Fantasmi di processi mai nati. 3) Il dossier scomparso “Collezione numismatica Pennisi di Floristella”. Seconda parte: quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire


di Pietro Villari - 3 gennaio 2023

a distanza di circa ventidue anni, ripubblico la seconda parte di questo articolo, corredandola di ulteriori dati e considerazioni (1).

 

La seconda parte pubblicata nel Giugno 2000

Nella prima parte, edita il 31 agosto 1998, avevo riassunto quanto accaduto dal 1947 al 1970, ed evidenziato il non ortodosso comportamento tenuto dall’allora Soprintendente alla Antichità per la Sicilia Orientale, prof. Luigi Bernabò Brea.

Dopo aver pubblicato l’articolo mi astenni dal contattare il professore al fine di avere ulteriori chiarimenti sul seguito della vicenda, sapevo che si sarebbe chiuso in un silenzio ostile fatta forse eccezione la frase che da oltre vent’anni si divertiva a tirar fuori a ogni nostra sempre più rara conversazione: “Lei ancora non vuole capire. Una ‘quattara’ lanciata contro un muro si rompe in mille pezzi”. Morì pochi mesi dopo.

Il “pensionato d’oro”, come qualcuno lo aveva soprannominato, ai suoi tempi aveva sempre fermamente declinato l’invito a partecipare a spartizioni di torte, da altri divorate più o meno facilmente. Nell’ultimo ventennio, da quando era andato in pensione non aveva potuto fare a meno di presenziare a qualche banchetto in casa di potenti politici messinesi che gli offrivano amicizia, e talvolta di esprimere pareri su certe collezioni. Aveva compreso che non poteva opporsi agli interessi di quanti detenevano il potere dello Stato che rappresentavano.

Ne aveva avuto chiara dimostrazione quella volta che, quando ancora in servizio, aveva tentato di far valere la propria voce con i potenti (il caso dello stabilimento petrolchimico impiantato nel sito di Thapsos) rischiando quantomeno di essere trasferito altrove, anche se poi qualcuno a Roma riuscì in extremis a tirarlo fuori dai guai. Poco aveva potuto negli anni Sessanta e Settanta contro lo scempio operato dalla rampante edilizia nella Sicilia Orientale, città e territori che non amava (così come detestava i Siciliani in genere) preferendo le Isole Eolie nelle quali si rifugiava ogni qualvolta poteva.

Si sentiva ed effettivamente era un uomo isolato, anche dal contesto universitario isolano che mai lo accolse ed anzi ne impedì l’insegnamento fra i suoi ranghi. Aveva anche una malcelata diffidenza, ma anche comprensione, nei confronti di quanti rappresentavano le istituzioni dello Stato in Sicilia, ampiamente ricambiato.

Negli anni Settanta e Ottanta lo frequentai con assiduità nella sua Lipari, sia in qualità di giovane collaboratore alle ricerche preistoriche che poi pubblicammo, sia per le sue originali lezioni private di archeologia preistorica eoliana e sia come amico, essendo stato tra l’altro il mio testimone di nozze. Alle mie giovanili rimostranze circa la progressiva distruzione del patrimonio archeologico e architettonico siciliano si compiaceva di ripetere sorridendo, oltre alla frase sopra riportata, che “Nella reticella della Giustizia ci finiscono solo i moscerini, mai le tigri”.

Affermato studioso, anche se anziano e da tempo in pensione, avrebbe potuto esortare al dovere e all’onestà professionale i colleghi più giovani, denunciare a livello internazionale quanto in quegli anni stava accadendo in Sicilia. Ed invece si accontentò di fare il pensionato d’oro nella casetta all’interno dell’area archeologica del Castello di Lipari, mantenendo il silenzio, coltivando la riverente stima di alcuni politici messinesi arricchitisi in breve tempo. Altri noti studiosi in pensione, ex soprintendenti e cattedratici, in privato avevano ipocritamente dichiarato di avere la bocca chiusa e le mani legate dalla carriera dei figli: ma lui che non ne aveva? Gli bastò una casetta di proprietà regionale e la possibilità di continuare ad effettuare scavi e pubblicazioni nella sua isoletta, assieme all’amante di sempre che poi sposò poco tempo prima di morire.

Oggi direi che nell’accettare questo compromesso fu saggio, in quanto sapeva che avrebbero in qualche modo distrutto la fragile reputazione e rispedito nella sua Liguria, ma proprio per questo merita solo le celebrazioni dei colleghi suoi pari.

Tuttavia, nessuno pensi di poter erigere un mausoleo dedicato alla incorruttibilità di un grande, al riparo del quale impunemente nascondere misfatti propri e collettivi.

Nel caso del comportamento tenuto nella vicenda della importante collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, più che la propria tendenza al voler convivere pacificamente con il potentato siciliano, Bernabò Brea rivela la sua convinzione di scienziato che i reperti collezionati interessino piuttosto gli storici dell’arte anziché gli archeologi, trattandosi di esemplari dei quali generalmente non si conoscono le condizioni stratigrafiche di rinvenimento o persino il sito di provenienza. Riteneva che il collezionismo privato di monete antiche fosse eticamente lecito e per tale ragione non si curava molto di controllarlo. Ciò non per una forma di riconoscimento di una qualche importanza di questo, quanto per una profonda mancanza di interesse nei confronti di materiali non provenienti da scavi archeologici scientificamente eseguiti.

Ne parlammo alla fine degli anni Settanta, nelle sale dedicate ad Ippolito e Corrado Cafici nella vecchia sede del Museo Archeologico di Siracusa, a proposito delle importanti collezioni archeologiche affidategli decenni addietro dai due fratelli e da egli mai catalogate.

In questa seconda parte della ricostruzione della dispersione della collezione Pennisi, ci interesseremo di aspetti poco noti, tra i quali il ruolo avuto da un noto collezionista siciliano, il barone Vincenzo Cammarata, e quello del Prof. Attilio Stazio (deceduto nel 2010), l’esperto che valutò la parte della collezione acquistata negli anni Ottanta dalla Regione Siciliana e ne attestò l’autenticità.

Facciamo un passo indietro. Nell’aprile del 1969 una lettera anonima viene inviata al Bernabò Brea in quanto Soprintendente e per conoscenza al Procuratore della Repubblica ed al Comandante del Nucleo di Polizia Investigativa di Catania. Nella denuncia si afferma che il cav. Orazio Pennisi “sottrae dalla collezione numismatica preziosissime monete greche antiche sostituendole con riproduzioni simili ma false perché fabbricate con calchi. Buona parte delle monete originali è stata venduta al commerciante di Catania Giancarlo Cirino”. La lettera continua dichiarando che il Cirino ha ottenuto in conto vendita le monete dal Pennisi ma che, dopo aver simulato un furto, in realtà le avrebbe vendute in Continente.

Alcuni giorni dopo la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della P.I. scrive alla Segreteria Generale della Regione Siciliana. In linea di massima concorda con quanto da questa espresso nella lettera del 14 gennaio 1969 (una lettera di dura accusa per l’operato del Soprintendente, riportata in Grifone del 31/8/1998 alle pagine 6 e 7), ma attribuisce le difficoltà di catalogazione alla carenza di personale specializzato e difende l’operato del Soprintendente che avrebbe dovuto rimettere “all’esame delle competenti Autorità Giudiziarie le segnalazioni relative a manomissioni” ma ostacolato da “motivi cautelari intesi a mantenere i rapporti con la famiglia Pennisi sul piano di una indispensabile collaborazione”.

Il 30 aprile il Bernabò Brea, resosi conto che non ha altra scelta, invia al Ministero della P.I. una raccomandata in cui dichiara di aver ricevuto la lettera anonima sopra citata e che “in data odierna ho preso contatti a questo proposito con l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania e accompagnato dallo stesso Avv. Distrettuale mi son recato dal Procuratore della Repubblica fornendogli le indicazioni del caso…”.

Il 12 maggio il Soprintendente dichiara per iscritto al Procuratore della Repubblica di Catania la propria disponibilità nei confronti dell’Autorità Giudiziaria. Tra quest’ultima e il Ministero della P.I. inizia una corrispondenza che giunge ad imporre al Soprintendente di completare la schedatura della collezione Pennisi.

Il 23 settembre 1969 l’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Acireale risponde all’Intendente di Finanza di Catania che nella denuncia dei redditi presentata da Agostino Pennisi nel 1948 la collezione di monete non è stata dichiarata. È la prova che la famiglia aveva implicitamente riconosciuto la validità dell’originario vincolo di notifica risalente a quell’anno. Nel frattempo le forze dell’ordine erano state attivate per condurre indagini al fine di appurare l’autenticità di quanto espresso nella lettera anonima dell’aprile di quell’anno. Il 18 dicembre, il Comando Carabinieri presso il Ministero della P.I. scrive alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti che gli accertamenti “hanno evidenziato l’infondatezza del contenuto dell’esposto” in quanto “Pennisi Orazio ha dichiarato di non avere mai venduto o sostituito monete della collezione… né di avere mai avuti rapporti con il Cirino Giancarlo” e quest’ultimo confermava tali dichiarazioni (2).

Circa un anno dopo, in data 21 novembre 1970, il Comando Gruppo Guardia di Finanza comunica che dalle indagini condotte “non sono emersi utili elementi circa eventuali infrazioni nella conservazione della collezione” in quanto “per stabilire se questa è stata tenuta regolarmente sarebbe necessaria una ispezione da parte di codesta SoprintendenzaAlle sollecitazioni mosse al riguardo il Soprintendente risponderà che non possiede personale scientificamente atto all’evenienza e che quindi l’ispezione non è possibile. Il Bernabò Brea omette di incaricare della ispezione il personale della Soprintendenza e gli specialisti che sin dal 1965 e dal 1967 avevano eseguito la prima fase di catalogazione.

Difatti, il 19.2.1965 il Soprintendente aveva richiesto alla Regione Siciliana la “collaborazione specializzata del funzionario regionale” dott.ssa Maria Teresa Pisanò in Currò, che in data 7.5.1969 la Presidenza della Regione Siciliana ribadisce “…non mancherà di fornire ogni volta che si presenterà l’occasione”.

Quale supporto logistico in Siracusa e per le visite alla collezione sita presso l’abitazione dei Pennisi in Acireale, il Bernabò aveva messo a disposizione della Currò la sig.ra Giuseppina Cassarino Tranchina. In qualità di eminente numismatico era stata richiesta al Ministero della P.I. la dott.ssa Enrica Pozzi, Direttrice della sezione numismatica del Museo di Napoli e funzionaria della Soprintendenza alle Antichità per le provincie di Napoli e Caserta. Mentre la Currò, la Tranchina ed il fotografo siracusano Fontana hanno accesso al Medagliere dei Pennisi nell’agosto 1965 eseguendo fotografie di circa 1500 monete siceliote, la Pozzi non avrà mai la possibilità di visionarle direttamente a causa della indisponibilità dei proprietari. Effettuerà solo una breve permanenza in Siracusa dall’11 al 21 maggio del 1967, conducendo un controllo della documentazione fotografica in possesso della Soprintendenza.

Il 21 ottobre del 1969 il Bernabò Brea trasmette al Ministero della P.I. l’elenco compilato dalla Currò relativo alle monete a suo avviso da notificare per una eventuale acquisizione da parte dello Stato, ovvero di soli 247 pezzi greco-sicelioti. È da segnalare che, curiosamente, il Soprintendente dichiara che le foto verranno inviate con plico a parte in data successiva, ma non abbiamo documenti dell’avvenuta spedizione: il Ministero della P.I. venne mai in possesso di tali foto? Ovvero: in quel periodo chi altro ebbe la possibilità di esaminarle e di constatare l’autenticità di quei reperti?

Scorrendo la succinta relazione della funzionaria specializzata, non v’è menzione dei nominativi degli eredi Pennisi, né della consistenza delle sezioni dedicate ai periodi romano e bizantino. Non vi è menzione della eventuale presenza di falsi così come dichiarato nella denuncia anonima datata all’aprile di quell’anno. Tuttavia, nelle poche righe possiamo leggere a qual fine fosse stata svolta quella catalogazione, di fatto l’unica che i Pennisi avevano sin allora accordata e concessa. La Currò riferisce di aver potuto visionare soltanto “la parte della collezione greco-siceliota” e che “da un sommario calcolo eseguito molto rudimentalmente ho potuto constatare che nei cassetti d’esposizione trovano posto all’incirca 1900 monete nei tre metalli, mentre gli esemplari di seconda scelta, di sui ho visto solo qualche pezzo, per la maggior parte in bronzo, pare ammontino a più di 10.000”.

