"Objects for Eternity". Falsificazioni archeologiche, frodi internazionali e sistema di potere dominante. Parte II: 2015, la proposta di uno “Standard for Due Diligence”.

 di Pietro Villari, 16 Ottobre 2023. Tutti i diritti riservati

 

Premessa

Agli inizi del 2015 avevo maturato la convinzione di quanto fosse necessario redigere uno Standard for Due Diligence, perfezionando e integrando le preziose raccomandazioni edite nel 2007 da Mark Rasmussen (1). L’intento era proporre un valido mezzo destinato a quanti coinvolti nel commercio delle antiquities, ovvero ai collezionisti, antiquari e case d’asta. In quegli anni, difatti, grazie anche alla globalizzazione dei mercati, a mio avviso si raggiunse l’apice delle dimensioni degli scambi e delle problematiche legate sia alle compravendite illegali di reperti archeologici provenienti da recenti scavi clandestini e sia all’altrettanto vasto fenomeno delle frodi, perpetuate con imitazioni e riproduzioni di oggetti accompagnati da false dichiarazioni di autenticità.

Colsi l'occasione quando, agli inizi del 2016, un mio articolo pubblicato nel giugno 2014 venne tradotto in lingua inglese dalla statunitense Nancy Lee Kelker, una delle massime esperte internazionali di falsificazioni nel settore delle antichità precolombiane e docente di Storia dell’Arte. Svolgendo anche una rilettura critica dello scritto, Nancy mi convinse a inserire nuovi dati e considerazioni (2)

Fig. 1 – L’articolo pubblicato da un sito on-line l'11 Giugno 2014.

 

Delle due Giustizie

Sino a quell’anno nutrivo ancora una tenue speranza nelle reali possibilità del sistema giudiziario dei maggiori Paesi europei e nordamericani, ma ben presto dovetti ricredermi, accettando il dato fondamentale emergente dalle mie ricerche svolte nel settore nel periodo 1995-2015 e di quanto ho potuto constatare negli anni seguenti: la presenza di un sistema giudiziario parallelo e, fatto che ancor più inquietava, dominante.

In ogni Paese che in via auto-referenziale si definisce “civile”, appartenente al Blocco Occidentale e in quelli gravitanti nell’orbita di questo, oltre alla società fortemente gerarchizzata, strutturata a piramide tronca per il controllo e manipolazione delle masse, vi è una soprastante struttura piramidale di “aristoi”, costituente i gradi direttivi apicali. Si tratta di una sovrastruttura mantenuta scarsamente o affatto visibile alle masse che, in parte compenetrando quella logistica sottostante, opera in modo da sfruttarne le energie e al contempo garantendosi la totale impunità delle attività illegali.

Così, se ad esempio uno Standard for Due Diligence, può essere applicato con efficacia nella società “dominata”, ovvero quella degli individui considerati “massa profana”, la sua validità può essere viceversa inficiata nei casi che riguardano elementi del sistema dominante. In quest’ultimo, ad esempio, vi è la possibilità di accedere a mercati elitari, quelli delle compravendite riservate alle classi agiata militanti della casta dominante (quali le aste svolte in forma privata, ove la partecipazione dell’acquirente avviene mediante invito ad personam).

È la compenetrazione della società dominante in quella “di massa”, o meglio la sovrapposizione della giustizia dominante a quella dominata, che permette che aste pubbliche o reperti provenienti da scavi clandestini controllati dalle grandi organizzazioni criminali del pianeta, o le opere artigianali provenienti da botteghe falsarie capaci produzioni di elevato grado di decezione, possano godere di una sfacciata impunità.

A quel punto, il ricercatore o l’investigatore si trovano improvvisamente innanzi a una società sconosciuta e in gran parte incomprensibile ai “profani”, una sorta di “mondo parallelo”. Hanno passato la soglia che la rendeva invisibile e si trovano pericolosamente esposti a un infinito panorama di legami tra lobbies corporative e logge coperte di fratellanze iniziatiche di vario grado che, si favoleggia sottovoce, costituisce la base sulla quale il potere degli “aristoi” di alto grado si sviluppa in modo oscuro sino al suo vertice.

 

Il villaggio globale delle masse: caos, gonzi e denaro facile

Uno dei risultati più sorprendenti della ventennale ricerca che svolsi nel mercato internazionale delle antichità e delle loro recenti imitazioni, riproduzioni o contraffazioni (3), fu la constatazione che, nonostante si trattasse di giri d’affari per l’ammontare di diversi miliardi di euro, sino al 2015 vi era l’assenza di protocolli internazionali per riconoscere e legittimare l’autenticità dei manufatti oggetto di compravendita o di donazioni e questo, di conseguenza, incideva sui valori dichiarati dagli espertizzi (4).

Figg. 2 e 3 - Guida alle recente riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, volume I, 2013


 

Figg. 4 e 5 - Guida alle recente riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, volume II, 2014

 

Considerato che il commercio è uno dei pilastri dell’economia, che il settore antiquariale ha un discreto ruolo nelle entrate del ministero delle finanze, e l’ammontare del valore dei beni culturali contenuti nei musei statali e nelle collezioni private, mi fu chiaro quanto fosse inammissibile che non solo le attività del mercato internazionale delle antiquities, ma l'intera filiera dell’antiquariato e in generale dell’arte non fossero regolate da protocolli sia nazionali che internazionali.

Nonostante l’eccellente articolo pionieristico di Mark Rasmussen (5), che in base alla propria esperienza “sul campo”, già nel 2007 aveva proposto la prima valida bozza di raccomandazioni per l’integrità e l’affidabilità che gli esperti dovrebbero applicare nel processo di autenticazione delle opere antiche, sino al 2015 eravamo ancora lontani dalla sua formalizzazione a livello internazionale. Fu a quel punto che colsi l’opportunità di occuparmene nell’ambito della stesura dell’articolo sulle vicende relative a un gruppo di falsificazioni di vetri dell’antico Egitto manufatte in Italia. In appendice, inserii una dettagliata proposta di Standard for Due Diligence redatta sulla base delle mie ventennali ricerche nel settore, tenendo presente le raccomandazioni presenti nella bozza stilata da Rasmussen.

Sino a quell’anno, la situazione della compravendita di antichità era nella sua pratica spesso talmente compromessa, in termini di garanzie di genuinità e di legale possesso, che mi appariva inevitabile una evoluzione negativa sul lungo termine, con pesanti ripercussioni sull'intero sistema del commercio di antichità. Non mi sarei affatto stupito se, nei decenni seguenti, quel mercato fosse destinato a collassare o a subire un pesante ridimensionamento a favore di una fascia elitaria di agiati collezionisti.

Il collezionismo di reperti di scarso interesse storico-artistico o magico-esoterico, pressoché riservato alle classi medio-basse dove la presenza di falsi raggiunge picchi percentuali superiori all’ottanta per cento o oltre, sarebbe stato inevitabilmente condannato a una caotica situazione di crollo e gravi perdite economiche.

L’origine di questo crollo sarebbe coincisa con la comparsa nel mercato di strumentazioni tecnologiche a basso costo e facile uso anche per i collezionisti, che avrebbero condotto alla scoperta che una consistente parte dei reperti presenti nelle collezioni private e talora persino in Istituzioni statali, era in realtà il frutto della maestria di moderni artigiani e organizzazioni prive di scrupoli.

Il piccolo collezionismo di antichità, ovvero di acquisizioni intese anche quale forma d’investimento a lungo termine con modalità borderline, presso venditori che agivano senza validi controlli statali (includendo anche ambulanti, piccoli negozi aperti da improvvisati antiquari, shops on-line e mediocri case d’asta), era destinato a rivelarsi in tutta la sua realistica situazione. E invece, ancora oggi non è accaduto nulla, in quanto è intervenuta una volontà transnazionale, propria del sistema di potere dominante nell’area del cosiddetto Blocco Occidentale, che ha protetto l’intero mercato internazionale.

L’operazione è avvenuta circoscrivendo e nella pratica silenziando, screditando o ignorando a livello mediatico quelle poche  fonti che cercavano di esporre pubblicamente il problema. Questa “censura” della libera informazione è intervenuta a salvaguardare la reputazione del comportamento etico, non soltanto di direttori di musei o di case d’asta di primo piano a livello internazionale, ma persino in vicende piuttosto squallide e di notevole interesse criminologico, che coinvolgevano alti dirigenti degli apparati statali, quali ad esempio archeologi operativi nelle Università e nelle Soprintendenze. Il livello d’impunibilità di questi “colletti bianchi” è allarmante, a testimonianza dei limiti della “giustizia profana” innanzi al gruppo degli “aristoi”. La vicenda del marketing del vasetto egiziano esposta già nel 2014 e anni seguenti, ne è uno degli eclatanti esempi meglio noti in letteratura (6).

Il problema creato dal recente notevole miglioramento della qualità dei falsi, era stato messo in evidenza nel corso degli anni precedenti con la pubblicazione di due volumi fondamentali, tra l’altro contenenti circa duemila foto di oggetti e loro dettagli, di quasi tutte le classi vascolari prodotte da gruppi di lavoro in cui operano ceramisti, ceramografi e patinatori italiani (7) (Figg. 2 e 3). I due volumi costituivano un vademecum e un ammonimento per l'intero giro di affari nel settore delle antichità, di quanto fosse esposto a frodi in mancanza di efficaci interventi legislativi necessari al suo controllo, in primo luogo rendendo obbligatori gli “Standards for Due Diligence”.

Di conseguenza, era concreta e purtroppo talora anche manifesta, la possibilità d’imbattersi in documenti di provenienza e di certificazioni a garanzia dell’autenticità che in seguito a ulteriori controlli, si  rivelavano quale frutto di espertizzi errati, sia accidentali che intenzionali. Focalizzando l’attenzione su quelli intenzionali, era possibile constatare come questi fossero imputabili a una cattiva condotta professionale, gettando pesanti sospetti di connivenze che coinvolgevano anche l’operato di studiosi, direttori di musei, conservatori e scienziati accademici considerati tra i top experts del livello internazionale.

