di Pietro Villari - 3 gennaio 2023
a distanza di circa ventidue
anni, ripubblico la seconda parte di questo articolo, corredandola di ulteriori dati e considerazioni (1).
La seconda parte pubblicata nel Giugno 2000
Nella
prima parte, edita il 31 agosto 1998, avevo riassunto quanto accaduto dal 1947
al 1970, ed evidenziato il non ortodosso comportamento tenuto dall’allora
Soprintendente alla Antichità per la Sicilia Orientale, prof. Luigi Bernabò
Brea.
Dopo
aver pubblicato l’articolo mi astenni dal contattare il professore al fine di
avere ulteriori chiarimenti sul seguito della vicenda, sapevo che si sarebbe
chiuso in un silenzio ostile fatta forse eccezione la frase che da oltre
vent’anni si divertiva a tirar fuori a ogni nostra sempre più rara
conversazione: “Lei ancora non vuole capire. Una ‘quattara’ lanciata contro
un muro si rompe in mille pezzi”. Morì pochi mesi dopo.
Il
“pensionato d’oro”, come qualcuno lo aveva soprannominato, ai suoi tempi aveva
sempre fermamente declinato l’invito a partecipare a spartizioni di torte, da
altri divorate più o meno facilmente. Nell’ultimo ventennio, da quando era
andato in pensione non aveva potuto fare a meno di presenziare a qualche
banchetto in casa di potenti politici messinesi che gli offrivano amicizia, e
talvolta di esprimere pareri su certe collezioni. Aveva compreso che non poteva
opporsi agli interessi di quanti detenevano il potere dello Stato che
rappresentavano.
Ne
aveva avuto chiara dimostrazione quella volta che, quando ancora in servizio,
aveva tentato di far valere la propria voce con i potenti (il caso dello
stabilimento petrolchimico impiantato nel sito di Thapsos) rischiando
quantomeno di essere trasferito altrove, anche se poi qualcuno a Roma
riuscì in extremis a tirarlo fuori dai guai. Poco aveva potuto
negli anni Sessanta e Settanta contro lo scempio operato dalla rampante
edilizia nella Sicilia Orientale, città e territori che non amava (così come
detestava i Siciliani in genere) preferendo le Isole Eolie nelle quali si
rifugiava ogni qualvolta poteva.
Si
sentiva ed effettivamente era un uomo isolato, anche dal contesto universitario
isolano che mai lo accolse ed anzi ne impedì l’insegnamento fra i suoi ranghi.
Aveva anche una malcelata diffidenza, ma anche comprensione, nei confronti di
quanti rappresentavano le istituzioni dello Stato in Sicilia, ampiamente
ricambiato.
Negli
anni Settanta e Ottanta lo frequentai con assiduità nella sua Lipari, sia in
qualità di giovane collaboratore alle ricerche preistoriche che poi
pubblicammo, sia per le sue originali lezioni private di archeologia
preistorica eoliana e sia come amico, essendo stato tra l’altro il mio
testimone di nozze. Alle mie giovanili rimostranze circa la progressiva
distruzione del patrimonio archeologico e architettonico siciliano si
compiaceva di ripetere sorridendo, oltre alla frase sopra riportata, che “Nella
reticella della Giustizia ci finiscono solo i moscerini, mai le tigri”.
Affermato
studioso, anche se anziano e da tempo in pensione, avrebbe potuto esortare al
dovere e all’onestà professionale i colleghi più giovani, denunciare a livello
internazionale quanto in quegli anni stava accadendo in Sicilia. Ed invece si
accontentò di fare il pensionato d’oro nella casetta
all’interno dell’area archeologica del Castello di Lipari, mantenendo il
silenzio, coltivando la riverente stima di alcuni politici messinesi
arricchitisi in breve tempo. Altri noti studiosi in pensione, ex soprintendenti
e cattedratici, in privato avevano ipocritamente dichiarato di avere la bocca
chiusa e le mani legate dalla carriera dei figli: ma lui che non ne aveva? Gli
bastò una casetta di proprietà regionale e la possibilità di continuare ad
effettuare scavi e pubblicazioni nella sua isoletta, assieme all’amante di
sempre che poi sposò poco tempo prima di morire.
Oggi
direi che nell’accettare questo compromesso fu saggio, in quanto sapeva che
avrebbero in qualche modo distrutto la fragile reputazione e rispedito nella
sua Liguria, ma proprio per questo merita solo le celebrazioni dei colleghi
suoi pari.
Tuttavia,
nessuno pensi di poter erigere un mausoleo dedicato alla incorruttibilità di un
grande, al riparo del quale impunemente nascondere misfatti propri e
collettivi.
Nel
caso del comportamento tenuto nella vicenda della importante collezione
numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, più che la propria tendenza al
voler convivere pacificamente con il potentato siciliano, Bernabò Brea rivela
la sua convinzione di scienziato che i reperti collezionati interessino
piuttosto gli storici dell’arte anziché gli archeologi, trattandosi di
esemplari dei quali generalmente non si conoscono le condizioni stratigrafiche
di rinvenimento o persino il sito di provenienza. Riteneva che il collezionismo
privato di monete antiche fosse eticamente lecito e per tale ragione non si
curava molto di controllarlo. Ciò non per una forma di riconoscimento di una
qualche importanza di questo, quanto per una profonda mancanza di interesse nei
confronti di materiali non provenienti da scavi archeologici scientificamente
eseguiti.
Ne
parlammo alla fine degli anni Settanta, nelle sale dedicate ad Ippolito e
Corrado Cafici nella vecchia sede del Museo Archeologico di Siracusa, a
proposito delle importanti collezioni archeologiche affidategli decenni
addietro dai due fratelli e da egli mai catalogate.
In
questa seconda parte della ricostruzione della dispersione della collezione
Pennisi, ci interesseremo di aspetti poco noti, tra i quali il ruolo avuto da
un noto collezionista siciliano, il barone Vincenzo Cammarata, e quello del
Prof. Attilio Stazio (deceduto nel 2010), l’esperto che valutò la parte della
collezione acquistata negli anni Ottanta dalla Regione Siciliana e ne attestò
l’autenticità.
Facciamo
un passo indietro. Nell’aprile del 1969 una lettera anonima viene inviata al
Bernabò Brea in quanto Soprintendente e per conoscenza al Procuratore della
Repubblica ed al Comandante del Nucleo di Polizia Investigativa di Catania.
Nella denuncia si afferma che il cav. Orazio Pennisi “sottrae dalla
collezione numismatica preziosissime monete greche antiche sostituendole con
riproduzioni simili ma false perché fabbricate con calchi. Buona parte delle
monete originali è stata venduta al commerciante di Catania Giancarlo Cirino”.
La lettera continua dichiarando che il Cirino ha ottenuto in conto vendita le
monete dal Pennisi ma che, dopo aver simulato un furto, in realtà le avrebbe
vendute in Continente.
Alcuni
giorni dopo la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero
della P.I. scrive alla Segreteria Generale della Regione Siciliana. In linea di
massima concorda con quanto da questa espresso nella lettera del 14 gennaio
1969 (una lettera di dura accusa per l’operato del Soprintendente, riportata in
Grifone del 31/8/1998 alle pagine 6 e 7), ma attribuisce le difficoltà di
catalogazione alla carenza di personale specializzato e difende l’operato del
Soprintendente che avrebbe dovuto rimettere “all’esame delle competenti
Autorità Giudiziarie le segnalazioni relative a manomissioni” ma ostacolato
da “motivi cautelari intesi a mantenere i rapporti con la famiglia Pennisi
sul piano di una indispensabile collaborazione”.