In perfetta sintonia con il Soprintendente che la richiese all’Amministrazione regionale, la Currò relaziona della necessità di restringere il vincolo a sole 247 monete, che il Bernabò Brea riteneva utile al fine di “… evitare di creare ai proprietari un danno rilevante e non strettamente necessario” come si può leggere in un manoscritto di questi. La funzionaria regionale, in contrasto con quanto espresso dalla illuminata Presidenza della regione, conviene che “Il criterio adottato nella scelta è quello di colmare quelle lacune che si riscontrano nel medagliere di Siracusa. Per tale motivo si noterà che sono stati esclusi pezzi, per quanto belli e rari…”.

È palese l’appoggio della Currò all’operazione imposta dal Bernabò Brea, il quale nonostante i richiami giunti persino dalla presidenza della regione, continua a considerare non valido il vincolo emesso nel dicembre 1948, chiedendo l’emissione di un nuovo vincolo limitato a 247 pezzi, sui quali lo Stato avrebbe potuto esercitare il diritto di prelazione in caso di vendita esclusivamente per arricchire il Medagliere siracusano da egli diretto. Con questo comportamento irresponsabile egli esclude la possibilità dello Stato di tutelare e di esercitare diritti di prelazione anche sui rari pezzi di rilevante interesse storico-artistico, ignorando tra l’altro di accertare quello dell’intera raccolta, delle sezioni dedicate ad altri periodi. Atteggiamento altresì irragionevolmente campanilistico, in quanto ignora gli interessi di altri Medaglieri regionali e statali.

La relazione della Currò dedica anche alcune righe alla mancanza di monete (non ne quantifica l’ammontare) “tra le quali spiccano per importanza” ed elenca una cinquantina di monete greco-siceliote, ovvero: un decadramma e un tetradramma di Agrigento, un tetradramma di Camarina, quattro dracme di Catania, un didramma di Lentini, un tetradramma di Morgantina, un tetradramma di Naxos. Della serie siracusana sono assenti quattro decadrammi tipo Euainetos, uno dei quali firmato, un tetradramma con firma EYKLEIDAS, uno con firma FRIGHILLIOS, un hemidramma con firma KIMON, una rara moneta d’oro con al diritto testa a sinistra ed al rovescio un cavallo a destra, due tetradramma del cosiddetto tipo Demareteion, un didramma ed almeno trentotto tetradrammi in stile arcaico e classico. Dalla serie messinese manca la celebre moneta recante al diritto la testa della Ninfa Pelora volta a sinistra ed al rovescio un cavallo sfrenato a destra.

Il Soprintendente non invierà mai questa lista di pezzi, alcuni dei quali di straordinaria rarità e bellezza, alle competenti Autorità per gli accertamenti del caso. La sua latitanza è aggravata dal fatto che egli ben sapeva che la collezione era ancora tutelabile alla data del 2 ottobre 1964, quando scriveva in via riservata all’amico Agresti, funzionario presso la Direzione Generale del Ministero della P.I. “a seguito della denuncia anonima… è stata compiuta una visita in forma amichevole e si è constatato che nel complesso la collezione non è stata ancora smembrata”. È lecito supporre che per constatarne l’integrità il Bernabò Brea doveva possedere o quantomeno avere accesso ad un elenco generale, a noi ignoto, antecedente a quello compilato nel 1965 dalla Currò (3). Tuttavia, egli negò sempre, sin dagli anni Quaranta, la presenza di un elenco risalente alle indagini condotte dall’Orsi. E su questa assenza basò la sua tesi di invalidità della notifica del 1948.

Quando nel 1984 la Regione Siciliana acquisterà parte della collezione, circa 1600 monete, fra le più importanti e costose di queste vi avrebbero potuto figurare almeno ventotto falsi effettuati con la tecnica della pressofusione.

Premetto che questa tecnica di contraffazione, oggi affiancata da altre ben più temibili, sin dagli anni Cinquanta e soprattutto negli anni Sessanta ebbe un effetto disastroso nel mercato numismatico internazionale, nel quale furono immesse quantità di esemplari rari. Esasperati dagli ingenti danni subiti dai falsari, soprattutto da quelli siciliani, eminenti studiosi, antiquari e collezionisti fondarono una associazione ed una rivista ove in quasi ogni numero sono stati segnalati nuovi falsi dalla Sicilia. Torneremo sull’argomento con un ampio servizio, essendo la direttrice della rivista l’assistente del famoso numismatico e collezionista di antichità classiche Leo Mildenberg, segnalato in uno scritto del Bernabò Brea quale interessato alla collezione Pennisi.

Ho impiegato molti anni nel tentativo di scoprire se e quando venne effettuata la sostituzione. Vi erano più possibilità: all’epoca della denuncia anonima, ovvero negli anni Sessanta o negli anni seguenti, o in entrambi i periodi. Per puro istinto supponevo che la denuncia anonima fosse l’astuto espediente di una mente finissima che aveva voluto datare le presunte sostituzioni ad anni successivi al 1965, scaricando sul Cirino ogni sospetto.

Come al solito le buone informazioni arrivano inaspettate: nell’ottobre 1998 a Zurigo veniva battuta all’asta la famosa collezione Moretti.

Il facoltoso collezionista milanese Moretti, scomparso alcuni anni orsono, aveva una forte passione per le monete greco-siceliote. Conosceva molto bene il monetiere Pennisi di Floristella e si adoperò per acquistarne i pezzi migliori mancanti nella sua raccolta. Oltre agli esemplari rari di altre serie siciliane, era particolarmente interessato ai tetradrammi siracusani. Le sue richieste furono dapprima insistenti per gli esemplari che non figuravano nell’elenco delle 247 monete che il Bernabò Brea aveva probabilmente pattuito con Orazio Pennisi di destinare tramite acquisto statale al Medagliere del Museo di Siracusa.

La nuova versione della tecnica della pressofusione sembrava a quel tempo spiazzare gli esperti, e si riteneva che nelle collezioni pubbliche e private molti originali potessero essere impunemente sostituiti da copie.

Agli inizi del 1964 Moretti manifestò la volontà di acquistare ventotto monete del gruppo delle “intoccabili” (che tali, in realtà, non erano in quanto esisteva una notifica dichiarata invalida dal Soprintendente di competenza territoriale, a differenza di quanto sostenuto dalla presidenza della regione Siciliana). Liberamente vendute, avrebbero potuto essere sostituite da copie. Quando nel 1965 la funzionaria specializzata Maria Teresa Currò effettuerà la catalogazione dei pezzi da notificare secondo gli accordi, non sarà tecnicamente in grado di riconoscere l’eventuale presenza di falsi.

Forse il Bernabò Brea sospetta che qualcosa non quadra e affianca la Prof.ssa Enrica Pozzi, alla quale però viene di fatto negato l’accesso in casa Pennisi. È evidente che i proprietari hanno qualcosa da temere da un esame condotto da una delle maggiori esperte nazionali. La Pozzi sarà messa in condizione di esaminare solo le foto, in seguito collaborerà soltanto una decina di giorni alla stesura dell’elenco recandosi a Siracusa. Inoltre l’elenco sarà firmato dalla Currò che curiosamente nella relazione non menzionerà la Pozzi, ma ringrazierà solo la fedele collaboratrice Cassarino Tranchina, alla quale per circa un ventennio verrà affidato il Medagliere siracusano, a quel tempo sito nel vecchio Museo Archeologico di Siracusa.

Non sappiamo se il Bernabò Brea si fosse infine convinto della veridicità della sospettata sostituzione, tuttavia è forse indicativo che negli anni seguenti non insisterà nella notifica e nell’acquisto del gruppo dei pezzi pattuiti. L’acquisto da parte della regione Siciliana avverrà solo negli anni Ottanta e, fatto singolare, la collezione non verrà mai esposta al pubblico.

Nel 1998 la raccolta Moretti viene messa all’asta a Zurigo e vi compaiono una quantità di pezzi appartenenti alla collezione Pennisi. Lo splendido catalogo ne riproduce le foto, così come avvenuto in altre aste internazionali nel corso degli anni Ottanta, quali ad esempio negli Stati Uniti.

Un giovane funzionario della Soprintendenza siracusana aveva sin dagli anni Cinquanta istituito una sorta di servizio informativo con ottima attività di routine, stabilendo solidi rapporti con ufficiali delle forze dell’ordine con i quali intratteneva frequenti scambi d’informazioni, partecipava a sopralluoghi, perquisizioni e sequestri di reperti archeologici. Simpatico e brillante riuscì a infiltrarsi nell’ambiente dei collezionisti ove da tempo contava numerosi amici, raccogliendo informazioni sulle novità del locale mercato clandestino e sulle attività di antiquari siciliani o che da altre aree europee si recavano in Sicilia. Ebbe un ruolo di primo piano quale informatore degli avvenimenti pertinenti anche la collezione Pennisi.

Non poche volte il Soprintendente si trovò a disagio per quell’attività che considerava proficua, viscida e fondamentalmente maniacale. Agli inizi degli anni Ottanta il personaggio era divenuto una scomoda arma a doppio taglio, ed al nuovo Soprintendente piaceva poco anche se l’attività informativa si rivelava sempre molto utile, interessandosi anche delle molteplici attività del personale della Soprintendenza. In seguito i rapporti migliorarono divenendo “fraterni”. Come accade a quasi tutti coloro che conducono per troppo tempo una doppia vita, nel mezzo degli anni Ottanta il tipo si ritrovò molto cambiato. Non è ben chiaro il motivo per il quale entrò a fare parte di una delle logge massoniche siracusane, ma è lecito chiedersi se abbia continuato ottimamente confuso a coltivare la propria vocazione, affatto utile allo Stato né alla maggior parte dei suoi degni confratelli, né negli eventuali casi di convergenza utilitaristica o di perversa identificazione delle due entità.

Oggigiorno, nelle Soprintendenze siciliane vi sono elementi di riferimento che si prestano a simili attività. La nuova leva, quella dei quarantenni, è ben lungi dal possedere la classe e l’esperienza del personaggio sopra menzionato. Tuttavia, poeticamente potremmo dire che in un vecchio disastrato campo di gladioli ne sono sbocciati di nuovi.

Ritornando al tema, nessuno si è mai seriamente posto il problema delle vie attraverso le quali venne alienata la cospicua sezione di monete romane e bizantine, forse perché offuscata da quella greco-siceliota. Secondo quanto riferito in una lettera informativa riservata inviata dal Bernabò Brea al Ministero della P.I. dalle notizie in suo possesso la collezione era stata divisa tra più eredi e che “… Ad altro erede sarebbe invece toccata la parte romana che invece sarebbe stata venduta al genero del notissimo trafficante catanese Comm. Vincenzo Pappalardo”.

Sappiamo che il Bernabò Brea aveva una profonda avversione per il Pappalardo, direi un disprezzo generalizzato verso coloro che erano dediti al commercio di antichità, ovvero di quegli oggetti che nella maggior parte dei casi gli studiosi tendono a enfatizzarne l’importanza per pura deviazione professionale. Si tratta di una mentalità generalmente osservabile negli archeologi impiegati nelle Soprintendenze italiane. Se nella fattispecie il Bernabò Brea probabilmente aveva anche fondate motivazioni, tuttavia l’informazione inviata al proprio Ministero non sembra corretta, in quanto la più consistente ed importante parte di tale sezione sarebbe stata venduta a noti mediatori del Continente.

Si trattava della parte della raccolta che, a detta dell’Orsi nel necrologio al Barone Salvatore Pennisi pronunziato nel 1932, comprendeva monete “consolari e imperiali, nei tre metalli; in continuazione di essa viene quella Bizantina pure in oro, argento e rame, e molto ricca”.

Per qualcuno gli anni Ottanta in Sicilia possono essere con molta nostalgia ricordati come l’Età dell’Oro della mitologia classica. Ingenti masse di denaro pubblico venivano investiti dai pubblici amministratori in operazioni le più disparate. Basta dare un’occhiata alle edizioni della Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana, ovvero agli appositi supplementi dedicati alle spese.

Tra le tante generose elargizioni è da annoverare quella effettuata per l’acquisto di parte della collezione numismatica Pennisi di Floristella. I personaggi chiave sono un aristocratico in difficoltà economiche, in intraprendente giovane collezionista, un direttore generale di un assessorato regionale, un soprintendente di sperimentata affidabilità al sistema e un cattedratico di numismatica.

Negli anni Ottanta e nei primi Novanta, ogni collezionista siciliano di qualsivoglia materiale sperava in cuor suo ed aveva ottime possibilità di poter vendere la propria raccolta alla regione, ottenendo un bel gruzzolo pur detraendo le spese per ringraziare quanti avessero reso possibile l’operazione. Bastava un referente politico, un garante o mediatore, e l’iter burocratico scorreva facile dalla proposta di vendita all’espertizzo e quindi alla delibera d’acquisto.

