Le ruspe nel complesso religioso residenziale e cerimoniale megalitico dell’Antica età del Bronzo di Monte Belvedere (Fiumedinisi, Sicilia Nordorientale). Parte I. Nozioni introduttive.

 


      Fig. 1 - Fiumedinisi (Sicilia). Il Monte Belvedere. Foto dell’Autore, 2008 Tutti i diritti riservati.

 

di Pietro Villari

Pubblicato il 13 Luglio 2020 ore 19:40


La scoperta e mezzo secolo di studi e ricerche

Situato nel versante ionico della Sicilia Nordorientale tra Messina e Taormina, nell’attuale territorio comunale di Fiumedinisi, il Monte Belvedere conserva i resti di uno dei più antichi e importanti centri religiosi della preistoria del Mediterraneo. Effettuai la sua scoperta nel corso di solitarie campagne di ricognizioni archeologiche e naturalistiche tra gli inizi degli anni 1970 e il 2008, dapprima svolte ai fini delle tesi di laurea in scienze naturali e di specializzazione in archeologia preistorica, e infine quale direttore degli scavi condotti da una università statunitense (1). 


                                Fig 2 - Monte Belvedere, scavi U.S.F., Giugno 2008. Foto dell'Autore, tutti i diritti riservati.                              

Nel 1996 iniziai ad approfondire gli studi paletnologici pertinenti alla fenomenologia sciamanica, concentrando il mio interesse nelle culture preistoriche americane (2). Il quarto di secolo dedicato allo studio e alla catalogazione di migliaia di oggetti precolombiani d’uso magico-religioso, culminato con la stesura di una monografia specialistica, mi ha recentemente indotto a esaminare sotto nuova luce anche una serie di manufatti preistorici da me rinvenuti a Fiumedinisi nel corso degli anni 1970. Ne presento informalmente alcune notizie preliminari in questo blog, avendo come finalità primaria la divulgazione dell’importanza di questo centro religioso, i cui resti ci sono miracolosamente pervenuti attraverso 4000 anni dal loro potente splendore.

Il sito ha recentemente subito distruzioni e altre si potrebbero verificare nell’immediato futuro. Dedico questo scritto all’attuale popolazione locale, per sua conoscenza e difesa, dopo avere inutilmente già da oltre un decennio informato le Istituzioni italiane statali e regionali di competenza, sia accademica che giudiziaria.

 

I resti indifesi di un centro religioso plurimillenario: le ruspe, le speculazioni e la corruzione dei pubblici poteri

Nel 2006, parte dell’area preistorica di eccezionale interesse monumentale, sita presso la vetta del Monte Belvedere, fu ruspata  per realizzare una strada sterrata e un ampio spiazzo dove poter movimentare i macchinari impiegati nel corso di inadeguati lavori di scavo e di restauro del nucleo centrale del Castello Belvedere. Il nome traslitterato dai cartografi in età moderna, deriva dal Latino tardo Bellum Videre, ancora in uso per in età Sveva per indicare alcune residenze imperiali, fu probabilmente eretto sui resti di un edificio templare di età greca risalente a un periodo compreso tra il primo quarto del VI e la fine del V secolo a.C., in seguito inglobato in una fortificazione (ktisis) del sistema difensivo Mamertino nel corso del terzo secolo a.C. che comprendeva anche una piccola area cimiteriale e un’area sacra (3).

Attivandomi anche a livello internazionale per salvare il sito da ulteriori distruzioni, ebbi modo d’indagare a fondo, constatando con crescente preoccupazione che le maggiori responsabilità dello scempio appartenevano a certi personaggi posti alla direzione e alla sorveglianza dei lavori, in particolare all’operato di alcuni funzionari pubblici istituzionalmente preposti alla tutela, studio e valorizzazione del sito (4). Purtroppo, quanto avvenuto nel 2006 si annovera tra i più eclatanti e gravi esempi di danno irreparabile al patrimonio culturale siciliano, provocato da una serie di ben documentate carenze scientifiche e burocratiche, sia metodologiche che dottrinali di funzionari dirigenti delle Istituzioni Regionali e Statali di “competenza”, che assieme a comportamenti e fatti d’interesse criminologico sono rimasti impuniti per necessità funzionali proprie del sottosistema di potere oggi dominante nell’Isola (5).

Il sito aveva già subito atti vandalici da parte di pastori locali (6), di saccheggi perpetuati da cercatori di antichità del circondario e persino dalla criminalità catanese specializzata nel traffico di reperti archeologici (di monete di età greca e medievale, in questo caso) avvenuti tra la fine degli anni 1980 e i primi anni 1990, con gruppi di scavatori clandestini provenienti dall’entroterra etneo dotati di strumentario cercametalli.  

Quanto attualmente sta accadendo a Fiumedinisi trova in Nello Musumeci, Governatore della Regione Siciliana, le più alte responsabilità politiche della piramide istituzionale regionale, in particolare per quanto concerne la discutibile nomina della direttrice e di alcuni funzionari del Parco Archeologico di Naxos già coinvolti in vicende deprecabili anche a Fiumedinisi. A questi personaggi sono state affidate le attività di salvaguardia, ricerca scientifica e valorizzazione del sito, come già in questo blog evidenziato nel post “La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano. Parte IV…“.


Fig. 3 - Castello Belvedere, Fiumedinisi. Parte dell’imponente sterro accumulato dagli interventi 2006. Foto dell'Autore, 2006.Tutti i diritti riservati.


In attesa di un intervento dell’UNESCO

Oltre quarant’anni quindi, da me dedicati alle ricerche scientifiche nel territorio di Fiumedinisi e alla diffusione dei risultati, nel tentativo di sensibilizzare la popolazione locale affinché si attivi nella protezione dell’area d’interesse archeologico-monumentale, naturalistico e paesaggistico di Monte Belvedere - Pianura Chiusa di Fiumedinisi. Un lungo periodo durante il quale le Istituzioni regionali e statali non si limitate alla latitanza funzionale, ma hanno di fatto determinato il contrasto a ogni iniziativa estranea alle logiche del “sistema”. Il risultato è che, a causa di disfunzioni e logiche inconfessabili proprie del sistema di potere regionale, quest’area è stata persino lasciata fuori dalla Riserva Naturale Orientata di Fiumedinisi-Monte Scuderi, con la quale peraltro confina. Un insieme di comportamenti surreali, ma affatto rari, della locale tecno-burocrazia che hanno determinato una serie di gravi distruzioni, la perdita di una imponente quantità di importanti informazioni scientifiche e di beni d’interesse archeologico e paleontologico.

Lo scempio operato a Fiumedinisi è quindi il frutto di profonde ed eclatanti carenze professionali e di interessi privati di varia natura di personaggi del potere dominante nella regione, grazie alle coperture e ai silenzi operati non soltanto dagli apparati regionali e statali che, per competenza, avrebbero dovuto intervenire sin dagli anni 1970, ma anche dai media locali e nazionali (7).



Fig. 4 - Castello Belvedere. Una immagine dello scarico di rifiuti interrati nel 2006, rinvenuti nel corso degli scavi U.S.F.nel Settembre 2008. Nella foto una dirigente della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina nel corso di un sopralluogo. Leggasi nota 6. Foto dell'Autore, 2008. tutti i diritti riservati.


