La Regione Siciliana e gli interventi di "riqualificazione" operati con cementificazioni e fondi per lo sviluppo rurale: il surreale caso dell'area del Castello di Fiumedinisi.

di Pietro Villari, archeologo e naturalista

Articolo del 16 Gennaio 2024 - Aggiornamento Fotografico: 29 Febbraio 2024

Ultime modifiche: 08 Aprile 2024


 


 


 

 



Monte Belvedere (Fiumedinisi, Sicilia Nordorientale): 

Fig. 1 - il grande piazzale realizzato spianando un'area del complesso monumentale d'interesse naturalistico e culturale (Foto dell’Autore del presente post, Gennaio 2024. Tutti i diritti riservati) L'entità del danno è parzialmente testimoniata dalla sezione stratigrafica, contenente un antico strato di ceneri e carboni d'interesse archeologico, probabilmente formatosi al tempo dell'esistenza di un riparo sottoroccia, in seguito crollato. Si tratta di una unità stratigrafica meritevole di un approfondito studio archeobotanico, che andrebbe salvaguardata anziché essere lasciata all'azione erosiva degli agenti atmosferici e ai possibili danni effettuati dai visitatori.

Fig. 2 - Castello Belvedere (Foto dell’Autore del presente post, Gennaio 2024. Tutti i diritti riservati). Il triste risultato dei controversi restauri effettuati negli anni 2005-2006, ai quali si sono sommati gli effetti delle sollecitazioni generate dai lavori operati con mezzi meccanici all'interno del monumento, edificato su un costone roccioso che negli ultimi decenni ha peggiorato le sue condizioni d’instabilità. La foto mostra parte del muro perimetrale del mastio, l'area che dal 1196 in avanti, nel corso di oltre sessant'anni, accolse periodicamente i componenti della famiglia Hohenstaufen, i regnanti svevi di Sicilia. Almeno parte del muro è destinata a collassare a breve, e costituisce un grave pericolo sia per gli addetti ai lavori che per i visitatori.

Figg. 3 e 4 - Rocca Perciata ((Foto dell’Autore del presente post, Gennaio 2024. Tutti i diritti riservati). Alcune evidenze dell'instabilità strutturale, che rende il monumento incompatibile con un uso turistico. Il crollo dei massi potrebbe investire anche parte del piazzale adiacente sul lato sinistro e del sentiero che conduce al Castello.  

 

La recente deturpazione rappresenta il sequel dei danni, irreparabili, arrecati alla stessa area circa diciotto anni fa. Il risultato eclatante e surreale qualora fosse accaduto nell’ambito di una società civile, è l’espressione della somma delle gravi incapacità sia tecnico-scientifiche e amministrative della dirigenza regionale siciliana, e sia di pericolose modalità di usare il potere politico. Ecco quindi i nuovi spianamenti con ruspe, distruzioni con mezzi di disgaggio, e la cementificazione nell’area sommitale del Monte Belvedere di Fiumedinisi, con tutta probabilità ancora in corso mentre inizio a scrivere questa disgraziata storia (16 Gennaio 2024).

Purtroppo, questo è solo un capitolo della costante distruzione che, nel corso di mezzo secolo, ha progressivamente compromesso la ricchezza e la bellezza di quello che, sino alla fine degli anni 1960, fu l’imponente patrimonio ambientale e culturale del territorio compreso tra le valli dell’Allume e del Fiumedinisi. Anni dei quali conservo ancora molti ricordi.

Inizio quindi a contestualizzare la vicenda sulla base di mezzo secolo di esplorazioni archeologiche e naturalistiche, ricerche storiche e attività pubbliche divulgative, che a vario titolo, accademico e professionale, ho condotto anche a livello internazionale. Un'attività costretta a divenire anche una lotta lotta impari per la tutela e salvaguardia di quest'area, effettuata anche con l’appoggio di validi colleghi. Una rotta di collisione con gli interessi di una rete di poteri consolidati in un “sistema” monolitico complesso, che non disdegna di esercitare con arroganza anche metodologie non ortodosse di annichilimento dei pochi che tentano di opporsi. Ormai esso impera praticamente incontrastato a livello regionale, con legami di livello nazionale e internazionale (1).

 

Oltre mezzo secolo di devastazioni del patrimonio comunale

L’attuale processo di devastazione è da considerare uno degli effetti del fenomeno di abbandono delle campagne, che raggiunse il suo apice negli anni 1970, al quale il governo cercò di opporre un controverso “piano di sviluppo” delle aree rurali siciliane. Tra le misure d’intervento, vi fu l’elargizione di sovvenzioni statali per la realizzazione delle strade sterrate di penetrazione agricola, che si rivelò particolarmente letale per l’assetto ambientale, in quanto nella pratica era delegato all’operato di “ruspe selvagge”, che le realizzavano in poche settimane travolgendo ogni cosa avessero innanzi.

Si trattava di un’attività sfrenata, profondamente odiata dagli anziani contadini nelle aree collinari che ne comprendevano le conseguenze e si prodigavano a predirne gli svantaggi, rimanendo tuttavia inascoltati da chi avrebbe dovuto valutarne la validità delle argomentazioni. Si stavano attuando devastazioni condotte senza alcun riguardo nei confronti dei caratteri e problematiche costituenti il panorama geologico, e delle antiche protezioni dal dilavamento dei pendii collinari. Nel comprensorio ionico del Messinese, quest’ultime erano spesso costituite dagli impianti di frutteti e boschi secolari (castagneti, querceti, uliveti), associati a una vastissima rete di terrazzamenti con muri a secco (le “armacere”), sapientemente erette da operai scalpellini e mantenuta in efficienza, nelle aree critiche quali gli erti pendii, con periodici piccoli interventi di restauro.

Compromessa dall’opera dissennata delle ruspe che condusse in breve al conseguente prevedibile instaurarsi del dilavamento dei terreni, fu aggravata dall'abbattimento di alberi e incendi per favorire il pascolo sui terreni lasciati incolti. Si sommarono anche danni provocati dall’ingordigia speculatrice del commercio di legname. Soltanto a Fiumedinisi, negli anni 1980 erano particolarmente attive ben tre segherie.

L’abbattimento di alberi secolari, ovvero la distruzione di un intero patrimonio naturalistico, accadde senza alcuna possibile realistica attività di controllo delle Autorità e, dato di fatto che permette di focalizzare il contesto, notiamo il perfetto tempismo della contemporanea apertura di strade sterrate, sia pubbliche che private. Quasi sempre, le concessioni di permessi comunali per l'esecuzione privata di strade sterrate private e per il loro innesto in quelle di pubblico transito, venivano rilasciate senza richiedere validi studi di valutazione dell’impatto ambientale, degli interventi destabilizzanti, o di vincolarle alla garanzia di erigere valide protezioni di contenimento e sistemi di scolo delle acque piovane. D'altronde non esistevano studi sullo stato di conservazione e composizione delle ampie aree boschive private e sul loro uso.

Gli effetti dell'uso sconsiderato delle ruspe e della rarefazione di intere aree boschive collinari, si palesarono negli anni 1970 e 1980, quali cause degli ingenti danni provocate dalle tragiche tracimazioni dei torrenti Fiumedinisi e Allume. A questo fenomeno si sommarono le conseguenze del pascolo di armenti, condotto in modo intensivo in quelle aree che, sino agli inizi degli anni 1960, erano state per molti secoli adibite alla coltivazione. Difatti, con il quotidiano passaggio di mandrie bovine, ovine e caprine lungo i sentieri del Monte Belvedere e contrade adiacenti, parte dei terrazzamenti medievali iniziarono dapprima a essere intaccati da piccole frane.

Nel corso dei decenni successivi, si aggiunse l’azione degli agenti atmosferici, in grado di causare l’instaurazione di un acceleramento del processo di dilavamento del terreno anche in aree che conservavano resti d'interesse archeologico. Dagli anni 1990 iniziarono così a verificarsi ulteriori devastazioni condotte con l’utilizzo di metal detectors sia da singoli appassionati di antichità che da gruppi criminali provenienti dall’entroterra etneo.