Tuttavia, per le spese superiori a trecento milioni di lire occorreva una delibera dell’Assemblea Regionale Siciliana ed una apposita voce nel Bilancio della regione. Una volta approvata la delibera, l’A.R.S. autorizzava il richiedente Assessore Regionale ai BB.CC.AA. e P.I. a procedere all’espletamento delle pratiche d’acquisto. Vi era anche l’ostacolo posto dalla legge n.80 del 1977, ove si stabiliva la procedura secondo la quale i decreti assessoriali in materia di BB.CC.AA. dovevano essere presentati alla Corte dei Conti per la registrazione, ovvero sottoposti al giudizio di merito e di legittimità. Ma si tratta di una prassi burocratica scavalcata da un decreto legge emesso dall’A.R.S. proprio nel 1986.

Alla metà degli anni Ottanta si verificò una contingenza favorevole ad Orazio Pennisi. Presidente della Regione Siciliana era divenuto il cugino della moglie, il potente democristiano Rino Nicolosi. Questi aveva un buon rapporto con il Direttore Generale dell’Assessorato ai Beni Culturali ed Ambientali Alberto Bombace, e quindi con il di questi fedelissimo Soprintendente ai BB.CC.AA. per la Sicilia Orientale e Direttore del Museo Archeologico di Siracusa, Giuseppe Voza, e con l’Assessore Regionale ai BB.CC.AA. il siracusano Brancati che ben s’intendeva con il Soprintendente.

Enfatizzando si potrebbe dire che l’ambiente era caratterizzato da rapporti di obbediente fratellanza. Vi era anche l’interesse di un amico dei Pennisi, il barone Vincenzo Cammarata intraprendente giovane ennese. 

Collezionista di reperti archeologici per tradizione familiare, sin da ragazzino pupillo del commerciante catanese Vincenzo Pappalardo, nonostante la giovane età il Cammarata era già da tempo considerato uno dei massimi esperti internazionali di numismatica siceliota. Da un decennio dedito all’acquisto dei resti delle grandi collezioni siciliane di fine Ottocento ed aveva messo gli occhi anche sulla Pennisi. Dotato di grandi capacità di mediazione, si inserì nella operazione di compravendita essendo anch’egli in ottimi rapporti con i funzionari sopra citati.

Dei reperti rimasti in mano ad Orazio Pennisi, egli era interessato ai pezzi non catalogati dei quali aveva già acquistato diversi lotti nel corso degli anni Settanta, un totale di circa diecimila pezzi che non verrà disperso e che resterà sin oggi in Sicilia.

Si deve presumere che conosca molto bene la collezione Pennisi ed è impossibile che, se presenti, non abbia scoperto anche la presenza dei falsi nel gruppo dei pezzi ai quali il Bernabò Brea desiderava limitare il nuovo vincolo di notifica. Conclude un accordo, scrive a Giuseppe Voza in quanto responsabile del medagliere del Museo Archeologico di Siracusa, sollecitando l’acquisto della collezione Pennisi. Nella lettera non si fa menzione della presenza di falsi.

La stima del valore del lotto di monete che come pattuito dovrà essere acquistato dalla Regione Siciliana, i circa 1600 pezzi già catalogati, viene affidato ad un corregionale del Voza, il Prof. Attilio Stazio dell’Istituto di Numismatica dell’Università di Napoli che da molti anni collaborava con la Soprintendenza siracusana (già nel 1967 aveva ricevuto l’incarico di redigere il catalogo della collezione Gagliardi).

Lo Stazio, in breve, anch’egli non ne contesterà l’autenticità, ma perizierà un valore per lire 4.145.000.000. L’intero Consiglio Regionale dei Beni Culturali ebbe nulla da ridire sulla perizia miliardaria, mentre la Corte dei Conti venne praticamente tagliata fuori in quanto, come più sopra accennato, proprio nel 1986 una legge regionale stabiliva che i decreti assessoriali possono essere registrati direttamente presso la ragioneria centrale del competente assessorato, la quale entro un certo periodo di tempo ha obbligo di trasmetterli a consuntivo alla Corte dei Conti.

Eppure una tale valutazione avrebbe dovuto quanto meno dare luogo alla richiesta di un secondo parere che, anziché ancora una volta pagato profumatamente ad un esperto nazionale, avrebbe potuto essere richiesto gratuitamente alle maggiori case d’asta operanti a livello internazionale (la valutazione è ancor oggi effettuabile richiedendo anche una stima di valore alla data 1984 ed un parere sulla autenticità tramite semplicissima trasmissione di foto).

L’acquisto venne effettuato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 10.09.1988 n.39, ove scorrendo il lungo elenco delle somme elargite e qui sommariamente rendicontate dall’Assessorato Regionale ai BB.CC.AA. e P.I., le cifre a nove zeri evidenziano la presenza di due importanti voci relative all’acquisto di reperti d’interesse numismatico ed archeologico, entrambe oggetto del Decreto Assessoriale 4636 del 31.12.1986.

La prima è pertinente alla somma di lire 4.145.000.000 pagata dalla regione per l’acquisto dei relitti della collezione Pennisi. La seconda, è relativa ad una statua di guerriero in bronzo di età greca arcaica di proprietà di un avvocato catanese, valutata ben 2.500.000.000 e poi risultata falsa grazie ad un parere espresso a Roma dall’autorevole Istituto Centrale di Restauro. Chi effettuò la valutazione di quest’ultima per conto dell’Assessorato Regionale? Possibile che il Soprintendente di competenza territoriale, Giuseppe Voza, non si accorse di trasmettere al proprio Assessorato la pratica di acquisto di un reperto falso? (4).

Parlandone assieme ad altri studiosi, ho cercato di comprendere le ragioni per le quali a quel lotto di monete venne attribuito un valore così lontano dai prezzi di mercato, pur considerando anche un presunto interesse storico, rappresentato dall’insieme. In primo luogo vi fu un errore di valutazione, in quanto come paragone furono presi pezzi, pubblicati su cataloghi d’asta, di qualità superiore a quelli presenti nei relitti della collezione Pennisi. Com’è noto, la differenza di qualità comporta una notevole differenza nel valore di mercato.

La sopravvalutazione riguarda anche il punto di vista storico-collezionistico. Difatti, in campo numismatico il valore aggiunto può essere motivato solo dalle indicazioni circa la storia di ogni singolo pezzo, contenente cioè le modalità di ritrovamento e di provenienza, che solo il collezionista può fornire. In breve, morto questi, l’insieme perde gran parte dell’interesse storico se non supportato da una solida documentazione. Mancando questa, non vi è alcuna differenza con gli anonimi insiemi periodicamente in vendita presso qualsiasi casa d’aste specializzata in numismatica.

 D'altronde, ai diecimila pezzi non schedati, con infelice termine tecnico-scientifico definiti di “seconda scelta”, acquistati da Enzo Cammarata al prezzo di mercato, non venne aggiunto alcun presunto valore storico-collezionistico in base al quale il Cammarata avrebbe dovuto sborsare almeno due miliardi anziché un centinaio di milioni di lire…

Inoltre, considerando valida la notifica sull’intera collezione già emessa nel dicembre 1948, non solo lo Stato avrebbe avuto la possibilità di far valere i propri diritti di prelazione sulla parte acquistata dal Cammarata, ma avrebbe dovuto intervenire anche sulle monete espressamente dichiarate appartenenti alla collezione Pennisi, in quegli anni battute all’asta in Svizzera e negli Stati Uniti.

A quel tempo nessuno ritenne opportuno, dati alla mano, di informare di questi fatti la Procura presso la Corte dei Conti, eppure la vicenda era ben nota agli Istituti di Numismatica delle tre Università siciliane (Palermo, Catania e Messina). È un silenzio davvero eloquente.

A Palermo non intervenne la prof.ssa Cutroni Tusa, moglie del Soprintendente alle Antichità prof. Vincenzo Tusa (indicato dal quotidiano La Repubblica tra i nomi di spicco della massonica Loggia P2 in Sicilia), madre di Sebastiano che a quel tempo era ancora di una sistemazione che a breve arrivò nell’organico dirigenziale regionale, nonché anch’essa parente dell’onorevole Nicolosi, cugino dei Pennisi…

A Catania non intervenne il docente e collezionista Giacomo Manganaro, che ben conosceva la collezione Pennisi. Nessuno si attivò a Messina, a quel tempo così ricca di collezionisti di  monete greco-siceliote, romane e bizantine, quali ad esempio il Magnifico Rettore Pugliatti e il di lui nipote prof. Giacomo Scibona dell’Istituto di Archeologia, al quale in anni recenti è stato dedicato l’Antiquarium di Alesa (5). Altra interessante vicenda quella della collezione numismatica Pugliatti…

Nel tipico ambiente siciliano tutti sapevano e nessuno parlò: la solidarietà è stata ed è a tutt’oggi la vera forza della Nomenklatura regionale. Non a caso rappresenta un requisito essenziale richiesto ai membri delle obbedienze massoniche.

 

La dura reazione del Sistema di Potere siciliano innanzi ai tentativi e infine alla pubblicazione della seconda parte della vicenda

Nella prima parte della ripubblicazione, accompagnata da aggiornamenti e considerazioni sui retroscena delle vicende inerenti alla dispersione della collezione numismatica Pennisi di Floristella, avevo accennato al fatto che l’amico Bruno Ragonese, direttore di Grifone, la rivista bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, soltanto nel giugno del 2000 aveva finalmente avuto il benestare del Presidente dell’Ente per pubblicare la seconda parte del mio articolo, ovvero oltre un anno dopo la morte dell’ex soprintendente Luigi Bernabò Brea.

Era accaduto che il Presidente dell’E.F.S., Prof. Marcello La Greca, resosi conto del controverso comportamento tenuto dall’ex soprintendente nella disposizione delle attività di catalogazione e di tutela della collezione numismatica, non aveva ritenuto opportuno pubblicarla per motivi personali. Difatti, come candidamente mi specificò egli stesso, era stato debitore nei confronti del Bernabò Brea (che ben conosceva sin dagli anni 1950) di una “grande cortesia”, in seguito restituitagli nella sede dell’Accademia dei Lincei della quale fecero parte. Allego in nota alcuni chiarimenti al fine di mettere in luce i meccanismi alla base delle assunzioni nelle Soprintendenze e nelle Università italiane già in corso alla fine degli anni 1960 (6).

Sino alla metà del 2000 non avevo ancora avuto alcuna certezza di quando sarebbe stata pubblicata la seconda parte, essendo stata rinviata di bimestre in bimestre per oltre un anno. Ma nel corso di un incontro a Roma con Sebastiano Tusa (7) a quel tempo anch’egli tra i collaboratori esterni del Generale Conforti, Comandante del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico, avemmo uno scambio di informazioni circa recenti aste che presentavano monete alienate dalla collezione numismatica Pennisi e della presenza di inquietanti coincidenze nel corso dell’acquisto dei resti della collezione da parte della Regione Siciliana (8).

Venni quindi a conoscenza del fatto che già nel novembre 1998 al Comando T.P.C. si era pensato di contattare il Bernabò Brea per una serie chiarimenti in relazione all’articolo pubblicato il mese precedente dal settimanale Centonove. L’interrogatorio fu rinviato sia a causa dell’attesa della pubblicazione della seconda parte del mio articolo che si riteneva imminente, essendone trapelate parti pur essendo ancora inedito, e sia per le condizioni di salute dell’anziano ex soprintendente che però morì circa due mesi dopo, il 4 febbraio del 1999 (9).

Il Tusa mi sconsigliò quindi di cercare un’altra rivista all’Estero, onde non incorrere in “ulteriori gravi ripercussioni professionali”, e di accettare la decisione del Prof. La Greca di non pubblicare l’articolo (che, inopportunamente, non aveva ancora rivelato né a me né tantomeno al Direttore Ragonese) ponendo l’accento sul fatto che ben presto avrebbero tra l’altro distrutto anche la mia vita privata, specificando “come puntualmente accade a chi si agita troppo”.

Secondo “Bastiano”, come lo chiamavano certi suoi amici della Sicilia Occidentale, avrei dovuto abbandonare definitivamente l’Italia e, nel caso volessi rendermi davvero utile e apprezzato presso un particolare ufficio di un Ministero italiano, avrei dovuto sacrificare qualche anno per recarmi a “aprire una gelateria in Costarica con l’ausilio di fondi speciali”, lo splendido Paese in cui si erano rifugiati diversi terroristi italiani. Gli risposi che preferivo occuparmi di dirigenti infedeli presenti nelle Soprintendenze dello Stato Italiano e la prese molto male, anche per il fatto riferitomi tempo dopo da un nostro conoscente, che era a venuto a conoscenza che da diversi mesi stavo raccogliendo informazioni “sul campo” per un mio articolo dedicato alle inquietanti vicende che avevano coinvolto il padre, già soprintendente di Palermo e ad altre che coinvolgevano anche lui in quel dell’Agrigentino e del Trapanese (10).