In taluni casi, si ha la sgradevole sensazione di trovarsi al cospetto di vere e proprie cerchie d’eccellenza, dove nei rapporti tra sodali regna il comportamento omertoso tipico delle fratellanze corporative e altre. Ambienti elitari, caratterizzati da inquietanti legami tra elementi appartenenti ai vertici di istituzioni pubbliche e private che, di fatto, garantiscono sia l’impunità e sia il silenzio dei media, divenendo in tal modo una di quelle parti autonome delle quali sono composte le  frodi commerciali di massimo livello criminale ove, tra l’altro, intervengono problematiche nell’applicazione delle norme del diritto civile e penale nell’ambito di attività transnazionali.

 

2015. Una proposta di semplice applicazione per la messa in sicurezza del mercato delle antiquities.

Effettivamente, la parte peggiore da affrontare verteva su un problema noto sin nell’antica Roma: Quis custodiet ipsos custodes, chi sorveglia i guardiani stessi? Chi esamina il lavoro delle persone autorizzate a decidere quale oggetto è autentico e quale no? E chi controlla le valutazioni fatte da questi individui per le istituzioni pubbliche? Cosa potremmo aspettarci quando potenti elementi della società, legati non solo da interessi scientifici ma anche commerciali, sono chiamati a selezionare i candidati da assumere nei ruoli dirigenziali del “sistema”? E, viceversa, cosa accadrà a quei candidati considerati onesti e coraggiosi al punto da rappresentare un pericolo per quelle cerchie del “business as usual”? In che modo le forze dell’ordine possono efficacemente combattere i crimini perpetuati dai “colletti bianchi”, essendo esse stesse infiltrate da elementi di vario grado gerarchico iscritti nelle medesime fratellanze, dove i giuramenti li tengono  avvolti in una cospirazione del silenzio? (8). E cosa possiamo aspettarci dal futuro considerando che queste “famiglie” (che con modalità autoreferenziale si definiscono “iniziatiche") sono da diversi decenni in espansione, grazie a una politica di proselitismo a fini utilitaristici del più si è e più si vince?

La gravità delle implicazioni sociali che si riversano persino nel mercato antiquariale, non risparmia di colpire anche le finanze nazionali. In questo “sistema” fuori controllo vi è un aspetto economico devastante, in primo luogo per gli sfortunati collezionisti privati, costituendo il target delle operazioni a catena, coloro che inconsapevolmente investirono consistenti somme di denaro acquistando oggetti in realtà di valore ben inferiore a quanto attribuito. Ma vi è anche il problema non secondario degli espertizzi “errati” (ove domina la scarsa competenza dell’esperto) o costruiti su dati falsificati, quali quelli utilizzati per eludere gli obblighi fiscali sul reddito, con conseguenti perdite per l’erario quando i falsi vengono donati a istituzioni museali statali, che li accettano dopo averli a loro volta espertizzati quali manufatti autentici e con valutazioni “gonfiate”. Il problema qui consiste nel fatto che, in molti Paesi, una percentuale consistente del valore delle opere d'arte donate allo Stato, può essere dedotta dai donatori nella loro annuale dichiarazione dei redditi (9).

Pertanto, nel 2015 era divenuto urgentemente necessario che i preposti uffici dei ministeri delle finanze europei imponessero, agli operatori dei vari settori del mercato antiquariale, l'adozione di “Standards for Due Diligence” che costituissero un punto fermo nella corretta valutazione delle opere dell’antichità e che si iniziasse ad allestirne di nuovi per la valutazione di tutti gli altri beni culturali prodotti oltre cinquanta anni addietro e di rilevante interesse storico-artistico o economico. Trattandosi di beni soggetti a divisione patrimoniale (nonchè a pignoramento in caso di fallimento o insolvenza), è imperativo che le autenticazioni e le perizie siano accurate per evitare perdite economiche sia alle persone coinvolte che all'erario.

Il fondamento di ogni valutazione è costituito dallo sforzo, in particolare da parte degli esperti coinvolti, di assicurarsi di applicare la dovuta diligenza in ogni fase del processo di autenticazione, altrimenti essi non saranno in grado di fornire una valutazione accurata dell’oggetto in esame. A mio avviso, il processo di autenticazione di un oggetto d'arte antico avrebbe potuto già sin dagli anni 1990 basarsi almeno su quattro diversi campi di indagine, nei quali i protocolli specificamente definiti avrebbero consentito all'esperto di documentare informazioni fondamentali.

 

Standard for Due Diligence (Villari P., 2015) (10)  

1) Valutazione della provenienza e della documentazione.

– quando e come l'oggetto è divenuto di proprietà dell'attuale proprietario (documento fiscale; atto di donazione; testimonianze certificate credibili);

– elenco dei precedenti proprietari (accertati attraverso: fattura; atto di donazione; oggetto censito nei patrimoni; testimonianze certificate e credibili, pubblicazioni, foto e disegni datati);

– se l'oggetto è di proprietà di una istituzione pubblica o privata, o a queste prestato, o di un collezionista privato, è necessario richiederne la “cronistoria di conservazione” dove sono registrati tutti i trattamenti meccanici e chimico-fisici; la descrizione degli strumenti e delle tecniche utilizzate e delle loro finalità; la descrizione dei danni eventualmente avvenuti durante i periodi di esposizione, lo stoccaggio o i trasporti; eventuali segnalazioni di radioattività nell'area di custodia o nelle ex località di custodia (in quanto può alterare i risultati di successive misurazioni di laboratorio);

– identificazione e descrizione completa di tutti i dubbi riguardanti l’attendibilità della documentazione.

2) Valutazione di perizie precedenti.

– identificazione degli esperti che hanno analizzato l'oggetto e la loro qualifica professionale;

– relazioni di analisi condotte da professionisti contenenti la descrizione dell'oggetto (articoli scientifici, monografie, cataloghi di mostre, perizie certificate);

– identificazione e descrizione completa dell'attendibilità delle valutazioni precedenti.

3) Ulteriori ricerche scientifiche.

– analisi scientifiche effettuate in laboratori dotati di moderne strumentazioni e che seguono moderne tecniche di analisi (microscopia, petrografia, radiografia computerizzata, tomografia computerizzata, termoluminescenza, analisi ultraviolette e infrarosse, ecc.)

– identificazione e qualificazione del gruppo prescelto di esperti, dei protocolli e degli standard di qualità da questi eseguiti nella ricerca;

– individuazione e descrizione completa del limite di attendibilità dei test scientifici.

4) Determinazione

– analisi dell'insieme delle prove acquisite e rilascio di un certificato di autenticazione contenente le conclusioni. Il documento deve essere rilasciato e firmato da un supervisore, la cui autorevole esperienza professionale sia in grado di armonizzare e contestualizzare l'esame di tutte le informazioni raccolte e di redigerlo come una determinazione finale attendibile.

 

Dopo la pubblicazione dell’articolo: logiche e meccanismi di difesa del sistema di potere dominante

A tutt’oggi ritengo che sia un valido protocollo al quale un professionista possa attenersi quando chiamato a certificare un'autenticazione in circostanze importanti, si pensi ad esempio in sede giudiziaria. Non gli si può chiedere di più. Ma quali sono i reali limiti, l’affidabilità degli sforzi di questa indagine vincolante?

Per un archeologo o uno storico dell'arte, il processo di autenticazione (dal greco authentikos = reale, genuino) è la catena di atti distinti tra loro che determinano se un manufatto è ciò che viene dichiarato di essere. Come sopra descritto, in ambito commerciale possono intervenire attività di alterazione di oggetti, sia chimiche che fisiche, per travisare, ingannare o falsificare le proprietà caratteristiche che tentano di provarne l’autenticità, nel loro più ampio significato scientifico e artistico. Ma anche la valutazione della provenienza e la documentazione di un manufatto possono essere soggette ad inganni similari.

Oggi, nei Paesi occidentali, le case d'asta e i mercanti d'arte offrono grandi quantità di manufatti valutati dai propri esperti che, seguendo le leggi vigenti, limitano il loro lavoro descrivendo i caratteri artistici osservati, iconografia, misure, stato di conservazione, talora la provenienza, eventuali datazioni attraverso l’esame TL e infine stima del prezzo di vendita. Sono estremamente rari i casi ove viene citata la cronistoria della conservazione. Anche se generalmente non resa nota, per gli oggetti di particolare valore artistico le maggiori case d’aste dispongono una verifica per escludere che essi siano segnalati negli elenchi disposti dalle forze dell'ordine, schedati quali ricercati in seguito a furto o a un mancato sequestro giudiziario. Ma nonostante tutti questi accorgimenti, la valutazione risulterà compromessa quando si tratta di manufatti di recente falsificazione, garantiti da false documentazioni, che sfuggono al vaglio del personale preposto all’espertizzo per mancanza di adeguata preparazione tecnica o per corruzione.

A causa del persistente problema del traffico illecito di antichità, ciò che per oltre quarant’anni aveva costituito una “valida provenienza”, era divenuta una delle principali preoccupazioni legali nel mercato delle antichità. Lo scempio illegalmente operato nei siti archeologici dell’intero pianeta era giunto a tali dimensioni che, per contrastarlo, necessitava accertare che le informazioni fornite dai venditori fossero effettivamente affidabili.

Ebbene, mentre altri studiosi criticavano quali irreali le stime delle alte quantità di falsificazioni di manufatti nei vari stili precolombiani presenti sul mercato (con punte dell’80%) e nei musei americani (calcolate da Nancy Kelker sulla base delle sue esperienze “sul campo”), le mie osservazioni in Europa mi convinsero fosse ragionevole poter presumere che in non pochi casi la percentuale fosse persino più alta. In linea generale, in Europa erano invece più bassi i valori relativi alle sofisticazioni  di manufatti appartenenti alle antiche culture europee. Viceversa, nelle collezioni europee erano maggiori quelle relative alle culture nordafricane e del Vicino Oriente.