Il
30 aprile il Bernabò Brea, resosi conto che non ha altra scelta, invia al
Ministero della P.I. una raccomandata in cui dichiara di aver ricevuto la
lettera anonima sopra citata e che “in data odierna ho preso contatti a
questo proposito con l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania e
accompagnato dallo stesso Avv. Distrettuale mi son recato dal Procuratore della
Repubblica fornendogli le indicazioni del caso…”.
Il
12 maggio il Soprintendente dichiara per iscritto al Procuratore della
Repubblica di Catania la propria disponibilità nei confronti dell’Autorità
Giudiziaria. Tra quest’ultima e il Ministero della P.I. inizia una
corrispondenza che giunge ad imporre al Soprintendente di completare la
schedatura della collezione Pennisi.
Il
23 settembre 1969 l’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Acireale
risponde all’Intendente di Finanza di Catania che nella denuncia dei redditi
presentata da Agostino Pennisi nel 1948 la collezione di monete non è stata
dichiarata. È la prova che la famiglia aveva implicitamente
riconosciuto la validità dell’originario vincolo di notifica risalente a
quell’anno. Nel frattempo le forze dell’ordine erano state attivate per
condurre indagini al fine di appurare l’autenticità di quanto espresso nella
lettera anonima dell’aprile di quell’anno. Il 18 dicembre, il Comando
Carabinieri presso il Ministero della P.I. scrive alla Direzione Generale delle
Antichità e Belle Arti che gli accertamenti “hanno evidenziato
l’infondatezza del contenuto dell’esposto” in quanto “Pennisi Orazio ha
dichiarato di non avere mai venduto o sostituito monete della collezione… né di
avere mai avuti rapporti con il Cirino Giancarlo” e quest’ultimo confermava
tali dichiarazioni (2).
Circa
un anno dopo, in data 21 novembre 1970, il Comando Gruppo Guardia di Finanza
comunica che dalle indagini condotte “non sono emersi utili elementi circa
eventuali infrazioni nella conservazione della collezione” in quanto “per
stabilire se questa è stata tenuta regolarmente sarebbe necessaria una
ispezione da parte di codesta Soprintendenza”. Alle
sollecitazioni mosse al riguardo il Soprintendente risponderà che non possiede
personale scientificamente atto all’evenienza e che quindi l’ispezione non è possibile.
Il Bernabò Brea omette di incaricare della ispezione il personale della
Soprintendenza e gli specialisti che sin dal 1965 e dal 1967 avevano eseguito
la prima fase di catalogazione.
Difatti,
il 19.2.1965 il Soprintendente aveva richiesto alla Regione Siciliana la “collaborazione
specializzata del funzionario regionale” dott.ssa Maria Teresa Pisanò in
Currò, che in data 7.5.1969 la Presidenza della Regione Siciliana ribadisce “…non
mancherà di fornire ogni volta che si presenterà l’occasione”.
Quale
supporto logistico in Siracusa e per le visite alla collezione sita presso
l’abitazione dei Pennisi in Acireale, il Bernabò aveva messo a disposizione
della Currò la sig.ra Giuseppina Cassarino Tranchina. In qualità di eminente
numismatico era stata richiesta al Ministero della P.I. la dott.ssa Enrica
Pozzi, Direttrice della sezione numismatica del Museo di Napoli e funzionaria
della Soprintendenza alle Antichità per le provincie di Napoli e Caserta.
Mentre la Currò, la Tranchina ed il fotografo siracusano Fontana hanno accesso
al Medagliere dei Pennisi nell’agosto 1965 eseguendo fotografie di circa 1500
monete siceliote, la Pozzi non avrà mai la possibilità di visionarle
direttamente a causa della indisponibilità dei proprietari. Effettuerà solo una
breve permanenza in Siracusa dall’11 al 21 maggio del 1967, conducendo un
controllo della documentazione fotografica in possesso della Soprintendenza.
Il
21 ottobre del 1969 il Bernabò Brea trasmette al Ministero della P.I. l’elenco
compilato dalla Currò relativo alle monete a suo avviso da notificare per una
eventuale acquisizione da parte dello Stato, ovvero di soli 247 pezzi
greco-sicelioti. È da segnalare che, curiosamente, il Soprintendente
dichiara che le foto verranno inviate con plico a parte in data successiva, ma
non abbiamo documenti dell’avvenuta spedizione: il Ministero della P.I. venne
mai in possesso di tali foto? Ovvero: in quel periodo chi altro ebbe la
possibilità di esaminarle e di constatare l’autenticità di quei reperti?
Scorrendo
la succinta relazione della funzionaria specializzata, non v’è
menzione dei nominativi degli eredi Pennisi, né della consistenza delle sezioni
dedicate ai periodi romano e bizantino. Non vi è menzione della eventuale
presenza di falsi così come dichiarato nella denuncia anonima datata all’aprile
di quell’anno. Tuttavia, nelle poche righe possiamo leggere a qual fine fosse
stata svolta quella catalogazione, di fatto l’unica che i Pennisi avevano sin
allora accordata e concessa. La Currò riferisce di aver potuto visionare
soltanto “la parte della collezione greco-siceliota” e che “da un
sommario calcolo eseguito molto rudimentalmente ho potuto constatare che nei
cassetti d’esposizione trovano posto all’incirca 1900 monete nei tre metalli,
mentre gli esemplari di seconda scelta, di sui ho visto solo qualche pezzo, per
la maggior parte in bronzo, pare ammontino a più di 10.000”.
In
perfetta sintonia con il Soprintendente che la richiese all’Amministrazione
regionale, la Currò relaziona della necessità di restringere il vincolo a sole
247 monete, che il Bernabò Brea riteneva utile al fine di “… evitare
di creare ai proprietari un danno rilevante e non strettamente necessario”
come si può leggere in un manoscritto di questi. La funzionaria regionale, in
contrasto con quanto espresso dalla illuminata Presidenza della regione,
conviene che “Il criterio adottato nella scelta è quello di colmare quelle
lacune che si riscontrano nel medagliere di Siracusa. Per tale motivo si
noterà che sono stati esclusi pezzi, per quanto belli e rari…”.
È palese
l’appoggio della Currò all’operazione imposta dal Bernabò Brea, il quale
nonostante i richiami giunti persino dalla presidenza della regione, continua a
considerare non valido il vincolo emesso nel dicembre 1948, chiedendo
l’emissione di un nuovo vincolo limitato a 247 pezzi, sui quali lo Stato
avrebbe potuto esercitare il diritto di prelazione in caso di vendita
esclusivamente per arricchire il Medagliere siracusano da egli diretto. Con
questo comportamento irresponsabile egli esclude la possibilità dello Stato di
tutelare e di esercitare diritti di prelazione anche sui rari pezzi di
rilevante interesse storico-artistico, ignorando tra l’altro di accertare
quello dell’intera raccolta, delle sezioni dedicate ad altri periodi.
Atteggiamento altresì irragionevolmente campanilistico, in quanto ignora gli
interessi di altri Medaglieri regionali e statali.