Mi recai immediatamente a Noto Antica per parlarne con il direttore del bimestrale Grifone. Come prevedevo, Bruno Ragonese mantenne la schiena dritta da idealista vecchio stampo qual’era. Dopo un alterco con il prof. La Greca, riuscì a pubblicare la seconda parte dell’articolo, d’altronde già da molti mesi giacente in tipografia pronto per la stampa.     

Anni dopo, nel tardo 2007, quando ero ormai vicino a raggiungere l’accordo per consultare (e fotocopiare) alcuni documenti custoditi in un archivio privato della Sicilia Centrale, fondamentali per comprendere un episodio di corruttela presente nella vicenda della Collezione Pennisi. Le mie attività di ricerca vennero compromesse gravemente, e alla fine del 2008 dovetti interrompere ogni ricerca in progress. Contemporaneamente, fui oggetto di discredito per un esposto (presentato da una dirigente archeologa della Soprintendenza di Messina, al centro di indagini svolte dal G.I.C.O.  per fatti della massima gravità...). Farcito di notizie false, sulle quali erano state costruite ipotesi assurde e gravemente infamanti che furono rigettate dalla magistratura, riuscì nonostante tutto a causare la mia destituzione da ogni incarico professionale direttivo avuto negli scavi condotti a Monte Belvedere di Fiumedinisi dal Dipartimento di Antropologia della University of South Florida (che, fatto anch’esso incomprensibile, non ha mai ritenuto opportuno di chiarirmi le motivazioni di tale grave e infamante provvedimento).

Se avessi intrapreso una serie di cause rispettivamente nei confronti dei diffamatori e dell’Istituzione statunitense, avrei potuto dimostrare pubblicamente quanto era accaduto e chi aveva interesse a distruggere la mia professionalità, ma i costi legali erano per me inaccessibili ammontando a una stima di non meno di duecentomila euro. Inoltre, per organizzare il gruppo di archeologi che si erano battuti con me per difendere l’area archeologica di Monte Belvedere dalle distruzioni operate dal Comune di Fiumedinisi e del personale dirigente della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, nonché organizzare un apposito convegno tenuto nel 2007, e parte dei due scavi archeologici eseguiti nel 2008 avevo dato fondo alle mie risorse: il solo fatturato ammontava a 72.000 euro.

Scontrarsi con quelle lobbies che controllano lo sfruttamento in ogni loro aspetto dei fiumi di denaro pubblico, il sistema politico-clientelare pertinenti al settore dei beni culturali siciliani, è estremamente pericoloso, e tutto sommato la distruzione della reputazione e le perdite di denaro per me devastanti sono nulla nei confronti di chi ha pagato con la vita. Il giudice Paolo Giorgio Ferri aveva ben chiaro un termine con i quali me li descrisse a titolo informale: “mostri”, intendendo organizzazioni di grande potenza economica, caratterizzate da connessioni ampie, stabili e complesse, e capacità operative a lungo raggio. Secondo il Ferri, chiunque fosse stato così folle da scontrarsi con queste realtà era inevitabilmente destinato a gravi punizioni in proporzione e simboliche dell’affronto arrecatogli.

Dopo anni di preparazione ero giunto al periodo maggiormente produttivo, anche se molto impegnativo da gestire, grazie alla fiducia accordatami nel 2004 dal giudice Ferri, su segnalazione di un investigatore del Gruppo Operativo TPC che lo assisteva nelle indagini internazionali. Il giudice fece in modo che fossi presentato e iniziassi a collaborare con un’importante unità di polizia di un altro Stato europeo. In Sicilia mi trovavo ormai esposto a pericoli molto alti.

Alla fine del 2006, a Londra, due importanti fonti informative dei servizi inglesi avvertivano della presenza del mio nominativo tra “i primi posti della hit parade” della mafia siciliana (11). La decisione sarebbe stata resa urgente dopo le inopportune dichiarazioni rilasciate quell’anno da un graduato delle forze dell’ordine italiane nel corso di un processo a un mercante internazionale, a quel tempo sospettato di rapporti con l’organizzazione mafiosa: notizie della mia attività erano state rese pubbliche (12).

Dopo un decennio di raccolta di informazioni e osservazioni sul campo, fui messo in condizione di dovere progressivamente troncare tutte le mie attività professionali non solo in Sicilia, ma anche a livello internazionale avendo avuto gravi problemi anche in Inghilterra e in Olanda.  

In seguito alla lettura di alcuni documenti presenti nel dossier “Collezione numismatica Pennisi di Floristella” mi ero profondamente convinto che nella vicenda dell’acquisto, avvenuto nel 1988, dei resti della collezione da parte della Regione Siciliana, vi erano numerose zone d’ombra relative a intrecci affaristici coinvolgenti livelli di potere che ancora oggi non sono mai stati oggetto di un approfondito interesse criminologico. La tempistica delle macchinazioni operate per creare il discredito e la delegittimazione, coincide con le prime intuizioni che ero ormai giunto a investigare sino alla soglia del potere Deep State siciliano e di aver qui percepito la presenza di quello internazionale, avendo altresì mostrato capacità operative sul campo non solo localizzando i resti del pericoloso archivio che conteneva il Dossier Pennisi di Floristella, ma soprattutto per avere compreso l’esistenza di un potere volutamente ignorato dai media e da gran parte degli organi inquirenti dello Stato, e reso ignoto alla popolazione comune.

Oggi posso affermare che l’ombra di questo Potere è quantomeno onnipresente in tutte le vicende di devastazioni di beni culturali di cui mi sono occupato, tra i quali desidero ricordare quella della costruzione della galleria e della tratta ferroviaria nell’area in contrada Fusco di Siracusa nella Sicilia Orientale, e ad alcune relative alla Sicilia Occidentale rimaste inedite, quale ad esempio il caso Kepha Onlus - CAM Selinunte (13). Altre notizie erano forse giunte a infastidire alcuni “circoli” borderline del potentato siciliano, in parte coincidente il Deep State regionale, vicende nelle quali mi imbattei casualmente, di gravità altra rispetto a quelle del filone “beni culturali” e quindi lontane dai miei sforzi in difesa del patrimonio archeologico siciliano. Ne avevo accennato vagamente nel romanzo “L’indagine orfica” (14).

Desidero infine ricordare che dopo la pubblicazione della vicenda, l’abitazione e le proprietà terriere di Bruno Ragonese, alle quali era molto legato e che aveva messo a disposizione dell’Ente Fauna Siciliana, furono oggetto di un vasto incendio doloso che segnò profondamente lo stato di salute del giornalista. Morì alcuni anni dopo (15).

 

Note

1)  Villari P., 31 agosto1998, La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, in Grifone, Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno VII, fasc. 4 (34), pp. 5-8.

Villari P., 2 ottobre 1998, Un tesoro all’asta. A Zurigo si batte la collezione Moretti. Sotto il martello monete pregiate della storia di Sicilia appartenute alla raccolta Pennisi Floristella di Acireale, in Centonove, pp. 29-31.

Villari P., 30 Giugno 2000, La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella: 2) Quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire, in Grifone, Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno IX, fasc. 3 (45), pp. 6-10.

Villari P., 19 dicembre 2022Fantasmi di processi mai nati. 2) Il dossier scomparso “Collezione numismatica Pennisi di Floristella”. Prima parte: il carteggio. In “The Reporter’s Corner”:

https://www.thereporterscorner.com/2022/12/fantasmi-di-processi-mai-nati-2-il.html

2) Una risposta inquietante sulle effettive capacità e volontà di quel vertice investigativo. In pratica, il Comando Carabinieri distaccato presso il Ministero P.I., non essendo stato in grado di raccogliere prove testimoniali, preferì limitarsi a raccogliere e dare pieno credito alle testimonianze degli stessi accusati, senza adoperarsi per richiedere alle Autorità di competenza quegli espertizzi e analisi di laboratorio che avrebbero potuto stabilire se vera o falsa la notizia della sostituzione delle monete originali con dei falsi!...

3) la quale “esperta”, nel febbraio 1965, stilando pur sommariamente l’elenco delle monete mancanti, dimostra di avere anch’essa consultato l’elenco stilato nel 1931 dall’ex soprintendente Paolo Orsi a fondamento del provvedimento di notifica della collezione, ovvero un vincolo corredato di un dettagliata descrizione delle monete e relative foto. Ciò contrasta con quanto dichiarato dal Bernabò Brea anni nel novembre 1948 in una missiva, in risposta ad una precisa richiesta della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione, dove afferma che il suddetto elenco era introvabile nell’archivio della soprintendenza e molti anni dopo aveva ribadito il concetto usando il termine “inesistente”. Tuttavia, il 22 dicembre 1948 tuttavia, il Ministero che evidentemente possedeva notizie opposte, aveva emanato il vincolo della collezione. Da questa data inizia un braccio di ferro pluridecennale tra potere centrale ministeriale e potere periferico costituito dalla soprintendenza siracusana che di fatto sembra proteggere gli interessi dei baroni Pennisi di Floristella sostenuti da poteri politici e imprenditoriali di elevato livello non solo regionale, una diatriba burocratica nella quale si inserirà in seguito la Regione Siciliana. Si tratta di una delle purtroppo numerose pagine tristissime della storia delle soprintendenze siciliane dall’avvento della Repubblica Italiana.

4) Villari P., 31 ottobre 1998, Saldi archeologici: il guerriero di bronzo, in “Grifone”, Rivista bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, anno VII, n.5 (35), p. 12;

Villari P., 27 settembre 2020, Fantasmi di processi mai nati: 1) “Saldi archeologici. Il guerriero di bronzo”, The Reporter’s Corner.

https://www.thereporterscorner/2020/09/fantasmi-di-processi-mai-nati-saldi.html

5) L’archeologo Giacomo Scibona dell’Università di Messina, fu anche al centro di una vicenda rimasta non sufficientemente chiarita riguardo a una vendita di numerose monete antiche siciliane, effettuata dal figlio minorenne sottraendole dalla collezione paterna e cedute a un antiquario messinese. Si attivò la magistratura e fu possibile recuperare parte della refurtiva. L’intera indagine e i suoi esiti furono caratterizzati dal silenzio della Stampa e delle emittenti radio-televisive.

6) Il prof. La Greca mi confermò la confidenza, espressagli con toni di amarezza dall’ex Soprintendente Bernabò Brea, che si trattò di una raccomandazione ricevuta dal potente Prof. Bacci, biologo dell’Università di Torino. Questi tentava di sistemare la figlia Maria Giovanna, e il suo compagno Umberto Spigo, assegnandoli entrambi presso la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale (dov’era già presente un’altra archeologa torinese, Paola Pelagatti), a quel tempo carente di personale. Il Bernabò Brea non si oppose alla richiesta, comunicando parere favorevole alla direzione generale del Ministero. Una decisione della quale sin dagli anni 1980 l’ex soprintendente, come ebbe più volte occasione di ripetermi, aveva avuto modo di pentirsi profondamente. Madaleine Cavalier, compagna del Bernabò Brea, nel privato si limitava spesso ad apostrofarli  con ferocia tutta femminile quali “Spighetto & Baccetto” (ovvero con due nomignoli maschili) accompagnando il secondo soprannome con uno dei suoi terribili sorrisetti di contorno. Madeleine cambiò però radicalmente atteggiamento quando, negli anni 1990, questi divennero rispettivamente Direttore e Soprintendente della Soprintendenza di Messina, il cui territorio di competenza comprendeva anche le Isole Eolie.

7) conosciuto nel 1976 per avere entrambi partecipato agli scavi preistorici svolti nella Grotta dell’Uzzo dall’Istituto di Paleontologia Umana di Roma, del quale era a quel tempo direttore il compianto Prof. Aldo Segre, mio formidabile mentore di tecniche dello scavo e del rilevamento stratigrafico in siti preistorici preceramici. Fu in quella sede che appresi i rudimenti dell’archeozoologia assistendo negli studi osteozoologici e malacologici uno dei maggiori esperti italiani, Pier Francesco Cassoli già allievo di Luigi Cardini.

8) notizie in Villari P., 27 settembre 2020, Fantasmi di processi mai nati: 1) “Saldi archeologici. Il guerriero di bronzo, op. cit. in nota 4. 

9) non ebbi occasione di approfondire le circostanze dell’evento, sia richiedendo un incontro al medico che aveva redatto il certificato di morte, e sia esaminando il referto nel quale erano riportate le osservazioni in base alle quali erano state dedotte le cause. Forse uno dei tanti fili che ho lasciati sciolti, a margine della stesura della narrazione principale.