Inoltre, risultava ampiamente provato che le errate informazioni relative all’autenticità e alla provenienza fornite dai venditori, trovassero una valida copertura legale soprattutto dalla scarsa o inesistente scrupolosità delle case d’asta o dei loro esperti (personaggi che spesso non possedevano nemmeno una laurea o una laurea di pertinenza). Il problema era riversato sulle qualità da connosseur dei collezionisti o dei mercanti, che quasi sempre finivano per acquistare i falsi per motivi di ignoranza o d’illegale finalità speculativa.

L’inadeguatezza specialistica o l’attenzione del personale delle istituzioni preposte al controllo e delle leggi che regolano il mercato delle antiquities e degli oggetti d’interesse etnografico (“arte tribale”, “etnografica”, ecc.) costituivano a quel tempo e non di rado ancora oggi, un grave problema di tutela. Gli “errori” commessi nei cataloghi d’asta si ripercuotevano nei cataloghi di vendita del commercio al dettaglio on line, dove spesso si leggevano rassicuranti affermazioni quali: “tutti gli articoli sono dichiarati autentici e corredati da garanzia di autenticità”. In realtà questi cataloghi offrivano descrizioni quasi tutte non basate su alcun standard di dovuta diligenza, dove le informazioni che accompagnavano gli artefatti venduti non fornivano effettivamente una garanzia per un potenziale acquirente. 

Nel caso dell’autenticazione della provenienza ci sono molti modi per falsificarla. La più comune, diffusa a livello internazionale, è quella di creare collezionisti non identificabili, “non interpellabili” in quanto deceduti. Ne propongo alcuni tra gli innumerevoli: “Ex antica collezione Inglese, acquistata a Londra negli anni 1960”; “dalla collezione di un medico londinese, acquistata negli anni '50-'70”; “importato in Inghilterra da uno studioso brasiliano negli anni 1950”.

Un altro modo è quello di falsificare una piccola parte della frase: “From the Estate of Lord (nominativo)…, 1950’s – 1960’s”, dove il nome del collezionista e il periodo nel quale egli formò la collezione sono veri, ma la loro relazione con il manufatto non è provata. E così via, in una miriade di combinazioni possibili.

Altro problema è la credibilità delle cosiddette external records, da considerare sempre con cautela perché tali testimonianze orali possono essere frutto di un atto di falsificazione di ricordi. Ne fornisco un esempio.

Anni fa, durante le mie ricerche, mi imbattei in un crimine del genere in un Paese dell’Unione Europea che mi illuminò sulla facilità con cui era stato possibile creare questo tipo di documentazione ingannevole. Discendente ed erede di un’antica e agiata famiglia aristocratica di collezionisti e archeologi, un uomo di oltre 80 anni, fu oggetto di pesanti pressioni psicologiche  da parte di un noto collezionista di reperti preistorici, un anziano avvocato con forti legami nel sistema dominante sia regionale che nazionale, che cercava d’indurre l'ottuagenario a certificare una falsa dichiarazione. Nella fattispecie, gli chiedeva di mettere per iscritto di aver assistito, da giovane, a una compravendita intercorsa tra il nonno paterno e il padre dell'avvocato, inerente a molti importanti vasi di ceramica di età preistorica, greca e classica, nonché di altri oggetti di età medievale appartenenti alla rinomata collezione di famiglia.

In cambio, l'avvocato si offriva di intervenire attraverso i suoi eticamente discutibili ma potenti contatti, per risolvere bizzarri problemi che l'anziano subiva nei tentativi di vendita di una sua importante e antica proprietà immobiliare. Interpellato, consigliai all’anziano aristocratico di rifiutarsi di rendere una falsa dichiarazione e di limitarsi a certificare quanto effettivamente ricordava, ovvero che il padre dell’avvocato avesse fatto visita, una sola volta, alla sua famiglia pur non conoscendone la motivazione.

Sfortunatamente e a mio avviso anche con clamorosa incongruenza, questa dichiarazione che in seguito si scoprì era stata associata ad alcune altre rilasciate da anziani testimoni, furono sufficienti affinché l'avvocato potesse sostenere con successo la restituzione da parte dello Stato della sua precedentemente confiscata collezione di antichità. In tal modo, venne riconosciuta di proprietà privata quella che gli inquirenti sospettavano una collezione di provenienza illecita, provenienti da saccheggi in aree archeologiche avvenuti nel corso dello scorso secolo e corredata della stima per il valore di diversi milioni di euro, effettuata da un esperto nominato dal tribunale e quindi a spese della collettività.  

A fronte della modica spesa effettuata dall’avvocato per il suo acquisto (come se non bastasse, vi era il sospetto che si trattasse sia di acquisizioni effettuate in cambio di prestazioni professionali, e sia di attività d’intercessione per l’ottenimento di favori da personaggi politici), il riconoscimento del legittimo possesso della collezione costituì al netto un ricavo milionario. Non ho alcuna conferma che alla morte del collezionista quell’autentico tesoro fu oggetto di pagamento delle tasse di successione a carico degli eredi.

La possibilità di trovarsi innanzi a tali discutibili pratiche dovrebbe essere sempre opportunamente considerata quando si valuta la validità di prove su base testimoniale costituenti la “documentazione esterna”. In ogni caso, in queste vicende aleggia l’oscura presenza di errori, sviste, mancanze e legami “fraterni” che non possono essere sempre attribuite a semplici coincidenze. A fronte di qualsiasi ideologia, per un fedele e stimato sodale di lunga militanza nel sistema del potere dominante, vi è sempre una via affinché gli interessi del proprio protetto prevalgano sul pubblico interesse e sulle logiche della Giustizia “profana”.

 

Conclusioni

Attualmente molte case d'asta e commercianti vendono, su commissione, enormi quantità di materiali archeologici senza alcuna prova accettabile di legale detenzione o autenticità, fatta eccezione della dichiarazione che gli oggetti provengono da "una vecchia collezione". Nell'esercizio della dovuta diligenza, questo tipo di dichiarazione dovrebbe essere legalmente comprovata da documenti prima di poter essere inserita nei cataloghi d'asta.

Fino a quando non sarà concordato e formalizzato a livello internazionale uno “Standard of Due Diligence” atto a valutare e garantire la provenienza, la stima del valore e la commerciabilità di beni mobili dell’antichità, le istituzioni pubbliche dovrebbero osservare le seguenti misure precauzionali:

– Musei archeologici e collezioni pubbliche universitarie. È necessario evitare la datazione di qualsiasi opera che non provenga da scavi archeologici o indagini condotte con metodologia scientifica. In caso di manufatti provenienti da collezioni private, tutti i pezzi privi di recenti autenticazioni di esperti indipendenti dovrebbero essere indicati quali “possibilmente antichi”.

La donazione di un'opera d'arte dovrebbe essere accettata solo dopo essere stata autenticata in modo indipendente da esperti riconosciuti dallo Stato e non associabili alle attività del donatore.

– Ministero delle Finanze. Dovrebbe essere in ogni caso vietata la trattenuta di somme di denaro dalla dichiarazione dei redditi, come sino ad oggi permesso quale premio per la donazione di opere d'arte e spesso senza seguire una norma di Due Diligence da parte del personale specializzato delle istituzioni pubbliche.

– Istituzioni pubbliche e private. Sia il catalogo che le didascalie che accompagnano l’esposizione dei reperti, dovrebbero riportare soltanto informazioni verificate nel processo di autenticazione, o evidenziate in modo da separarle da ulteriori speculazioni. Se presenti, dovrebbero essere segnalate anche le lievi incertezze o anomalie riscontrate nella verifica delle prove.

– Case d'asta e commercianti. La vendita di manufatti dovrebbe considerarsi potenzialmente fraudolenta se accompagnata da garanzie non comprovate da un processo di autenticazione. Viceversa, la vendita dovrebbe essere considerata legale quando un manufatto viene venduto come “possibilmente antico” se accompagnato da almeno alcune prove positive di parte del processo di autenticazione.

Nel caso in cui un manufatto non sia accompagnato da un processo di autenticazione, nel caso di vendita esso dovrebbe essere accompagnato dalla formula “l'autenticità attende conferma da un processo di autenticazione”, al fine d’informare i potenziali acquirenti sui rischi che si corrono nell'acquisto dell'oggetto.

– Magistratura e forze dell'ordine. Il controllo della vendita di “antichità” nelle case d'asta, nelle gallerie e in altre attività commerciali (come vendite online, fiere, mercatini, ecc.) dovrebbe coinvolgere studiosi di solida formazione, con conoscenze professionali tali da poterli considerare effettivamente esperti nel campo della valutazione richiesta. La punizione per pratiche ingannevoli dovrebbe sempre prevedere la confisca dei manufatti e una pena adeguata alla gravità del danno.

In caso di accertati comportamenti illeciti constatati nel corso di attività professionali svolte da accademici, studiosi, esperti operanti in istituzioni pubbliche o private, questi soggetti dovrebbero essere chiamati al risarcimento dei danni. Se recidivi, oltre alle sanzioni previste dalla legge, eventuali successivi espertizzi condotti sino alla data della loro condanna penale dovrebbero essere sottoposti ad accertamenti da parte di altri esperti, e nell’attesa dei risultati, considerate prive di ogni merito giuridico e scientifico.

– Commercio interno ed estero. Nell’atto di richiesta del rilascio di un permesso per il commercio di antichità, il richiedente dovrebbe essere tenuto a fornire la necessaria documentazione, a prova di essere in possesso dei titoli universitari e/o delle esperienze lavorative nel campo di studi di pertinenza.

 

Note

(1) Rasmussen M., 2007, Setting the Standard for Due Diligence: Scientific Techniques in the Authentication Process,, in Rare Collections, Stillwater, MN 55082 USA (www.rare-collections.com)

(2) la parte dell’articolo contenente la vicenda di una recente imitazione di un vasetto dell’antico Egitto venduta da una casa d’aste quale autentica, era stato già pubblicato on-line alcuni anni prima (Fig. 1) su un sito italiano l’11 giugno 2014 (coscienzeinrete.net/arte/item/1965-il-vasetto-dell-antico-egitto-venduto-per-90000-euro-fatto-in-italia-per-pochi-spiccioli), non più disponibile on-line da alcuni anni.