In uno Stato europeo rispettabile, per la sua eccezionalità di bene culturale, il centro cerimoniale megalitico dell’Antica età del Bronzo di Fiumedinisi avrebbe già da tempo richiesto e ottenuto dall’Unesco il riconoscimento di patrimonio dell’Umanità. In tal modo il sito sarebbe stato vincolato ad una maggiore attenzione di tutela da parte delle pubbliche Istituzioni di competenza, necessaria anche per l’attuazione di un sistema di fruizione non meramente turistica. Essa andrebbe difatti inserita in un circuito europeo del pellegrinaggio magico-esoterico-religioso, sull’esempio di quello progettato e istituito dai governi Inglese e Francese per le aree megalitiche, quali Stonehenge e Carnac.

Quest’area e i suoi tesori sorprendentemente pervenutici nonostante il trascorrere di molti millenni, appartenuti a importanti personaggi della preistoria europea, dei quali probabilmente non sapremo mai le vicende avventurose e i nomi, ma le cui opere ci lasciano constatare il possesso di profonde conoscenze iniziatiche: basta constatare lo stato di totale abbandono al degrado per avere ben chiara la situazione sociale, politica e culturale della Sicilia “moderna”.

Eppure, da questo miracolo di bellezza e di sapienza, se ben recuperato, salvaguardato e gestito, potrebbe scaturire un notevole sviluppo economico sostenibile, certamente con benefiche ricadute sull’intera fascia costiera ionica del Messinese. Ma al di sopra di questo, per la sua eccezionale importanza religiosa il luogo ha ben diritto di avere riconosciuta e valorizzata la sua sacralità plurimillenaria, riattivandone l’antichissima funzione iniziatica di centro di attività per il benessere spirituale. Si tratta di una scelta politica e religiosa alla quale devono votarsi uomini e donne di grande volontà e lungimiranza, in quanto la popolazione locale necessita di essere guidata nella lenta e impegnativa ricostruzione di un rapporto armonico con l’ecosistema del territorio, oggi pesantemente compromesso, dal quale peraltro in gran parte dipende il suo futuro socio-economico. 

Fiumedinisi ha molto da offrire a livello internazionale a tutti coloro che, in numero crescente negli ultimi decenni, iniziano a prendere coscienza del bisogno di approfondire le proprie esigenze spirituali, riconsiderando il rapporto con il mondo naturale, eventualmente spingendosi oltre, giungendo a dominare le tecniche per approfondirne la percezione e frequentare il soprannaturale. Una rinascita che costituisce anche l’unica via effettivamente rivoluzionaria che, attualmente, il singolo e la collettività possiedono per contaminare e trasformare le politiche governative e la società siciliana.

È il motivo per il quale necessita questa prima parte, introducendo il lettore nelle moderne problematiche di ricerca nel campo della fede nel soprannaturale, fornendo le nozioni basilari per comprendere il credo animistico e le pratiche magico-religiose della tarda preistoria di Monte Belvedere di Fiumedinisi e in generale della Sicilia Nordorientale, di cui vedremo nella seconda e terza parte che saranno postate nei prossimi mesi. In esse, come in tutte le religioni della preistoria mediterranea, vi compaiono elementi che costituiscono il fondamento delle religioni strutturate attualmente praticate (8).

  

L’origine della fede animistica nel soprannaturale

La scienza evoluzionistica considera il credo religioso quale un’idea profondamente radicata nella mente umana, conseguenza di un adattamento neurologico verificatosi per selezione naturale. Secondo questa tesi, la mente avrebbe creato un sistema di credenze atto a soddisfare non soltanto i bisogni di sopravvivenza della specie umana e di ordine sociale, strutturando la sacralità della famiglia, del territorio di appartenenza, dell’amore, del bisogno di continuare le relazioni sociali in un Aldilà, contrapponendosi così al nulla della morte. In questa ottica razionale, i tabù, le leggi che entità del mondo soprannaturale avrebbero rivelato agli uomini, poi pervenute nelle attuali religioni maggiormente praticate, non sarebbero altro che il bisogno mentale di opporsi al Caos regolamentando la vita in termini strutturali.

Ma tutto questo ha tenue attinenza con la forte attrazione che l’uomo ha nei confronti del soprannaturale, dei suoi misteri, e con la profondamente radicata credenza in strani esseri e luoghi non appartenenti al mondo naturale.

Ogni religione è caratterizzata dalla presenza di un insieme di narrazioni mitiche, di norme etiche e salvifiche, di modalità comportamentali, che costituiscono l’evidenza del rapporto dell’uomo con entità astratte da esso considerate soprannaturali. Una dimensione esistenziale, ritenuta ipoteticamente accettabile dalla fisica quantistica, che secondo i credenti compenetrerebbe il nostro mondo naturale, anche se non percepibile in condizioni normali dai nostri sensi o strumenti attualmente disponibili.

L’esistenza del soprannaturale non è dimostrabile in modo empirico. Eppure, sin dalla preistoria ovvero da decine di migliaia di anni, gli sciamani ritengono di essere in grado di superare questa condizione tramite pratiche di alterazione del loro stato di coscienza, delle quali hanno lasciato moltissime testimonianze in tutti i continenti abitabili.

Gli studi di psicologia del diciannovesimo e degli inizi del ventesimo secolo classificarono la trance sciamanica quale una malattia isteroide epilettoide, conducendo gli psichiatri a trattarla con metodologie non di rado di efferata violenza sia fisica che psichica. Protraendosi per anni, queste “cure” conducevano a gravi menomazioni e talora alla morte. La definizione venne sin dagli inizi criticata da diversi studiosi delle scienze antropologiche, in particolare dagli etnologi sulla base delle loro osservazioni e esperienze presso culture arcaiche e tradizionali in varie aree del pianeta.

Tuttavia, si deve a Mircea Eliade, preminente naturalista, antropologo e storico delle religioni dello scorso secolo, di avere condotto sull’argomento approfonditi studi sotto gli aspetti psicologici, sociologici, etnologici, filosofici e teologici. Si trattava di un innovativo approccio metodologico basato sull’integrazione interdisciplinare di dati, oggi correntemente in uso nella storia delle religioni,   che restituì allo sciamanesimo la definizione di aspetto religioso complesso, senza dubbio ancora lontano da una sua esauriente comprensione scientifica (9).

Per quanto da secoli impegnata nelle ricerche, la comunità scientifica non ha mai trovato alcuna valida e condivisa spiegazione circa l’origine della religione. Quel che più colpisce nell’esaminare i risultati è che gran parte degli studiosi, che attraverso i loro specialistici campi d’indagine si sono cimentati nella comprensione del fenomeno, ormai convergono su due considerazioni fondamentali: se molte delle caratteristiche umane possono essere spiegate anche in termini evoluzionistici, di contro appare evidente che tutte le popolazioni umane del pianeta non hanno mai smesso di porre fede nell’esistenza del soprannaturale, ovvero in dimensioni non materiali della realtà, nonostante si tratti di convinzioni irrazionali e non dimostrabili. 

Questa incongruenza ha notevole influenza a livello comportamentale delle popolazioni umane, in quanto conduce a credere in regni soprannaturali sedi di misteriose entità che possiedono la capacità di interagire con il regno naturale sino a condizionarne le vite. Gli studiosi evoluzionisti che hanno cercato di approfondire il problema, ritengono che si tratti di convinzioni profondamente radicate nella mente umana, trovando conferma nelle moderne ricerche nel campo delle neuroscienze e paletnologiche. Difatti, evidenze di pratiche sciamaniche in stato alterato di coscienza sono rappresentate in una notevole quantità di raffigurazioni dipinte o graffite, risalenti al Paleolitico superiore a iniziare da circa 40.000 anni fa, conservatesi in una moltitudine di siti preistorici presenti in diverse regioni del pianeta, in recessi oscuri di grotte e ripari sotto roccia generalmente in aree montane difficilmente raggiungibili (10).