A partire dagli anni 1970, durante i quali iniziò un forte sfruttamento dell’area quale sedi di attività intensive di pascolo, la voracità di capre e pecore nei confronti delle foglie di gelso – preferite per il loro contenuto zuccherino – causò in pochi decenni tagli di fronde che furono determinanti nel fenomeno della rarefazione e scomparsa del bosco di gelsi che si estendeva tra parte della Pianura Chiusa e le ultime balze meridionali del Monte Belvedere (2). Soltanto in queste ultime, oggi resistono alcune decine di alberi, soprattutto laddove sono protetti da rocce e difesi da alti e fitti rovi a fusto di consistenza legnosa. Probabilmente allestito in età medievale, nel 1700 questo bosco occupava ancora dimensioni molto più ampie delle attuali, essendo legato oltre all’abbondante raccolta dei benefici frutti, al lucroso allevamento del baco da seta. I bozzoli venivano raccolti e lavorati sia a Fiumedinisi che nella frazione Allume di Roccalumera, per ottenere tessuti da commerciare o per confezionare parte della dote matrimoniale a carico delle famiglie delle spose.

Le recenti attività delle ruspe e quelle intensive e quindi desertificanti di allevamento, spazzarono via anche l’armoniosa bellezza dell’area della sorgente Acqua Rossa. Essa era situata lungo il percorso che collegava le miniere di allume (attive quantomeno sin dall’età romana) site ai margini dell’odierno borgo che da esse trae il nome, tramite un’antichissima mulattiera che giungeva al casale di Budicari dominato dal Palazzo Rosso, procedendo sino a quello dell’Acqua Rossa e da qui infine al casale della Pianura Chiusa (3)

Fatto ancor più grave, alla fine degli anni 1980, una nuova strada concepita in modo dissennato, distrusse la fonte di fattura normanno-sveva usata per l’approvvigionamento del Castello, posto a circa duecento metri in linea d’aria da questo, nell'antico e un tempo vastissimo castagneto che si estendeva nelle contrade Deni e Brunno. Presumo che il toponimo di quest’ultimo derivi da brunn, ovvero “fonte”, come ho potuto apprendere anni fa in quel di Tubinga, in territorio Svevo, quell’area della Germania Meridionale dove ancora oggi si parla un dialetto molto simile a quella che fu la lingua nativa degli Hohenstaufen, oggi incomprensibile ai Tedeschi centro-settentrionali. Nell’attuale lingua tedesca il termine indica anche un pozzo d'acqua potabile) (4)

 

Nel caso arrivasse un turista, di quelli abituati agli standard europei…

Per ritornare all’area del Monte Belvedere, nel corso degli ultimi cinquant’anni, quel che resisteva dell’antico sistema rurale è stato dapprima abbandonato per decenni al saccheggio e alla desertificazione e, negli ultimi tempi, sta iniziando a materializzarsi una nuova fase, creata all’ombra di una controversa concezione degli interventi di “riqualificazione” ritenuti necessari allo sviluppo rurale.

Certamente, non credo sia facile conciliare con le attività agrarie la creazione di quello che dovrebbe essere denominato “Piazzale del Cemento”, ovvero un intervento spurio, considerata la sacrale monumentalità e la millenaria armonia dei luoghi, oggi compromessa irreversibilmente. Una spianata cementificata, concepita quale area terminale di una chilometrica strada di penetrazione rurale, sterrata, stretta e tortuosa, con pendii spesso erti e curve pericolose in quanto totalmente priva di protezioni, aperta tra rocce e terreni spesso franosi e precipizi… Difatti, fu proprio a causa di queste carenze che anni fa vi furono due decessi, in un’auto precipitata nel vuoto.

In definitiva, dopo un percorso da incubo automobilistico, il turista in cerca di paesaggi naturali giunge innanzi alla sconcertante visione dell’imponente opera cementizia e inizia a farsi delle domande. Quale valore aggiunto vorrebbe rappresentare quel piazzale pacchiano, ottenuto ruspando e cementificando parte dell’area monumentale d’interesse naturalistico e culturale della sommità del Monte Belvedere? Perché aggiungere un’ulteriore deturpazione inserendo nell’opera un decoro geometrico non consono al patrimonio culturale del luogo? 

Poco dopo, il turista inizia legittimamente a preoccuparsi constatando che la porzione a sud-ovest del piazzale è posta presso un alto costone roccioso, orrendamente lesionato, e con fratture beanti che affatto rassicurano il viandante… Il pericolo sussiste anche lungo il sentiero che s’inerpica sino al maniero.

Last but not least, giunto all’interno del Castello Belvedere, il turista continuerà a constatare di essere in balia della sorte nel momento in cui si troverà a fotografare il muro interno del mastio, quello alto e gravemente lesionato dal quale, come in bella vista è possibile verificarne il risultato, si stacca talora qualche pietra o conglomerato murario. Il danno è da ritenere una delle conseguenze dei lavori di "riqualificazione" datati al 2005-2006 e di quelli attuali, entrambi eseguiti sia con mezzi meccanici che provocano prolungate scosse sussultorie e ondulatorie in quell’area geologicamente instabile, e sia con controversi interventi restauro eseguiti mediante consolidamenti e integrazioni murarie.  

Nell’allontanarsi in fretta dall’area, il malcapitato si chiederà: 1) come sia possibile che l’area non sia stata quantomeno dichiarata inagibile per il pericolo di crolli: 2) quali siano le vere finalità delle opere di “riqualificazione” finanziate nonostante la palese instabilità del sostrato roccioso ed essendo quindi almeno parte del monumento irrimediabilmente condannata a crolli e infine a franare lungo i pendii delle valli sottostanti. Un pericolo reale, forsanche disastroso, funesto e a breve, come accadrebbe nel caso nell’area si registrasse un evento sismico di particolare potenza distruttiva. 

Bisognerebbe forse iniziare a chiedersi, soprattutto nei meandri politici e tecnocratici della Regione Siciliana, cosa potrebbe accadere se un avventuroso gruppo di turisti tedeschi, si fosse recato in pellegrinaggio a visitare l'area e, nello sconcerto, avesse documentato la situazione con un video e molte foto dettagliate, divenendo testimoni come altri prima di loro, di uno della serie di episodi di una vicenda scabrosa che dura da un ventennio. E, se inviassero una circostanziata lettera a chi di competenza a Berlino e Bruxelles, e a quei media tedeschi non amanti della classe politica e burocratica italiana?

Ritenere di essere perennemente in grado di silenziare gli oppositori del sistema di potere dominante a livello regionale, corrompendoli con l'affidamento di lavori pagati con denari dello Stato o, nel caso degli irriducibili, distruggendoli con la consueta metodologia che inizia insinuando il discredito e che talora conduce alla morte sociale, questa volta in presenza di turisti stranieri tra l’altro qualificati, apparrebbe non soltanto maggiormente complicato del solito, ma anche rischioso per la stabilità interna dell'organizzazione (5).  

La presentazione di circostanziate interrogazioni in sede parlamentare europea ha raramente avuto effetti sui responsabili di simili vicende. Quel che invece preoccupa le lobbies sono gli effetti economici determinati dal danno d'immagine sul turismo a livello regionale, in questo caso l’affidabilità gestionale non soltanto della Regione Sicilia, ma anche delle capacità di controllo operato dalle preposte pubbliche Istituzioni della Repubblica Italiana e non ultime quelle dell’Unione Europea inerenti ai finanziamenti da essa concessi in prestito ai singoli Stati membri sulla base di garanzie.

Siamo difatti innanzi a una vicenda di un progetto concepito, accettato e attuato attraversando una quantità di uffici tecnici di istituzioni comunali, regionali, statali e infine dell’Unione Europea, senza che nessun politico, tecnocrate, burocrate, imprese private e liberi professionisti, per non parlare dei parrucconi universitari, delle associazioni in difesa dei beni culturali e ambientali, e dei giornalisti d’inchiesta, mettessero in evidenza che si tratta della stessa area monumentale sia naturale che culturale già oggetto di danni devastanti perpetuati già dal primo intervento operato negli anni 2005-2006. Adesso si è arrivato all’esecuzione di un progetto definito “riqualificante” ma che costituisce un pericolo sia per il sito che per la pubblica incolumità, che in modo sfacciatamente al limite del surreale, sta provocando danni irreparabili con fondi destinati all’armonico sviluppo di aree rurali depresse. Spingendo i responsabili a potersi ritenere talmente potenti da potere continuare anche questa volta a danneggiare gravemente e in modo ben prevedibile, persino un monumento medievale quale il Castello di Fiumedinisi, che fu di proprietà dei regnanti svevi del casato Hohenstaufen. Tenendo anche presente che la vicenda si collega a fatti e personaggi pubblici che nel corso degli ultimi vent’anni sono stati notoriamente al centro di indagini svolte dalla magistratura italiana e dall'Ufficio antifrode dell'Unione Europea.