Purtroppo dovemmo aspettare a lungo per ottenere il responso della rivista e considerato che, per curiosa coincidenza, uno studioso anglosassone aveva nel frattempo pubblicato un suo Standard for Due Diligence dai contenuti simili al mio (Gill D.W.J., giugno 2016, The Auction Market and Due Diligence: the Need for Auction, The Journal Art of Crime). Piuttosto amareggiato decisi di pubblicare il lavoro su un mio blog:  

31 luglio 2018, Egyptian style core-formed glass forgeries, white collar crimes and national treasures. How professional misconduct and misconstruction can compromise the authentication and appraisal process, The Reporter’ s Blog (non più disponibile online dal luglio 2020) e dal 16 giugno 2020 su The Reporter’s Corner:

https://www.thereporterscorner.com/2020/06/egyptian-style-core-formed-glass.html

Per approfondimenti rimando all’articolo pubblicato on-line da The Reporter's Corner in data 29 Settembre 2023, "Objects for Eternity". Falsificazioni archeologiche, frodi internazionali e sistema di potere dominante. Parte I: Le vicende di due recenti imitazioni italiane di rari vasetti in vetro dell’Egitto faraonico.  

https://www.thereporterscorner.com/2023/09/objects-for-eternity-falsificazioni.html

(3) notizie in: Villari P., 2013, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. I, pp.1-224, Figg. 1 - 646, Archaeological Centre, Roma; Villari P., 2014, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. II, pp.1-378, Figg. 1 - 1098, Archaeological Centre, Amsterdam.

(4) per la definizione di questo problema, relativi esempi e riferimenti, un interessante saggio è stato pubblicato durante la traduzione di questo manoscritto: Yates D. 2016, Museums, collectors, and value manipulation: tax fraud through donation of antiquities, Journal of financial Crime, 23(1).  

(5) Rasmussen M., 2007, Setting the Standard for …, op. cit. in nota 1. 

(6) 11 giugno 2014, Il vasetto dell’antico Egitto… op. cit. in nota 2, anche per altri articoli inerenti alla vicenda pubblicati sino ad oggi.

(7) si rimanda alle opere citate nelle note 1 e 2.

(8) si consideri ad esempio quanto emerso dalle inchieste svolte sulla composizione e le attività delle logge massoniche P2 e seguenti, e dalle indagini più recenti nell’ambito del cosiddetto “Caso Banca Nuova-Montante”. Si tratta di vicende dove è lampante come raggiunto il coinvolgimento di un alto livello istituzionale, le indagini si impantanano scomparendo contemporaneamente nell’oblio mediatico.

(9) Yates D., 2016, Museums, collectors, and value manipulation…, op. cit. in nota 4.

(10) per la versione in lingua inglese rimando all’articolo pubblicato in data 31 luglio 2018 e  in The Reporter’s Blog, Egyptian style core-formed glass forgeries… op.cit. in nota 2,  (non più disponibile online dal luglio 2020) e dal 16 giugno 2020 consultabile su The Reporter’s Corner:

 https://www.thereporterscorner.com/2020/06/egyptian-style-core-formed-glass.html

"Objects for Eternity". Falsificazioni archeologiche, frodi internazionali e sistema di potere dominante. Parte I: Le vicende di due recenti imitazioni italiane di rari vasetti in vetro dell’Egitto faraonico.

di Pietro Villari, 28 Settembre 2023. Tutti i diritti riservati.

Rielaborazione con aggiornamenti e approfondimenti del tema, di tre articoli dell’Autore editi in lingua italiana o inglese in diversi siti on-line, tra il 2014 e il 2020. Cliccare sulle figure per la visione ad alta risoluzione.

 

Abstract - This first part of the report examines two cases, occurring during a long term research study of modern reproductions and imitations of antiquities. Particularly, are examined the activities of an Italian workshop and the marketing of two Egyptian style core-formed glass vessels (Figs. 1 and 2). Taking these examples as alarming representatives of a widespread situation, the article examines professional misconducts and misconstructions, happening at various stages of the glass making, authentication, appraisal, and marketing processes. 

Apart from these negative implications, the report brings to light,” for both the international academic world and antiquities market, how a false appraisal of these items may cause to a long list of economic situations.

The second part of the report will be posted the next months.

Fig. 1 - La moderna imitazione in pasta vitrea in stile Antico Egitto venduta per una modesta somma da una casa d’aste olandese nel 2001. Esposta quale preziosa antichità dal 2006 al 2007 in una mostra ospitata in una sala di un noto museo archeologico olandese, e come tale pubblicata in una monografia edita da una nota casa editrice tedesca. Infine, garantita da questi prestigiosi precedenti, l’oggetto venne accettato da una eminente casa d’asta francese che lo offrì per 90.000 USD. Nei panni dello sfortunato acquirente un famoso collezionista nordamericano.

 

Fig. 2 – Una moderna imitazione in stile Antico Egitto garantita autentica da un esame della termoluminescenza eseguito da un noto laboratorio germanico specializzato nel settore. Documento e foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Premessa 

Alcune notizie presenti in questo articolo furono da me pubblicate nel giugno 2014 su un sito on-line italiano (1). Circa due anni dopo, tra il febbraio e l’aprile del 2016, scrissi un nuovo articolo sulla base dei risultati ottenuti nelle ulteriori ricerche che effettuai nel 2015 e dei preziosi consigli ricevuti da diversi maestri vetrai e da colleghi archeologi. Tra tutti questi, ebbi il piacere di intraprendere una lunga, fitta e illuminante corrispondenza anche con la statunitense Prof. Dr. Nancy Lee Kelker.

Nota esperta internazionale e coautrice di monografie nel campo delle recenti falsificazioni di antichità precolombiane, Nancy si offrì di tradurre l’articolo in lingua inglese, ritenendo fosse opportuno proporlo alla ristretta comunità scientifica internazionale, mentre personalmente pensavo che anziché a “quei quattro gatti” necessitava una diffusione tramite un quotidiano che comunicasse la vicenda alle masse. In ambedue i casi, come era d'altronde logico presumere, considerati gli ambienti investigati e le personalità scientifiche coinvolte negli scandali riportati, ci trovammo innanzi a un muro di gomma. I direttori delle testate giornalistiche temevano fortemente di essere travolti da denunzie e di dovere sborsare risarcimenti onerosi. In un caso, una rivista specialistica si spinse a pretendere, quale condizione ad accogliere l’articolo, di essere messa a conoscenza dei dati “sensibili” inerenti alle attività di infiltrato nel mercato internazionale delle antiquities e loro falsificazioni, nonché dei nominativi di artigiani, mercanti, intermediari, elementi di speciali unità delle forze dell’ordine e informatori qualificati attendibili per le loro qualifiche professionali. Ovviamente risposi con un netto rifiuto, fermo restando che parti di quei dati avrebbero potuto essere eventualmente da me forniti alle magistrature di competenza, qualora fossero stati formalmente da queste richiesti e previa approvazione dei personaggi coinvolti e delle Istituzioni statali o private alle quali alcuni appartenevano.

Questa possibilità non si verificò, così come d'altronde non si era presentata nemmeno nel 2013 e nel 2014, con la pubblicazione di due miei volumi monografici sulle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche. Vi è però da dire che nel corso delle mie ricerche avevo contemporaneamente trascorso brevi periodi di collaborazione con un organismo antifrode della Commissione Europea e con unità di servizi informativi militari di Paesi europei.

Nel 2018 maturai la triste sensazione che, in linea generale, l’interesse di quei vertici fosse piuttosto rivolto al controllo delle mie attività affinché non dilagassero “ai piani alti”, quelli degli Intoccabili. Difatti, quando questo “trespass” del limite invisibile si era palesato per un insieme di coincidenze, essendo stato dapprima ammonito e infine persino convocato  presso la sede di un Comando delle forze dell’ordine a Roma con il quale avevo collaborato anni addietro.  

Decisi così di aprire un mio sito on-line, dove iniziai a pubblicare i miei articoli. Dapprima su The Reporter’s Blog dove, in data 31 luglio 2018, fu finalmente edito l’articolo tradotto in lingua Inglese Egyptian style core-formed glass forgeries, white collar crimes and national treasuries” e dal 18 giugno 2020 su The Reporter’s Corner dove è gratuitamente consultabile (https://www.thereporterscorner.com/2020/06/egyptian-style-core-formed-glass.html).

 

La ricerca sulle recenti falsificazioni italiane di reperti d’interesse archeologico

Questo articolo è uno dei risultati della ricerca che tra il 1996 e i primi mesi del 2016 fu condotta sulle recenti riproduzioni e imitazioni italiane di reperti archeologici, sostenuta esclusivamente con fondi privati (2). Durante quel lungo periodo riuscii a osservare di persona le attività di botteghe di validi artigiani, case d'asta, commercianti e collezionisti in Italia, Inghilterra, Paesi Bassi, Germania, Francia, Spagna, e in minor misura in Siria (sotto le vesti di mercante interessato alle locali riproduzioni di tappeti orientali…) e in Ucraina. Fu anche tramite questi contatti che riuscii ad avere un quadro d’insieme, costantemente aggiornato, di quanto accadeva in questo settore borderline dei traffici commerciali e delle nuove produzioni immesse in Europa e in minor misura in Nord America, Paesi della fascia Nordafricana e nel Vicino Oriente.

Particolare attenzione fu rivolta ai veri e propri laboratori artigianali, con sede in diverse regioni italiane, dai quali in quel periodo provenivano consistenti quantità di falsi destinati al mercato internazionale. Oltre all'ingente massa di foto e osservazioni raccolte nel corso degli anni, mi fu possibile formare e catalogare una collezione contenente circa 700 reperti selezionati, nella quasi totalità ceramici, con l'obiettivo di produrre un articolato resoconto nella fase finale della ricerca. In base a queste lunghe, pazienti e spesso pericolose attività che fui infine in grado di pubblicare i primi due volumi di una monografia dedicati allo studio, a quel tempo pionieristico, delle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche (3).