Attualmente, il loro studio e i tentativi di interpretazione si basano anche sulle recenti scoperte delle neuroscienze, avendo queste appurato che da circa 130.000 anni le capacità mentali delle popolazioni umane sono rimaste pressoché identiche a quelle attuali. Ciò porta a constatare che per molte decine di migliaia di anni, i nostri progenitori preistorici hanno vissuto profondamente inseriti nell’ecosistema del regno naturale nel quale conducevano la propria esistenza, fondata sulla coesione del clan familiare e sulla profonda fede e rispetto del credo religioso animista.

L’animismo è quindi pervenuto nel nostro millennio quale una forma intatta e primordiale di frequentazione del soprannaturale, scevra da elucubrazioni sia razionalistiche che teologiche. Le entità spirituali sono considerate ciò che anima ogni manifestazione della Natura, sia organica che inorganica, e nel loro insieme in termini moderni potrebbero essere considerati quale il credo in un continuo flusso di energia che mantiene – e al contempo, per perpetuarsi, necessita – l’armonia del Tutto. Per coloro che sono illuminati dall’animismo, l’anima è presente in Tutto quale parte di esso, nelle forme organiche e inorganiche della materia, negli idoli e in tutti i manufatti, nei fenomeni atmosferici, persino nella propria ombra, nei sogni e nelle visioni.

Il punto di forza più attraente dell’animismo risiede forse nella capacità dell’uomo di riconoscere in sé e in tutto ciò che nel piano naturale si manifesta, l’esistenza di un dualismo costituito da anima e corpo. All’anima si attribuisce un’autonomia spirituale dal corpo, che si manifesta nel sonno e negli stati alterati di coscienza, nel corso dei quali essa si distaccherebbe dal corpo assumendo la capacità di vagare nel mondo naturale e in quello soprannaturale, percependone l’esistenza. In questa condizione incontrerebbe altre entità spirituali, sia benefiche che malefiche, quali le anime dei morti, i demoni, gli esseri inorganici, astratti o indefinibili che non rientrano nei parametri della classificazione del mondo naturale di ciò che è “vivente”.    

 

La Sicilia Orientale agli inizi della tarda preistoria siciliana

Nella preistoria dell’Olocene Antico siciliano, iniziato circa diecimila anni fa, la propagazione tramite altre aree mediterranee di forme d’intervento poco invasive sui cicli riproduttivi di animali e piante (protobreeding), il rispetto di codici tribali di regolamentazione delle attività di caccia alla selvaggina e la cura, semina e raccolta di essenze vegetali selvatiche, opere e strumenti di difesa, il mantenimento della tradizione paleolitica di conoscenze mediche e farmacologiche, ebbe come conseguenza primaria un sensibile incremento demografico delle popolazioni umane. Questo determinò la formazione di nuovi clan familiari che antropizzarono territori isolani rimasti sino ad allora poco o affatto sfruttati, provocando il passaggio dal nomadismo a lungo raggio a un nomadismo operato nell’ambito di territori circoscritti, basato su una specializzazione del loro sfruttamento economico, cercando così di ridurre l’impatto ambientale dei cambiamenti determinati dalle attività di sussistenza.

In questo lento cambiamento ebbe fondamentale importanza la presenza, in ogni clan familiare, di un uomo o una donna della “medicina”, una delle più antiche professioni dell’Umanità definita dall’etnologia moderna con il termine sciamano (11). Per decine di millenni, sin dal Paleolitico Superiore, esso svolse il ruolo di guida spirituale dedicando la propria esistenza nella cura della salute fisica e psichica della sua comunità, operando in modo di mantenere questa in una condizione di armonioso equilibrio dinamico sia con il territorio (piano naturale) che con i piani soprannaturali.

Molte popolazioni di altre aree del pianeta quali l’Amazzonia, l’Africa, le grandi foreste nordiche nordamericane e euroasiatiche, riuscirono a mantenere questo equilibrio sino in età moderna, costituendo un eccellente laboratorio di indagini di specialisti delle scienze antropologiche grazie agli studi dei quali, per comparazione, è stato possibile studiare anche l’animismo e la fenomenologia sciamanica.

In Sicilia, un importante passaggio dell’evoluzione socio-economica avvenne attorno al sesto millennio a.C., nel momento in cui iniziarono a diffondersi tecniche di coltivazione di molte specie vegetali e di addomesticazione di specie animali che cambiarono radicalmente i sistemi di sostentamento dei clan familiari. Questi erano costituiti da un numero limitato di componenti, probabilmente non oltre una ventina di individui, insufficienti a garantire una protezione da parte di razzie di gruppi rivali in situazione di necessità. La risposta fu la formazione di aggregazioni di clan in tribù composte da parecchie decine di individui legati da vincoli di sangue, ottenuti tramite l’intensificazione delle unioni tra non consanguinei sino al secondo grado di parentela e la formazione di centri capannicoli. Ci troviamo in un momento nel quale l’animismo iniziò ad accogliere il culto di entità soprannaturali legate alle nuove attività di sussistenza, che in seguito assumeranno progressivamente sempre più importanza: la coltivazione e l’allevamento.

Le ricerche che svolsi nella Sicilia nordorientale tra la fine degli anni 1970 e l’inizio degli anni 1980, accertarono la presenza di tracce di alcuni insediamenti attribuibili al Neolitico Antico, in particolare di manufatti ancora oggi inediti. Tra questi siti ricordo quello occupante parte di un terrazzo di formazione pleistocenica del Capo Sant’Alessio, dai caratteri simili a quello che identificai a Capo Milazzo. Successivamente, alla fine degli anni 1970 e nel corso degli anni 1980 ne localizzai diverse tracce nel territorio di Fiumedinisi, tra le quali la più antica caratterizzata da ceramiche di notevole interesse, la cui presenza è probabilmente legata all’arrivo di un gruppo di coloni dalla sponda calabra dello Stretto di Messina, databile nel corso del sesto millennio a.C. Qui l’eccezionalità è data dalla presenza di frammenti di rocce metamorfiche contenenti rame nativo estranei al sito, essendo provenienti dagli affioramenti di contrada S. Carlo.  

Dalla metà del quinto millennio a.C., ovvero dal Neolitico Medio in avanti, il perfezionamento dei mezzi di trasporto marittimo nel Mediterraneo Orientale determinerà il costante arrivo nell’Isola di popolazioni lungo le ampie e fertili aree costiere che si affacciano sul Mar Ionio e sul Canale di Sicilia. Non possediamo elementi per sostenere l’ipotesi che, nella Sicilia Nordorientale, questi nuovi gruppi avessero in parte sostituito o si fossero uniti a quelli giunti nel Neolitico Antico.