La
relazione della Currò dedica anche alcune righe alla mancanza di monete (non ne
quantifica l’ammontare) “tra le quali spiccano per importanza” ed elenca
una cinquantina di monete greco-siceliote, ovvero: un decadramma e un
tetradramma di Agrigento, un tetradramma di Camarina, quattro dracme di
Catania, un didramma di Lentini, un tetradramma di Morgantina, un tetradramma
di Naxos. Della serie siracusana sono assenti quattro decadrammi tipo
Euainetos, uno dei quali firmato, un tetradramma con firma EYKLEIDAS, uno con
firma FRIGHILLIOS, un hemidramma con firma KIMON, una rara moneta d’oro con al
diritto testa a sinistra ed al rovescio un cavallo a destra, due tetradramma
del cosiddetto tipo Demareteion, un didramma ed almeno trentotto tetradrammi in
stile arcaico e classico. Dalla serie messinese manca la celebre moneta recante
al diritto la testa della Ninfa Pelora volta a sinistra ed al rovescio un
cavallo sfrenato a destra.
Il
Soprintendente non invierà mai questa lista di pezzi, alcuni dei quali di
straordinaria rarità e bellezza, alle competenti Autorità per gli accertamenti
del caso. La sua latitanza è aggravata dal fatto che egli ben sapeva che la
collezione era ancora tutelabile alla data del 2 ottobre 1964, quando scriveva
in via riservata all’amico Agresti, funzionario presso la Direzione Generale
del Ministero della P.I. “a seguito della denuncia anonima… è stata compiuta
una visita in forma amichevole e si è constatato che nel complesso la
collezione non è stata ancora smembrata”. È lecito supporre che
per constatarne l’integrità il Bernabò Brea doveva possedere o quantomeno avere
accesso ad un elenco generale, a noi ignoto, antecedente a quello compilato nel
1965 dalla Currò (3). Tuttavia, egli negò sempre, sin dagli anni
Quaranta, la presenza di un elenco risalente alle indagini condotte dall’Orsi.
E su questa assenza basò la sua tesi di invalidità della notifica del 1948.
Quando
nel 1984 la Regione Siciliana acquisterà parte della collezione, circa 1600
monete, fra le più importanti e costose di queste vi avrebbero potuto figurare
almeno ventotto falsi effettuati con la tecnica della pressofusione.
Premetto
che questa tecnica di contraffazione, oggi affiancata da altre ben più
temibili, sin dagli anni Cinquanta e soprattutto negli anni Sessanta ebbe un
effetto disastroso nel mercato numismatico internazionale, nel quale furono
immesse quantità di esemplari rari. Esasperati dagli ingenti danni subiti dai
falsari, soprattutto da quelli siciliani, eminenti studiosi, antiquari e
collezionisti fondarono una associazione ed una rivista ove in quasi ogni
numero sono stati segnalati nuovi falsi dalla Sicilia. Torneremo sull’argomento
con un ampio servizio, essendo la direttrice della rivista l’assistente del
famoso numismatico e collezionista di antichità classiche Leo Mildenberg,
segnalato in uno scritto del Bernabò Brea quale interessato alla collezione Pennisi.
Ho
impiegato molti anni nel tentativo di scoprire se e quando venne effettuata la
sostituzione. Vi erano più possibilità: all’epoca della denuncia anonima,
ovvero negli anni Sessanta o negli anni seguenti, o in entrambi i periodi. Per
puro istinto supponevo che la denuncia anonima fosse l’astuto espediente di una
mente finissima che aveva voluto datare le presunte sostituzioni ad anni
successivi al 1965, scaricando sul Cirino ogni sospetto.
Come
al solito le buone informazioni arrivano inaspettate: nell’ottobre 1998 a
Zurigo veniva battuta all’asta la famosa collezione Moretti.
Il
facoltoso collezionista milanese Moretti, scomparso alcuni anni orsono, aveva
una forte passione per le monete greco-siceliote. Conosceva molto bene il
monetiere Pennisi di Floristella e si adoperò per acquistarne i pezzi migliori
mancanti nella sua raccolta. Oltre agli esemplari rari di altre serie
siciliane, era particolarmente interessato ai tetradrammi siracusani. Le sue
richieste furono dapprima insistenti per gli esemplari che non figuravano
nell’elenco delle 247 monete che il Bernabò Brea aveva probabilmente pattuito
con Orazio Pennisi di destinare tramite acquisto statale al Medagliere del
Museo di Siracusa.
La
nuova versione della tecnica della pressofusione sembrava a quel tempo
spiazzare gli esperti, e si riteneva che nelle collezioni pubbliche e private
molti originali potessero essere impunemente sostituiti da copie.
Agli
inizi del 1964 Moretti manifestò la volontà di acquistare ventotto monete del
gruppo delle “intoccabili” (che tali, in realtà, non erano in quanto esisteva
una notifica dichiarata invalida dal Soprintendente di competenza territoriale,
a differenza di quanto sostenuto dalla presidenza della regione Siciliana).
Liberamente vendute, avrebbero potuto essere sostituite da copie. Quando nel
1965 la funzionaria specializzata Maria Teresa Currò effettuerà la
catalogazione dei pezzi da notificare secondo gli accordi, non sarà
tecnicamente in grado di riconoscere l’eventuale presenza di falsi.
Forse
il Bernabò Brea sospetta che qualcosa non quadra e affianca la Prof.ssa Enrica
Pozzi, alla quale però viene di fatto negato l’accesso in casa
Pennisi. È evidente che i proprietari hanno qualcosa da temere da un
esame condotto da una delle maggiori esperte nazionali. La Pozzi sarà messa in
condizione di esaminare solo le foto, in seguito collaborerà soltanto una
decina di giorni alla stesura dell’elenco recandosi a Siracusa. Inoltre
l’elenco sarà firmato dalla Currò che curiosamente nella relazione non
menzionerà la Pozzi, ma ringrazierà solo la fedele collaboratrice Cassarino
Tranchina, alla quale per circa un ventennio verrà affidato il Medagliere
siracusano, a quel tempo sito nel vecchio Museo Archeologico di Siracusa.
Non
sappiamo se il Bernabò Brea si fosse infine convinto della veridicità della
sospettata sostituzione, tuttavia è forse indicativo che negli anni seguenti
non insisterà nella notifica e nell’acquisto del gruppo dei pezzi pattuiti.
L’acquisto da parte della regione Siciliana avverrà solo negli anni Ottanta e,
fatto singolare, la collezione non verrà mai esposta al pubblico.
Nel
1998 la raccolta Moretti viene messa all’asta a Zurigo e vi compaiono una
quantità di pezzi appartenenti alla collezione Pennisi. Lo splendido catalogo
ne riproduce le foto, così come avvenuto in altre aste internazionali nel corso
degli anni Ottanta, quali ad esempio negli Stati Uniti.
Un
giovane funzionario della Soprintendenza siracusana aveva sin dagli anni
Cinquanta istituito una sorta di servizio informativo con ottima attività di
routine, stabilendo solidi rapporti con ufficiali delle forze dell’ordine con i
quali intratteneva frequenti scambi d’informazioni, partecipava a sopralluoghi,
perquisizioni e sequestri di reperti archeologici. Simpatico e brillante riuscì
a infiltrarsi nell’ambiente dei collezionisti ove da tempo contava numerosi
amici, raccogliendo informazioni sulle novità del locale mercato clandestino e
sulle attività di antiquari siciliani o che da altre aree europee si recavano
in Sicilia. Ebbe un ruolo di primo piano quale informatore degli avvenimenti
pertinenti anche la collezione Pennisi.
Non
poche volte il Soprintendente si trovò a disagio per quell’attività che
considerava proficua, viscida e fondamentalmente maniacale. Agli inizi degli
anni Ottanta il personaggio era divenuto una scomoda arma a doppio taglio, ed
al nuovo Soprintendente piaceva poco anche se l’attività informativa si
rivelava sempre molto utile, interessandosi anche delle molteplici attività del
personale della Soprintendenza. In seguito i rapporti migliorarono divenendo
“fraterni”. Come accade a quasi tutti coloro che conducono per troppo tempo una
doppia vita, nel mezzo degli anni Ottanta il tipo si ritrovò molto cambiato.