Un gruppo di questi oggetti catalogati, tutti ovviamente ben lontani dall'apparire autentici, sono stati legalmente venduti, in tre diverse case d'asta, come semplici imitazioni, offerte a prezzi modesti. Lo scopo dell'operazione era identificare e seguire gli attori di eventuali successive procedure di commercializzazione, nel caso in cui questi articoli, nonostante la loro apparenza e esposizione su cataloghi, venissero rivenduti come autentici.

Particolarmente interessanti in questo processo di “trasmutazione” sono le fasi e i meccanismi dell'autenticazione, le persone che trasformano diverse imitazioni in autentiche antichità di alto valore, fornendole di provenienze “rispettabili” e talora persino di certificati di garanzia. I due casi pertinenti a oggetti in vetro (4), qui di seguito esposti, ci danno un'idea della gravità del problema e delle sue implicazioni sociali.

 

Un moderno maestro vetraio italiano e le sue opere

Nel 1998, dopo alcuni anni trascorsi visitando dozzine di fiere di antichità europee ed esaminando i cataloghi di antichità pubblicati a partire dalla fine degli anni '80, mi fu evidente che un certo numero di vasi di ceramica definita “greca”, “etrusca”, “villanoviana”, figure di terracotta “ellenistiche” e diversi vasetti in pasta vitrea policroma, tutti offerti come autentiche antichità, appartenevano a recenti realizzazioni operate con notevole maestria da diversi artigiani, le cui caratteristiche di manifattura permettevano d’identificarle e circoscriverle in determinati ambiti regionali. Inoltre, le opere essendo tutte legate a laboratori italiani identificabili per luogo di produzione, permettevano investigazioni incrociate con i risultati del monitoraggio della periodica presenza nei veri territori di intermediari francesi, belgi, tedeschi e spagnoli, operanti quali commercianti basso profilo.

Dopo un altro anno di assidue e costose ricerche, riuscii a stabilire il contatto con uno dei misteriosi maestri riproduttori di masterpieces di vetro antico (5). Questi lavorava solo su commissione per pochi clienti fidati, possedeva notevoli capacità tecniche e versatilità nel riprodurre un'ampia gamma di manufatti archeologici in pasta vitrea. Nella produzione dei suoi manufatti in vetro eseguiti su un nucleo o soffiati a stampo, preparava personalmente tutti i materiali necessari per le sue riproduzioni, utilizzando le antiche tecniche descritte in pubblicazioni scientifiche, talora perfezionate dai suoi stessi esperimenti. Gli chiesi di produrre una dozzina di imitazioni, scelte tra gli esemplari pubblicati nelle collezioni dei musei statunitensi, accompagnati da documentazione fotografica a colori e disegni della struttura in vetro (6). Verso la fine del 2000, dopo diversi mesi di lavoro, l’artigiano fece in modo d’informarmi che i pezzi commissionati erano pronti.

Nel giugno 2001 un lotto di vasetti in pasta vitrea in diversi stili dell’antichità egizia, ellenistica e romana, insieme a diverse imitazioni di ceramiche in stile attico e corinzio, venne consegnato alla casa d’aste “Veilinggebouw de Zwaan” di Amsterdam (7) (Figg. 3, lotto 3227). Tutti gli articoli erano stati presentati al pubblico con chiarezza, specificando nel catalogo la mia garanzia espressa in qualità di archeologo che si trattava di riproduzioni o di imitazioni moderne. Le descrizioni erano altresì corredate da foto, e la non autenticità dei reperti venne più volte ricordata nel corso dell’asta pubblica, il cui corretto svolgimento era tra l’altro presenziato da un notaio.

La pubblica esposizione delle capacità riproduttive o imitative di abili artigiani moderni e la messa in commercio, tutte acquistate da antiquari e collezionisti, creò profonde ripercussioni nel florido mercato olandese delle antiquiteiten. Molti collezionisti, che a quel tempo spendevano piccole fortune nelle locali modeste fiere antiquariali olandesi, così come in quelle tedesche, belghe, francesi e inglesi, si resero conto di avere per anni subìto notevoli perdite finanziarie, acquistando a prezzi stracciati quantità di quelle che presumevano, con inconfessabile autentica gioia malandrina, "antichità appena scavate" in siti archeologici di altri Paesi, o illudendosi che fossero pervenute dal disfacimento di antiche raccolte di anonimi collezionisti, a causa di eredi ignari del vero valore di mercato (8).

Secondo le informazioni che raccolsi nel 2013, un vasetto in pasta vitrea egiziana appartenente al lotto venduto all’asta tenuta nel 2001 ad Amsterdam venne acquistato, quale moderna riproduzione, da un ricco collezionista olandese (9). Ne seguii il percorso successivo, animato soprattutto da quanto questa esperienza permetteva di mettere in luce quale un aspetto inquietante del mercato internazionale delle antiquities, del collezionismo, delle case d’aste e persino del gotha accademico. L’intera vicenda venne immediatamente insabbiata, per usare un termine del giornalismo investigativo, sia a livello mediatico che giuridico, così come avvenne per le migliaia di reperti-evidenza pubblicate nei miei volumi sulle falsificazioni di ceramiche italiane d’interesse archeologico, editi in Olanda nel 2013 e nel 2014 dall’Archaeological Centre. Lobbismo e corporativismo proteggono perfettamente quanto collegato a questo business riservato ai colletti bianchi dell’intero pianeta: chi tenta di opporsi è destinato quantomeno all’emarginazione.

Fig. 3 – Il gruppo di mere imitazioni di oggetti in vetro dell’antichità, venduti come tali nel 2001 da una casa d’aste olandese.

 

Fig. 4 – Il catalogo dell’asta 17 Giugno 2010, edito da una rinomata casa d’aste francese, nel corso della quale fu venduta l’imitazione in vetro dell’Antico Egitto, accompagnata da espertizzi eseguiti da specialisti e falsa provenienza creata alcuni anni prima nel corso di una mostra tenuta presso una famosa museale universitaria olandese.

 

 

Le vie oscure del marketing. Esempio 1) il tubetto di vetro in stile egiziano

Nonostante lo scandalo derivato dall’esposizione della presenza di moderne riproduzioni o imitazioni di notevole livello tecnico, esso non fu di alcun impedimento a quanto avvenne in seguito. Difatti, appena cinque anni dopo, nel 2006, una delle riproduzioni vendute dalla casa d’aste “de Zwaan” salì alla ribalta internazionale come una preziosa reliquia dell’antico Egitto, essendo stata identificata da un gruppo di esperti di fama internazionale in una famosa mostra (17 marzo 2006 al 25 novembre 2007) tenutasi presso il Museo Allard Pierson, prestigiosa istituzione dell’Università di Amsterdam. Nel catalogo della mostra intitolata “Objects for Eternity: Egyptian Antiquities from the F.W. Arnold Meijer Collection” (Fig. 5), l’egittologa tedesca Birgit Schlick-Nolte, nota top expert internazionale, descrisse il piccolo tubetto in stile egiziano come una preziosa opera d’arte creata durante il “Nuovo Regno, tra la fine della XVIII dinastia all'inizio della XIX dinastia, c. 1350 – 1250 a.C.” (10).

Fig. 5 – La monografia edita nel 2006 nella quale il vasetto è entusiasticamente descritto quale autentico da una famosa egittologa tedesca, e fornito della falsa provenienza da una collezione olandese degli anni 1930.


Il reperto ha la forma di una colonna templare egizia in miniatura, alta 10,9 cm e con un diametro di 3,9 cm; è leggermente svasato nella parte inferiore, mentre nella parte superiore si allarga per definire la forma ramificata di una palma, in cima alla quale è presente un collo corto e rigido che termina con una bocca indistinta. Realizzato utilizzando la tecnica del nucleo removibile, nella quale il vetraio riveste un'asta di ferro con una miscela di argilla, sabbia e sterco modellata nella forma che assumerà il vaso. La particolare composizione di questo nucleo permetterà l'estrazione dell'asta al termine del processo produttivo. Dapprima, tenendo l’asta con il nucleo in basso, questo viene ruotato nel vetro fuso contenuto in un recipiente ceramico, dove la temperatura di fusione è mantenuta costante su un fuoco. Ottenuta la forma vitrea, che nella fattispecie è di colore blu cobalto, su di essa sono applicate a filo fuso delle sottili bacchette di vetro bianco e giallo che, utilizzando un piccolo strumento, vennero “pettinate”  sul corpo del vaso in modo da creare la decorazione a foglie di palma stilizzate. Bande colorate furono usate, anch’esse con la tecnica ad avvolgimento a filo di pasta vitrea a temperatura di fusione, per decorare il collo e la bocca del vaso.

Dal punto di vista tecnico si tratta di un procedimento complesso durante il quale, oltre alla qualità della pasta vitrea adoperata, è il livello di abilità dell’artigiano ad avere un ruolo determinante nel raggiungimento dell’armonia estetica dell’opera. Ricerche storiche, condotte su una varietà di esemplari autentici, indicano che questi vasetti in miniatura venivano usati come contenitori per polveri cosmetiche, principalmente una miscela di galena (grigio-argento), malachite (verde) e antimonio (nero). I cosmetici erano usati sia da uomini che da donne in Egitto e altrove, dalla preistoria fino ai tempi moderni. Gli antichi egiziani chiamavano “mesedmet” il cosmetico oggi meglio noto con il termine “kohl”, di derivazione araba. La polvere veniva mescolata con olio d’oliva e applicata come una crema attorno alle ciglia superiori e inferiori, per proteggere gli occhi dalle infezioni e per ottenere un effetto estetico simile all’eyeliner odierno.

Variamente attribuita ai regni di Akhenaton, Tutankhamon e Ramses II, questi vasetti erano molto ambiti da ricchi collezionisti, fondazioni private e istituzioni pubbliche. Il principale motivo era che, storicamente, si trattava di oggetti che venivano spesso donati dai Faraoni ai templi, ai propri familiari o ai generali che si erano distinti per il loro valore.

