenza. Trasferimenti, degradazioni e licenziamenti di questo personale infedele applicati qualora venga riconosciuta la partecipazione a fatti gravi.

Una volta appurato che una impresa privata abbia illegalmente interrato rifiuti tossici nel corso di un appalto, a parte la revoca della licenza, dovrebbero anche essere effettuati accurati controlli periodici in tutte le aree ove la ditta ha effettuato lavori.

Non si può continuare come se nulla sia accaduto, con i soliti teatrini, mentre la salute e le attività di sussistenza della popolazione sono messe in serio pericolo con modalità spregevoli, da mele marce che pregiudicano il funzionamento dell’intero apparato regionale e statale al punto da metterne in essere l’utilità.

 

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...