Non è ben chiaro il motivo per il quale entrò a fare parte di una delle logge
massoniche siracusane, ma è lecito chiedersi se abbia continuato ottimamente
confuso a coltivare la propria vocazione, affatto utile allo Stato né alla
maggior parte dei suoi degni confratelli, né negli eventuali casi di
convergenza utilitaristica o di perversa identificazione delle due entità.
Oggigiorno,
nelle Soprintendenze siciliane vi sono elementi di riferimento che
si prestano a simili attività. La nuova leva, quella dei quarantenni, è ben
lungi dal possedere la classe e l’esperienza del personaggio sopra menzionato.
Tuttavia, poeticamente potremmo dire che in un vecchio disastrato campo
di gladioli ne sono sbocciati di nuovi.
Ritornando
al tema, nessuno si è mai seriamente posto il problema delle vie attraverso le
quali venne alienata la cospicua sezione di monete romane e bizantine, forse
perché offuscata da quella greco-siceliota. Secondo quanto riferito in una
lettera informativa riservata inviata dal Bernabò Brea al Ministero della P.I.
dalle notizie in suo possesso la collezione era stata divisa tra più eredi e
che “… Ad altro erede sarebbe invece toccata la parte romana che invece
sarebbe stata venduta al genero del notissimo trafficante catanese Comm.
Vincenzo Pappalardo”.
Sappiamo
che il Bernabò Brea aveva una profonda avversione per il Pappalardo, direi un
disprezzo generalizzato verso coloro che erano dediti al commercio di
antichità, ovvero di quegli oggetti che nella maggior parte dei casi gli
studiosi tendono a enfatizzarne l’importanza per pura deviazione professionale.
Si tratta di una mentalità generalmente osservabile negli archeologi impiegati
nelle Soprintendenze italiane. Se nella fattispecie il Bernabò Brea
probabilmente aveva anche fondate motivazioni, tuttavia l’informazione inviata
al proprio Ministero non sembra corretta, in quanto la più consistente ed
importante parte di tale sezione sarebbe stata venduta a noti mediatori del
Continente.
Si
trattava della parte della raccolta che, a detta dell’Orsi nel necrologio al
Barone Salvatore Pennisi pronunziato nel 1932, comprendeva monete “consolari
e imperiali, nei tre metalli; in continuazione di essa viene quella Bizantina
pure in oro, argento e rame, e molto ricca”.
Per
qualcuno gli anni Ottanta in Sicilia possono essere con molta nostalgia
ricordati come l’Età dell’Oro della mitologia classica. Ingenti masse di denaro
pubblico venivano investiti dai pubblici amministratori in operazioni le più
disparate. Basta dare un’occhiata alle edizioni della Gazzetta Ufficiale della
Regione Siciliana, ovvero agli appositi supplementi dedicati alle spese.
Tra
le tante generose elargizioni è da annoverare quella effettuata per l’acquisto
di parte della collezione numismatica Pennisi di Floristella. I personaggi
chiave sono un aristocratico in difficoltà economiche, in intraprendente
giovane collezionista, un direttore generale di un assessorato regionale, un
soprintendente di sperimentata affidabilità al sistema e un
cattedratico di numismatica.
Negli
anni Ottanta e nei primi Novanta, ogni collezionista siciliano di qualsivoglia
materiale sperava in cuor suo ed aveva ottime possibilità di poter vendere la
propria raccolta alla regione, ottenendo un bel gruzzolo pur detraendo le spese
per ringraziare quanti avessero reso possibile l’operazione. Bastava un
referente politico, un garante o mediatore, e l’iter burocratico scorreva
facile dalla proposta di vendita all’espertizzo e quindi alla delibera
d’acquisto.
Tuttavia,
per le spese superiori a trecento milioni di lire occorreva una delibera
dell’Assemblea Regionale Siciliana ed una apposita voce nel Bilancio della
regione. Una volta approvata la delibera, l’A.R.S. autorizzava il richiedente
Assessore Regionale ai BB.CC.AA. e P.I. a procedere all’espletamento delle
pratiche d’acquisto. Vi era anche l’ostacolo posto dalla legge n.80 del 1977,
ove si stabiliva la procedura secondo la quale i decreti assessoriali in
materia di BB.CC.AA. dovevano essere presentati alla Corte dei Conti per la
registrazione, ovvero sottoposti al giudizio di merito e di legittimità. Ma si
tratta di una prassi burocratica scavalcata da un decreto legge emesso
dall’A.R.S. proprio nel 1986.
Alla
metà degli anni Ottanta si verificò una contingenza favorevole ad Orazio
Pennisi. Presidente della Regione Siciliana era divenuto il cugino della
moglie, il potente democristiano Rino Nicolosi. Questi aveva un buon rapporto
con il Direttore Generale dell’Assessorato ai Beni Culturali ed Ambientali
Alberto Bombace, e quindi con il di questi fedelissimo Soprintendente ai
BB.CC.AA. per la Sicilia Orientale e Direttore del Museo Archeologico di
Siracusa, Giuseppe Voza, e con l’Assessore Regionale ai BB.CC.AA. il siracusano
Brancati che ben s’intendeva con il Soprintendente.
Enfatizzando
si potrebbe dire che l’ambiente era caratterizzato da rapporti di obbediente
fratellanza. Vi era anche l’interesse di un amico dei Pennisi, il barone
Vincenzo Cammarata intraprendente giovane ennese.
Collezionista
di reperti archeologici per tradizione familiare, sin da ragazzino pupillo del
commerciante catanese Vincenzo Pappalardo, nonostante la giovane età il
Cammarata era già da tempo considerato uno dei massimi esperti internazionali
di numismatica siceliota. Da un decennio dedito all’acquisto dei resti delle
grandi collezioni siciliane di fine Ottocento ed aveva messo gli occhi anche
sulla Pennisi. Dotato di grandi capacità di mediazione, si inserì nella
operazione di compravendita essendo anch’egli in ottimi rapporti con i
funzionari sopra citati.
Dei
reperti rimasti in mano ad Orazio Pennisi, egli era interessato ai pezzi non
catalogati dei quali aveva già acquistato diversi lotti nel corso degli anni
Settanta, un totale di circa diecimila pezzi che non verrà disperso e che
resterà sin oggi in Sicilia.
Si
deve presumere che conosca molto bene la collezione Pennisi ed è impossibile
che, se presenti, non abbia scoperto anche la presenza dei falsi nel gruppo dei
pezzi ai quali il Bernabò Brea desiderava limitare il nuovo vincolo di
notifica. Conclude un accordo, scrive a Giuseppe Voza in quanto responsabile
del medagliere del Museo Archeologico di Siracusa, sollecitando l’acquisto
della collezione Pennisi. Nella lettera non si fa menzione della presenza di
falsi.
La
stima del valore del lotto di monete che come pattuito dovrà essere acquistato
dalla Regione Siciliana, i circa 1600 pezzi già catalogati, viene affidato ad
un corregionale del Voza, il Prof. Attilio Stazio dell’Istituto di Numismatica
dell’Università di Napoli che da molti anni collaborava con la Soprintendenza
siracusana (già nel 1967 aveva ricevuto l’incarico di redigere il catalogo
della collezione Gagliardi).