Comunque vada, non si comprende come questo tipo d’investimenti pubblici possa essere di aiuto per un realistico sviluppo rurale del territorio che, effettivamente, avrebbe tanto bisogno di un valido piano programmato (quantomeno a livello provinciale) di ricostituzione delle antiche opere di terrazzamento delle pendici collinari, della messa in sicurezza delle strade di penetrazione agricola, della captazione e deflusso controllato delle acque piovane e sorgive in eccesso, e della ricostituzione delle antiche reti di canalizzazione e stoccaggio delle acque per uso irriguo e, contemporaneamente, di una programmazione della piantumazione di frutteti e aree boschive. E invece nulla di tutto questo, solo progetti che includono cementificazioni e altre attività che rievocano tristemente logiche di un sistema politico-clientelare che nella pratica fu appena scalfito da valide ma ormai vecchie indagini.

In una situazione sociale ed economica quale quella di Fiumedinisi, paese ridotto a circa 1300 abitanti, le attività di primario interesse rurale dovrebbero essere finanziate e completate prima ancora di quelle della filiera agro-turistica. Qualche centinaio o migliaio di turisti all’anno, di quelli con colazione a sacco, impietosamente soprannominati “mordi e fuggi” non possono essere considerati idonei a generare uno sviluppo sostenibile del turismo basato sulle filiere "culturale" e "paesaggistica-naturalistica". Tantomeno se associate ad attività condotte con deturpazioni, quali ne sono testimoni gli spianamenti creati da ruspe per far luogo a piazzali cementificati, e altre follie paesane, frutto delle profonde incapacità professionali della classe dirigenziale locale regionale che si accompagnano a quelle politiche.

 

Una tipica vicenda alla Siciliana

Quanto si sta perpetuando ai danni del patrimonio ambientale e culturale di Fiumedinisi è una delle conseguenze dell’inquietante cappa di omertà istituzionali che, da decenni, permette di silenziare gravi vicende perpetuate impunemente con denari pubblici. Si tratta di danni spesso irreparabili, avvenuti anche a causa della totale assenza di richieste del formale riconoscimento regionale di parti del territorio quali “aree archeologiche”, dell’emissione di vincoli di tutela paesaggistica, e di approfonditi studi geofisici per la determinazione del grado di instabilità strutturale dell’area sede del Castello Belvedere, lasciandolo in tal modo al deterioramento o, più recentemente, a restauri e scavi inadeguati.

I principali responsabili di questa surreale situazione sono personaggi ben noti, alcuni ancora ai vertici del sistema preposto dalla Regione Sicilia alla tutela, salvaguardia e valorizzazione di questo prezioso scrigno di beni pubblici.

Ribadisco il contenuto di quanto nel corso degli ultimi decenni ho reso partecipe, nella mia qualità professionale di naturalista e archeologo, anche tramite circonstanziati esposti. Alcuni di questi sono stati scritti assieme a numerosi colleghi stranieri, appartenenti a diverse università europee e nordamericane, e indirizzati alle Istituzioni di specifica competenza provinciale, regionale e nazionale e all’organismo anti-frode della Commissione Europea. 

Tra le molteplici iniziative svolte nel 2007, desidero ricordare quelle nell'ambito della riunione annuale dell'European Association of Archeologists (EAA), quell'anno tenuta presso l'Università  di Zadar (Croazia) dove venne da me indetta una sessione dedicata alle problematiche d'interesse criminologico nella provincia di Messina. Nel corso degli interventi, particolare attenzione venne dedicata alla lunga e circostanziata relazione della dott.ssa Katerina Ploska dell'Università di Cardiff. Facendo seguito alle prededenti relazioni di altri studiosi inerenti alle attività di dirigenti  archeologi a quel tempo operanti nella Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina, volle occuparsi degli aspetti legali (la studiosa possedeva anche una laurea in Giurisprudenza e un master in materia di protezione europea dei Beni Culturali) delle distruzioni operate a Fiumedinisi nel corso degli anni 2005-2006.   

Quel che sta accadendo a Fiumedinisi conferma, purtroppo, quanto negli ultimi anni avevo previsto e scritto in diversi articoli pubblicati in questo blog e in altri siti online. Appare oggi improcrastinabile, per evitare ulteriori episodi di devastazione del patrimonio pubblico, la necessità di riaprire le indagini archiviate, approfondendole anche sotto altri aspetti d’interesse criminologico, sino ad oggi mai affrontate, sull’operato di un gruppo di dirigenti regionali. Mi riferisco a quanto ad esempio già evidenziato dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (GICO) della Guardia di Finanza (Procedimento Penale n. 3037/03 RGNR Mod.21) e dall’European Commission – OLAF European Anti-Fraud Office (Case OF/2007/0022). Resta da valutare anche l’operato di alcuni elementi appartenenti ad altri apparati dello Stato.



Note

1 – Ne ho già scritto in questo blog, ma credo sia opportuno anche qui accennarne brevemente. Una dozzina di anni fa durante le mie ricerche per comprendere quel che stava accadendo alla mia vita professionale, iniziai a prendere atto dell’esistenza dapprima di quella che sembrava un’oscura scala di poteri della quale riscontravo spesso conferma in velati accenni contenuti entro consigli bonari e ammonimenti, talora affatto amichevoli, dispensatemi nel corso di conversazioni a vario titolo avute con politici di lunga carriera, avvocati, dirigenti pubblici, accademici e imprenditori di livello internazionale e, non ultimo, un noto monsignore che poco prima di lasciare frettolosamente l’Italia si rivelò prodigo di informazioni. Il quadro che ne uscì è quello di un sistema piramidale monolitico, che si ammanta di diritti autoreferenziali “aristocratici”, ovvero costituito da elementi privilegiati di vario grado, che si considerano “aristoi” ovvero “i migliori” della società, in grado di essere utili al conseguimento delle finalità che l’organizzazione decide di perseguire.

In quanto tali, nell’esplicare il loro operato non ammettono ingerenze esterne al monolite, e in caso di problemi si rivolgono per via gerarchica ai vertici locali della loro organizzazione affinché si discuta l’argomento, si conduca una indagine e, infine, eventualmente si reagisca attivando le contromisure di difesa comunicandole a livello locale e regionale, che a sua volta decide se informare anche i vertici nazionale, e questi quelli internazionali.

In particolari circostanze, il lavoro sporco generalmente eseguito da unità di affiliati distribuiti a livello provinciale o regionale, viene affidato a unità esterne, generalmente ditte di fiducia, mediante “contractors” che seguono protocolli prestabiliti, concernenti il come, dove e quando sia necessario intervenire, nella fase iniziale, neutralizzando l’attenzionato in uno stato di morte sociale. Si tratta quindi di una sorta di omicidio del personaggio, delle sue integrità carismatiche, quali moralità, professionalità, attendibilità. La prassi del protocollo, richiede una serie di episodi-gradino, stadi di sofferenza da percorrere verso la denigrazione e quindi la degradazione sociale (“il basso”). In questi casi, ogni stadio punitivo è sempre accompagnato da riferimenti simbolici di ambito esoterico impartite seguendo la regola detta “del contrappasso”, di dantesca memoria e interamente comprensibili solo agli alti gradi iniziatici.

Per quanto ai “profani” possano sembrare folli tesi “complottiste”, la finalità di questo trattamento è considerata primaria dal vertice del sistema, e implica la fede in antichissime concezioni di origine esoterico-religiosa. Tra queste vi sono le metodologie impiegate per la lenta estrazione della forza vitale che conduce all’annichilimento del condannato, sia in quanto privato di un potere che altrimenti (si ritiene) questi potrebbe trattenere e adoperare dopo la morte fisica, e sia in quanto questo potere può essere estratto e trasmesso per gli scambi di poteri tra diversi piani esistenziali, come ad esempio avviene nel corso dei rituali di offerta sacrificale. La continuazione del provvedimento in una eventuale seconda e ultima fase, a completamento della prima, può essere considerata quale l’apposizione del sigillo fatale a chiusura del procedimento.

2 – avendo valutato le prime avvisaglie della distruzione, iniziai a fotografarlo a partire dal 1973. Agli inizi dell’estate 1979 fu oggetto di un mio breve filmato.