La mostra organizzata dal Museo Archeologico dell'Università di Amsterdam, presentava opere provenienti da un'importante collezione privata di manufatti egizi, tutti di proprietà del collezionista olandese F.W. Arnold Meijer. Il catalogo edito per accompagnare l’evento, comprendeva articoli descrittivi delle opere compilati a cura di tre egittologi di fama internazionale, i professori Carol A.R. Andrews e Jacobus van Dijk (anche nella qualità di redattori), e da Birgit Schlick-Nolte nella qualità di consulente anche per la maiolica e il vetro dell’Antico Egitto. Inoltre, vi erano gli scritti di Maarten J. Raven, Hans D. Schneider, Martin von Valk, Julia Harvey, W. Raymond Johnson, Wolfram Grajetzki, Edith Bernhauer e, last but not least di Robert A. Lunsingh-Scheurleer, direttore del Museo Allard Pierson e noto collezionista di antichità greche, ellenistiche e romane prodotte anche nell’Antico Egitto.

A quest’ultimo, a quel tempo tra l’altro anche docente presso l’Università di Liegi (Belgio), si deve l'introduzione del catalogo, in cui spiega che “the catalogue has been researched and written by an international team of specialists at the invitation of the collector. Among the authors, the name of the collector himself also figures. Like the exhibition, he supported generously, the catalogue testify to a deep involvement in the culture it represent so radiantly” (“il catalogo è stato studiato e scritto da un gruppo internazionale di specialisti su invito del collezionista. Tra gli autori, figura anche il nome del collezionista stesso. Così come per la mostra che egli ha generosamente sostenuto, il catalogo testimonia il profondo coinvolgimento nella cultura che rappresenta in modo così radioso”). Un riconoscimento molto entusiasta della generosità di Meijer come principale mecenate della mostra e del catalogo (11).

Nel catalogo, il vasetto oggetto di questo racconto è descritto alle pagine 116-118 quale reperto 2.26, accompagnato da due figure a colori e, a pagina 256 “Appendice A: storia recente della collezione” la sua provenienza è dichiarata come: “Veilinggebouw De Zwaan, Amsterdam, giugno 2001: lotto 3227 (non illustrato). Da una proprietà olandese, acquistato in Egitto negli anni 1930” (12).

Una nota a pagina 263, in "Appendice C: Autenticità e composizione materiale", riguarda l'autenticazione dell’oggetto, ove si afferma che, generalizzando, molti elementi della collezione sono stati sottoposti a test tra cui ED-and WD-XRF (Energy Dispersed and Wavelenght Dispersed X-ray Fluorescence spectroscopy), SEM (scanning electron microscopy) e EDX (Energy Dispersed X-ray microelement analyser) e XRD (X-ray diffraction). Tutte le analisi di laboratorio sono state eseguite in Germania dalla Antiques AnalyticsInstitute for Scientificc Authenticity Testing sotto la direzione del professor Robert Neunteufel. Ad eccezione delle misurazioni XRD eseguite presso l'Università di Tubinga, i test sono stati condotti presso un laboratorio privato con sede a Eppstein. Tuttavia, è significativo constatare come i risultati di questi presunti test di autenticità riguardanti l'oggetto 2.26 (il vasetto di recente imitazione italiana) non fossero stati inclusi nel catalogo. Si tratta di una scelta eclatante e stonata, considerata l'importanza del vasetto pubblicizzato nel catalogo. Così come incuriosisce il fatto che, due anni dopo la chiusura della mostra, questa eccellenza della collezione fu offerta a diverse case d'asta europee specializzate nella vendita di antichità. Alla fine venne accettato dalla ditta Pierre Berge a Parigi e pubblicato nel catalogo dell'asta del 17 giugno 2010 (lotto n. 134) (Fig. 4) con una stima d'asta di 90.000 euro. Un ricco collezionista americano, interessato al pezzo, assoldò un esperto di vetri antichi di fama internazionale per esaminare l’oggetto in vendita a Parigi. Dopo averlo visionato, l'esperto lo ritenne autentico e il pezzo fu acquistato.

Nel 2011, un caro amico dell'University College di Londra il cui dottorato verteva su ricerche di laboratorio eseguite anche sugli antichi vetri egiziani, mi raccontò alcuni passaggi finali delle avventure del mio umile vasetto e del suo riposo dorato in una lussuosa residenza nordamericana. Stupito e incuriosito, decisi di provare a saperne di più, ma presto mi imbattei in un muro di imbarazzato o ostile silenzio. La situazione cambiò nel 2013, quando ricevetti nuove informazioni da un noto collezionista inglese, il Dr. Bron Lipkin (13).  

 

Esempio 2) Come un'analisi TL ha reso autentico e prezioso un krateriskos in stile egiziano

Nel 2013, dopo aver ricevuto nuove informazioni su quella che può ragionevolmente essere definita “la Stangata parigina” (14), si era palesata la necessità di ottenere nuove prove per un articolo pubblicato nel giugno 2014, in cui il caso veniva finalmente esposto (15). Fu così che contattai il maestro vetraio italiano e gli commissionai tre ulteriori imitazioni che, puntualmente, mi furono consegnati diversi mesi dopo. La qualità era leggermente inferiore a quella del gruppo precedente, in quanto forse si trattava di vecchi tentativi di produzioni scartate, ma non mi lamentai in quanto l'intero lotto mi venne donato dall'artista ai fini del mio studio. Il gruppo comprendeva un tubetto del tipo usato quale contenitore di kohl, con tipica forma colonnare egiziana, ma rappresentante una variante del primo esemplare venduto all'asta in Olanda nel giugno 2001; un altro vasetto egiziano (nella fattispecie un krateriskos) (Figg. 2 e 6-14), di stile coevo al primo, e un altro vasetto anch’esso policromo ma in stile ellenistico.

Si tratta di una bottiglietta biansata, integra e misurante 9,5 cm di altezza, realizzato in pasta vitrea policroma nello stile del Nuovo Regno, XVIII-XIX dinastia, o 1400-1350 a.C., che ebbe faraoni quali Amenhotep III e Akhenaton. L'aggiunta del viola scuro e del bianco indica un riferimento ad un’antica tecnica elamita (agli esempi di vasi rinvenuti nel tempio di Choga Zanbil, in Iran, databili al XIII secolo a.C.) (16) (particolare in Figg. 7 e 8). Il fondo è blu turchese con decorazioni bianche, gialle, blu scuro e viola; tutti i colori sono opachi. Gli esemplari ai quali questa recente imitazione si ispira, avevano la funzione di contenere unguenti profumati.

Fig. 6 – Imitazione di un krateriskos in vetro dell’Antico Egitto. Sottoposto all’analisi TL presso un noto laboratorio germanico, risultò prodotto all’incirca 3400 anni fa, come indicato nel certificato corredato di grafici che ne garantisce l’antichità… Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 7Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 8 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Il vasetto presenta un corto orlo orizzontale, irregolare e leggermente inclinato verso l'esterno, con bordo arrotondato. L'orlo è costituito da una cordicella di pasta vitrea gialla avvolta a spirale assieme a una in blu scuro. L’alto collo cilindrico, rastremato verso il basso dove ad angolo ottuso si inserisce sulla spalla, è decorato con un motivo a zigzag con andamento irregolare, costituito da linee opache separate di colore giallo, viola scuro e bianco. Il corpo bulboso è decorato con motivo a festoni irregolari con linee separate opache in viola scuro e bianco alternati a linee gialle. Il piede è alto e strombato, con lato inferiore concavo con bordo arrotondato, sul quale è applicato un filo di pasta vitrea in giallo opaco. Due anse ad archetto orizzontale sono applicate ai lati opposti della spalla.

Le tecniche utilizzate per la produzione del vaso riproducono quelle di simili esemplari antichi: 1) corpo e collo formati su un nucleo; 2) anse e piede applicati; 3) fili di pasta vitrea applicati, marmorizzati o non marmorizzati a formare fasci di linee o semplici linee. In definitiva, la forma e la tecnica richiamano il Werkkreis III della classificazione Nolte (17).

Alla fine del 2015, un laboratorio privato tedesco specializzato nella datazione basata sulla misurazione della termoluminescenza (TL-analysis), mi chiese di studiare una riproduzione in vetro presente nella mia collezione, che mostrava caratteri simili all'esempio da me esposto nell'articolo on-line pubblicato nel 2014 (18). La richiesta fu giustificata come necessità di confrontare i risultati con quelli di reperti autentici o ritenuti tali, e venne accompagnata dall’offerta di rilascio gratuito del relativo rapporto TL, essendo stati tutti i costi di ricerca coperti da finanziatori anonimi del laboratorio. Nel corso della conversazione ebbi la chiara sensazione che mi si stava nascondendo qualcosa, ma l’operazione era scientificamente interessante e quindi accettai l’offerta, con l’accordo che mantenessi i diritti d’uso dell’analisi compresa la loro pubblicazione.

Il proprietario del laboratorio tedesco, il tecnico specializzato Ralf Kotalla, tornò quindi in Olanda dove in mia presenza fotografò il vasetto e effettuò il carotaggio di un campione dei resti del nucleo in argilla intrappolati nella superficie interna del recipiente al momento della sua realizzazione. Lo specialista era stato da me pienamente informato che l'oggetto era di recente manifattura realizzata in Italia. Alcune settimane dopo, ricevetti una email contenente un messaggio di congratulazioni del Kotalla il quale, con mio profondo stupore e inquietudine trasmetteva la notizia che il test TL aveva chiaramente indicato i resti del nucleo del vasetto come “cotti in antico… 3400 anni BP +/- 20%” (19) (Fig. 9-14) e che sarebbe seguita la trasmissione del certificato di autenticità.

Fig. 9 – TL-report relativo alla moderna imitazione di un krateriskos dell’Antico Egitto. Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 10 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 11 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 12 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 13 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.

 

Fig. 14 - Foto dell'Autore, 2015. Tutti i diritti riservati.