Lo
Stazio, in breve, anch’egli non ne contesterà l’autenticità, ma perizierà un
valore per lire 4.145.000.000. L’intero Consiglio Regionale dei Beni Culturali
ebbe nulla da ridire sulla perizia miliardaria, mentre la Corte dei Conti venne
praticamente tagliata fuori in quanto, come più sopra accennato, proprio nel
1986 una legge regionale stabiliva che i decreti assessoriali possono essere
registrati direttamente presso la ragioneria centrale del competente
assessorato, la quale entro un certo periodo di tempo ha obbligo di
trasmetterli a consuntivo alla Corte dei Conti.
Eppure
una tale valutazione avrebbe dovuto quanto meno dare luogo alla richiesta di un
secondo parere che, anziché ancora una volta pagato profumatamente ad un
esperto nazionale, avrebbe potuto essere richiesto gratuitamente alle maggiori
case d’asta operanti a livello internazionale (la valutazione è ancor oggi
effettuabile richiedendo anche una stima di valore alla data 1984 ed un parere
sulla autenticità tramite semplicissima trasmissione di foto).
L’acquisto
venne effettuato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana
del 10.09.1988 n.39, ove scorrendo il lungo elenco delle somme elargite e qui
sommariamente rendicontate dall’Assessorato Regionale ai BB.CC.AA. e P.I., le
cifre a nove zeri evidenziano la presenza di due importanti voci relative
all’acquisto di reperti d’interesse numismatico ed archeologico, entrambe
oggetto del Decreto Assessoriale 4636 del 31.12.1986.
La
prima è pertinente alla somma di lire 4.145.000.000 pagata dalla regione per
l’acquisto dei relitti della collezione Pennisi. La seconda, è relativa ad una
statua di guerriero in bronzo di età greca arcaica di proprietà di un avvocato
catanese, valutata ben 2.500.000.000 e poi risultata falsa grazie ad un parere
espresso a Roma dall’autorevole Istituto Centrale di Restauro. Chi effettuò la
valutazione di quest’ultima per conto dell’Assessorato Regionale? Possibile che
il Soprintendente di competenza territoriale, Giuseppe Voza, non si accorse di
trasmettere al proprio Assessorato la pratica di acquisto di un reperto
falso? (4).
Parlandone
assieme ad altri studiosi, ho cercato di comprendere le ragioni per le quali a
quel lotto di monete venne attribuito un valore così lontano dai prezzi di
mercato, pur considerando anche un presunto interesse storico, rappresentato
dall’insieme. In primo luogo vi fu un errore di valutazione, in quanto come
paragone furono presi pezzi, pubblicati su cataloghi d’asta, di qualità
superiore a quelli presenti nei relitti della collezione Pennisi. Com’è noto,
la differenza di qualità comporta una notevole differenza nel valore di
mercato.
La
sopravvalutazione riguarda anche il punto di vista storico-collezionistico.
Difatti, in campo numismatico il valore aggiunto può essere motivato solo dalle
indicazioni circa la storia di ogni singolo pezzo, contenente cioè le modalità
di ritrovamento e di provenienza, che solo il collezionista può fornire. In
breve, morto questi, l’insieme perde gran parte dell’interesse storico se non
supportato da una solida documentazione. Mancando questa, non vi è alcuna
differenza con gli anonimi insiemi periodicamente in vendita presso qualsiasi
casa d’aste specializzata in numismatica.
D'altronde,
ai diecimila pezzi non schedati, con infelice termine tecnico-scientifico
definiti di “seconda scelta”, acquistati da Enzo Cammarata al prezzo di
mercato, non venne aggiunto alcun presunto valore storico-collezionistico in
base al quale il Cammarata avrebbe dovuto sborsare almeno due miliardi anziché
un centinaio di milioni di lire…
Inoltre,
considerando valida la notifica sull’intera collezione già emessa nel dicembre
1948, non solo lo Stato avrebbe avuto la possibilità di far valere i propri
diritti di prelazione sulla parte acquistata dal Cammarata, ma avrebbe dovuto
intervenire anche sulle monete espressamente dichiarate appartenenti alla
collezione Pennisi, in quegli anni battute all’asta in Svizzera e negli Stati
Uniti.
A
quel tempo nessuno ritenne opportuno, dati alla mano, di informare di questi
fatti la Procura presso la Corte dei Conti, eppure la vicenda era ben nota agli
Istituti di Numismatica delle tre Università siciliane (Palermo, Catania e
Messina). È un silenzio davvero eloquente.
A
Palermo non intervenne la prof.ssa Cutroni Tusa, moglie del Soprintendente alle
Antichità prof. Vincenzo Tusa (indicato dal quotidiano La Repubblica tra
i nomi di spicco della massonica Loggia P2 in Sicilia), madre di Sebastiano che
a quel tempo era ancora di una sistemazione che a breve arrivò nell’organico
dirigenziale regionale, nonché anch’essa parente dell’onorevole Nicolosi,
cugino dei Pennisi…
A
Catania non intervenne il docente e collezionista Giacomo Manganaro, che ben
conosceva la collezione Pennisi. Nessuno si attivò a Messina, a quel tempo così
ricca di collezionisti di monete greco-siceliote, romane e
bizantine, quali ad esempio il Magnifico Rettore Pugliatti e il di lui nipote
prof. Giacomo Scibona dell’Istituto di Archeologia, al quale in anni recenti è
stato dedicato l’Antiquarium di Alesa (5). Altra interessante
vicenda quella della collezione numismatica Pugliatti…
Nel
tipico ambiente siciliano tutti sapevano e nessuno parlò: la solidarietà è
stata ed è a tutt’oggi la vera forza della Nomenklatura regionale.
Non a caso rappresenta un requisito essenziale richiesto ai membri delle
obbedienze massoniche.
La dura reazione del Sistema di Potere siciliano innanzi
ai tentativi e infine alla pubblicazione della seconda parte della vicenda
Nella
prima parte della ripubblicazione, accompagnata da aggiornamenti e
considerazioni sui retroscena delle vicende inerenti alla dispersione della
collezione numismatica Pennisi di Floristella, avevo accennato al fatto che
l’amico Bruno Ragonese, direttore di Grifone, la
rivista bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, soltanto nel giugno del 2000
aveva finalmente avuto il benestare del Presidente dell’Ente per pubblicare la
seconda parte del mio articolo, ovvero oltre un anno dopo la morte dell’ex
soprintendente Luigi Bernabò Brea.
Era
accaduto che il Presidente dell’E.F.S., Prof. Marcello La Greca, resosi conto
del controverso comportamento tenuto dall’ex soprintendente nella disposizione
delle attività di catalogazione e di tutela della collezione numismatica, non
aveva ritenuto opportuno pubblicarla per motivi personali. Difatti, come
candidamente mi specificò egli stesso, era stato debitore nei confronti del
Bernabò Brea (che ben conosceva sin dagli anni 1950) di una “grande cortesia”,
in seguito restituitagli nella sede dell’Accademia dei Lincei della quale
fecero parte. Allego in nota alcuni chiarimenti al fine di mettere in luce i
meccanismi alla base delle assunzioni nelle Soprintendenze e nelle Università
italiane già in corso alla fine degli anni 1960 (6).
Sino
alla metà del 2000 non avevo ancora avuto alcuna certezza di quando sarebbe
stata pubblicata la seconda parte, essendo stata rinviata di bimestre in
bimestre per oltre un anno. Ma nel corso di un incontro a Roma con Sebastiano
Tusa (7) a quel tempo anch’egli tra i collaboratori esterni
del Generale Conforti, Comandante del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio
Artistico, avemmo uno scambio di informazioni circa recenti aste che
presentavano monete alienate dalla collezione numismatica Pennisi e della presenza
di inquietanti coincidenze nel corso dell’acquisto dei resti della collezione
da parte della Regione Siciliana (8).