3 –  della quale ricordo la mia prima visita da ragazzino in una mattina agli inizi dell’estate 1965. A quel tempo, innanzi ad essa vi era un antico piccolo spiazzo lastricato in pietra calcarea locale, levigata dal calpestio nei secoli, ed era come immersa nell’ombra di un’ampia copertura arborea di gelsi, fichi bianchi e un maestoso alloro. Secondo quanto appresi nel 1976, gli anziani della zona tramandavano che le foglie di questo alloro avessero particolari proprietà attenuanti i violenti dolori intestinali, che fosse noto già prima del soggiorno di Garibaldi nella zona, avvenuto nel 1860 e che il tronco sembrava avesse avuto la forza di divaricare la fessura della roccia nella quale la pianta era nata. Cito questi miei vecchi appunti in quanto credo sia interessante evidenziare come questa narrazione popolare mostri la fusione di due miti in chiave simbolica: alloro=eroe e viceversa.

A margine posso testimoniare che, sino alla fine degli anni 1960, il ricordo e la stima nei confronti di Giuseppe Garibaldi quale Eroe dei Due Mondi, erano ancora molto vividi negli anziani di quell’area della fascia costiera ionica del Messinese. Ne ricordavano le gesta tramite gli spettacoli dei cantastorie itineranti e i racconti pieni di particolari esagerati o aggiunti nell’arco di un secolo, della presenza dell’Eroe quale ospite nell’abitazione del Col. Interdonato, che fu uno dei suoi ufficiali nella spedizione dei Mille. Per l’occasione, il paese cambiò denominazione divenendo l’attuale Nizza di Sicilia, in omaggio alla città natale del Generale che, tuttavia, ottant’anni dopo (nel Secondo Dopoguerra) passò alla Francia assieme a tutta la splendida Savoia.

Nei pressi della fonte Acqua Rossa (denominazione probabilmente dovuta al colore dei depositi ferrosi un tempo lasciati sulla roccia calcarea con cui era costruita) esistevano antichi edifici rurali ancora abitati da anziane coppie di contadini, nel corso dei decenni sostituiti da alcune famiglie di pastori e mandrie di bestiame. Con l’apertura della strada sterrata Allume-Acqua Rossa-Fiumedinisi, negli anni 1970 vennero sradicati gli ultimi alberi rimasti e ruspata gran parte della pavimentazione a secco dello spiazzo innanzi alla fonte.  

A simboleggiare l’arrivo della modernità anche in quei luoghi, maldestramente cementificata, la parete rocciosa dalla quale l’acqua sgorgava divenne un misero muro a intonaco di cemento perfettamente liscio, dove l’acqua ancora oggi esce da un tubo di ferro sovrastato da una scritta incisa nel cemento fresco, per ricordare ai posteri il cognome del sindaco (Nottola) e la data. A fianco, un abbeveratoio di cemento per il bestiame, e a meno di due metri innanzi la strada sterrata,  polverosa in estate, fanghiglia in inverno. In seguito alle proteste per la scomparsa del piccolo frutteto che rappresentava un delizioso sollievo contro la calura estiva, ai lati della fonte si piantarono due alberelli del tutto estranei all’ambiente, due pini dei quali oggi ne rimane solo uno, una sorta di alieno che in quel paesaggio genera un misto di compassione e rabbia, in quanto unico sopravvissuto a ormai quasi mezzo secolo dalla distruzione dell’antico frutteto.

L’area è da molti decenni ormai divenuta un pascolo in via di desertificazione, e ha perso totalmente quella sua struggente armoniosa bellezza rurale, gli odori delle piante in quell’ombra salutare, il canto di numerosi uccelli che giungeva da ogni parte, al quale si accompagnava lo scroscio dell’acqua che cadeva su una lastra di pietra sulla quale gli abitanti del casale ponevano a riempirsi gli orci e le anfore da acqua (bummuli e quattare).

4 – Ne ho ancora vivo ricordo in quanto la frequentai innumerevoli volte, per dissetarmi e riempire la mia borraccia. Agli inizi degli anni 1970, il manufatto si conservava ancora in ottime condizioni, eccetto le antiche strutture site all’esterno, adoperate per la raccolta e la canalizzazione delle acque, delle quali restavano tracce perimetrali, in seguito anch’esse svanite quale conseguenza dei lavori operati dalla ruspa.

L’incantevole, semplice, essenziale, ma al contempo severa architettura medievale della fonte, immersa in un antico bosco di castagni, a quel tempo ancora ben curato. In estate, era un’autentico piacere inoltrarsi nella rinfrescante sua galleria della lunghezza di circa sei o sette metri. Era un camminamento in linea retta tra due pareti alte e strette, in parte escavate nella roccia e in parte erette a muro a secco, con piccoli blocchi di pietra, incastrati l’un l’altro sbozzandoli a scalpellina. La volta era realizzata a sesto acuto in stile normanno-svevo. In fondo, la galleria si concludeva innanzi a una parete rocciosa dalla quale sgorgava un’acqua dal sapore minerale, deliziosa, come in genere lo sono tutte quelle che scaturiscono da rocce metamorfiche con forte prevalenza filladica.

L’acqua doveva originariamente cadere entro una vasca in pietra, mancante da tempo immemorabile. Difatti, traboccando dalla vasca veniva raccolta entro una canaletta scolpita nella roccia, ancora esistente negli anni 1980 ed in parte ricoperta da muschio. Visto dall’esterno, l’accesso alla fonte si apriva in un alto muro a secco dell’antico terrazzamento che interessava l’intero castagneto, proteggendolo dall’erosione del suolo per effetto del dilavamento. Il muro a secco era qui stato eretto a ridosso di due affioramenti rocciosi e appariva quale una sorta di portale sensibilmente incavato di sbieco rispetto al fronte di terrazzamento, con vertice a sesto acuto ottenuto con lastre di pietra armoniosamente disposte di taglio.      

Da questa fonte si dipartiva una conduttura tipologicamente attribuibile al corso del tredicesimo secolo, costituita da coppi in terracotta di forma a U, ognuno della lunghezza di circa 40 centimetri. Erano stati ottenuti con stampi, presumibilmente lignei, e cotti in fornaci tramite lunghe tecniche di cottura graduata, sino a raggiungere un’alta temperatura, attorno ai 900-950°C, in modo da garantire una maggiore resistenza ad urti e tensioni. L’interno era stato impermeabilizzato da uno strato di vetrina diluita e vernice marrone-manganese, alcune delle quali decorate all’esterno con questa vernice, da una linea orizzontale sinuosa posta a simboleggiare l’acqua.

Gran parte del percorso iniziale della conduttura era stata distrutta dalle antiche frane, purtroppo ampie e profonde, che interessarono l’intero pendio sottostante alle mura occidentali del Castello sino alla Rocca Perciata. Riuscii tuttavia a localizzare la rimanente parte dell’acquedotto in una balza sottostante al Castello, seguendone le tracce sino a un’antica vasca, e da questa diramarsi infine verso le abitazioni site sulla Pianura Chiusa, all'inserzione dell'antica mulattiera che s'inerpicava sino alla sommità del Monte Belvedere. Era quindi ovvio che, quantomeno in età Sveva, le balze terrazzate che dal Castello si raccordavano con la Pianura Chiusa fossero state interamente fornite da un sistema di canalizzazione delle acque, al fine dell’utilizzo di una irrigazione differenziata a seconda delle esigenze stagionali e della varietà delle piante coltivate. Questo potrebbe significare che in quell’età il paesaggio intorno al Castello non era caratterizzato interamente da coltivazioni intensive quali frumento e vitigni, come sappiamo certamente avvenne in età moderna, ma probabilmente anche lussureggiante con giardini a frutteto o altro, che solo accurate indagini archeobotaniche potrebbero in parte rivelarne la presenza.

Desidero infine ricordare che parte del sentiero fiancheggiante questo acquedotto dalla Pianura Chiusa sino alla fonte sopra descritta, utilizzata per le necessità del Castello e delle abitazioni circostanti ad esso collegate in particolare quale contado, fu distrutto negli anni 1980 dall’instaurarsi di una fase di piccoli movimenti franosi e conseguenti approfondimenti da dilavamento, dalle conseguenze devastanti, successive alle modalità di apertura di una strada sterrata, oggi in parte spazzata via. Realizzata con ruspe di grandi dimensioni e automezzi da trasporto di materiali per la costruzione di tralicci dell’elettrodotto, ma pianificata sulla carta con la tipica arrogante incuranza burocratica di quel tempo, in linea retta, anziché rispettare le reali e fondamentali necessità di protezione del territorio. Basti dire che per effettuare queste opere, la società non necessitava richiedere autorizzazioni alle istituzioni di competenza. Si trattava di quel Piano Nazionale di elettrificazione delle contrade rurali, che anche in quest’area provocò ingenti danni all’antico sistema difensivo del suolo, rappresentato dalla millenaria rete di terrazzamenti e piantumazioni arboree opportunamente scelte.