Le ricerche archeologiche svolte da vari ricercatori nel corso dello scorso secolo nella Sicilia Sudorientale hanno permesso di osservare una progressiva differenziazione dei grandi villaggi fortificati costieri dalle piccole aggregazioni, generalmente accampamenti entro grotte, presenti nelle aree collinari e montane. I centri costieri erano generalmente eretti in base a esperienze di evidente provenienza balcanica meridionale ed egeo-anatolica, e la fascia costiera adriatica italiana centro-meridionale. Si tratta di villaggi costituiti da unità abitative di clan familiari e strutture d’uso comune quali quelli per l’immagazzinamento di beni alimentari, per la difesa quali i fossati e le palizzate fortificate, le aree di culto, ai quali probabilmente si associavano anche un sistema viario e opere di canalizzazione di acque potabili e per l’irrigazione dei campi.


Fiumedinisi nell’Eneolitico e agli inizi dell’età del Bronzo

Ho avuto modo di constatare abbondanti resti materiali relativi a insediamenti o frequentazioni avvenute nel territorio di Fiumedinisi nel corso dell’Eneolitico, grazie alla loro presenza in due località. In una rinvenni scarsi materiali attribuibili alla cultura dell’Eneolitico Iniziale di Piano Conte (12) e cospicue dell’Eneolitico Finale di Sant’Ippolito, entrambe databili al corso del terzo millennio a.C. (13), mentre in un secondo sito ancora inedito localizzai  una fase Tardo Eneolitica precedente a quella di Sant’Ippolito, caratterizzata da ceramiche a superficie lucidata in rosso o aranciato, da me osservate in grandi quantità negli anni 1980 anche in un recesso che scoprii nella Grotta del Lauro di Alcara Li Fusi, in seguito a una esplorazione speleologica che organizzai facendo seguito alle sollecitazioni del Prof. Santo Tinè, che l’aveva visitata negli anni 1950 (14).

Allo stato attuale delle ricerche sappiamo ancora ben poco dell’organizzazione sociale e della religione di questa età, anche se possiamo ipotizzare che si trattasse di insediamenti di tipo tribale. Le attività di sussistenza erano principalmente basate sulla pastorizia e sulla caccia al cervo (15), con insediamenti di carattere stagionale, distribuiti nel territorio e confederati in alleanze. Le pratiche religiose seguivano la tradizione animistica, probabilmente con forte connotazione sciamanica affiancate al culto di Entità invisibili il cui potere si manifesta attraerso i cicli e le forme presenti nel mondo naturale.

Nell’ultimo quarto del terzo millennio a.C. l’arrivo in Sicilia di nuovi folti gruppi di genti dalle coste orientali del Mediterraneo, forse in fuga da invasioni di regni dell’Anatolia, comportò profondi cambiamenti nell’organizzazione sociale e l’avvento di nuove mitologie e divinità. A queste genti si deve con tutta probabilità l’introduzione in Sicilia della concezione di un’entità politico-religiosa sino a quel tempo estranea all’Isola, e che in parte caratterizzò i regni dell’Egeo appartenenti alla “talassocrazia” della civiltà minoica.

È difatti intuibile che si trattasse di una confederazione di regni retti da aristoi dediti al florido commercio e all’uso delle armi necessario a sostenerlo, affiancati da un ordine teocratico il cui compito era di assistere con la sapienza le attività dell’intera comunità, ovvero attraverso un insieme di conoscenze magico-religiose e scientifiche, nonché di adoperarsi per proteggerla, includendo le arti della politica economica (soprattutto gestendo il commercio) e dei rapporti diplomatici di ambito mediterraneo.

All’aristocrazia guerriera e alla classe sacerdotale erano subordinate le classi media e di base, la prima costituita da piccoli mercanti e artigiani, e la seconda da contadini, allevatori, pescatori. Infine, vi erano coloro privi di diritti, usati quali forza-lavoro: gli schiavi, dei quali lungo le rotte mediterranee era probabilmente già da circa un millennio iniziato un lucroso commercio, frutto di guerre e soprattutto di razzie, che perdureranno sino alla metà del primo millennio a.C.

Si tenga presente che nell’antichità gli schiavi, provenienti da varie parti delle regioni mediterranee furono importanti a Fiumedinisi, in quanto impiegati nei duri lavori estrattivi nei giacimenti metalliferi presenti nel suo vasto territorio. Non possiamo ignorare che questa costante presenza multirazziale nel corso della tarda preistoria abbia potuto produrre importanti contaminazioni culturali.

Nella Sicilia Nordorientale, grazie a Fiumedinisi possiamo constatare che ci troviamo innanzi alle evidenze di un regno dai caratteri primitivi, che rappresenta ormai un affrancamento o la naturale evoluzione da quello che i paletnologi anglosassoni identificano con il termine chiefdoms, costituito da un abitato dove risiede il centro di potere che espande la sua influenza economica e culturale sui centri abitati minori. 

Possiamo presumere che, inizialmente, nell’Eneolitico Tardo e Finale il potere era detenuto da un consiglio costituito dai rappresentanti dei clan familiari, che eleggevano un elemento super partes affiancato dallo sciamano nelle funzioni di consigliere. È l’arrivo di profughi dall’Oriente Mediterraneo, tra cui certamente elementi della classe guerriera, che segna l’inizio dell’Antica età del Bronzo siciliana, ovvero il prevalere del potere dell’aristocrazia guerriera anche grazie all’abilità di organizzare e gestire i principali commerci dalle quali traeva gran parte delle sue ricchezze, forse anche alimentate da attività di veloci razzie condotte in altre aree costiere del Mediterraneo.

Probabilmente l’insieme dei poteri rappresentati da ogni regno presente in Sicilia durante questa età e nella successiva Media età del Bronzo, , l’aristocrazia era bilanciata dalla presenza di una classe religiosa, ovvero da una teocrazia superpartes, che possedeva un proprio centro e altre sedi secondarie, dove si tramandavano le conoscenze e le pratiche empiriche pertinenti al mondo naturale e a quello soprannaturale. A questa classe si consacravano individui che si specializzavano in varie arti della sapienza, tra le quali quelle magiche, esoteriche e religiose.

È presumibile che al vertice organizzativo del potere teocratico fosse posto un gran sacerdote, ovvero un uomo (o più probabilmente una donna, come avveniva nella civiltà minoica) in possesso dei necessari requisiti per il ruolo estremamente impegnativo. Una personalità ritenuta capace di proteggere spiritualmente la comunità, mantenendola in armonia con gli elementi naturali del territorio e le entità soprannaturali in questo manifeste. Il gran sacerdote costituiva il prototipo del “pontefice massimo” di origine indoeuropea, del quale si conserva ancora oggi traccia in religioni le più diverse, quali il buddismo e il cattolicesimo: l’elemento scelto all’interno della organizzazione religiosa per fungere da “ponte”, ovvero da tramite, tra il mondo naturale e quello soprannaturale. È effettivamente probabile che nelle linee generali questa teocrazia si ispirasse alle classi sacerdotali Minoiche e del Vicino Oriente, ma che ancora conservasse la presenza di figure carismatiche legate alla tradizione sciamanica fortemente radicata nella concezione del mondo e nelle pratiche quotidiane della maggior parte delle popolazioni mediterranee (16).

Così come in altre aree del pianeta, anche qui la teocrazia aveva incorporato il vasto retaggio di concezioni tramandate attraverso decine di millenni, sin dal Paleolitico Superiore, quando gli sciamani tradizionalmente presenti in ogni clan familiare, appartenenti a una medesima tradizione culturale e linguistica in un dato territorio, si riunivano per allestire e svolgere le maggiori pratiche rituali e cerimoniali che li coinvolgevano in determinati periodi dell’anno (scandito dal perpetuo verificarsi dei solstizi e degli equinozi), ai quali venivano dedicate particolari attività iniziatiche e propiziatorie.