10) Villari P., 19 Giugno 2020, La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano... Parte II: nel nome del padre, del figlio e della Stegocrazia, in “The Reporter’s Corner” (ex thereportersblog.com16 Maggio 2019)

https://www.thereporterscorner.com/2020/06/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere_19.html

Villari P., 19 Giugno 2020, La Tecnocrazia e il Sistema di Potere siciliano... Parte III: la Destra neoliberista e i neo-Ronin della stegocrazia, in “The Reporter’s Corner” (ex thereportersblog.com5 Giugno 2019).

https://www.thereporterscorner.com/2020/06/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere_85.html

11) in base a quanto affermato in uno dei suoi articoli da Michel van Rijn, titolare di uno dei primi siti online, in lingua inglese, specializzato nel settore delle notizie relative al traffico illegale di beni culturali e alle loro falsificazioni (http://michelvanrijn.nl/artnews/artnws.htl del 6 dicembre 2006). Nell’articolo MvR segnalava positivamente la pubblicazione di un mio romanzo, ovvero la prima edizione de “L’Indagine orfica” aggiungendo “…The Author of the book lives in exile in XXXXXX, he appears in the top three of the Mafia Hit-Parade” come segnalatogli, scrive, da “a good Sicilian colleague of mine…” al quale aveva chiesto informazioni sulle mie attività “The book relates to the mercurial ways of Sicilian life in the archaeological fast line…”. Mi colpì molto il fatto che il contenuto del romanzo era già pervenuto a chi di dovere molti mesi prima di essere pubblicato…

Ex trafficante internazionale di massimo livello di pericolosità, “MvR” era in seguito passato a prestare la sua collaborazione con gli apparati investigativi di mezzo mondo. Ebbi modo di incontrarlo alcune volte, accompagnato da un suo mediatore locale, per chiedergli informazioni sul traffico di reperti archeologici dalla Sicilia a Londra, e in particolare i nominativi di personaggi che avrebbero potuto indicarmi le provenienze dei reperti da ambienti delle soprintendenze o degli istituti universitari.

Una di quelle poche volte (tra il tardo 2005 e i primi mesi del 2006), fui addirittura convocato attorno alla mezzanotte da uno dei suoi mediatori, per assistere in qualità di testimone a un intervista nel suo ufficio londinese a un’intervista in lingua inlese. Erano subentrati anche per lui gravi motivi di sicurezza e aveva paura che lo ammazzassero a breve. Mi fu assicurato che avrei anche potuto intervenire con delle domande e in seguito eventualmente informare il mio contatto in servizio presso un ufficio romano. Alcuni mesi addietro mi aveva fatto sapere che era stato informato “dagli Inglesi” delle mie attività a Roma.

Appena giunto incontrai il giornalista statunitense Ralph Mammolino, al quale Michel van Rijn aveva concesso un’intervista a pagamento. Intervenni solo al termine, ponendo ad entrambi alcune domande di mio interesse, concernenti il traffico Sicilia-Stati Uniti negli anni 1990, in particolare su evidenze pertinenti al coinvolgimento di accademici e burocrati siciliani. Difatti, avendo letto i libri e gli articoli pubblicati dal van Rijn e avendo assistito all’intervista del Mammolino, mi aveva colpito negativamente il fatto che entrambi evitavano di affrontare il problema dell’esistenza di un livello superiore di criminalità, di eventuali ruoli di connessione “interfaccia” svolti da affiliati a potenti lobbies e a logge massoniche sia americane che europee. Mi sembrava difatti di fondamentale importanza investigare i ruoli eventualmente avuti da tali personaggi nell’organizzazione e nella copertura di traffici internazionali di reperti archeologici di notevole valore. 

Sia l’ex top criminal che il top journalist , preferirono rispondere evasivamente alle domande. Chiesi allora se personaggi rientranti in quelle categorie fossero presenti nelle trascrizioni delle intercettazioni statunitensi, ma ottenni solo il medesimo risultato, chiarendo seccamente che si trattava di argomenti fuori dai loro interessi. L’anno seguente Mammolino fu finalista al Premio Pulitzer per “Chasing Aphrodite” (motivo dell’intervista a MvR) un lavoro di giornalismo investigativo a mio avviso volutamente incompleto della parte di maggiore interesse criminologico, quella del coinvolgimento di organizzazioni di ben più alto livello di potere, dal perenne colletto bianco. I grossi premi, com’è noto non vanno mai a chi piscia fuori dal vaso predestinato, rovinando il salotto.

Fu soltanto nel 2015, dopo la pubblicazione dei miei due volumi sulle riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, problema che già a quel tempo affliggeva il commercio mondiale delle antiquities e persino le aste di massimo livello internazionale, che iniziai a constatare l’avverarsi di un crescendo di situazioni di pericolo per la mia incolumità, sia in Olanda che in Italia, alle quali di recente è seguito un silenzio assordante, che ritengo attribuibili a un sistema che non ammette ingerenze, ben più potente di quello lasciato processare nei tribunali.

12) In particolare, era stata rivelata parte di quanto avevo scoperto circa curiose coincidenze e dati fattuali pertinenti a uno dei maggiori tecnocrati della Regione Siciliana (un archeologo, anni dopo deceduto in un incidente aereo). Questi era in quegli anni, assieme ad alcuni altri nominativi, al centro delle mie ricerche sulle attività di una particolare rete di potere e il cosiddetto “fuoco amico”, quello che colpisce alle spalle, giunse perfettamente in tempo a vanificare l’imminente completamento del report.

13) dossier inedito. Di quanto scoperto avevo avvertito il mio contatto all’interno del Comando TPC già anni prima dalla deflagrazione dello scandalo Kepha che scosse il Vaticano nel corso di un feroce scontro tra due fazioni al vertice di quello Stato. La vicenda, pur avendo pesanti conseguenze anche a livello regionale siciliano che avrebbero potuto essere evitate per tempo, cadde ben presto nel dimenticatoio mediatico e delle conclusioni del processo non si seppe nulla. Le attività della Kepha in Sicilia non sono mai state approfondite per quanto coinvolgessero diverse Istituzioni regionali e, a mio avviso, attendono di essere chiarite anche se alcuni dei personaggi-chiave sono già da tempo deceduti. 

14) Villari P., 2006, L’Indagine Orfica. Tecniche di sopravvivenza di un oppositore al “sistema” occulto dell’archeologia siciliana, Terza edizione (2013), Archaeological Centre ed., Assendelft, pp. 1- 324. 

15) particolari di questo episodio, emblematico della lotta alla criminalità strutturata nelle pubbliche istituzioni siciliane, saranno forniti in un articolo in corso di preparazione, dedicato alle devastazioni subite ad opera della soprintendenza siracusana nell’area di notevole interesse paleontologico e archeologico di Contrada Fusco di Siracusa.


Fantasmi di processi mai nati. 2) Il dossier scomparso "Collezione numismatica Pennisi di Floristella". Prima parte: il carteggio.

di Pietro Villari - 19 Dicembre 2022

 

Premessa

Entrambi gli articoli de “La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella”, ovvero la prima (1998) e seconda parte (2000) (1), furono i miei lavori d’indagine su crimini perpetuati ai danni del patrimonio culturale italiano che in quegli anni ebbero maggiore diffusione a livello nazionale. Questo avvenne per l’instaurarsi di un fenomeno autonomo e imprevisto dalla rivista che li ospitò, riservata a poche centinaia di soci, in quanto la lettura si espanse al di fuori della cerchia degli abbonati attraverso l’uso della fotocopia ad opera d’innumerevoli rivoli privati, in gran parte nell’ambito del collezionismo, del professionismo numismatico e del mondo accademico. Il motivo del successo, risiedeva nel fatto che l’articolo metteva al centro dell’attenzione le tutt’altro che ortodosse modalità di gestione del prezioso patrimonio culturale siciliano, rendendo pubblici i nominativi dei maggiori protagonisti.

Non si trattava d’ipotesi, ma di una lunga serie di fatti circostanziati da quanto emergeva dalla lettura delle corrispondenze ufficiali e “riservate” tra la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale, diretta da un noto archeologo ligure, e i dirigenti superiori di altre importanti istituzioni dello Stato. Presentato nella forma di giornalismo d’inchiesta, è al contempo utile per comprendere l’evoluzione dei rapporti, a volte tutt’altro che amichevoli potendovi constatare la presenza di profonde diffidenze e di perfidie, intercorsi tra i vertici di organismi che controllavano attività primarie dello Stato. Ritengo che la situazione odierna sia ben più complessa.

Come vedremo più avanti, fui in grado di consultare gran parte della documentazione, un carteggio pervenuto all’Ente Fauna Siciliana anni prima, ospite in una abitazione di campagna sita nei pressi dei ruderi di Noto Antica. Appena giunto mi sedetti alla scrivania sulla quale era stato sistemato il faldone contenente il Carteggio Pennisi di Floristella, come titolava la copertina in elegante calligrafia. Lessi il carteggio tutto d’un fiato, ignorando persino il trascorrere della notte, tanto ero sconvolto da quel che mi si presentava innanzi. Alla mattina, misi lo zaino in spalla e m’incamminai verso i poderosi ruderi della cittadina, distrutta trecentotrenta anni addietro da un terribile terremoto.

In quella pace surreale, iniziai a comprendere di avere sottovalutato la costante sensazione che mi stesse sfuggendo una più ampia visione d’insieme del contesto, e in particolare la fonte dalla quale scaturivano quella e altre importanti vicende siciliane. Decisi che dovevo colmare le mie limitate conoscenze dello Stato e dei poteri che soprintendevano al suo funzionamento programmando di parlarne con quei dirigenti statali e regionali, personaggi della politica, militari e funzionari delle forze dell’ordine, avvocati, giudici, sindacalisti e giornalisti, che nel procedere delle ricerche ritenevo utile incontrare e che, superata l’iniziale diffidenza, vollero donarmi parte del loro tempo, nell’arco di quella mia attività durata poco meno di vent’anni, sino al 2016.  

Fu tramite la narrazione di quelle esperienze professionali che appresi di vicende dove si era insinuato un misterioso potere superiore, fatto di personaggi (eminenze grigie) il cui potere era noto a pochi, al di sopra dei quali s’intuiva la presenza di altri destinati a rimanere ignoti (eminenze invisibili), che tutto dominavano. Le testimonianze raccolte concordavano di avere percepito questi poteri, quali al di sopra delle comuni logge massoniche e lobbies e dei loro personaggi “visibili” in ambito regionale e nazionale.

L’interpretazione dei fatti iniziava adesso ad assumere nuovi inquietanti significati: avevo per la prima volta intuito la reale esistenza di una Entità sociale di dimensioni gigantesche, dotata di un vertice “invisibile” soprannazionale. La sua struttura e le finalità erano destinate a rimanere ignote alle masse, essendo per sua necessità funzionale costituita da personalità mimetizzate, sconosciute alle cronache ma di notevole potenza, al punto da essere in grado di condizionare le attività di qualsiasi nazione.

Lo scandalo seguito alla pubblicazione del carteggio travolse Luigi Bernabò Brea, Accademico dei Lincei, che morì alcuni mesi dopo la ripubblicazione della prima parte dell’articolo, effettuata nell’ottobre 1998 dal settimanale Centonove, la cui Redazione l’aveva accompagnata da ancor più scandalosi aggiornamenti.

Trascorsero gli anni, e come quasi sempre accade in questi casi, tutto fu lasciato cadere senza conseguenze nell’immenso dimenticatoio nazionale. Il Museo di Lipari fu intitolato all’archeologo ligure e un sito, diretto dalla seconda moglie ed ex assistente, oggi ne esalta solo i lati positivi. Somiglia a una sorta di mausoleo virtuale, dove coloro che parteciparono a quello che oggi viene presentato alle nuove generazioni di burocrati regionali quale “ciclo eroico” di quel personaggio mitizzato della  Pubblica Amministrazione, possono illuminarsi di luce riflessa. Una narrazione ben accetta al potere dominante, in quanto trasforma la realtà dei fatti rendendoli mito, esaltando indirettamente l’immagine delle pedine di quel potere poste ai vertici di istituzioni della Pubblica Amministrazione. Una prassi di antica tradizione, destinata a perpetuarsi nel futuro.  

Non è un caso che, in Sicilia, la tecnocrazia del settore dei beni culturali è stata di fatto resa impunibile per i reati tipici della pubblica amministrazione. Tutto è silenziato e perdonato in quanto funzionale non soltanto alle necessità del Deep State di questa regione a Statuto autonomo, ma anche a quello nazionale al quale è strettamente legato nell’ambito degli interessi soprannazionale del Blocco Occidentale (2).  

 

L’articolo pubblicato nell’Agosto 1998

I Baroni Pennisi di Floristella, antica famiglia di Acireale, avevano lentamente costituito, iniziando nella prima metà dell’Ottocento, una delle più interessanti collezioni numismatiche del mondo, che nel più fulgido periodo giunse a contenere circa trentamila esemplari. La sezione di monete greche siceliote, come scrisse il Salinas “sorpassa di gran lunga tutti i musei che esistono in Italia e fuori. Lo studioso tentò di catalogarla nel 1870 ma il suo lavoro rimase incompleto. Eminenti numismatici effettuarono degli studi specialistici, quali il Boehringer che nel 1929 pubblicò le monete siracusane; lo stesso Agostino Pennisi che pubblicò alcuni esemplari negli anni 1929, 1934 e 1940; prezioso è il lavoro del Rizzo edito nel 1946.