"Objects for Eternity". Falsificazioni archeologiche, frodi internazionali e sistema di potere dominante. Parte II: 2015, la proposta di uno “Standard for Due Diligence”.

 di Pietro Villari, 16 Ottobre 2023. Tutti i diritti riservati

 

Premessa

Agli inizi del 2015 avevo maturato la convinzione di quanto fosse necessario redigere uno Standard for Due Diligence, perfezionando e integrando le preziose raccomandazioni edite nel 2007 da Mark Rasmussen (1). L’intento era proporre un valido mezzo destinato a quanti coinvolti nel commercio delle antiquities, ovvero ai collezionisti, antiquari e case d’asta. In quegli anni, difatti, grazie anche alla globalizzazione dei mercati, a mio avviso si raggiunse l’apice delle dimensioni degli scambi e delle problematiche legate sia alle compravendite illegali di reperti archeologici provenienti da recenti scavi clandestini e sia all’altrettanto vasto fenomeno delle frodi, perpetuate con imitazioni e riproduzioni di oggetti accompagnati da false dichiarazioni di autenticità.

Colsi l'occasione quando, agli inizi del 2016, un mio articolo pubblicato nel giugno 2014 venne tradotto in lingua inglese dalla statunitense Nancy Lee Kelker, una delle massime esperte internazionali di falsificazioni nel settore delle antichità precolombiane e docente di Storia dell’Arte. Svolgendo anche una rilettura critica dello scritto, Nancy mi convinse a inserire nuovi dati e considerazioni (2)

Fig. 1 – L’articolo pubblicato da un sito on-line l'11 Giugno 2014.

 

Delle due Giustizie

Sino a quell’anno nutrivo ancora una tenue speranza nelle reali possibilità del sistema giudiziario dei maggiori Paesi europei e nordamericani, ma ben presto dovetti ricredermi, accettando il dato fondamentale emergente dalle mie ricerche svolte nel settore nel periodo 1995-2015 e di quanto ho potuto constatare negli anni seguenti: la presenza di un sistema giudiziario parallelo e, fatto che ancor più inquietava, dominante.

In ogni Paese che in via auto-referenziale si definisce “civile”, appartenente al Blocco Occidentale e in quelli gravitanti nell’orbita di questo, oltre alla società fortemente gerarchizzata, strutturata a piramide tronca per il controllo e manipolazione delle masse, vi è una soprastante struttura piramidale di “aristoi”, costituente i gradi direttivi apicali. Si tratta di una sovrastruttura mantenuta scarsamente o affatto visibile alle masse che, in parte compenetrando quella logistica sottostante, opera in modo da sfruttarne le energie e al contempo garantendosi la totale impunità delle attività illegali.

Così, se ad esempio uno Standard for Due Diligence, può essere applicato con efficacia nella società “dominata”, ovvero quella degli individui considerati “massa profana”, la sua validità può essere viceversa inficiata nei casi che riguardano elementi del sistema dominante. In quest’ultimo, ad esempio, vi è la possibilità di accedere a mercati elitari, quelli delle compravendite riservate alle classi agiata militanti della casta dominante (quali le aste svolte in forma privata, ove la partecipazione dell’acquirente avviene mediante invito ad personam).

È la compenetrazione della società dominante in quella “di massa”, o meglio la sovrapposizione della giustizia dominante a quella dominata, che permette che aste pubbliche o reperti provenienti da scavi clandestini controllati dalle grandi organizzazioni criminali del pianeta, o le opere artigianali provenienti da botteghe falsarie capaci produzioni di elevato grado di decezione, possano godere di una sfacciata impunità.

A quel punto, il ricercatore o l’investigatore si trovano improvvisamente innanzi a una società sconosciuta e in gran parte incomprensibile ai “profani”, una sorta di “mondo parallelo”. Hanno passato la soglia che la rendeva invisibile e si trovano pericolosamente esposti a un infinito panorama di legami tra lobbies corporative e logge coperte di fratellanze iniziatiche di vario grado che, si favoleggia sottovoce, costituisce la base sulla quale il potere degli “aristoi” di alto grado si sviluppa in modo oscuro sino al suo vertice.

 

Il villaggio globale delle masse: caos, gonzi e denaro facile

Uno dei risultati più sorprendenti della ventennale ricerca che svolsi nel mercato internazionale delle antichità e delle loro recenti imitazioni, riproduzioni o contraffazioni (3), fu la constatazione che, nonostante si trattasse di giri d’affari per l’ammontare di diversi miliardi di euro, sino al 2015 vi era l’assenza di protocolli internazionali per riconoscere e legittimare l’autenticità dei manufatti oggetto di compravendita o di donazioni e questo, di conseguenza, incideva sui valori dichiarati dagli espertizzi (4).

Figg. 2 e 3 - Guida alle recente riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, volume I, 2013


 

Figg. 4 e 5 - Guida alle recente riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, volume II, 2014

 

Considerato che il commercio è uno dei pilastri dell’economia, che il settore antiquariale ha un discreto ruolo nelle entrate del ministero delle finanze, e l’ammontare del valore dei beni culturali contenuti nei musei statali e nelle collezioni private, mi fu chiaro quanto fosse inammissibile che non solo le attività del mercato internazionale delle antiquities, ma l'intera filiera dell’antiquariato e in generale dell’arte non fossero regolate da protocolli sia nazionali che internazionali.

Nonostante l’eccellente articolo pionieristico di Mark Rasmussen (5), che in base alla propria esperienza “sul campo”, già nel 2007 aveva proposto la prima valida bozza di raccomandazioni per l’integrità e l’affidabilità che gli esperti dovrebbero applicare nel processo di autenticazione delle opere antiche, sino al 2015 eravamo ancora lontani dalla sua formalizzazione a livello internazionale. Fu a quel punto che colsi l’opportunità di occuparmene nell’ambito della stesura dell’articolo sulle vicende relative a un gruppo di falsificazioni di vetri dell’antico Egitto manufatte in Italia. In appendice, inserii una dettagliata proposta di Standard for Due Diligence redatta sulla base delle mie ventennali ricerche nel settore, tenendo presente le raccomandazioni presenti nella bozza stilata da Rasmussen.

Sino a quell’anno, la situazione della compravendita di antichità era nella sua pratica spesso talmente compromessa, in termini di garanzie di genuinità e di legale possesso, che mi appariva inevitabile una evoluzione negativa sul lungo termine, con pesanti ripercussioni sull'intero sistema del commercio di antichità. Non mi sarei affatto stupito se, nei decenni seguenti, quel mercato fosse destinato a collassare o a subire un pesante ridimensionamento a favore di una fascia elitaria di agiati collezionisti.

Il collezionismo di reperti di scarso interesse storico-artistico o magico-esoterico, pressoché riservato alle classi medio-basse dove la presenza di falsi raggiunge picchi percentuali superiori all’ottanta per cento o oltre, sarebbe stato inevitabilmente condannato a una caotica situazione di crollo e gravi perdite economiche.

L’origine di questo crollo sarebbe coincisa con la comparsa nel mercato di strumentazioni tecnologiche a basso costo e facile uso anche per i collezionisti, che avrebbero condotto alla scoperta che una consistente parte dei reperti presenti nelle collezioni private e talora persino in Istituzioni statali, era in realtà il frutto della maestria di moderni artigiani e organizzazioni prive di scrupoli.

Il piccolo collezionismo di antichità, ovvero di acquisizioni intese anche quale forma d’investimento a lungo termine con modalità borderline, presso venditori che agivano senza validi controlli statali (includendo anche ambulanti, piccoli negozi aperti da improvvisati antiquari, shops on-line e mediocri case d’asta), era destinato a rivelarsi in tutta la sua realistica situazione. E invece, ancora oggi non è accaduto nulla, in quanto è intervenuta una volontà transnazionale, propria del sistema di potere dominante nell’area del cosiddetto Blocco Occidentale, che ha protetto l’intero mercato internazionale.