Come promesso, nel gennaio 2016, ricevetti il completo rapporto TL firmato dallo stesso Ralf Kotalla, rilasciato a compenso della mia collaborazione (Figg. 2 e 9-14). Contemporaneamente, lo specialista mi inoltrò un’ulteriore richiesta di trovare finalmente delle “vere riproduzioni” utili per gli studi… Ne nacque una breve discussione via email nella quale cercai inutilmente di convincerlo della recente manifattura del reperto, avendolo egli certificato quale autentico. Alla fine decisi di troncare ogni rapporto di collaborazione, anche sulla base di allarmanti informazioni tra le quali quelle pervenutimi per iscritto dal Prof. Thomas Schäfer, direttore dell’Istituto di archeologia classica dell’Università di Tubinga (20).

 

Il problema della definizione di “autenticità”

Non pochi collezionisti, commercianti e case d'asta, sino a circa alcuni decenni orsono, pretendevano di potere ancora asserire che un'analisi TL di esito positivo, sia pur certificata da un professionista, dava loro un appiglio legale per tentare di vendere impunemente, quale autentica reliquia, persino un reperto acquistato all’asta quale imitazione (surclassandolo quale errata attribuzione). Nel caso della seconda recente e stilisticamente affatto convincente imitazione qui esposta, del valore di poche centinaia di euro, la certificazione equivaleva alla reale possibilità di ottenere da una casa d’aste (o da un direttore di un museo nel caso di un prestito temporaneo o di una donazione ai fini di deduzione di oneri fiscali), una valutazione compresa tra 120.000 e 150.000 euro. In termini tecno-criminali, la base per una frode ben congegnata, se corroborata da provenienze abilmente sofisticate e dalla disinvolta disponibilità di una case d’aste e di un gruppo di accademici.

Oggi, grazie a vicende come quelle che pubblicai un decennio addietro, dello stesso tenore di questo articolo, simili frodi sono ormai divenute impossibili, presumo, senza l’intervento di organizzazioni che sono in grado di garantire l’impunità di vari livelli di corruttela e connivenze, tali da secretare le operazioni di sofisticazione degli oggetti. Al momento di una seria compravendita ogni reperto di valore deve ormai essere accompagnato da un elenco di informazioni non soltanto credibili “sulla parola”, ma verificate e soddisfacenti al fine di garantirne non soltanto l’autenticità ma anche la provenienza. Un rapporto TL (tra l’altro sottomesso a ulteriori analisi chimico-fisiche a conferma del risultato) costituisce solo uno dei documenti da valutare ulteriormente nell’ambito dell’intero contesto d’informazioni.

È quindi ovvio come un vetraio di talento non può più permettersi di produrre qualche dozzina di questi oggetti di alto valore commerciale, e offrirli in commissione a un commerciante o a un collezionista, per poi ritirarsi con gli utili ricavati su un’isola tropicale, magari iniziando un’attività di ristorazione o alberghiera.

In realtà, questo tipo di truffe si svolgono ancora ma utilizzando reperti comuni, venduti presso case d’aste di livello secondario, che nonostante enfatiche asserzioni pubblicitarie di carattere autoreferenziale, non possiedono validi esperti nel settore delle antiquities, o nelle fiere antiquariali a non più di alcune migliaia di euro, una situazione che costringe gli artigiani a un duro e continuo lavoro privo di vie di fuga. Così, i mercanti che tengono queste botteghe in vita ma al guinzaglio, concedono loro non più di alcune centinaia di dollari al pezzo, in alcuni rari casi forse poco più, al punto che le produzioni di qualità costituiscono entrate limitate rispetto a quelle che queste botteghe ottengono con la massiccia produzione di riproduzioni o imitazioni di qualità scadente destinate al mercato turistico al costo di pochi euro al pezzo.

Tuttavia, i maestri artigiani ad alto costo continuano a operare in altri campi della falsificazione dell’antiquariato archeologico. Tra questi primeggiano quelli dediti all’arte del mosaico o della statuaria e gli incisori di pietre dure. I loro lavori sono riservati a clienti accuratamente selezionati, operando con “affidabilità” esclusivamente nell’ambito di organizzazioni criminali di stampo lobbistico. Di conseguenza, quando per vari motivi i rapporti d’affari e le protezioni vengono troncate dagli intermediari, gli artigiani sono costretti a cercare nuovi contatti intermediari o entrare direttamente nel mercato “mettendosi in proprio”. In tal modo essi si avviano quasi sempre al destino di subire immediate ritorsioni ed essere trasformati in un pubblico e scandaloso esempio, costituendo altresì quel che in gergo poliziesco viene denominato “scarecrow” (spaventapasseri, nel senso simbolico di misero pupazzo crocefisso sul campo), di efficace ammonimento per i loro colleghi.

 

L’investigazione. Quis custodiet ipsos custodes? (21)

Vicenda 1. Lo scandalo della truffa operata mediante l’imitazione di un contenitore di forma a tubetto di vetro dell’Antico Egitto, ci offre uno spaccato del mondo del ricco e potente ambiente del collezionismo e del commercio antiquariale e della sua capacità di coinvolgere accademici di massimo livello. In particolare, l'opportunità di effettuare alcune riflessioni sull’affidabilità del mondo accademico, sulle carenze dell’operato delle pubbliche istituzioni proposte per legge al controllo delle attività delle case d’asta specializzate nel settore antiquariale, di mercanti e di collezionisti. Carenze progressivamente maggiori quando si tratta di organizzazioni di stampo lobbistico, che costituiscono i centri dei rapporti d'affari e il loro legame con elementi dell’alta finanza internazionale.

Il resoconto dell’ascesa di un’opera ottenute con materiali, tecniche e caratteri stilistici storico-artistici storpiati in tutta mediocrità, e che ciò nonostante data in prestito e esibita per alcuni anni in un museo, catalogato e valutato quale un prezioso oggetto dell’antichità, pubblicato da un gruppo dal gotha accademico internazionale dell’egittologia, e alcuni anni dopo messo all’asta e venduto a prezzo esorbitante dal suo potente proprietario, rivela come il mercato dell’arte contenga insidie tali da potersi trasformare in un ambiente economico inaffidabile, cospiratorio o, nella migliore delle ipotesi, ridicolamente inetto.

Bisogna innanzitutto constatare come la rivelazione mediatica di queste frodi non ha avuto alcun impatto sulla lunga lista di accademici e di esperti a vario titolo coinvolti nell’autenticazione di questi oggetti. In questa vicenda, ad esempio, nulla è noto di come sia potuto accadere che nessuno degli esperti costituenti l’eccellenza internazionale non si sia accorto, immediatamente e facilmente, che il manufatto presentato da uno dei tre curatori della mostra e che coordinava e supervisionava i loro lavori, inserito quale un capolavoro dell’arte egizia, corrispondesse in realtà ad una mera imitazione. Sebbene sia possibile che la superficie fosse stato debolmente “migliorata” dopo l'acquisto all’asta, gli elementi base costituenti il vetro non possono a tutt’oggi essere modificati.

Inoltre, sembra altamente improbabile che tali esperti non avessero ritenuto opportuno sottoporre anche il “tubetto di vetro” ad analisi chimico-fisiche, considerato anche che si trattava del reperto più importante della collezione privata da loro studiata e della mostra e del catalogo dove fu descritto con enfasi e presentato alla comunità scientifica e al pubblico internazionale. È impossibile credere che nessuno degli esperti di quel livello non avesse constatato quanto le analisi di laboratorio fossero fondamentali anche per tutelare la propria professionalità e che, ciò nonostante, non l’abbia formalmente richiesto al Museo Archeologico dell’Università di Amsterdam nella qualità di organizzatore dell’evento.  

Non di minore importanza per le finanze pubbliche, tutto ciò considerato sorge un’ulteriore quesito: a quanto ammontarono, a carico delle casse statali olandesi, il contratto assicurativo e il servizio di vigilanza per le operazioni di trasporto e per tutto il periodo nel quale, questa insoddisfacente imitazione, fu esibita nel museo olandese in quanto ritenuta autentica per cause ancora rimaste tutte da verificare ?

Oltre alla mancanza di risultati di analisi pubblicati esistono altre constatazioni che impongono pesanti sospetti sull’operazione di autenticazione di questo reperto. La sua provenienza da una collezione olandese a partire dagli anni 1930, dopo essere stato acquistato in Egitto, è chiaramente falsa e difatti non è presente nel catalogo d’asta del 2001, dove difatti anche nel corso dell’asta venne dichiarata quale una recente imitazione. E d’altronde come potrebbe dato che non corrisponde a verità nemmeno quanto affermato nel volume della mostra, che nel catalogo d'asta del 2001 l'oggetto risultasse “non illustrato”. Difatti, esso è invece presente e ben identificabile nella foto pubblicata a pagina 221 (lotto numero 3227).

Resta ancora da stabilire se queste pubbliche affermazioni che falsificano quanto dichiarato nel catalogo Veilinggebouw de Zwaan datato al 2001, furono fornite dal proprietario della collezione al momento del prestito dell’opera al suddetto museo di Amsterdam, o da parte di qualcuno dello staff dirigenziale di questo, o sono l’esito di una curiosa serie di “errori” nella compilazione del catalogo della mostra da parte dei top experts. Accettando il vasetto in prestito per l’esposizione museale, la direzione avrà certamente sottoposto a verifica la documentazione di autenticità e di provenienza, o comunque accertato la veridicità di quanto dichiarato dal generosissimo collezionista. Oppure qualcuno ha “modificato” le informazioni rilasciate all'atto di vendita emesso dalla casa d'aste “de Zwaan”? E che dire dell'esperto di fama internazionale, inviato a Parigi dal collezionista americano, che nonostante le sue apparenze dichiarò autentico il vasetto?

La vicenda getta seri dubbi non solo sulla provenienza e l'autenticità della collezione Meijer, ma anche sulle recenti acquisizioni del Museo Archeologico Allard Pierson e quindi sul personale tecnico-scientifico dell’Università di Amsterdam, e in definitiva, considerate le eccellenze accademiche a vario titolo coinvolte, sull'intera comunità archeologica internazionale.