Già nel 1931 l’allora Soprintendente sen. Paolo Orsi, forse presagendo quanto sarebbe avvenuto all’indomani della morte del proprietario, emise un provvedimento di notifica della collezione che anni dopo venne considerato non valido in quanto incompleto, ovvero non accompagnato da un dettagliato elenco degli esemplari e relative foto.

Il 4 giugno del 1947 il Soprintendente Luigi Bernabò Brea ricevette una circolare dal Ministero della Pubblica istruzione che lo invitava a segnalare d’urgenza le collezioni di interesse artistico e storico da notificare ai sensi dell’articolo 5 della legge 1 giugno 1939 n. 1089. Il fine del Ministero, come vedremo, era quello di produrre al più presto un flusso di entrate nelle disastrate casse dello Stato, grazie alle pesanti tassazioni sulle opere d’arte possedute dai privati. Tuttavia era stata prevista l’esclusione di tali sanzioni per quelle collezioni di eccezionale rilevanza il cui smembramento avrebbe costituito “un grave danno per la cultura nazionale” (D.L. dell’11 ottobre 1947 n. 1131, artt.1 e 8) purchè notificate entro il 31 dicembre 1948.

Poiché il Ministero richiedeva che “di ciascuna collezione da notificare dovrà essere trasmessa una relazione illustrativa con tutti gli elementi del caso e l’elenco degli oggetti che la compongono”, il Soprintendente scrisse lo stesso giorno al Barone Agostino Pennisi mettendolo al corrente della ministeriale, concludendo la lettera con una frase che affatto si addiceva alla situazione: “Se Ella ritiene opportuno che la Sua collezione sia compresa fra quelle da notificare, La prego di volermi trasmettere con la massima urgenza i dati richiesti dal Ministero”.

In pratica, ignorando il vincolo emanato dall’Orsi nel 1931, il Bernabò Brea chiedeva all’influente (da lì a poco Senatore della Repubblica Italiana) “Barone” Agostino Pennisi (nonostante lo Stato Italiano avesse abolito i titoli nobiliari) se ritenesse opportuno che la sua collezione fosse notificata lasciandogli ampia facoltà di accettare l’imposizione di una notifica e quindi la scelta di pagare o meno le ingenti tasse da poco imposte ai collezionisti. In breve, se avesse pagato le tasse, la sua collezione una delle più importanti al mondo, sarebbe stata libera da vincoli e alienabile in qualsiasi momento. Se invece non avesse pagato, sarebbe stato emanato un nuovo vincolo che, come vedremo, il Bernabò Brea d’accordo con uno degli eredi Pennisi tentò di limitare solo ad una esigua parte della collezione.

Agostino Pennisi risponde al Bernabò Brea ringraziandolo delle informazioni e indica che la notifica era stata a suo tempo già effettuata dall’Orsi. Rivela che la collezione ha subito manomissioni e menomazioni a seguito dei recenti eventi bellici e richiede copia della notifica Orsi al fine della  “salvaguardi dei relitti”. È evidente che malgrado l’atteggiamento molto amichevole del Soprintendente, il Pennisi preferisce tenere la sua collezione al di fuori di ogni controllo statale.

La risposta del Bernabò Brea arriva dopo alcuni giorni: nell’archivio della Soprintendenza non è stato possibile trovare copia della notifica e che in ogni caso si trattava “di una notifica generica” (termine tecnico infelice) che non corrisponde a quanto richiesto dal Ministero.

Nel novembre del 1948 la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica istruzione, del quale la Soprintendenza siracusana era organo periferico, richiede al Bernabò Brea “di voler trasmettere con sollecitudine l’elenco completo della collezione di monete Pennisi” al fine del preventivo esame del Consiglio Superiore. Si noti come il funzionario ministeriale eviti di usare il titolo nobiliare.

L’elenco non arriva ed il 22 dicembre dello stesso anno il Ministero della Pubblica Istruzione emette un nuovo provvedimento di notifica ad Agostino Pennisi riconoscendone l’eccezionale interesse storico-artistico. Inoltre, nella lettera di trasmissione alla competente Soprintendenza, questa è avvertita che “in dipendenza di tale provvedimento dovrà essere compilato l’elenco completo delle monete che compongono la collezione notificata con riferimento alla sua consistenza alla data del 28 marzo 1947”.

L’elenco non viene compilato, Agostino Pennisi muore nel 1962 e gli eredi sono ben nove. Come in ogni occasione del genere collezionisti, commercianti locali e stranieri si precipitano ad Acireale per tentare di acquistare quanto possibile ed al prezzo più basso, determinato dall’esistenza del vincolo e dai rischi dell’esportazione.

Nell’ottobre del 1964, il Comando del nucleo di Polizia Tributaria di Catania (dipendente dalla 12° Legione della Guardia di Finanza di Messina) richiede informazioni alla Soprintendenza per la Sicilia Orientale al fine di sapere se risulta a verità “che monete greche per il valore di centinaia di milioni della collezione Pennisi di Floristella di Acireale siano effettivamente state vendute”. Il Soprintendente non si cura di rispondere, tant’è che tempo dopo arriva una richiesta del Comando Superiore della Guardia di finanza che lo costringe alla replica entro stretto giro di posta, ove egli afferma di non essere informato del fatto ma di avere “fondate ragioni di credere” che i Pennisi “stiano effettivamente disperdendo la collezione e venduto a diversi commercianti dato che sono state richieste informazioni al proposito anche a questo ufficio”. Una risposta breve, tardiva e sottilmente sarcastica che la dice lunga sui rapporti tra apparati dello Stato in Sicilia in quegli anni.

In realtà era avvenuto che una denuncia anonima, corredata di nominativi di commercianti di nazionalità svizzera ed inglese, oltre a parecchi siciliani, fosse stata spedita nel settembre di quell’anno alla locale Soprintendenza, ai Comandi del Gruppo Carabinieri e della Guardia di Finanza di Siracusa, ed alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione. Il Soprintendente aveva avuto sentore di movimenti investigativi da parte delle forze di polizia e già lo stesso settembre si era premurato di scrivere, in via “riservata”, una lunga relazione  al proprio Ministero che aveva come oggetto “Commercio clandestino di monete antiche”.

Contrariamente a quanto abbiamo visto il Soprintendente rispondere mesi dopo alla polizia tributaria di Catania, egli rivela che “la cosa è in realtà della massima importanza e le segnalazioni fatte corrispondono pienamente a voci fin’ora vaghe che erano recentemente pervenute a questa Soprintendenza”…”Effettivamente circolano voci che gli eredi… stiano trattando con vari antiquari e musei stranieri. O almeno che vari antiquari e esponenti di musei stranieri tentassero varie vie per circuire detti eredi ed indurli a vendere la collezione. È notorio che ad essi è strettamente legato da vincolo di amicizia il prof. Boehringer Presidente dell’Istituto Archeologico germanico e massimo numismatico”…”È possibilissimo che le frequenti visite del notissimo commerciante numismatico Mildenberg con la sua segretaria in Italia siano da mettere in relazione con la scomparsa del sen. Pennisi e con le speranze che essa poteva far sorgere. Sembrerebbe che la collezione sia stata divisa fra gli eredi. La parte greca di gran lunga la più importante sarebbe toccata al barone Orazio Pennisi che sembra più intenzionato a conservarla integra. Ad altro coerede sarebbe toccata la parte romana che invece sarebbe stata venduta al genero del notissimo trafficante catanese Comm. Vincenzo Pappalardo”.

La lettera segue citando il D.M. del 22/12/1948 che descrive quale “notifica generica” (ancora una volta viene usato un termine tecnico improprio: i decreti di notifica devono essere accompagnati da circostanziata documentazione così come richiesta dalla legge n.1089 dell’1/6/1939) ed il Soprintendente si difende dalle accuse di non avere effettuato, a distanza di oltre quindici anni, un dettagliato elenco della collezione in quanto si trattava “di molte migliaia di pezzi, forse una decina di migliaia”. Strana affermazione se si considera che si tratta di uno studioso che ha condotto la catalogazione di migliaia di frammenti ceramici rinvenuti negli scavi dell’Acropoli di Lipari ed in altri della Sicilia orientale.

La stessa relazione venne inviata dal Soprintendente in data 2 ottobre 1964 assieme ad una lettera riservata, al dirigente e amico Agresti al quale candidamente scrive che “La notifica dovrebbe ora essere rinnovata dal Presidente della Regione”…”Per far questo – dati i buoni rapporti che sono sempre intercorsi tra la Soprintendenza e questa nobile famiglia di Acireale… preferirei che dal Ministero partisse l’iniziativa del rinnovo della notifica. Ti invio un abbozzo della lettera che dovrei ricevere ufficialmente dal Ministero per dare inizio alla pratica opportuna…”. Si può quindi constatare come il Bernabò Brea avesse ampie possibilità di manovra all’interno del Ministero sino a giungere a consigliare, a coloro preposti al controllo del suo operato, persino cosa scrivere nelle lettere che avrebbe dovuto ricevere…

L’idea di eseguire una notifica parziale della collezione era ovviamente gradita anche da parte di Orazio Pennisi, dato che questi consentì alla Soprintendenza di effettuare una serie di fotografie delle monete in suo possesso, così come si evince da una lettera inviata dal Bernabò Brea nel maggio 1965.

Nel novembre del 1965 la Divisione Musei del Ministero della Pubblica Istruzione conferma alla Soprintendenza che la procedura per il vincolo si svolgerà secondo le modalità fissate dalla ministeriale del 20/02/1964 e faceva presente non solo di prendere in considerazione la proposta del Soprintendente di restringere il vincolo a 247 monete ma di ritenere opportuno che “dato il carattere storico della collezione… e considerata la vastità e l’importanza della medesima che… fosse condotta una ulteriore indagine sulle monete non proposte per il vincolo, al fine di stabilire se vi siano pezzi importanti non esistenti nelle raccolte numismatiche statali… Ciò allo scopo si assicurare allo Stato le monete stesse in vista della possibile dispersione della parte… che non verrà sottoposta al vincolo”.

Nel giugno del 1966 ancora la Divisione Musei comunica al Soprintendente che “solo a pubblicazione avvenuta del catalogo potranno essere presi in esame quei provvedimenti di carattere amministrativo destinati a limitare il vincolo ad una parte della collezione” e invita a “completare la ripresa fotografica di tutta la collezione, comprese le monete di seconda scelta”.

Il 5 luglio del 1966 la Soprintendenza invia una lettera al Ministero ove si cerca difesa dall’accusa espressa dal Consiglio Superiore, il quale sembra adombrare l’infamante sospetto che essa stia operando la drastica riduzione del vincolo per favorire la famiglia Pennisi.

Si perde ancora tempo e si giunge al 28 aprile del 1967, data in cui il Soprintendente scrive al Pennisi che “Tempo addietro avevamo parlato di un eventuale catalogo della Loro splendida collezione di monete… ferma restando naturalmente la notifica di importante interesse per quei soli pezzi che già sono stati di comune accordo stabiliti. La Dott. Enrica Pozzi, Direttrice della Sezione Numismatica del Museo di Napoli potrebbe incaricarsene in collaborazione con la dott. Maria Teresa Currò e la Sig.ra Giuseppina Cassarino Tranchina”.

In pratica questa lettera ci rivela l’esistenza di accori tra la famiglia Pennisi ed il Soprintendente in base ai quali sono forse sorti i sospetti espressi dal Consiglio Superiore del Ministero.

Il molto cortese invito evidentemente scaturisce da una lettera datata all’8 aprile, in cui il Ministero comunica al Bernabò Brea il parere che sollecita la redazione del catalogo della collezione e già conferisce l’incarico alla dott. Pozzi.

Il 17 giugno 1967 la Soprintendenza scrive al Ministero che possiede “gli abbozzi di schede e fotografie di 1500 monete della collezione che rappresentano la parte più sostanziale e più significativa di essa” e che “si presume non vi siano gravi difficoltà alla compilazione di una schedatura completa della raccolta”.

Il 26 giugno il Ministero della P.I. chiede notizia al Soprintendente se il Presidente della Regione ha adottato provvedimento di vincolo sulla parte della collezione in quanto è “particolarmente rilevante ai fini di tutela, la sollecita emanazione di detto provvedimento”.

Il 30 novembre Enrica Pozzi comunica al Bernabò Brea che, dall’11 al 12 maggio, ha controllato la documentazione fotografica in possesso della Soprintendenza pertinente a 1500 monete greche della collezione. Comunica anche che il Ministero ha deciso di trasformare la collaborazione del Prof. Dtazio dell’Università di Napoli in incarico ufficiale relativo alla compilazione del catalogo.