L’operazione è avvenuta circoscrivendo e nella pratica silenziando, screditando o ignorando a livello mediatico quelle poche  fonti che cercavano di esporre pubblicamente il problema. Questa “censura” della libera informazione è intervenuta a salvaguardare la reputazione del comportamento etico, non soltanto di direttori di musei o di case d’asta di primo piano a livello internazionale, ma persino in vicende piuttosto squallide e di notevole interesse criminologico, che coinvolgevano alti dirigenti degli apparati statali, quali ad esempio archeologi operativi nelle Università e nelle Soprintendenze. Il livello d’impunibilità di questi “colletti bianchi” è allarmante, a testimonianza dei limiti della “giustizia profana” innanzi al gruppo degli “aristoi”. La vicenda del marketing del vasetto egiziano esposta già nel 2014 e anni seguenti, ne è uno degli eclatanti esempi meglio noti in letteratura (6).

Il problema creato dal recente notevole miglioramento della qualità dei falsi, era stato messo in evidenza nel corso degli anni precedenti con la pubblicazione di due volumi fondamentali, tra l’altro contenenti circa duemila foto di oggetti e loro dettagli, di quasi tutte le classi vascolari prodotte da gruppi di lavoro in cui operano ceramisti, ceramografi e patinatori italiani (7) (Figg. 2 e 3). I due volumi costituivano un vademecum e un ammonimento per l'intero giro di affari nel settore delle antichità, di quanto fosse esposto a frodi in mancanza di efficaci interventi legislativi necessari al suo controllo, in primo luogo rendendo obbligatori gli “Standards for Due Diligence”.

Di conseguenza, era concreta e purtroppo talora anche manifesta, la possibilità d’imbattersi in documenti di provenienza e di certificazioni a garanzia dell’autenticità che in seguito a ulteriori controlli, si  rivelavano quale frutto di espertizzi errati, sia accidentali che intenzionali. Focalizzando l’attenzione su quelli intenzionali, era possibile constatare come questi fossero imputabili a una cattiva condotta professionale, gettando pesanti sospetti di connivenze che coinvolgevano anche l’operato di studiosi, direttori di musei, conservatori e scienziati accademici considerati tra i top experts del livello internazionale.

In taluni casi, si ha la sgradevole sensazione di trovarsi al cospetto di vere e proprie cerchie d’eccellenza, dove nei rapporti tra sodali regna il comportamento omertoso tipico delle fratellanze corporative e altre. Ambienti elitari, caratterizzati da inquietanti legami tra elementi appartenenti ai vertici di istituzioni pubbliche e private che, di fatto, garantiscono sia l’impunità e sia il silenzio dei media, divenendo in tal modo una di quelle parti autonome delle quali sono composte le  frodi commerciali di massimo livello criminale ove, tra l’altro, intervengono problematiche nell’applicazione delle norme del diritto civile e penale nell’ambito di attività transnazionali.

 

2015. Una proposta di semplice applicazione per la messa in sicurezza del mercato delle antiquities.

Effettivamente, la parte peggiore da affrontare verteva su un problema noto sin nell’antica Roma: Quis custodiet ipsos custodes, chi sorveglia i guardiani stessi? Chi esamina il lavoro delle persone autorizzate a decidere quale oggetto è autentico e quale no? E chi controlla le valutazioni fatte da questi individui per le istituzioni pubbliche? Cosa potremmo aspettarci quando potenti elementi della società, legati non solo da interessi scientifici ma anche commerciali, sono chiamati a selezionare i candidati da assumere nei ruoli dirigenziali del “sistema”? E, viceversa, cosa accadrà a quei candidati considerati onesti e coraggiosi al punto da rappresentare un pericolo per quelle cerchie del “business as usual”? In che modo le forze dell’ordine possono efficacemente combattere i crimini perpetuati dai “colletti bianchi”, essendo esse stesse infiltrate da elementi di vario grado gerarchico iscritti nelle medesime fratellanze, dove i giuramenti li tengono  avvolti in una cospirazione del silenzio? (8). E cosa possiamo aspettarci dal futuro considerando che queste “famiglie” (che con modalità autoreferenziale si definiscono “iniziatiche") sono da diversi decenni in espansione, grazie a una politica di proselitismo a fini utilitaristici del più si è e più si vince?

La gravità delle implicazioni sociali che si riversano persino nel mercato antiquariale, non risparmia di colpire anche le finanze nazionali. In questo “sistema” fuori controllo vi è un aspetto economico devastante, in primo luogo per gli sfortunati collezionisti privati, costituendo il target delle operazioni a catena, coloro che inconsapevolmente investirono consistenti somme di denaro acquistando oggetti in realtà di valore ben inferiore a quanto attribuito. Ma vi è anche il problema non secondario degli espertizzi “errati” (ove domina la scarsa competenza dell’esperto) o costruiti su dati falsificati, quali quelli utilizzati per eludere gli obblighi fiscali sul reddito, con conseguenti perdite per l’erario quando i falsi vengono donati a istituzioni museali statali, che li accettano dopo averli a loro volta espertizzati quali manufatti autentici e con valutazioni “gonfiate”. Il problema qui consiste nel fatto che, in molti Paesi, una percentuale consistente del valore delle opere d'arte donate allo Stato, può essere dedotta dai donatori nella loro annuale dichiarazione dei redditi (9).

Pertanto, nel 2015 era divenuto urgentemente necessario che i preposti uffici dei ministeri delle finanze europei imponessero, agli operatori dei vari settori del mercato antiquariale, l'adozione di “Standards for Due Diligence” che costituissero un punto fermo nella corretta valutazione delle opere dell’antichità e che si iniziasse ad allestirne di nuovi per la valutazione di tutti gli altri beni culturali prodotti oltre cinquanta anni addietro e di rilevante interesse storico-artistico o economico. Trattandosi di beni soggetti a divisione patrimoniale (nonchè a pignoramento in caso di fallimento o insolvenza), è imperativo che le autenticazioni e le perizie siano accurate per evitare perdite economiche sia alle persone coinvolte che all'erario.

Il fondamento di ogni valutazione è costituito dallo sforzo, in particolare da parte degli esperti coinvolti, di assicurarsi di applicare la dovuta diligenza in ogni fase del processo di autenticazione, altrimenti essi non saranno in grado di fornire una valutazione accurata dell’oggetto in esame. A mio avviso, il processo di autenticazione di un oggetto d'arte antico avrebbe potuto già sin dagli anni 1990 basarsi almeno su quattro diversi campi di indagine, nei quali i protocolli specificamente definiti avrebbero consentito all'esperto di documentare informazioni fondamentali.

 

Standard for Due Diligence (Villari P., 2015) (10)  

1) Valutazione della provenienza e della documentazione.

– quando e come l'oggetto è divenuto di proprietà dell'attuale proprietario (documento fiscale; atto di donazione; testimonianze certificate credibili);

– elenco dei precedenti proprietari (accertati attraverso: fattura; atto di donazione; oggetto censito nei patrimoni; testimonianze certificate e credibili, pubblicazioni, foto e disegni datati);

– se l'oggetto è di proprietà di una istituzione pubblica o privata, o a queste prestato, o di un collezionista privato, è necessario richiederne la “cronistoria di conservazione” dove sono registrati tutti i trattamenti meccanici e chimico-fisici; la descrizione degli strumenti e delle tecniche utilizzate e delle loro finalità; la descrizione dei danni eventualmente avvenuti durante i periodi di esposizione, lo stoccaggio o i trasporti; eventuali segnalazioni di radioattività nell'area di custodia o nelle ex località di custodia (in quanto può alterare i risultati di successive misurazioni di laboratorio);

– identificazione e descrizione completa di tutti i dubbi riguardanti l’attendibilità della documentazione.

2) Valutazione di perizie precedenti.

– identificazione degli esperti che hanno analizzato l'oggetto e la loro qualifica professionale;

– relazioni di analisi condotte da professionisti contenenti la descrizione dell'oggetto (articoli scientifici, monografie, cataloghi di mostre, perizie certificate);

– identificazione e descrizione completa dell'attendibilità delle valutazioni precedenti.

3) Ulteriori ricerche scientifiche.

– analisi scientifiche effettuate in laboratori dotati di moderne strumentazioni e che seguono moderne tecniche di analisi (microscopia, petrografia, radiografia computerizzata, tomografia computerizzata, termoluminescenza, analisi ultraviolette e infrarosse, ecc.)

– identificazione e qualificazione del gruppo prescelto di esperti, dei protocolli e degli standard di qualità da questi eseguiti nella ricerca;

– individuazione e descrizione completa del limite di attendibilità dei test scientifici.