Venni
quindi a conoscenza del fatto che già nel novembre 1998 al Comando T.P.C. si
era pensato di contattare il Bernabò Brea per una serie chiarimenti in
relazione all’articolo pubblicato il mese precedente dal settimanale Centonove.
L’interrogatorio fu rinviato sia a causa dell’attesa della pubblicazione della
seconda parte del mio articolo che si riteneva imminente, essendone trapelate
parti pur essendo ancora inedito, e sia per le condizioni di salute
dell’anziano ex soprintendente che però morì circa due mesi dopo, il 4 febbraio
del 1999 (9).
Il
Tusa mi sconsigliò quindi di cercare un’altra rivista all’Estero, onde non
incorrere in “ulteriori gravi ripercussioni professionali”, e di
accettare la decisione del Prof. La Greca di non pubblicare l’articolo (che,
inopportunamente, non aveva ancora rivelato né a me né tantomeno al Direttore
Ragonese) ponendo l’accento sul fatto che ben presto avrebbero tra l’altro
distrutto anche la mia vita privata, specificando “come puntualmente accade a
chi si agita troppo”.
Secondo
“Bastiano”, come lo chiamavano certi suoi amici della Sicilia
Occidentale, avrei dovuto abbandonare definitivamente l’Italia e, nel caso
volessi rendermi davvero utile e apprezzato presso un particolare ufficio di un
Ministero italiano, avrei dovuto sacrificare qualche anno per
recarmi a “aprire una gelateria in Costarica con l’ausilio di fondi speciali”,
lo splendido Paese in cui si erano rifugiati diversi terroristi italiani. Gli
risposi che preferivo occuparmi di dirigenti infedeli presenti nelle
Soprintendenze dello Stato Italiano e la prese molto male, anche per il fatto
riferitomi tempo dopo da un nostro conoscente, che era a venuto a conoscenza
che da diversi mesi stavo raccogliendo informazioni “sul campo” per un mio
articolo dedicato alle inquietanti vicende che avevano coinvolto il padre, già
soprintendente di Palermo e ad altre che coinvolgevano anche lui in quel
dell’Agrigentino e del Trapanese (10).
Mi
recai immediatamente a Noto Antica per parlarne con il direttore del
bimestrale Grifone. Come prevedevo, Bruno Ragonese mantenne la
schiena dritta da idealista vecchio stampo qual’era. Dopo un alterco con il
prof. La Greca, riuscì a pubblicare la seconda parte dell’articolo, d’altronde
già da molti mesi giacente in tipografia pronto per la
stampa.
Anni
dopo, nel tardo 2007, quando ero ormai vicino a raggiungere l’accordo per
consultare (e fotocopiare) alcuni documenti custoditi in un archivio privato
della Sicilia Centrale, fondamentali per comprendere un episodio di corruttela
presente nella vicenda della Collezione Pennisi. Le mie attività di ricerca
vennero compromesse gravemente, e alla fine del 2008 dovetti interrompere ogni
ricerca in progress. Contemporaneamente, fui oggetto di discredito
per un esposto (presentato da una dirigente archeologa della Soprintendenza di
Messina, al centro di indagini svolte dal G.I.C.O. per fatti della
massima gravità...). Farcito di notizie false, sulle quali erano state
costruite ipotesi assurde e gravemente infamanti che furono rigettate dalla
magistratura, riuscì nonostante tutto a causare la mia destituzione da ogni
incarico professionale direttivo avuto negli scavi condotti a Monte Belvedere
di Fiumedinisi dal Dipartimento di Antropologia della University of South
Florida (che, fatto anch’esso incomprensibile, non ha mai ritenuto opportuno di
chiarirmi le motivazioni di tale grave e infamante provvedimento).
Se
avessi intrapreso una serie di cause rispettivamente nei confronti dei
diffamatori e dell’Istituzione statunitense, avrei potuto dimostrare
pubblicamente quanto era accaduto e chi aveva interesse a distruggere la mia
professionalità, ma i costi legali erano per me inaccessibili ammontando a una
stima di non meno di duecentomila euro. Inoltre, per organizzare il gruppo di
archeologi che si erano battuti con me per difendere l’area archeologica di
Monte Belvedere dalle distruzioni operate dal Comune di Fiumedinisi e del
personale dirigente della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di
Messina, nonché organizzare un apposito convegno tenuto nel 2007, e parte dei
due scavi archeologici eseguiti nel 2008 avevo dato fondo alle mie risorse: il
solo fatturato ammontava a 72.000 euro.
Scontrarsi
con quelle lobbies che controllano lo sfruttamento in ogni
loro aspetto dei fiumi di denaro pubblico, il sistema politico-clientelare
pertinenti al settore dei beni culturali siciliani, è estremamente pericoloso,
e tutto sommato la distruzione della reputazione e le perdite di denaro per me
devastanti sono nulla nei confronti di chi ha pagato con la vita. Il giudice
Paolo Giorgio Ferri aveva ben chiaro un termine con i quali me li descrisse a
titolo informale: “mostri”, intendendo organizzazioni di grande potenza
economica, caratterizzate da connessioni ampie, stabili e complesse, e capacità
operative a lungo raggio. Secondo il Ferri, chiunque fosse
stato così folle da scontrarsi con queste realtà era inevitabilmente destinato
a gravi punizioni in proporzione e simboliche dell’affronto arrecatogli.
Dopo
anni di preparazione ero giunto al periodo maggiormente produttivo, anche se
molto impegnativo da gestire, grazie alla fiducia accordatami nel 2004 dal
giudice Ferri, su segnalazione di un investigatore del Gruppo Operativo TPC che
lo assisteva nelle indagini internazionali. Il giudice fece in modo che fossi
presentato e iniziassi a collaborare con un’importante unità di polizia di un
altro Stato europeo. In Sicilia mi trovavo ormai esposto a pericoli molto alti.
Alla
fine del 2006, a Londra, due importanti fonti informative dei servizi inglesi
avvertivano della presenza del mio nominativo tra “i primi posti della hit
parade” della mafia siciliana (11). La decisione sarebbe stata
resa urgente dopo le inopportune dichiarazioni rilasciate quell’anno da un
graduato delle forze dell’ordine italiane nel corso di un processo a un
mercante internazionale, a quel tempo sospettato di rapporti con l’organizzazione
mafiosa: notizie della mia attività erano state rese pubbliche (12).
Dopo
un decennio di raccolta di informazioni e osservazioni sul campo, fui messo in
condizione di dovere progressivamente troncare tutte le mie attività
professionali non solo in Sicilia, ma anche a livello internazionale avendo
avuto gravi problemi anche in Inghilterra e in Olanda.
In
seguito alla lettura di alcuni documenti presenti nel dossier “Collezione
numismatica Pennisi di Floristella” mi ero profondamente convinto che nella
vicenda dell’acquisto, avvenuto nel 1988, dei resti della collezione da parte
della Regione Siciliana, vi erano numerose zone d’ombra relative a intrecci
affaristici coinvolgenti livelli di potere che ancora oggi non sono mai stati
oggetto di un approfondito interesse criminologico. La tempistica delle
macchinazioni operate per creare il discredito e la delegittimazione, coincide
con le prime intuizioni che ero ormai giunto a investigare sino alla soglia del
potere Deep State siciliano e di aver qui percepito la presenza di quello
internazionale, avendo altresì mostrato capacità operative sul campo non solo
localizzando i resti del pericoloso archivio che conteneva il Dossier Pennisi
di Floristella, ma soprattutto per avere compreso l’esistenza di un potere
volutamente ignorato dai media e da gran parte degli organi inquirenti dello
Stato, e reso ignoto alla popolazione comune.