Il 12 dicembre il Soprintendente scrive al Ministero per ottenere ancora tempo per condurre a termine il lavoro di catalogazione. Lo stesso giorno trasmette alla Segreteria Generale della Regione Siciliana una relazione accompagnata da fotografie inerenti al gruppo di 247 monete della collezione, le sole per le quali si sollecita l’emanazione del provvedimento di notifica.

Il 12 marzo 1968 la Presidenza della Regione Siciliana chiede alla Soprintendenza di integrare la documentazione già inviata, con la copia del parere manifestato sulla collezione del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti. Tale parere viene dato in data 22 giugno ed è da rilevare l’astensione di Massimo Pallottino, uno dei più insigni archeologi italiani “per ragioni di principio”. Da leggere quale una tirata d’orecchie al Bernabò Brea.

Il 13 dicembre 1968 il Soprintendente scrive al Barone Orazio Pennisi che “la pratica della regolarizzazione del vincolo limitatamente al certo numero di monete della Sua collezione… ha subito, a quanto mi consta, un intoppo. Infatti i funzionari della Presidenza della Regione Siciliana (dato che la competenza a porre o a consolidare vincoli è oggi del Presidente della Regione) vedono la cosa in modo molto diverso. Per essi è perfettamente valida la notifica del 1948 e dovrebbe considerarsi immutabile il complesso della collezione quale era a quel tempo. Mi riprometto di riparlarne con essi della cosa in occasione di un mio eventuale viaggio a Palermo, onde vedere di addivenire ad una definizione della pratica. Mi premuro intanto di avvertirLa che la situazione resta incerta e quindi ogni atto potrebbe essere suscettibile di diverse interpretazioni”.

È avvenuto uno di quei primi scontri tra potere centrale regionale e Soprintendenze che, solo alla fine degli anni novanta, giungerà ad un ridimensionamento del potere decisionale dei soprintendenti. Una operazione che sarebbe stata salutare già alla fine degli anni sessanta.

Sta di fatto che, come predetto dal Bernabò Brea al Pennisi, il 14 gennaio del 1969 alla Soprintendenza giunge, per conoscenza, una lettera della Segreteria Generale della regione Siciliana inviata al Ministero della P.I. e all’Avvocatura dello Stato. Oggetto della missiva costituita da ben dieci pagine, è la storia della notifica della collezione Pennisi e vale la pena di riportare ampi brani per poter constatare come il potere centrale di controllo della regione fosse in aperto contrasto con le scelte operate dal Soprintendente e tentava di assicurare alla tutela statale i resti dell’intera collezione, salvandola dalle attività speculatorie. Tentava cioè di imporre quegli interventi che, a norma di legge, avrebbero dovuti essere operati dalla Soprintendenza sin dagli anni quaranta.

Non è comprensibile, allo stato degli atti (posto che gli elenchi delle monete non esistano, ovvero che non siano mai esistiti) come il provvedimento ministeriale anzidetto (del 22/12/1948) abbia potuto esplicitamente affermare che la Soprintendenza alle Antichità di Siracusa, sono conservati gli elenchi degli oggetti che compongono la collezione, avuto riguardo alla consistenza di essa sino alla data del 28 marzo 1947 agli effetti dell’imposta progressiva sul patrimonio: a meno che non si debba prendere in considerazione l’ipotesi che il detto provvedimento ministeriale non mirasse tanto, ed in via principale, a stabilire un vincolo ai termini della legge n. 1089 del 1939, quanto a costituire il presupposto necessario per consentire l’esenzione dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio complessivo posseduto dal contribuente Barone Agostino Pennisi alla data del 28 marzo 1947… tanto che il provvedimento non solo fa riferimento alla Collezione Pennisi alla data del 28 marzo 1947, ma, emesso il 22 dicembre 1948, risulta notificato il 29.XII.1948.

Si deve dedurre che, quanto meno, se il B.ne Pennisi si è avvalso (e ciò è lecito presumerlo, ma può essere accertato attraverso gli organi tributari) del beneficio fiscale assumendo che la sua collezione era vincolata ai termini della legge n. 1089 del 1939, non può opporre oggi che il provvedimento che gli ha consentito il beneficio fiscale è illeggittimo e, quindi, inefficace”.

La bacchettata della Regione Siciliana sulle mani dei dirigenti del Ministero della P.I., ivi compreso il Soprintendente, è davvero forte. La dose viene pesantemente rincarata:

data l’importanza della collezione… non sono comprensibili le ragioni in base alle quali il Soprintendente… dopo che parecchie segnalazioni pervenute danno alienata una parte di essa non abbia esercitato, in concreto, la vigilanza prevista dalla legge n. 1089, rimettendo agli organi competenti l’accertamento della sussistenza dei fatti segnalatigli ai fini anche della eventuali qualificazione a termini di legge penale: obbligo che, è da ritenere, sussista tuttavia per il Soprintendente”.

È quest’ultima frase che colpisce molto il Soprintendente che in seguito, come vedremo, per evitare ulteriori critiche eseguirò tali indicazioni.

Infine, la Segreteria Generale indica che “sussistendo un vincolo sulla intera collezione, si possa procedere, oggi, al vincolo di una parte delle cose vincolate come complesso. La conseguenza sarebbe che verrebbe a consentirsi al barone Pennisi, mediante atto formale, la piena disponibilità, detratte le 247 monete, dell’intera collezione (che, secondo una stima riportata nella relazione Currò, comprenderebbe circa 10.000 monete); infatti oggi si propone l’imposizione di un poco chiaro vincolo… Inoltre verrebbe a darsi una sanatoria alle alienazioni segnalate dal Soprintendente, se in quanto effettuate.

… Dovrebbero essere chiarite le ragioni per cui si propone un vincolo limitato a 247 monete, cioè as un numero di pezzi inferiore non solo alla anzidetta stima della collezione, ma anche al numero dei pezzi schedati; sembra che non abbia alcuna consistenza giuridica la circostanza che tale numero di 247 monete verrebbe a completare il medagliere della Soprintendenza di Siracusa, stante che  la legge tutela tutte le cose e le collezioni che hanno taluni intrinseci pregi, attribuendo la facoltà di opzione, quando vi è l’interesse dell’Amministrazione statale di esercitarla; interesse che non può essere limitato e circoscritto al medagliere di Siracusa con una visione circoscrizionale dei pubblici interessi in considerazione”.

L’Avvocatura dello Stato, chiamata in causa, risponde entro breve tempo, ovvero il 22 dello stesso mese, con una missiva diretta al Ministro della P.I. e per conoscenza alla Segreteria Generale della Regione Siciliana, ove chiede di conoscere se “quest’ultima ha trovato gli elenchi di monete… di cui si fa riferimento nel D.M. 22/12/1948”. Il Soprintendente risponde che gli elenchi non esistono.

Alcuni mesi più tardi, nell’aprile 1969 una lettera anonima viene inviata al Bernabò Brea in quanto Soprintendente, e per conoscenza al Procuratore della Repubblica ed al Comandante del Nucleo Investigativo della Polizia Tributaria di Catania. Nella denunzia si afferma che il Cav. Orazio Pennisi “sottrae dalla collezione numismatica preziosissime monete greche antiche sostituendole con riproduzioni simili ma false perché fabbricate con calchi. Buona parte delle monete originali è stata venduta al commerciante di Catania Giancarlo Cirino”. La lettera  continua dichiarando che il Cirino ha ottenuto in conto vendita le monete del Pennisi ma che, dopo aver simulato un furto, in realtà le avrebbe vendute in Continente.

Alcuni giorni dopo la Direzione Generale delle Antichità e belle Arti del Ministero della P.I. scrive alla Segreteria Generale della Regione Siciliana. In linea di massima, concorda con quanto espresso ma le difficoltà di catalogazione sono da attribuire alla carenza di personale specializzato e difende l’operato del Soprintendente che avrebbe dovuto rimettere “all’esame delle competenti Autorità Giudiziarie le segnalazioni relative a manomissione” ma ostacolato da “motivi cautelativi intesi a mantenere i rapporti con la famiglia Pennisi sul piano di una indispensabile collaborazione”.

Il 30 aprile il Bernabò Brea resosi ormai conto che non ha altra scelta, invia al Ministero della P.I. una raccomandata in cui dichiara di aver ricevuto la lettera anonima e che “in data odierna ho preso contatti a questo proposito con l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania e accompagnato dallo stesso Avv. Distrettuale mi son recato dal Procuratore della Repubblica  fornendogli le indicazioni del caso…”.

Il 12 maggio il Soprintendente dichiara per iscritto al Procuratore della Repubblica la propria disponibilità nei confronti dell’Autorità Giudiziaria. Tra quest’ultima ed il Ministero della P.I. inizia una corrispondenza che giunge a imporre al Soprintendente di completare la schedatura della collezione Pennisi.

Il 23 settembre 1969 l’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Acireale risponde all’Intendente di Finanza di Catania che nella denuncia dei redditi presentata da Agostino Pennisi nel 1948 la collezione di monete non è stata dichiarata. È la prova che la famiglia aveva implicitamente riconosciuto la validità dell’originario vincolo di notifica.

Circa un anno dopo, in data 21 novembre 1970, il Comando Gruppo di Catania della 12° Legione della Guardia di Finanza comunica che dalle indagini condotte non sono emersi utili elementi circa eventuali infrazioni nella conservazione della collezione” in quanto “per stabilire se questa è stata tenuta regolarmente sarebbe necessaria una ispezione da parte di codesta soprintendenza”Alle sollecitazioni mosse al riguardo, il Soprintendente risponderà sempre che non possiede personale scientifico atto all’evenienza e che quindi l’ispezione non è possibile.

Questo tipo di risposta ha avuto ed ha sino ad oggi (agosto 1998) ampia applicazione, anche se immotivata da un punto di vista legale. È stata sovente riproposta nelle necessarie varianti ogni qual volta una Soprintendenza siciliana è stata accusata di mancare ad obblighi di tutela, di salvaguardia e di ricerca scientifica inerenti al patrimonio esistente nel territorio al quale è preposta.

 

Come giunsi a localizzare e effettuare lo studio del Carteggio Pennisi di Floristella

Penso sia utile a futura memoria descrivere le perigliose circostanze che, ormai un quarto di secolo orsono, mi condussero a localizzare in una antica casa di campagna, non lontana dalle rovine di Noto antica, e qui rinchiudermi per studiarlo attentamente, l’illuminante carteggio concernente la dispersione della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella.

Quantomeno per placare la mia profonda sete di comprendere il sistema di potere siciliano, che ogni anno miete vittime nonostante queste non ne conoscano nemmeno la sua esistenza, ritengo che a quel tempo ne valse la pena accettare quelle due settimane di vita monacale, circondato da un aspro paesaggio di rocce calcaree, forre boscose e suoni armonici della Natura. Fu l’ambiente ideale per immergermi nella lettura di centinaia di documenti, scoprendo con sommo sconforto le cause dei controversi comportamenti di personalità di spicco della burocrazia e della politica siciliana coinvolti nella vicenda.

Come spesso accade leggendo simili carteggi, m’imbattei in vicende secondarie, vere e proprie sirene tentatrici, fili sciolti che attendono di essere collegati ad altri, ma che bisogna tralasciare per non perdere il principale filo conduttore della vicenda da mettere in luce. D'altronde, sapevo già che annodarli tutti avrebbe significato dover passare da parti di un’unica grande struttura, convenzionalmente schematizzata estrapolando una sequenza di dati fattuali emergenti dal carteggio quali relazioni, di connivenze, di comportamenti prevaricatori e omertosi, a una struttura multidimensionale a me preclusa in quanto compilabile, consultabile e comprensibile solo all’interno di un network investigativo professionale. Oggi in via di trasformazione in quanto fortemente potenziato dall’avvento dell’uso dell’intelligenza artificiale, fondamentale per la consultazione di impressionanti quantità di dati d’archivio ed elaborazioni corredate di consigli indicativi in tempi impensabili a quel tempo.

Pur essendo ormai insufficiente a livello criminologico, la descrizione piana, direzionata in sequenza degli eventi di un contesto, ovvero di un microcosmo dal quale è estrapolata ed estremamente esemplificata la vicenda narrata, è ancora oggi considerata sufficiente nel giornalismo di cronaca. Una metodologia che è alla base di gravi errori di valutazione o distorsione di realtà complesse, utili solo alle disastrose finalità del “circo dei processi mediatici”, falciando anche la vita sociale d’innocenti che non possiedono quegli indispensabili mezzi economici e le protezioni di potenti organizzazioni ormai necessarie per opporre un tentativo di difesa dei propri diritti.

Per questo motivo seguo l’indicazione fornita da Ernest Miller Hemingway nel suo “Verdi colline d’Africa, un romanzo pubblicato nel 1953. “Il movimento dignitoso di un iceberg è dovuto al fatto che soltanto un ottavo della sua mole sporge dall’acqua. Uno scrittore che omette le cose perché non le conosce, non fa che lasciare vuoti nel suo scritto” (3).