4) Determinazione

– analisi dell'insieme delle prove acquisite e rilascio di un certificato di autenticazione contenente le conclusioni. Il documento deve essere rilasciato e firmato da un supervisore, la cui autorevole esperienza professionale sia in grado di armonizzare e contestualizzare l'esame di tutte le informazioni raccolte e di redigerlo come una determinazione finale attendibile.

 

Dopo la pubblicazione dell’articolo: logiche e meccanismi di difesa del sistema di potere dominante

A tutt’oggi ritengo che sia un valido protocollo al quale un professionista possa attenersi quando chiamato a certificare un'autenticazione in circostanze importanti, si pensi ad esempio in sede giudiziaria. Non gli si può chiedere di più. Ma quali sono i reali limiti, l’affidabilità degli sforzi di questa indagine vincolante?

Per un archeologo o uno storico dell'arte, il processo di autenticazione (dal greco authentikos = reale, genuino) è la catena di atti distinti tra loro che determinano se un manufatto è ciò che viene dichiarato di essere. Come sopra descritto, in ambito commerciale possono intervenire attività di alterazione di oggetti, sia chimiche che fisiche, per travisare, ingannare o falsificare le proprietà caratteristiche che tentano di provarne l’autenticità, nel loro più ampio significato scientifico e artistico. Ma anche la valutazione della provenienza e la documentazione di un manufatto possono essere soggette ad inganni similari.

Oggi, nei Paesi occidentali, le case d'asta e i mercanti d'arte offrono grandi quantità di manufatti valutati dai propri esperti che, seguendo le leggi vigenti, limitano il loro lavoro descrivendo i caratteri artistici osservati, iconografia, misure, stato di conservazione, talora la provenienza, eventuali datazioni attraverso l’esame TL e infine stima del prezzo di vendita. Sono estremamente rari i casi ove viene citata la cronistoria della conservazione. Anche se generalmente non resa nota, per gli oggetti di particolare valore artistico le maggiori case d’aste dispongono una verifica per escludere che essi siano segnalati negli elenchi disposti dalle forze dell'ordine, schedati quali ricercati in seguito a furto o a un mancato sequestro giudiziario. Ma nonostante tutti questi accorgimenti, la valutazione risulterà compromessa quando si tratta di manufatti di recente falsificazione, garantiti da false documentazioni, che sfuggono al vaglio del personale preposto all’espertizzo per mancanza di adeguata preparazione tecnica o per corruzione.

A causa del persistente problema del traffico illecito di antichità, ciò che per oltre quarant’anni aveva costituito una “valida provenienza”, era divenuta una delle principali preoccupazioni legali nel mercato delle antichità. Lo scempio illegalmente operato nei siti archeologici dell’intero pianeta era giunto a tali dimensioni che, per contrastarlo, necessitava accertare che le informazioni fornite dai venditori fossero effettivamente affidabili.

Ebbene, mentre altri studiosi criticavano quali irreali le stime delle alte quantità di falsificazioni di manufatti nei vari stili precolombiani presenti sul mercato (con punte dell’80%) e nei musei americani (calcolate da Nancy Kelker sulla base delle sue esperienze “sul campo”), le mie osservazioni in Europa mi convinsero fosse ragionevole poter presumere che in non pochi casi la percentuale fosse persino più alta. In linea generale, in Europa erano invece più bassi i valori relativi alle sofisticazioni  di manufatti appartenenti alle antiche culture europee. Viceversa, nelle collezioni europee erano maggiori quelle relative alle culture nordafricane e del Vicino Oriente.

Inoltre, risultava ampiamente provato che le errate informazioni relative all’autenticità e alla provenienza fornite dai venditori, trovassero una valida copertura legale soprattutto dalla scarsa o inesistente scrupolosità delle case d’asta o dei loro esperti (personaggi che spesso non possedevano nemmeno una laurea o una laurea di pertinenza). Il problema era riversato sulle qualità da connosseur dei collezionisti o dei mercanti, che quasi sempre finivano per acquistare i falsi per motivi di ignoranza o d’illegale finalità speculativa.

L’inadeguatezza specialistica o l’attenzione del personale delle istituzioni preposte al controllo e delle leggi che regolano il mercato delle antiquities e degli oggetti d’interesse etnografico (“arte tribale”, “etnografica”, ecc.) costituivano a quel tempo e non di rado ancora oggi, un grave problema di tutela. Gli “errori” commessi nei cataloghi d’asta si ripercuotevano nei cataloghi di vendita del commercio al dettaglio on line, dove spesso si leggevano rassicuranti affermazioni quali: “tutti gli articoli sono dichiarati autentici e corredati da garanzia di autenticità”. In realtà questi cataloghi offrivano descrizioni quasi tutte non basate su alcun standard di dovuta diligenza, dove le informazioni che accompagnavano gli artefatti venduti non fornivano effettivamente una garanzia per un potenziale acquirente. 

Nel caso dell’autenticazione della provenienza ci sono molti modi per falsificarla. La più comune, diffusa a livello internazionale, è quella di creare collezionisti non identificabili, “non interpellabili” in quanto deceduti. Ne propongo alcuni tra gli innumerevoli: “Ex antica collezione Inglese, acquistata a Londra negli anni 1960”; “dalla collezione di un medico londinese, acquistata negli anni '50-'70”; “importato in Inghilterra da uno studioso brasiliano negli anni 1950”.

Un altro modo è quello di falsificare una piccola parte della frase: “From the Estate of Lord (nominativo)…, 1950’s – 1960’s”, dove il nome del collezionista e il periodo nel quale egli formò la collezione sono veri, ma la loro relazione con il manufatto non è provata. E così via, in una miriade di combinazioni possibili.

Altro problema è la credibilità delle cosiddette external records, da considerare sempre con cautela perché tali testimonianze orali possono essere frutto di un atto di falsificazione di ricordi. Ne fornisco un esempio.

Anni fa, durante le mie ricerche, mi imbattei in un crimine del genere in un Paese dell’Unione Europea che mi illuminò sulla facilità con cui era stato possibile creare questo tipo di documentazione ingannevole. Discendente ed erede di un’antica e agiata famiglia aristocratica di collezionisti e archeologi, un uomo di oltre 80 anni, fu oggetto di pesanti pressioni psicologiche  da parte di un noto collezionista di reperti preistorici, un anziano avvocato con forti legami nel sistema dominante sia regionale che nazionale, che cercava d’indurre l'ottuagenario a certificare una falsa dichiarazione. Nella fattispecie, gli chiedeva di mettere per iscritto di aver assistito, da giovane, a una compravendita intercorsa tra il nonno paterno e il padre dell'avvocato, inerente a molti importanti vasi di ceramica di età preistorica, greca e classica, nonché di altri oggetti di età medievale appartenenti alla rinomata collezione di famiglia.

In cambio, l'avvocato si offriva di intervenire attraverso i suoi eticamente discutibili ma potenti contatti, per risolvere bizzarri problemi che l'anziano subiva nei tentativi di vendita di una sua importante e antica proprietà immobiliare. Interpellato, consigliai all’anziano aristocratico di rifiutarsi di rendere una falsa dichiarazione e di limitarsi a certificare quanto effettivamente ricordava, ovvero che il padre dell’avvocato avesse fatto visita, una sola volta, alla sua famiglia pur non conoscendone la motivazione.

Sfortunatamente e a mio avviso anche con clamorosa incongruenza, questa dichiarazione che in seguito si scoprì era stata associata ad alcune altre rilasciate da anziani testimoni, furono sufficienti affinché l'avvocato potesse sostenere con successo la restituzione da parte dello Stato della sua precedentemente confiscata collezione di antichità. In tal modo, venne riconosciuta di proprietà privata quella che gli inquirenti sospettavano una collezione di provenienza illecita, provenienti da saccheggi in aree archeologiche avvenuti nel corso dello scorso secolo e corredata della stima per il valore di diversi milioni di euro, effettuata da un esperto nominato dal tribunale e quindi a spese della collettività.  

A fronte della modica spesa effettuata dall’avvocato per il suo acquisto (come se non bastasse, vi era il sospetto che si trattasse sia di acquisizioni effettuate in cambio di prestazioni professionali, e sia di attività d’intercessione per l’ottenimento di favori da personaggi politici), il riconoscimento del legittimo possesso della collezione costituì al netto un ricavo milionario. Non ho alcuna conferma che alla morte del collezionista quell’autentico tesoro fu oggetto di pagamento delle tasse di successione a carico degli eredi.