Oggi
posso affermare che l’ombra di questo Potere è quantomeno onnipresente in tutte
le vicende di devastazioni di beni culturali di cui mi sono occupato, tra i
quali desidero ricordare quella della costruzione della galleria e della tratta
ferroviaria nell’area in contrada Fusco di Siracusa nella Sicilia Orientale, e
ad alcune relative alla Sicilia Occidentale rimaste inedite, quale ad esempio
il caso Kepha Onlus - CAM Selinunte (13). Altre notizie
erano forse giunte a infastidire alcuni “circoli” borderline del potentato
siciliano, in parte coincidente il Deep State regionale, vicende nelle quali mi
imbattei casualmente, di gravità altra rispetto a quelle del
filone “beni culturali” e quindi lontane dai miei sforzi in difesa del
patrimonio archeologico siciliano. Ne avevo accennato vagamente nel romanzo “L’indagine
orfica” (14).
Desidero
infine ricordare che dopo la pubblicazione della vicenda, l’abitazione e le
proprietà terriere di Bruno Ragonese, alle quali era molto legato e che aveva
messo a disposizione dell’Ente Fauna Siciliana, furono oggetto di un vasto
incendio doloso che segnò profondamente lo stato di salute del giornalista.
Morì alcuni anni dopo (15).
Note
1) Villari
P., 31 agosto1998, La vera storia della collezione numismatica dei
Baroni Pennisi di Floristella, in Grifone, Bimestrale dell’Ente
Fauna Siciliana, Anno VII, fasc. 4 (34), pp. 5-8.
Villari P., 2 ottobre 1998, Un tesoro all’asta. A Zurigo
si batte la collezione Moretti. Sotto il martello monete pregiate della storia
di Sicilia appartenute alla raccolta Pennisi Floristella di Acireale, in Centonove,
pp. 29-31.
Villari P., 30 Giugno 2000, La vera storia della
collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella: 2) Quando la Regione
Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire, in Grifone,
Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno IX, fasc. 3 (45), pp. 6-10.
Villari P., 19 dicembre 2022, Fantasmi di
processi mai nati. 2) Il dossier scomparso “Collezione numismatica Pennisi di
Floristella”. Prima parte: il carteggio. In “The Reporter’s Corner”:
https://www.thereporterscorner.com/2022/12/fantasmi-di-processi-mai-nati-2-il.html
2) Una risposta inquietante sulle effettive capacità e
volontà di quel vertice investigativo. In pratica, il Comando Carabinieri
distaccato presso il Ministero P.I., non essendo stato in grado di raccogliere
prove testimoniali, preferì limitarsi a raccogliere e dare pieno credito alle
testimonianze degli stessi accusati, senza adoperarsi per richiedere alle
Autorità di competenza quegli espertizzi e analisi di laboratorio che avrebbero
potuto stabilire se vera o falsa la notizia della sostituzione delle monete
originali con dei falsi!...
3) la quale “esperta”, nel febbraio 1965, stilando pur
sommariamente l’elenco delle monete mancanti, dimostra di avere anch’essa
consultato l’elenco stilato nel 1931 dall’ex soprintendente Paolo Orsi a
fondamento del provvedimento di notifica della collezione, ovvero un vincolo
corredato di un dettagliata descrizione delle monete e relative foto. Ciò
contrasta con quanto dichiarato dal Bernabò Brea anni nel novembre 1948 in una
missiva, in risposta ad una precisa richiesta della Direzione Generale delle Antichità
e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione, dove afferma che il
suddetto elenco era introvabile nell’archivio della soprintendenza e molti anni
dopo aveva ribadito il concetto usando il termine “inesistente”. Tuttavia, il
22 dicembre 1948 tuttavia, il Ministero che evidentemente possedeva notizie
opposte, aveva emanato il vincolo della collezione. Da questa data inizia un
braccio di ferro pluridecennale tra potere centrale ministeriale e potere
periferico costituito dalla soprintendenza siracusana che di fatto sembra
proteggere gli interessi dei baroni Pennisi di Floristella sostenuti da poteri
politici e imprenditoriali di elevato livello non solo regionale, una diatriba
burocratica nella quale si inserirà in seguito la Regione Siciliana. Si tratta
di una delle purtroppo numerose pagine tristissime della storia delle
soprintendenze siciliane dall’avvento della Repubblica Italiana.
4) Villari
P., 31 ottobre 1998, Saldi archeologici: il guerriero di bronzo, in “Grifone”,
Rivista bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, anno VII, n.5 (35), p. 12;
Villari P., 27 settembre 2020, Fantasmi di processi mai
nati: 1) “Saldi archeologici. Il guerriero di bronzo”, The Reporter’s
Corner.
https://www.thereporterscorner/2020/09/fantasmi-di-processi-mai-nati-saldi.html
5) L’archeologo Giacomo
Scibona dell’Università di Messina, fu anche al centro di una vicenda rimasta
non sufficientemente chiarita riguardo a una vendita di numerose monete antiche
siciliane, effettuata dal figlio minorenne sottraendole dalla collezione
paterna e cedute a un antiquario messinese. Si attivò la magistratura e fu
possibile recuperare parte della refurtiva. L’intera indagine e i suoi esiti
furono caratterizzati dal silenzio della Stampa e delle emittenti
radio-televisive.
6) Il
prof. La Greca mi confermò la confidenza, espressagli con toni di amarezza
dall’ex Soprintendente Bernabò Brea, che si trattò di una raccomandazione
ricevuta dal potente Prof. Bacci, biologo dell’Università di Torino. Questi
tentava di sistemare la figlia Maria Giovanna, e il suo compagno Umberto Spigo,
assegnandoli entrambi presso la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia
Orientale (dov’era già presente un’altra archeologa torinese, Paola Pelagatti),
a quel tempo carente di personale. Il Bernabò Brea non si oppose alla
richiesta, comunicando parere favorevole alla direzione generale del Ministero.
Una decisione della quale sin dagli anni 1980 l’ex soprintendente, come ebbe
più volte occasione di ripetermi, aveva avuto modo di pentirsi profondamente.
Madaleine Cavalier, compagna del Bernabò Brea, nel privato si limitava spesso
ad apostrofarli con ferocia tutta femminile quali “Spighetto
& Baccetto” (ovvero con due nomignoli maschili) accompagnando il
secondo soprannome con uno dei suoi terribili sorrisetti di contorno. Madeleine
cambiò però radicalmente atteggiamento quando, negli anni 1990, questi
divennero rispettivamente Direttore e Soprintendente della Soprintendenza di
Messina, il cui territorio di competenza comprendeva anche le Isole Eolie.
7) conosciuto
nel 1976 per avere entrambi partecipato agli scavi preistorici svolti nella
Grotta dell’Uzzo dall’Istituto di Paleontologia Umana di Roma, del quale era a
quel tempo direttore il compianto Prof. Aldo Segre, mio formidabile mentore di
tecniche dello scavo e del rilevamento stratigrafico in siti preistorici
preceramici. Fu in quella sede che appresi i rudimenti dell’archeozoologia
assistendo negli studi osteozoologici e malacologici uno dei maggiori esperti
italiani, Pier Francesco Cassoli già allievo di Luigi Cardini.