Come vedremo nelle seconda e terza parte, e soprattutto nella terza parte di questa serie monografica, sono i ritrovamenti effettuati negli anni 1970 a Monte Belvedere di Fiumedinisi che illuminano inaspettatamente le nostre conoscenze su questo straordinario periodo della Sicilia preistorica. 


Note

  Agli inizi degli anni 1970 nel territorio di Fiumedinisi, così come nella maggior parte dei territori montani o collinari a quel tempo poco o affatto antropizzati della Sicilia Nordorientale, esistevano poche strade carreggiabili. Nessuna raggiungeva la contrada Piano Chiusa – Monte Belvedere. Le centinaia di esplorazioni che condussi in quegli anni lungo la dorsale dei Monti Peloritani e le sue digitazioni lungo i due versanti ionico e tirrenico e nella parte orientale della dorsale dei Monti Nebrodi, territorio archeologicamente vergine, richiedevano un equipaggiamento per due o tre giorni, e nei mesi estivi sino a due settimane. Scarpinate solitarie, condotte trasportando in spalla due zaini contenenti tenda, coperta, strumentario e provviste per un peso totale tra i 20 e i 35 kg … Dal 1980, finalmente utilizzai un’auto, che mi fu sempre miracolosamente fedele nonostante le mie impertinenze, una Renault 6.

Per le prime notizie sulle scoperte a Fiumedinisi rimando il lettore ad alcuni dei miei lavori: Villari P., 1979, Osservazioni geografiche di interesse archeologico nella vallata di Fiumedinisi (provincia di Messina, Sicilia),Tesi di Laurea in Scienze Naturali con indirizzo archeologico, Istituto di Geografia, Università di Messina, relatore Prof. Rosa Schipani De Pasquale, correlatore Prof. Bartolo Baldanza; 1980, Considerazioni sulla presenza di alcuni bronzi in una capanna del periodo di transizione Tardo Eneolitico-Prima età del Bronzo di Fiumedinisi (Messina), in Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Pisa, serie A, n.87, pp. 465-474; 1980, L’evoluzione della situla in Sicilia e Calabria, in Klearchos, 85-88, pp. 5-13;  1981, I giacimenti preistorici del Monte Belvedere e della Pianura Chiusa di Fiumedinisi e la successione delle culture nella Sicilia Nord Orientale, in Sicilia Archeologica, 44-47, pp. 111-121; 1981, Monte di Giove e Fiumedinisi. Il problema delle invasioni italiche nella Sicilia Nord Orientale tra gli inizi del XIII e la metà del IX secolo a.C., monografia, Verona, pp. 1-110; 1981, Origini e diffusione della cultura di Piano Conte nella Sicilia Nord Orientale, Contributi alla conoscenza del territorio dei Nebrodi, 2, pp. 135-143; 1984, Il rito dell’inumazione a scheletro rannicchiato (enchytrismòs) nella Sicilia Orientale, Tesi di Specializzazione in Archeologia Preistorica, Scuola Speciale per Archeologi, Università di Pisa, relatore Prof. Giuliano Cremonesi, correlatore Prof. Francesco Mallegni;  1984, Il rito dell’enchytrismòs nella Sicilia Nord Orientale (Antica età del Bronzo – Tarda età del Ferro), in The Deya Conference of Prehistory (British Archaeological Reports 229), Oxford, pp.465-486; 1986, Nota preliminare allo studio delle faune della tarda preistoria della Sicilia Orientale, in Studi per l’Ecologia del Quatrenario, Firenze, 8, pp. 168-176; 1988, Resti faunistici da uno scarico medievale del Castello di Fiumedinisi (Messina), in Archeologia Medievale, Firenze, 15, pp. 609-642; 1993, De la chasse à l’élevage: problemes d’interpretation en Sicile Orientale, in Anthropozoologica, Paris, 17, pp.47-48; 1993, Le faune della tarda preistoria della Sicilia Orientale, Atti del I Convegno di Archeozoologia, Rovigo 1993, Prétirage, pp. 24-25;  1995, Le faune della tarda preistoria nella Sicilia Orientale, monografia, edita dall’Ente Fauna Siciliana nella collana diretta dal prof. Marcello La Greca, pp. 1-493; 1995, La stazione preistorica di Rocce S. Filippo (Militello Rosmarino, Sicilia Nord Orientale), in Le faune della tarda preistoria, op, cit., Appendice 2;  1997, Le ceramiche ed i resti faunistici rinvenuti nello scarico tardomedievale del Castello di Fiumedinisi, in AA.VV., in “Il Medioevo siciliano tra sacro e profano. Enrico VI in Sicilia”, pp. 25-34;  1997, Evidenze di processi di domesticazione del cervo (protobreeding) nella preistoria siciliana, in AA.VV., Prima Sicilia, Catalogo della Mostra, Palermo, pp. 248-252; 2008, Le attività di ricerca archeologica svolte nel 2008 dal Dipartimento di Antropologia della University of South Florida a Monte Belvedere di Fiumedinisi, in “Relazione annuale delle attività archeologiche svolte nell’anno 2008 a Monte Belvedere di Fiumedinisi”, inviata nella qualità di Direttore degli Scavi Archeologici e Procuratore Legale del Department of Anthropology, University of South Florida, all’Assessorato ai BB.CC.AA. della Regione Siciliana, 8 Dicembre 2008, pp. 1-7.

Per le critiche sui lavori svolti dal 2006 dal Comune di Fiumedinisi e dalla Sezione Archeologica della Soprintendenza ai BB.CC. e AA. Di Messina, rimando ai lavori: Villari P., 2007, Keep walking on the wild side. Dark paths in European archaeology: point out and therapy, in European Association of Archaeologist, 13th Annual Meeting, 18-23 September 2007, University of Zadar, Croatia;  Ploska K., 2009, in Theory and Practice of archaeological heritage management: A European perspective, PhD Thesis, School of History and Archaeology, Cardiff University, pp. 1-547, per le distruzioni operate a Fiumedinisi vedi pag. 298-299 e foto 29;  Ploska K., 2007, Opinion on the archaeological site of Castello Belvedere di Fiumedinisi. Rapporto inviato il 6 novembre 2007 alla Unitè B.4 Enquetes et Operations II – Action Structurelles de la Commission Européenn Office de lutte antifraude  O.L.A.F., Bruxelles, pp. 1-6; AA.VV., 2007, (danni procurati dai restauri e scavi archeologici condotti nel Castello Belvedere di Fiumedinisi: lettera indirizzata alle Istituzioni preposte alla tutela del patrimonio culturale italiano), in Giornate Archeologiche Nisane – Progetto di Scavo a Fiumedinisi, Convegno 15- 17 Giugno 2007; Villari P., 2008, Fiumedinisi Project: i soldi americani e le istituzioni italiane, postato su Patrimonio sos.it, 1 Dicembre 2008http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getintervento&id=642 ; Villari P., 2009, Fiumedinisi. Parco archeologico, perso 1mln di dollari. Lettera-denuncia al presidente Raffaele Lombardo, in Patrimoniosos.it, 7 Gennaio 2009, http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getintervento&id=660 ; Villari P., 2014, Sicilia Tossica. Parte 1: come trasformare una regione in discarica di rifiuti tossici europei, postato su “Coscienze in Rete” il 4 Aprile 2014, e in versione integrale il 20 Giugno 2020 su The Reporter’s Corner https://www.thereporterscorner.com/2020/06/sicilia-tossica-come-trasformare-una.html Villari P., 2014, Sicilia tossica. Parte 2: l’affaruni delle bonifiche, postato su Coscienze in Rete il 30 Aprile 2014  www.coscienzeinrete.net/ecologia/item/1909-l-affaruni-delle-bonifiche (da alcuni anni non più disponibile on line); Villari P., 2019, La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano. Parte IV: come evitare un processo per associazione a delinquere e divenire la direttrice di uno dei più importanti parchi archeologici d’Europa, apparso su thereportersblog.com il 13 Agosto 2019 (sito non più disponibile) e trasferito il 19 giugno 2020 su The Reporter’s Corner, https://www.thereporterscorner.com/2019/08/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html