Così come avvenne per altri scritti da me pubblicati negli ultimi venticinque anni, l’articolo scaturì dall’esame professionale di una serie di carteggi e dossier pertinenti ai beni culturali non soltanto siciliani. La possibilità mi si era aperta nel gennaio 1996, quale prevista conseguenza del rilascio da parte del Ministero olandese per gli Affari Interni e Giustizia, dei necessari permessi affinché potessi fondare e dirigere in Olanda l’Archaeological Centre. Fu in quegli anni che iniziai a utilizzare la possibilità di stabilire formali contatti professionali con personalità europee e statunitensi che a diverso titolo si occupavano della compravendita di beni archeologici o di riproduzioni o imitazioni di queste. 

Nella fattispecie, lo studio del “Carteggio Pennisi di Floristella” nacque grazie anche a una serie di incontri e contatti telefonici iniziati nel marzo 1997 con il Gen.le di Brigata, Comandante del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico (T.P.A., oggi T.P.C., culturale) Roberto Conforti. L’anno precedente gli ero stato segnalato nelle mie qualità professionali e di diretto testimone di alcune devastazioni avvenute in Sicilia di aree e reperti d’interesse archeologico e paleontologico, da un magistrato di Siracusa conosciuta anni prima, essendomi a lei rivolto per cercare di contrastare quanto avveniva nel sito di eccezionale rilevanza di Contrada Fusco presso Siracusa (4).  

Il Generale era quindi già stato informato delle mie attività, mettendo in risalto la preziosa raccolta d’informazioni che, già da alcuni anni, avevo iniziato a contestualizzare nell’ambito di particolari traffici di reperti archeologici che ritenevo fossero svolti tra organizzazioni presenti in diverse aree siciliane e referenti statunitensi e dell’Europa occidentale. Alla formale comunicazione, era stata allegata anche copia di alcuni miei articoli in difesa del patrimonio archeologico siciliano.

Il dato che maggiormente aveva attirato l’attenzione del magistrato, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa, consisteva nel fatto che avevo focalizzato la mia attività di ricerca sulla personale convinzione che, in Sicilia, i furti di reperti archeologici effettuati all’interno di depositi museali e soprattutto, come insistentemente si vociferava tra il personale non dirigente, persino in fase di scavo di necropoli, fossero iniziate quantomeno negli anni 1960 a opera di organizzazioni criminali. Ero inoltre convinto che queste si fossero per decenni avvalse della connivenza di basisti nell’ambito del personale dell’amministrazione statale e anche in seguito, quando parti di queste divennero regionali.

Nel trentennio compreso dagli inizi degli anni 1960 sino agli inizi degli anni 1990, era altresì probabile che, in Sicilia, essendosi la criminalità agganciata in rapporto affaristico-clientelare con parte consistente del sistema politico regionale, essa fosse riuscita a fare assumere personale regionale e distribuirlo in ogni Soprintendenza. Oltre al sostegno alle ditte appaltatrici di lavori, questi “infiltrati” avrebbero ottenuto anche la funzione di svolgere non soltanto furti di beni culturali non catalogati, ma persino di quelli catalogati in antico, dei quali riuscivano a fare scomparire le documentazioni di provenienza presenti negli archivi. Si tratta di circostanze mai chiarite con dovuta attenzione, credo a causa dell’entità e gravità delle connivenze nella gestione dell’apparato burocratico. In alcuni casi ebbi la convinzione trattarsi di connivenze estorte non soltanto anche paventando la diffusione di documentazioni inerenti a controverse attività svolte nell’ambito degli orientamenti sessuali di funzionari.

Se così fosse, sarebbe lecito sospettare che la lotta ai piccoli gruppi di “tombaroli” ebbe, oltre a una sua innegabile utilità, anche la funzione non solo di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su una grave problematica endemica delle classi povere, sfruttata da oltre un secolo da gruppi criminali all’ombra dell’organizzazione mafiosa, ma di creare capi espiatori per coprire un sistema organizzato ben più grave, imponente, del contrabbando di reperti culturali. Un ingranaggio operativo di livello internazionale che certamente richiedeva coperture all’interno dei vertici di apparati non solo dello Stato italiano, ma di tutti i Paesi stranieri coinvolti.

Seduto al tavolo di un bar nel centro storico di Roma, venni messo a conoscenza e presi nota di località, vicende e una serie di nominativi di professionisti e burocrati con i quali, in Sicilia e all’Estero, avrei dovuto cercare di entrare in contatto in modo quasi sempre apparentemente casuale, e al fine di focalizzare i contesti nei quali erano a vario titolo coinvolti.

Oltre ai personaggi presenti in una mezza dozzina di siti (Selinunte, Sciacca, Enna, Piazza Armerina, alcuni paesi dell’area etnea, Palermo), vi era anche da “scavare” in una complessa e pluridecennale vicenda, con epicentro in Acireale.

Se avessi voluto comprendere a fondo le origini del lato oscuro delle soprintendenze della Sicilia orientale avrei dovuto iniziare ottenendo in visione ed eventualmente farne copia, di un vecchio “dossier”, del quale una parte (un carteggio) custodito a Noto presso la sede dell’Ente Fauna Siciliana. Si era invece persa traccia della parte contenente anche appunti legali e memorie informali, un tempo finita nell’archivio (descrittomi quale uno dei Sancta Sanctorum di segreti siciliani) appartenuto a una eminente personaggio della Sicilia Orientale, già residente a Roma per motivi professionali.

Bisognava scoprire chi ne era entrato in possesso, probabilmente attorno alla fine degli anni 1980, e cercare quantomeno di consultarla e pubblicarla nel più breve tempo possibile per evitare di essere fermato in modo “drastico e apparentemente accidentale”. Ero ancora nel pieno del mio vigore fisico e, determinato a conoscere le modalità di funzionamento del sistema, mi convinsi di avere le amicizie giuste per riuscire nell’impresa.

Contattai il Presidente dell’Ente Fauna Siciliana, lo zoologo Prof. Emerito Marcello La Greca e il direttore della rivista dell’Ente, Bruno Ragonese. Li conoscevo già entrambi, per le informazioni fornitemi ai tempi delle devastazioni della necropoli di Contrada Fusco a Siracusa e dopo che su mia richiesta il La Greca ebbe modo di ricevere chiarimenti dal Gen. Conforti, mi fu permesso di recarmi a Noto Antica ospite dell’Ente Fauna Siciliana per potere visionare il carteggio, studiarlo e ricavarne un articolo, con l’accordo di pubblicarlo dapprima sulla rivista bimestrale dell’Ente.

Ben più complesso fu invece localizzare la parte contenente il “memoriale”. Riuscii a consultare solo alcuni documenti grazie al rapporto di amicizia che avevo instaurato con il compianto Barone Corrado Cafici, nipote del famoso naturalista e paletnologo della prima metà del Novecento, che dopo aver richiesto informazioni nel suo ambiente, intercedette a mio favore presso il misterioso possessore, garantendo l’anonimato della provenienza. Fui così messo in grado di esaminare a Catania, al primo piano (a quel tempo disabitato da decenni) dell’antico Palazzo Cafici, un memoriale dattilografato su carta d’uso legale databile attorno alla metà degli anni 1960, nel quale sino alla fine degli anni 1980 erano state inserite note di aggiornamento attribuibili a più calligrafie, e alcune missive (5).

Nell’estate 1998, dopo avere letto il mio articolo e sottoposto al vaglio di suoi legali di fiducia, Bruno Ragonese decise di pubblicarlo dividendolo in due parti. Come da accordi, la prima parte venne dapprima pubblicata dalla rivista Grifone alla fine del mese di agostopur essendo da alcuni giorni già pervenuti amichevoli “consigli” di cautela anche al Presidente dell’Ente, provenienti da ambienti politici e accademici regionali, sino a incupirlo profondamente. Decidemmo quindi di inviarne copia anche ai giornalisti Graziella Lombardo e Enzo Basso, al vertice di un settimanale a diffusione regionale, Centonove, che accettarono di ripubblicare la parte da me composta circa un mese dopo, agli inizi di ottobre, con grande risalto e loro brevi considerazioni introduttive, riscuotendo un notevole successo (6).

Fu soltanto il 30 giugno del 2000, trascorso un anno dalla morte dell’ex soprintendente Bernabò Brea, che Bruno Ragonese decise di pubblicare l’articolo contenente la seconda parte dello studio del carteggio, pertinente ai dati più recenti della vicenda (7).  

(continua a breve in Fantasmi di processi mai nati. 3) Il dossier scomparso “Collezione numismatica Pennisi di Floristella”. Seconda parte: quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire)

 

Note

1) Villari P., 31 agosto1998, La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella, in Grifone, Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno VII, fasc. 4 (34), pp. 5-8.

Villari P., 2 ottobre 1998, Un tesoro all’asta. A Zurigo si batte la collezione Moretti. Sotto il martello monete pregiate della storia di Sicilia appartenuta alla raccolta Pennisi Floristella di Acireale, in Centonove, pp. 29-31.

Villari P., 30 Giugno 2000, La vera storia della collezione numismatica dei Baroni Pennisi di Floristella: 2) Quando la Regione Siciliana sborsò oltre quattro miliardi di lire, in Grifone, Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno IX, fasc. 3 (45), pp. 6-10.

2) per la teoria del sistema dominante, Deep State, poteri soprannazionali rimando agli articoli pubblicati su questo blog nella serie “La Tecnocrazia e il Sistema di potere dominante” e in “Strutture operative transnazionali e il network sopranazionale Deep State. Un criminologo sull’Arca di Noah” (quest’ultimo dapprima pubblicato on line su The Reporter’s Blog il 30 luglio 2018 , sito oggi non più disponibile, e trasferito su The Reporter’s Corner il 18 giugno 2020:

https://www.thereporterscorner.com/2020/06/strutture-operative-transnazionali-e-il.html

Per una critica delle attività del Bernabò Brea rimando al mio lavoro pubblicato su questo blog il 26 ottobre 2022, “Lipari, anni 1980. Luigi Bernabò Brea e le offerte sacre del dio Eolo; la solitudine di Leonardo Sciascia. E altri aneddoti”.

https://www.thereporterscorner.com/2022/10/lipari-anni-1980-luigi-bernabo-brea-e.html.

3) citato in Villari P., (2006) 2013, L’indagine Orfica. Terza edizione, Archaeological Centre ed., pp. 1- 324.

4) un mio report dedicato alla vicenda di contrada Fusco di Siracusa, contenente anche parte di un carteggio, è in corso di preparazione. In questa sede cito solo alcune notizie contenute nei seguenti articoli:

Carbone F., 8 ottobre 1989, In treno sui fossili, Panorama, Settimanale di attualità, pag. 67, Milano.

Villari P., sabato 16/domenica 17 dicembre 1989, Per un parco paleontologico, L’Ora, settimanale d’informazione, pag. 6, Palermo

Villari P., 1991, Resti faunistici dal Ninfeo del Fusco, Siracusa, in Animalia, Rivista del Dipartimento di Biologia animale dell’Università di Catania, vol.18, pp. 163-174. 

Ragonese B., Rizza E., 27 agosto 1995, Fusco: una distruzione enorme, incredibile, irreparabile. Non deve restare impunita, Grifone, Bimestrale dell’Ente Fauna Siciliana, Anno IV, fasc. 4, pp. 4-7. L’articolo contiene, su richiesta dei due giornalisti, una mia lunga relazione dei fatti di cui ero stato testimone nelle mie qualità professionali di archeologo e di archeozoologo.

Villari P., 12 agosto 2022, La Tecnocrazia e il sistema di potere in Sicilia. Parte V: il festschrift, il “cerchio magico”, e la costruzione del mito dell’intellighenzia tecnocratica in “The Reporter’s Corner”.

https://www.thereporterscorner.com/2022/08/la-tecnocrazia-e-il-sistema-di-potere.html

5) Nel corso di una serata trascorsa con le nostre compagne in un ristorante di Naxos, sollecitato dalla sua compagna che apprezzava molto le finalità idealistiche dei miei studi, Corrado mi fornì alcune informazioni che ritengo utile qui ricordare, eliminandone tuttavia le parti non suffragate da prove e riassumendone il significato. La pubblicazione dell’intero archivio dal quale provenivano quei pochi documenti da me visionati, sino a dieci anni addietro (ovvero alla fine degli anni 1980) avrebbe potuto creare un terremoto giudiziario colpendo i vertici non soltanto del sistema economico e politico regionale, seguito da severi problemi di stabilità politica e economica nazionale. 

6) Villari P., 2 ottobre 1998, Un tesoro all’asta.…., op. cit. in  nota 1.

7) Villari P., 30 giugno 2000, La vera storia della collezione… 2) Quando la Regione…, op. cit. in nota 1  

 

 

 

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...