E qui giungiamo a una dolorosa constatazione. L’insieme delle attività a dir poco borderline presenti in questa tela di ragno, tra l’altro abilmente e pazientemente tessuta nel corso di diversi anni, avrebbe dovuto avere implicazioni disastrose non solo per il mercato antiquario ma anche dell’affidabilità della ricerca scientifica accademica nei campi dell’archeologia e della storia dell’arte. E invece non accadde nulla, a testimonianza dell’esistenza di un potere dominante occidentale che riesce a dissolvere qualsiasi problema possa arrecare gravi problemi d’immagine ai suoi apparati d’eccellenza, rendendoli impunibili: impedendo che si attivino le autorità di competenza, ignorando pubblicamente l’esistenza del problema. In taluni casi, come vedremo in sede di pubblicazione della terza parte dedicata a questa vicenda, il sistema reagisce arrecando gravi danni a chi tenta non soltanto di investigare ma persino di evidenziarli. Queste reazioni rappresentano la testimonianza del volto oscuro del potere dominante presente in ogni Stato, affetto da comportamenti dominati da malefica banalità.

Vicenda 2. Il krateriskos di vetro in stile egiziano. La datazione di un recipiente di vetro manufatto su un nucleo mediante l’analisi della termoluminescenza (TL), si basa sulla misurazione dell'energia contenuta nelle particelle contenute nell’argilla presente nel nucleo, principalmente quarzo e feldspati (un gruppo di minerali silicati), calcolata sulla loro ultima cottura. L’analisi dovrebbe dare risultati chiari e pienamente attendibili, come nel caso di questo vasetto, essendo il nucleo rimasto intrappolato sulla superficie interna dei vasi alla temperatura di 1000 gradi Celsius. Successivamente, per la decorazione policroma, si applicano a filo le bacchette colorati di pasta vitrea riscaldate ad una temperatura non inferiore quei 650 gradi Celsius.

Tuttavia, il risultato dell’analisi non è mai affidabile in quanto i risultati possono essere compromessi nel corso di varie fasi, nel periodo intercorrente tra la produzione e l’esame scientifico. Nel caso di vasetti del tipo in esame, deve essere dapprima appurata l’attendibilità di una delle evidenze fondamentali, ovvero se i rari di resti argillosi del nucleo siano attribuibili a una deposizione primaria o siano di recente introduzione, ovvero applicati per alterare il risultato dell’analisi. Il fatto che il TL-report sia risultato inattendibile si presta a diverse interpretazioni. Alcune di esse sono:

1) i resti del nucleo furono inseriti all'interno della superficie interna dopo la cottura, utilizzando un impasto applicato a freddo e contenente minerali presenti in argille prelevate in vasi cotti nel 1350-1250 a.C.;

2) il manufatto (o il solo impasto applicato) è stato sottoposto a tecniche non precisamente conosciute nella letteratura scientifica, che possono modificare la misurazione del TL (irradiazione ? una soluzione impregnante calibrata ?);

3) errori accaduti durante le analisi di laboratorio. 

Entrambe le storie qui riportate hanno implicazioni strettamente legate a un acuto articolo scientifico di Mark Rasmussen (22), pubblicato ben sedici anni fa, a favore di uno standard per una doverosa diligenza da applicare nel corso dell’autenticazione. In questo veniva già sottolineato come e perché la mancanza di tecniche scientifiche nelle diverse fasi dell'indagine può influenzare il risultato. Proponeva quindi come primo passo una corretta valutazione della provenienza e della documentazione del bene in esame. In effetti, nel caso dei nostri due resoconti relativi a imitazioni di vasetti egiziani, appare chiaro che questo fondamentale esame del processo di attribuzione dell’autenticità dei reperti è stato fasi ignorato o falsificato in più occasioni.

Il secondo passo importante dell'autenticazione è la “storia della conservazione” dell’oggetto, perché è noto che diversi trattamenti conservativi e tecniche di analisi, inclusa l'esposizione a radiazioni X e di altro tipo, o ad alcuni materiali utilizzati per pulire, proteggere o consolidare l'oggetto in tempi antecedenti all’esame, possono compromettere le analisi. Ciò è particolarmente importante considerando che la maggior parte delle collezioni private non sono gestite da un conservatore qualificato e che molte delle antiche collezioni pubbliche non dispongono di registrazioni accurate.

Una delle tre categorie del processo di autenticazione di Rasmussen è l’identificazione delle fonti autorevoli (esperti riconosciuti, materiale di riferimento e raccolte di riferimento). Vi si raccomanda l’estrema importanza che gli esami siano condotti da esperti qualificati e che, idealmente, dovrebbero essere consultati più esperti. Tuttavia, come mostra la prima vicenda esposta nel presente articolo, identificazioni e valutazioni accurate possono essere invalidate da “esperti” che per ragioni sconosciute (e che spetta alla magistratura appurare) sostengono autenticazioni e relazioni scientifiche affatto credibili in quanto accidentalmente erronee o falsate.

 

Note

(1) 11 giugno 2014, http://coscienzeinrete.net/arte/item/1965-il-vasetto-dell-antico-egitto-venduto-per-90000-euro-fatto-in-italia-per-pochi-spiccioli  Recentemente, l’articolo non è più tra i disponibili su quel sito.

(2) la maggior parte delle attività furono realizzate tramite la copertura legale di una ditta privata con sede nei Paesi Bassi.

(3) Villari, Pietro 2013, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. I, pp.1-224, Figg. 1- 646, Archaeological Centre, Roma

Villari, Pietro 2014, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. II, pp.1-378, Figg. 1- 1098, Archaeological Centre, Amsterdam

Villari, Pietro 2014b, op. cit. in nota 1.

(4) Si veda anche Villari, 2014b, op. citata in nota 2.

(5) cittadino italiano, la cui identità non è qui rivelata.

(6) in Grose, Fredrerik D. 1989, The Toledo Museum of Art. Early ancient Glass, New York, “kohl tube” p. 62, cat. NO. 11, tavola a colori p. 42, disegno pag. 397.

(7) Veilinggebouw de Zwaan, Amsterdam, catalogo giugno 2001, pag. 221, nn. 3220-3227.

(8) la vendita di enormi quantità di imitazioni e riproduzioni italiane come autentiche antichità raggiunse il suo apice negli anni ’70-’80. A quel tempo l'organizzazione maggiormente attiva aveva sede in Germania (Monaco di Baviera), che smerciò decine di migliaia di manufatti moderni in stile “greco” prodotti in Italia. Specializzato anche nel contrabbando di antichità, si presume che le attività fossero condotte da un cittadino siciliano che aveva creato una grande rete europea di diffusione delle merci costituita daintermediari e piccoli commercianti. Considerati i decenni di attività incontrastata, l'organizzazione dovette usufruire di ampio margine d’azione nell’ambito di protezioni ai massimi livelli internazionali.

(9) identificandolo come il signor FW Arnold Meijer.

(10) Andrews, Carol A.R. & Dijk v., Jacobus, eds. 2006, Objects for Eternity: Egyptian Antiquities from the F.W. Arnold Meijer collection, Mainz

(11) Objects for Eternity, op. cit., oggetto n. 2.26, pp. 116-118 e 256.

(12) l’indicazione è evidentemente erronea. Difatti, nel catalogo d’asta il reperto era raffigurato nella foto di gruppo delle imitazioni in vetro (pag. 221, lotti 3220-3227), e non vi era alcuna specificazione dell’ “acquisto in Egitto negli anni 1930”, essendo tra l’altro ben specificata la sua non autenticità in quanto mera imitazione.

(13) Fu un personaggio ben introdotto negli ambienti esclusivi del collezionismo e dell’esoterismo anglosassone d’ispirazione giudaica, che ebbi il piacere di frequentare diverse volte a Londra e di intrattenere una lunga e intensa corrispondenza di scambio d’informazioni durata parecchi anni. Dopo il pensionamento dal ruolo di direttore di una clinica londinese, divenne un mercante di antichità greche, romane e egiziane strettamente legato ad ambienti investigativi di lingua anglosassone anche non europei. Il suo ruolo informativo e di collegamento, mi permise di venire a conoscenza di ingranaggi, vicende (non secretate), e non ultimo delle chiavi di lettura di forme di espressione simbolica di organizzazioni piramidali la cui esistenza era stata sin a quel momento da me vagamente presunta e affatto contestualizzata. Kudos, Bron.

(14) da “The Sting”, un film di produzione anglosassone edito nel 1973, nella versione in lingua italiana noto con il titolo “La Stangata”. Vi vengono minuziosamente descritte, sin negli aspetti psicologici, le fasi di progettazione, organizzazione, preparazione e realizzazione di una truffa da manuale.

(15) Cfr. Villari, 2014b in nota 2.

(16) Cfr. Grose, 1989, pag. 61 krateriskoi nn. 8 e 9; e pag. 62 tubi Kohl nn. 10 e 11.

(17) Schlick Nolte, Brigit, 1968, Die Glasgefässe im alte Aegypten, Münchner Aegyptologische Studien, n. 14, Berlin

(18) Cfr. Villari, 2014b in nota 2.

(19) “Laboratorio Kotalla”, Katzling 2, Haigerloch, Germania. Rapporto TL n. 09R140116 (pubblicato a fine gennaio 2016). Nell rapporto è specificata anche la lunga attività di questo laboratorio: “Il più antico laboratorio privato al mondo specializzato per l'analisi TL. Dal 1979”.

(20) Una decina di giorni dopo, dagli ambienti londinesi mi pervenne, in via informale, il consiglio di non oltrepassare i limiti investigativi, fermandomi su quanto avevo appurato di scientificamente utile. Considerata la fonte, dovetti rinunziare a un viaggio in Portogallo che avevo programmato nei consueti termini di segretezza, dopo avere avvertito, come mia prassi sino a quel momento, un ufficio sito in Italia.

(21) le frasi citate in latino appartengono al satirico romano Giovenale (I-II secolo d.C., Satira VI, vv. 347-8). È tradotto come "Chi controllerà le guardie stesse?" e ha fatto riferimento al concetto di un governo fuori controllo, corrotto e oppressivo.

(22) Rasmussen, Mark 2007, Setting the Standard for Due Diligence: Scientific Techniques in the Authentication Process,, in Rare Collections, Stillwater, MN 55082 USA (www.rare-collections.com).

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...