(2) – studi e ricerche svolti presso l’Archeological Centre, che da un quarto di secolo dirigo (dal gennaio 1996), attraverso molteplici collaborazioni. Tra queste la Ultramarina Foundation, prestigiosa istituzione cileno-olandese di studi storici, geografici e militari, sotto la presidenza del Prof. Omar R. Ortiz-Troncoso dell’Istituto di Archeologia Pre- e Protostorica dell’Università di Amsterdam, che qui ricordo con profonda riconoscenza. Fu grazie alla newsletter edita da questa istituzione che pubblicai il risultato dei miei primi scavi d’indirizzo bioarcheologico, condotti in Perù nel recinto sacro della Gran Piramide di Nazca, e in una struttura del villaggio preistorico polinesiano di Hanga-O-Teo, nell’area settentrionale dell’Isola di Pasqua, avendo entrambi i siti rivelato evidenze di notevole interesse esoterico. 

(3) – In periodo Aragonese, dall’ultimo terzo del tredicesimo secolo sino al quindicesimo secolo divenne un casale inizialmente ristrutturato da Roger de Vallois (un Crociato di ritorno dalla Terrasanta, appartenente alla famiglia che dal tardo medioevo e durante tutto il Rinascimento siederà sul trono di Francia?), personaggio sul quale bisognerebbe approfondire le ricerche essendo stato accolto con tutto rispetto tra i miles (uomini d’arme) messinesi, traslitterandone il nome in “Ruggero il Vallone”. Da questi passò alla figlia Elisabetta che morì poco tempo dopo la morte del padre, senza lasciare eredi. Il Castello e le sue terre passarono in seguito al miles messinese Ansalone Bonsignore, ma la sua famiglia venne ben presto spogliata dei possedimenti dalla corona aragonese e ne seguì una contesa decennale che coinvolse anche la corona aragonese.

In seguito il Castello fu preso con la forza o concesso a vari altri proprietari originari del Messinese, finché nel 1395 ne prese proprietà Tommaso Romano Colonna, capostipite del ramo siciliano della potente famiglia romana, che nei secoli mantenne costante fedeltà alla corona spagnola. Tommaso Romano svolse per diversi anni il ruolo di diplomatico presso la Corte Aragonese, e fu lui a fare eseguire gli ultimi restauri del casale, probabilmente facendone una dimora stagionale di famiglia ponendola nelle mani del suo primogenito. Ai Colonna evidentemente si deve la presenza di protomaioliche iberiche scoperte nel corso degli scavi da me diretti nel Settembre 2008. La famiglia rimase proprietaria del Castello di Fiumedinisi per oltre quattro secoli, e l’ultimo discendente, privo di figli, donò i ruderi del Castello al comune di Fiumedinisi. È presumibile che i Colonna finanziarono il collocamento dei mascheroni demoniaci che, probabilmente a fine apotropaico, ornano il coronamento del Santuario dell'Annunziata di Fiumedinisi, databili tra la fine del secolo diciassettesimo e il corso del diciottesimo.

Nel diciassettesimo secolo i resti del Castello Belvedere, già diroccato in seguito all’aggravarsi dei danni collaterali derivati dall’intensificarsi dell’attività epirogenetica nella Sicilia Orientale, furono riutilizzati quale sede di una postazione militare nel corso dell’assedio di Fiumedinisi. Nel corso degli scavi condotti nel Settembre 2008, tra gli abbondanti resti di ceramiche recuperati dagli sterri dei controversi scavi 2006, constatai la presenza di diversi reperti del diciassettesimo secolo, frammenti di tipiche bottiglie “steengoed” del terzo periodo (1500-1680) di produzione germanica occidentale, a quel tempo in dotazione alle truppe olandesi. Poiché lo sterro proveniva dai resti di semplici strutture di acquartieramento di età postmedievale, probabilmente riservate agli ufficiali, potrebbe trattarsi di un distaccamento olandese inviato di rinforzo agli alleati spagnoli, proveniente dall’armata navale agli ordini dell’Ammiraglio Michiel de Ruyter (il quale nel 1676 perse la vita in seguito alle gravi ferite riportate in una battaglia sostenuta contro i Francesi nei pressi di Catania). L’assedio di Fiumedinisi si concluse in quell’anno con il massacro della guarnizione spagnola e un efferato saccheggio della cittadina e del suo territorio, condotto dalle truppe Francesi affiancate da milizie Messinesi loro alleate. Nulla affiora dalle cronache tramandate dagli storici locali, circa l’eventuale presenza a Fiumedinisi e la sorte del contingente olandese.

 A parte i professionisti addetti al ruolo direttivo, in particolare una giovane del paesino, l’architetto Maria Elena Carbone, che svolse il ruolo di direttore del restauro architettonico pur essendo priva di esperienza specialistica nel settore, e il silenzio mantenuto sulla vicenda dai due Sindaci che si successero in quegli anni, dai Consiglieri e dai tecnici del Comune di Fiumedinisi, le effettive attività di controllo dello Stato sullo svolgimento del restauro di questo importante monumento architettonico e la direzione di quelli che furono con abbondante fantasia definiti “scavi archeologici”, vennero eseguiti da funzionari della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina delle quali tramando il nominativi a futura memoria, in particolare la direzione di Giovanna Maria Bacci che utilizzò in sua vece la giovane Maria Grazia Vanaria, anch’essa priva della necessaria esperienza. 

È incredibile che queste due funzionarie abbiano iniziato il restauro e gli scavi senza la presenza di specialisti e che non siano intervenute a fermare i danni o che li abbiano denunziati all’Autorità giudiziaria. E lo stesso dicasi per tutti quei funzionari dello Stato e della Regione che sapevano, vedevano e non intervenivano. Accanto alle tragiche carenze professionali, impera la cultura dell’omertà.