La possibilità di trovarsi innanzi a tali discutibili pratiche dovrebbe essere sempre opportunamente considerata quando si valuta la validità di prove su base testimoniale costituenti la “documentazione esterna”. In ogni caso, in queste vicende aleggia l’oscura presenza di errori, sviste, mancanze e legami “fraterni” che non possono essere sempre attribuite a semplici coincidenze. A fronte di qualsiasi ideologia, per un fedele e stimato sodale di lunga militanza nel sistema del potere dominante, vi è sempre una via affinché gli interessi del proprio protetto prevalgano sul pubblico interesse e sulle logiche della Giustizia “profana”.

 

Conclusioni

Attualmente molte case d'asta e commercianti vendono, su commissione, enormi quantità di materiali archeologici senza alcuna prova accettabile di legale detenzione o autenticità, fatta eccezione della dichiarazione che gli oggetti provengono da "una vecchia collezione". Nell'esercizio della dovuta diligenza, questo tipo di dichiarazione dovrebbe essere legalmente comprovata da documenti prima di poter essere inserita nei cataloghi d'asta.

Fino a quando non sarà concordato e formalizzato a livello internazionale uno “Standard of Due Diligence” atto a valutare e garantire la provenienza, la stima del valore e la commerciabilità di beni mobili dell’antichità, le istituzioni pubbliche dovrebbero osservare le seguenti misure precauzionali:

– Musei archeologici e collezioni pubbliche universitarie. È necessario evitare la datazione di qualsiasi opera che non provenga da scavi archeologici o indagini condotte con metodologia scientifica. In caso di manufatti provenienti da collezioni private, tutti i pezzi privi di recenti autenticazioni di esperti indipendenti dovrebbero essere indicati quali “possibilmente antichi”.

La donazione di un'opera d'arte dovrebbe essere accettata solo dopo essere stata autenticata in modo indipendente da esperti riconosciuti dallo Stato e non associabili alle attività del donatore.

– Ministero delle Finanze. Dovrebbe essere in ogni caso vietata la trattenuta di somme di denaro dalla dichiarazione dei redditi, come sino ad oggi permesso quale premio per la donazione di opere d'arte e spesso senza seguire una norma di Due Diligence da parte del personale specializzato delle istituzioni pubbliche.

– Istituzioni pubbliche e private. Sia il catalogo che le didascalie che accompagnano l’esposizione dei reperti, dovrebbero riportare soltanto informazioni verificate nel processo di autenticazione, o evidenziate in modo da separarle da ulteriori speculazioni. Se presenti, dovrebbero essere segnalate anche le lievi incertezze o anomalie riscontrate nella verifica delle prove.

– Case d'asta e commercianti. La vendita di manufatti dovrebbe considerarsi potenzialmente fraudolenta se accompagnata da garanzie non comprovate da un processo di autenticazione. Viceversa, la vendita dovrebbe essere considerata legale quando un manufatto viene venduto come “possibilmente antico” se accompagnato da almeno alcune prove positive di parte del processo di autenticazione.

Nel caso in cui un manufatto non sia accompagnato da un processo di autenticazione, nel caso di vendita esso dovrebbe essere accompagnato dalla formula “l'autenticità attende conferma da un processo di autenticazione”, al fine d’informare i potenziali acquirenti sui rischi che si corrono nell'acquisto dell'oggetto.

– Magistratura e forze dell'ordine. Il controllo della vendita di “antichità” nelle case d'asta, nelle gallerie e in altre attività commerciali (come vendite online, fiere, mercatini, ecc.) dovrebbe coinvolgere studiosi di solida formazione, con conoscenze professionali tali da poterli considerare effettivamente esperti nel campo della valutazione richiesta. La punizione per pratiche ingannevoli dovrebbe sempre prevedere la confisca dei manufatti e una pena adeguata alla gravità del danno.

In caso di accertati comportamenti illeciti constatati nel corso di attività professionali svolte da accademici, studiosi, esperti operanti in istituzioni pubbliche o private, questi soggetti dovrebbero essere chiamati al risarcimento dei danni. Se recidivi, oltre alle sanzioni previste dalla legge, eventuali successivi espertizzi condotti sino alla data della loro condanna penale dovrebbero essere sottoposti ad accertamenti da parte di altri esperti, e nell’attesa dei risultati, considerate prive di ogni merito giuridico e scientifico.

– Commercio interno ed estero. Nell’atto di richiesta del rilascio di un permesso per il commercio di antichità, il richiedente dovrebbe essere tenuto a fornire la necessaria documentazione, a prova di essere in possesso dei titoli universitari e/o delle esperienze lavorative nel campo di studi di pertinenza.

 

Note

(1) Rasmussen M., 2007, Setting the Standard for Due Diligence: Scientific Techniques in the Authentication Process,, in Rare Collections, Stillwater, MN 55082 USA (www.rare-collections.com)

(2) la parte dell’articolo contenente la vicenda di una recente imitazione di un vasetto dell’antico Egitto venduta da una casa d’aste quale autentica, era stato già pubblicato on-line alcuni anni prima (Fig. 1) su un sito italiano l’11 giugno 2014 (coscienzeinrete.net/arte/item/1965-il-vasetto-dell-antico-egitto-venduto-per-90000-euro-fatto-in-italia-per-pochi-spiccioli), non più disponibile on-line da alcuni anni.

Purtroppo dovemmo aspettare a lungo per ottenere il responso della rivista e considerato che, per curiosa coincidenza, uno studioso anglosassone aveva nel frattempo pubblicato un suo Standard for Due Diligence dai contenuti simili al mio (Gill D.W.J., giugno 2016, The Auction Market and Due Diligence: the Need for Auction, The Journal Art of Crime). Piuttosto amareggiato decisi di pubblicare il lavoro su un mio blog:  

31 luglio 2018, Egyptian style core-formed glass forgeries, white collar crimes and national treasures. How professional misconduct and misconstruction can compromise the authentication and appraisal process, The Reporter’ s Blog (non più disponibile online dal luglio 2020) e dal 16 giugno 2020 su The Reporter’s Corner:

https://www.thereporterscorner.com/2020/06/egyptian-style-core-formed-glass.html

Per approfondimenti rimando all’articolo pubblicato on-line da The Reporter's Corner in data 29 Settembre 2023, "Objects for Eternity". Falsificazioni archeologiche, frodi internazionali e sistema di potere dominante. Parte I: Le vicende di due recenti imitazioni italiane di rari vasetti in vetro dell’Egitto faraonico.  

https://www.thereporterscorner.com/2023/09/objects-for-eternity-falsificazioni.html

(3) notizie in: Villari P., 2013, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. I, pp.1-224, Figg. 1 - 646, Archaeological Centre, Roma; Villari P., 2014, Guida alle recenti riproduzioni italiane di ceramiche archeologiche, vol. II, pp.1-378, Figg. 1 - 1098, Archaeological Centre, Amsterdam.

(4) per la definizione di questo problema, relativi esempi e riferimenti, un interessante saggio è stato pubblicato durante la traduzione di questo manoscritto: Yates D. 2016, Museums, collectors, and value manipulation: tax fraud through donation of antiquities, Journal of financial Crime, 23(1).  

(5) Rasmussen M., 2007, Setting the Standard for …, op. cit. in nota 1. 

(6) 11 giugno 2014, Il vasetto dell’antico Egitto… op. cit. in nota 2, anche per altri articoli inerenti alla vicenda pubblicati sino ad oggi.

(7) si rimanda alle opere citate nelle note 1 e 2.

(8) si consideri ad esempio quanto emerso dalle inchieste svolte sulla composizione e le attività delle logge massoniche P2 e seguenti, e dalle indagini più recenti nell’ambito del cosiddetto “Caso Banca Nuova-Montante”. Si tratta di vicende dove è lampante come raggiunto il coinvolgimento di un alto livello istituzionale, le indagini si impantanano scomparendo contemporaneamente nell’oblio mediatico.

(9) Yates D., 2016, Museums, collectors, and value manipulation…, op. cit. in nota 4.

(10) per la versione in lingua inglese rimando all’articolo pubblicato in data 31 luglio 2018 e  in The Reporter’s Blog, Egyptian style core-formed glass forgeries… op.cit. in nota 2,  (non più disponibile online dal luglio 2020) e dal 16 giugno 2020 consultabile su The Reporter’s Corner:

 https://www.thereporterscorner.com/2020/06/egyptian-style-core-formed-glass.html

Archaeological Centre-Villari Archive: pubblicazioni scientifiche

In questa sezione è presentata una selezione di pubblicazioni scientifiche di Pietro Villari (monografie, articoli editi da riviste speciali...