8) notizie
in Villari P., 27 settembre 2020, Fantasmi di processi mai nati: 1) “Saldi
archeologici. Il guerriero di bronzo, op. cit. in nota 4.
9) non
ebbi occasione di approfondire le circostanze dell’evento, sia richiedendo un
incontro al medico che aveva redatto il certificato di morte, e sia esaminando
il referto nel quale erano riportate le osservazioni in base alle quali erano
state dedotte le cause. Forse uno dei tanti fili che ho lasciati sciolti, a
margine della stesura della narrazione principale.
10) Villari
P., 19 Giugno 2020, La Tecnocrazia e il Sistema di Potere
siciliano... Parte II: nel nome del padre, del figlio e della Stegocrazia, in “The
Reporter’s Corner” (ex thereportersblog.com, 16 Maggio 2019).
https://www.thereporterscorner.com/2020/06/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere_19.html
Villari P., 19 Giugno 2020, La Tecnocrazia e il
Sistema di Potere siciliano... Parte III: la Destra neoliberista e i neo-Ronin
della stegocrazia, in “The Reporter’s Corner” (ex thereportersblog.com, 5
Giugno 2019).
https://www.thereporterscorner.com/2020/06/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere_85.html
11) in
base a quanto affermato in uno dei suoi articoli da Michel van Rijn,
titolare di uno dei primi siti online, in lingua inglese, specializzato nel
settore delle notizie relative al traffico illegale di beni culturali e alle
loro falsificazioni (http://michelvanrijn.nl/artnews/artnws.htl del 6 dicembre 2006). Nell’articolo MvR
segnalava positivamente la pubblicazione di un mio romanzo, ovvero la prima
edizione de “L’Indagine orfica” aggiungendo “…The Author of the book
lives in exile in XXXXXX, he appears in the top three of the Mafia Hit-Parade” come
segnalatogli, scrive, da “a good Sicilian colleague of mine…” al
quale aveva chiesto informazioni sulle mie attività “The book relates
to the mercurial ways of Sicilian life in the archaeological fast line…”. Mi
colpì molto il fatto che il contenuto del romanzo era già pervenuto a
chi di dovere molti mesi prima di essere pubblicato…
Ex trafficante internazionale di massimo livello di
pericolosità, “MvR” era in seguito passato a prestare la sua collaborazione con
gli apparati investigativi di mezzo mondo. Ebbi modo di incontrarlo alcune
volte, accompagnato da un suo mediatore locale, per chiedergli informazioni sul
traffico di reperti archeologici dalla Sicilia a Londra, e in particolare i
nominativi di personaggi che avrebbero potuto indicarmi le provenienze dei
reperti da ambienti delle soprintendenze o degli istituti universitari.
Una di quelle poche volte (tra il tardo 2005 e i primi
mesi del 2006), fui addirittura convocato attorno alla mezzanotte da uno dei
suoi mediatori, per assistere in qualità di testimone a un intervista nel suo
ufficio londinese a un’intervista in lingua inlese. Erano subentrati anche per
lui gravi motivi di sicurezza e aveva paura che lo ammazzassero a breve. Mi fu
assicurato che avrei anche potuto intervenire con delle domande e in seguito
eventualmente informare il mio contatto in servizio presso un ufficio romano.
Alcuni mesi addietro mi aveva fatto sapere che era stato informato “dagli
Inglesi” delle mie attività a Roma.
Appena giunto incontrai il giornalista statunitense Ralph
Mammolino, al quale Michel van Rijn aveva concesso un’intervista a pagamento.
Intervenni solo al termine, ponendo ad entrambi alcune domande di mio
interesse, concernenti il traffico Sicilia-Stati Uniti negli anni 1990, in
particolare su evidenze pertinenti al coinvolgimento di accademici e burocrati
siciliani. Difatti, avendo letto i libri e gli articoli pubblicati dal van Rijn
e avendo assistito all’intervista del Mammolino, mi aveva colpito negativamente
il fatto che entrambi evitavano di affrontare il problema
dell’esistenza di un livello superiore di criminalità, di eventuali ruoli di
connessione “interfaccia” svolti da affiliati a potenti lobbies e
a logge massoniche sia americane che europee. Mi sembrava difatti di
fondamentale importanza investigare i ruoli eventualmente avuti da tali
personaggi nell’organizzazione e nella copertura di traffici internazionali di
reperti archeologici di notevole valore.
Sia l’ex top criminal che il top
journalist , preferirono rispondere evasivamente alle domande. Chiesi
allora se personaggi rientranti in quelle categorie fossero presenti nelle
trascrizioni delle intercettazioni statunitensi, ma ottenni solo il medesimo
risultato, chiarendo seccamente che si trattava di argomenti fuori dai loro
interessi. L’anno seguente Mammolino fu finalista al Premio Pulitzer per “Chasing
Aphrodite” (motivo dell’intervista a MvR) un lavoro di giornalismo
investigativo a mio avviso volutamente incompleto della parte di maggiore
interesse criminologico, quella del coinvolgimento di organizzazioni di ben più
alto livello di potere, dal perenne colletto bianco. I grossi
premi, com’è noto non vanno mai a chi piscia fuori dal vaso predestinato,
rovinando il salotto.
Fu soltanto nel 2015, dopo la pubblicazione dei miei due
volumi sulle riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, problema che già
a quel tempo affliggeva il commercio mondiale delle antiquities e
persino le aste di massimo livello internazionale, che iniziai a constatare
l’avverarsi di un crescendo di situazioni di pericolo per la mia incolumità,
sia in Olanda che in Italia, alle quali di recente è seguito un silenzio
assordante, che ritengo attribuibili a un sistema che non ammette ingerenze,
ben più potente di quello lasciato processare nei tribunali.
12)
In particolare, era stata rivelata parte di quanto avevo scoperto circa curiose
coincidenze e dati fattuali pertinenti a uno dei maggiori tecnocrati della
Regione Siciliana (un archeologo, anni dopo deceduto in un incidente aereo).
Questi era in quegli anni, assieme ad alcuni altri nominativi, al centro delle
mie ricerche sulle attività di una particolare rete di potere e il cosiddetto
“fuoco amico”, quello che colpisce alle spalle, giunse perfettamente in tempo a
vanificare l’imminente completamento del report.
13) dossier
inedito. Di quanto scoperto avevo avvertito il mio contatto all’interno del
Comando TPC già anni prima dalla deflagrazione dello scandalo Kepha che scosse
il Vaticano nel corso di un feroce scontro tra due fazioni al vertice di quello
Stato. La vicenda, pur avendo pesanti conseguenze anche a livello regionale
siciliano che avrebbero potuto essere evitate per tempo, cadde ben presto nel
dimenticatoio mediatico e delle conclusioni del processo non si seppe nulla. Le
attività della Kepha in Sicilia non sono mai state approfondite per quanto
coinvolgessero diverse Istituzioni regionali e, a mio avviso, attendono di
essere chiarite anche se alcuni dei personaggi-chiave sono già da tempo
deceduti.
14) Villari
P., 2006, L’Indagine Orfica. Tecniche di sopravvivenza di un oppositore al
“sistema” occulto dell’archeologia siciliana, Terza edizione (2013), Archaeological
Centre ed., Assendelft, pp. 1- 324.
15) particolari
di questo episodio, emblematico della lotta alla criminalità strutturata nelle
pubbliche istituzioni siciliane, saranno forniti in un articolo in corso di
preparazione, dedicato alle devastazioni subite ad opera della soprintendenza
siracusana nell’area di notevole interesse paleontologico e archeologico di
Contrada Fusco di Siracusa.