Le somme spese per lo scempio, per un totale di oltre un milione di euro, furono sottratte dallo Stato da quelle donate dai contribuenti alla Chiesa Cattolica per le sue opere di carità (il cosiddetto 8xmille). L’operazione si risolse in uno sterro di strati archeologici effettuato da semplici operai edili, i soli assunti per lo scavo e per i restauri, ovvero operai non specializzati, che non raccolsero parte degli importanti reperti in essi contenuti (in seguito da me recuperati nel corso degli scavi Settembre 2008) e in un mostro cementizio che comportò modificazioni della originale forma di opere murarie e la loro “incamiciatura”, al punto da rendere impossibile la lettura dell’originario palinsesto stratigrafico delle opere murarie dal XII al XVI secolo, impedendo così futuri studi interpretativi. Come se tutto questo non bastasse, il sotterraneo del Castello fu colmato di rifiuti provenienti dalle operazioni di restauro, comprendenti anche quantità di sostanze chimiche, e dai resti di pasto degli operai… Danni gravi, commessi per profonda incompetenza, inciviltà e latitanza considerato che la giovane funzionaria responsabile della Soprintendenza vi si recava soltanto una volta alla settimana o ogni due settimane, per alcune ore, a controllare il proseguimento dei lavori della ditta incaricata per gli scavi e per i restauri. Uno scempio ben prevedibile, per il quale nessuno è stato mai chiamato per renderne conto e al risarcimento, anche ai fini di un professionale ripristino dei ruderi del manufatto.

 Per tentare di salvare questa eccezionale area archeologica da successivi interventi distruttivi, chiesi l’intervento di colleghi operanti presso università italiane e straniere. Accorsero in parecchi, alcuni dei quali di notevole autorevolezza, con i quali organizzammo un convegno di tre giorni svoltosi a Fiumedinisi e in altri paesi del comprensorio, nel corso del quale effettuammo un sopralluogo nel Castello Belvedere per constatare i danni. Al termine fu deciso di scrivere e firmare tutti assieme e in otto copie, una dichiarazione collettiva redatta in lingua inglese, anche al fine di lasciare testimonianza di quanto osservato nel sopralluogo. Accompagnato da una traduzione in lingua italiana, il documento fu inviato alle Istituzioni regionali preposte per la salvaguardia del sito, e per conoscenza a altre Istituzioni straniere. Non ricevemmo alcuna risposta e nessuno studioso locale prese posizione riguardo a quanto da noi affermato.

L’anno seguente, una seconda dura lettera di aggiornamento circa il comportamento di funzionari del Servizio archeologico della Soprintendenza di Messina, ponendo l’accento sull’operato di Maria Grazia Vanaria, venne inviata dal Dr. Andrea Vianello dell’Università di Oxford alla O.L.A.F., un organismo della Commissione Europea per la lotta contro le frodi comunitarie. Per queste due missive si consulti, in questo blog, il mio post del  13 Agosto 2019, (aggiornato al 27 Dicembre 2019), La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano. Parte IV…, op. cit., nota 25.

Nella tarda primavera del 2007 decisi di coinvolgere l’Istituto Italiano di Archeologia Sperimentale, del quale a quel tempo ero ancora membro. Il Direttore Prof. Santo Tinè ne fu lieto e, dopo avere superato una lunga serie di difficoltà poste da alcuni burocrati, ed in particolare da Giovanna Maria Bacci, il 10 Gennaio 2008 riuscimmo a ottenere una convenzione di scavo triennale dalla Regione Siciliana. Il Tinè aveva  garantito che gli scavi sarebbero stati posti sotto la direzione mia e di Antonella Traverso, entrambi membri dell’Istituto. Con mossa inaspettata, alcune settimane dopo, lo IIAS rinunziò alla convenzione senza chiarirne le cause (per questo motivo troncai ogni rapporto con il Tinè e lo I.I.A.S.). Anni dopo, a poche settimane dalla scomparsa del Tinè, mi furono rivelate forti pressioni giuntegli dall’Università di Catania tramite “ambienti” romani. Tuttavia, la mia battaglia continuò e riuscii a operare in modo che la convenzione venisse rilevata in surroga dal Dipartimento di Antropologia dell’Università della South Florida.

Sollecitata dal Prof. Robert Tykot, quale responsabile del Fiumedinisi Field School Project, la direttrice Elizabeth Bird  volle in data 10 Aprile 2008 confermare la mia carica di direttore degli scavi, aggiungendo altresì quella di procuratore legale dell’Università. Il documento reca la convalida del notaio Deborah J. Roberson dello Stato della Florida, che specifica la validità delle cariche sino al 4 Aprile 2011.

Le attività di scavo condotte nei mesi di maggio e giugno di quell’anno furono gravemente menomate da continui impedimenti burocratici posti da funzionari della Soprintendenza di Messina, provocando seri problemi accademici alla U.S.F., giungendo il Senato Accademico a proibire al prof. Robert Tykot, responsabile del progetto Fiumedinisi Field School, di organizzare ulteriori scavi all’Estero con la partecipazione di studenti. Solo nel Settembre 2008 riuscii finalmente a effettuare un saggio di scavo, che permise di accertare come il sotterraneo del Castello Belvedere fosse stato usato come discarica di materiali di risulta dei restauri del 2006, tra cui contenitori di sostanze chimiche e altre di natura organica in una combinazione divenuta tossica (i cui effetti purtroppo sperimentai personalmente in corso di scavo).

La vicenda ebbe delle conseguenze che durarono diversi anni, durante i quali ho potuto verificare l’esistenza e le modalità di funzionamento del sistema di potere dominante in Sicilia, un mostro estremamente pericoloso del quale ho riferito in una serie di articoli pubblicati in questo blog.  

I responsabili degli scempi operati negli ultimi decenni a Fiumedinisi sono rimasti sempre impuniti e nel totale silenzio dei quotidiani di regime. Per quanto concerne quelli più gravi, del 2006 vi sono implicati funzionari regionali e statali, alcuni tranquillamente andati in pensione previa lauta buonuscita, altri sono ancora al loro posto. Grazie alla surreale potenza del sistema dominante a livello regionale, in massima parte costituito da personaggi ignoti alle cronache, un paio di questi funzionari sono oggi dirigenti del Parco Archeologico di Naxos-Taormina che purtroppo ha giurisdizione anche sul sito di Fiumedinisi, pur essendo implicati in questa e in altre vicende d’interesse criminologico che hanno interessato vari siti archeologici della provincia di Messina.

 Attorno al 1980, pur essendo di proprietà comunale, il Castello Belvedere di Fiumedinisi fu occupato abusivamente da un pastore che lo trasformò in ovile, abbattendo parte delle mura interne e esterne e cingendolo con una rete metallica, pali infissi in profondità nel terreno archeologico, e muri a secco per meglio adattarlo alla nuova funzione. Avendo ricevuto un allarmante aggiornamento della situazione da un militare appassionato di storia patria messinese, mi recai a casa del compianto Avv. Carlo Nottola, uomo di rara e profonda umanità, a quel tempo sindaco del comune di Fiumedinisi. 

Con grande coraggio Nottola riuscì a fermare le distruzioni (l’occupante aveva raso al suolo i resti di due muri interni e costruito muri a secco persino per sbarrare le due porte di accesso, al fine di ridurre a ovile l’intero nucleo centrale del Castello), e a fare allontanare il gregge dai ruderi. Tuttavia, il pastore apprese che il sindaco aveva ricevuto richiesta di chiarimenti dal Comando Carabinieri di Messina sulla base di un mio rapporto informativo, firmato in qualità di specializzando in archeologia e una successiva missiva inviata al Nottola a mio sostegno dal prof. Bartolomeo Baldanza dell’Università di Messina. Poco tempo dopo subii la totale devastazione di due antiche proprietà di famiglia site poco distanti dal Castello Belvedere: andarono in cenere le preziose coltivazioni arboree, centenarie, dopo essere state in parte abbattute. Purtroppo, gli autori del gesto non calcolarono la possibilità del rinforzo dei venti, che cambiarono direzione distruggendo anche parte di proprietà confinanti alla mia: tempo dopo si registrò l’improvvisa moria di gran parte di un gregge appartenente a due pastori… Tralascio il seguito, di genere picaresco, riportando la vicenda per chiarire quanto costi e sia peraltro pericoloso in Sicilia difendere i beni culturali, specie se pubblici.

Dalla fine degli anni 1990 sino a pochi anni fa, i ruderi del Castello ripresero a essere un letamaio sede di pascolo, e tale rimase, anzi peggiorò notevolmente durante gli scavi archeologici che diressi in condizioni surreali, nel 2008, con grande imbarazzo dell’università americana nei confronti degli specializzandi partecipanti allo scavo…. Anni dopo mi fu confidato che l’ordine di far defecare le pecore ammassandole nel Castello nel periodo degli scavi (durante la pausa di lavoro dei fine settimana!) era giunto da certi ambienti della fascia ionica messinese. Ne parlai con il Comandante della caserma dei Carabinieri di Fiumedinisi, maresciallo Ardea, ma non denunziai il pastore in quanto si trattava d un giovane sbandato che aveva eseguito ordini ai quali non poteva rifiutare.

 Eppure l’intensa attività che ho sempre svolto a Fiumedinisi gratuitamente, utilizzando fondi dal mio patrimonio privato in quanto terra da molti secoli cara ai miei avi paterni, è persino giunta a coinvolgere un folto gruppo internazionale di illustri colleghi archeologi (nota 5) e prodotto una quantità di pubblicazioni scientifiche, interviste rilasciate a quotidiani e articoli apparsi su vari media europei. Quanto agli esposti presentati nel 2014 alle Autorità di competenza, evidenziando fatti d’interesse criminologico: mai ricevuto un minimo riscontro. Un silenzio delle Autorità che in Sicilia conta più di qualsiasi scritto, rivelando anche l’indicibile.

 La seconda parte di questo articolo, che seguirà a breve, è dedicata alla scoperta di questa eccezionale area archeologica di Fiumedinisi e di altre della Sicilia Nordorientale, descrivendo i rinvenimenti di maggiore interesse e quanto essi raccontano del rapporto con il soprannaturale delle antiche popolazioni preistoriche. Tuttavia, bisognerebbe approfondire anche il rapporto che con questo sito ebbero le popolazioni che seguirono sino ad età medievale quando, soprattutto grazie agli imperatori Svevi, nella cuspide peloritana vi fu un periodo di auge dello studio delle arti magiche e dell’esoterismo, mai spentesi in alcune aree della Germania. 

 Mircea Eliade, 1951, Le Chamanisme et les techniques archaïques de l’extase, Librarie Payot, ParisStavros G., 2017Sciamanesimo. Viaggio nel mondo dello spirito, ed. Armenia, Milano; Weber M., 2015Shamanism and proto-consciousness, in Lebrun R., De Vos J., Van Quickelberghe E. (eds.9, Deus Unicus. Proceedings of the Colloquium, Luovain-la Nueve, 7 and 8 June 2018, Julien Ries Centre for the History of Religion; Lewis-Williams J.D., Klein C.F., Stanfield-Mazzi M., 2004, On Sharpness and Scholarship in the Debate on “Shamanism”, Current Anthropology, 45(3): 404-406; Lewis-Williams J.D., Pearce D.G., 2005, Inside the Neolithic Mind: Consciousness, Cosmos, and the realm of the Gods. Thames & Hudson, London.

10  Tra la vasta letteratura disponibile segnalo le monografie: Clottes J., Lewis-Williams D.,1998The Shamans of Prehistory: Trance and Magic in the Painted Caves, New York; Chippindale C., Tacon P.S., 1998The Archaeology of Rock Art, Cambridge University Press.     

11  il termine sciamano ha origini remote, le più antiche individuate nel Sanscrito “shram” e da questo pervenuto in varie lingue asiatiche, tra le quali il Tunguso nella forma samān”.

È interessante notare la forma dialettale siciliana “shrammu”, in quanto forse più antica delle successive  traslitterazioni dal Greco (strabós) o dal Latino popolare (strambus), che ne distorsero il significato indicando una personalità anormale, stravagante,  potenzialmente imprevedibile e talora pericolosa. Difatti, in Sicilia come in gran parte nella penisola italiana, l’antica tradizione popolare individua nello sguardo strambo l’evidenza di poteri paranormali e di una concezione “altra” della realtà.

12 – Villari P., 1981, Origini e diffusione della cultura di Piano Conte nella Sicilia Nord Orientale, “Contributi alla conoscenza del territorio dei Nebrodi”, 2, pp. 135-143

13 – Villari P., 1981, I giacimenti preistorici del Monte Belvedere e della Pianura Chiusa di Fiumedinisi e la successione delle culture nella Sicilia Nord Orientale, in Sicilia Archeologica, 44-47, pp. 111-121. Altre notizie in Villari P., 1996, Kronio (Le faune del), in Forme e tempi della neolitizzazione in Italia meridionale e in Sicilia, Atti del Seminario Internazionale, t.1: 527-528.

14 – materiali inediti. Nel corso dell’esplorazione speleologica effettuata con l’assistenza di elementi della Associazione Culturale Chylas di Militello Rosmarino, mi imbattei anche in una deposizione probabilmente di carattere propiziatorio. Notizie in: Villari P., 1996, Le capre tardo eneolitiche della Grotta del Lauro presso Alcara Li Fusi (Messina): depositi rituali? in Animalia, 21(1/3): 11-17; Villari P., 1995, La stazione preistorica di Rocce S. Filippo (Militello Rosmarino, Sicilia Nord Orientale), in “Le faune della tarda preistoria nella Sicilia Orientale”, op, cit., Appendice 2.

15 – Villari P., 1993, De la chasse à l’élevage: problemes d’interpretation en Sicile Orientale, in Anthropozoologica, Paris, 17, pp.47-48; Villari P., 1993, Le faune della tarda preistoria della Sicilia Orientale, Atti del I Convegno di Archeozoologia, Rovigo 1993, Prétirage, pp. 24-25; Villari P., 1995, Le faune della tarda preistoria nella Sicilia Orientale, monografia, edita dall’Ente Fauna Siciliana nella collana diretta dal prof. Marcello La Greca, pp. 1-493; Villari P., 1997, Il ruolo della fauna nella preistoria siciliana: caccia, pesca, domesticazione, allevamento, in AA.VV., Prima Sicilia, Catalogo della Mostra, Palermo, 1997, pp. 223-226; Villari P., 1997, Evidenze di processi di domesticazione del cervo (protobreeding) nella preistoria siciliana, in AA.VV., Prima Sicilia, Catalogo della Mostra, Palermo, pp. 248-252; Villari P., 1999, Resti di due cerve (Cervus elaphus L., 1758) del V sec. a.C. da Erbe Bianche (Campobello di Mazara, Sicilia Occidentale), Atti e Memorie dell’Ente Fauna Siciliana, vol. IV.

16 - In termini profani un Ordine religioso può trarre beneficio socio-politico dalla sua struttura di potere piramidale, in grado di permettere una potente coesione monolitica che non ammette alcuna concessione “democratica”, per usare un comprensibile termine moderno. Il funzionamento dell’intera struttura necessita che al vertice vi sia un eletto, al quale tutti i componenti della struttura impegnano totale obbedienza. 

 

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...