Ultime modifiche: 27 Maggio 2024, 19:14
Fig. 1 – il versante esposto a meridione della sommità del Monte Belvedere di Fiumedinisi (Foto: Pietro Villari. Tutti i diritti riservati, anche nella qualità di Autore del presente articolo). Si noti il percorso longitudinale del profondo crepaccio, recentemente accompagnato da una serie ad esso parallela di stretti crepacci, fessurazioni e piccole voragini. Queste ultime possono essere pericolose in quanto, pur misurando inizialmente un diametro compreso dai dieci a venti centimetri, rappresentano delle trappole pericolosi che nascondono la presenza dei sottostanti crepacci agli stadi di formazione iniziale. Dapprima il terreno compatto li nasconde alla vista, ma una volta verificatesi il cedimento la piccola buca risultante inizia ad allargarsi velocemente per effetto degli agenti atmosferici e generalmente inghiottito nelle profondità del crepaccio lasciandone scoperti i margini beanti. La velocità alla quale questi fenomeni si stanno manifestando negli ultimi venti anni e la vicinanza al precipizio sull’alta valle dell’Allume rappresentano un campanello di allarme da non sottovalutare per la tutela della pubblica incolumità.
Fig. 2 – Castello Belvedere, Fiumedinisi, 2024 (Foto: Pietro Villari, Gennaio 2024. Tutti i diritti riservati, anche nella qualità di Autore del presente articolo). La foto evidenzia l’effetto delle attività svolte con l’ausilio di pesanti macchinari motorizzati (escavatori, ruspe, punte da disgaggio) che, generando una combinazione di onde d’urto, hanno provocato profonde e gravi lesioni ad andamento obliquo. Tipico risultato di queste sollecitazioni, esse sono comparabili a quelle causate da terremoti di forte intensità, quando prolungandosi oltre il minuto, iniziano a determinare progressivamente lesioni e crolli per avere superato il limite di resistenza, ovvero di coesione proprio di qualsiasi opera muraria. Ad esempio, il terremoto notturno avvenuto a Messina nel 1970, che fu caratterizzato da 48 secondi di onde d’urto sia ondulatorie che sussultorie, se fosse durato alcune decine di secondi in più, gran parte dei palazzi del centro cittadino sarebbe stata interessata da gravi lesioni e crolli che avrebbero certamente causato un gran numero di vittime.
La vicenda in breve
Le problematiche concernenti l’instabilità strutturale
dell’area sommitale del Monte Belvedere, che ho avuto modo di osservare per
oltre mezzo secolo, sono state qui descritte senza seguire i canoni della
terminologia e dell’esposizione presenti negli studi specialistici propri delle
scienze naturali, ma in modo sommario e selettivo per essere comprese da una
più vasta platea.
Ciò premesso, è opportuno tenere presente che:
1) le condizioni nelle quali l’area versa attualmente,
sono la conseguenza della grave instabilità del sostrato roccioso. La
possibilità di ulteriori movimenti franosi, aperture di voragini e crolli di
opere murarie di età medievale d’interesse monumentale, di ben più grave entità
e pericolosità di quelle avvenute sin dallo scorso secolo, è un evento
prevedibile con certezza e in alcun modo contrastabile con mezzi e metodologie
attuali. Conosciamo quindi il motivo e il modo in cui avverrà, ma non esattamente
quando. L’imprevedibilità è determinata dalla presenza di diverse incognite, al
punto potere solo ipotizzare un arco temporale quello che si prospetta quale un
evento molto pericoloso, che potrebbe verificarsi tra oggi e parecchie decine
di anni;
2) recentemente vi è stato un aggravamento della
situazione nell’area occupata dal Castello, testimoniato da una tipica
fenomenologia da considerare un prezioso campanello d’allarme: apertura di
voragini, allargamento di crepacci, sprofondamenti a conca del terreni e altri,
tutti imputabili alla grave instabilità del costone roccioso. Essi
preannunciano un ulteriore passo verso il parziale crollo strutturale e
conseguente movimento franoso che interesserà la porzione delimitata dal
precipizio sulla valle alta del torrente Allume;
3) questa situazione attuale è stata di fatto
peggiorata dai recenti interventi di “riqualificazione”, condotti nel 2023 con
l’uso di mezzi motorizzati sia da sterro che da disgaggio di massi nel costone
detto Rocca Perciata, monumento di grande interesse naturalistico,
paesaggistico e culturale. Le recenti attività, incredibilmente, sono avvenute
alterando irrimediabilmente l’originaria conformazione del luogo, che alcuni
ritrovamenti da me effettuati e pubblicati oltre quarant’anni fa, avevano
permesso di ipotizzare quale sede di culto in età preistorica (1).
Una serie di attività quindi spacciate quali riqualificanti ai fini dello
sviluppo rurale, che in base alla vigente normativa di legge non soltanto non
poteva e non doveva essere autorizzata, ma nemmeno progettata per manifesta
mancanza di una serie di requisiti. Il risultato, disastroso, può essere
considerato il sequel di quanto avvenuto nel corso degli
sbancamenti e altri interventi deturpanti e distruttivi operati nell’area negli
anni 2005-2006.
4) gli anni delle “riqualificazioni” svolte nell’area
sommitale del Monte Belvedere di Fiumedinisi, comprendenti il Castello (corpo
centrale e prima cinta muraria) e la Rocca Perciata, corrispondono a due
periodi in cui il territorio comunale è stato amministrato in qualità di
sindaco da due personaggi appartenenti allo stesso schieramento politico locale. Dapprima, dal 27 maggio 2003 all’1 luglio 2011, da
Roberto Cateno De Luca; e, dal 12 giugno 2017 ad oggi, da Giovanni Sebastiano
De Luca (2).
Ribadito quindi quanto espresso al proposito
nell’articolo edito in questo blog il 29.02.2024 (3), risulta
allo stato attuale evidente che, al fine di tutelare la pubblica
incolumità, l’area attualmente non presenta garanzie usufruibili sia per
svolgere attività scientifiche con personale in sito e, tantomeno, per le
finalità turistiche di valorizzazione dei luoghi interessati dalle riscontrate
fenomenologie. Senza alcun dubbio, considerata la pluridecennale mancanza di
adeguati controlli da parte degli Istituzioni della Regione Siciliana preposte
alla tutela e salvaguardia del territorio, e dei beni ambientali e culturali,
non resta che attendere l’intervento della magistratura e degli organismi di
controllo dell’Unione Europea. Un epilogo da considerare un atto dovuto per
valutare la situazione nei suoi vari aspetti di eventuale interesse
criminologico.
Desidero al proposito ricordare che le opere di
riqualificazione in corso dal 2023, sono state finanziate con i denari
pubblici provenienti dall’attivazione della sottomisura 7.5 “Sostegno ad
investimenti di fruizione pubblica in infrastrutture ricreative, informazioni
turistiche e infrastrutture turistiche su piccola scala” da parte del GAL
(Gruppo di Azione Locale) “Taormina Peloritani Terre dei Miti e della
Bellezza” nell’ambito di una più ampia strategia del “Programma di
Sviluppo Rurale Sicilia 2014-2020”. Questo impegno regionale
avrebbe certamente meritato maggiori attenzioni dagli organismi di controllo
regionali e nazionali, in quanto si tratta di somme provenienti da un imponente
prestito concesso all’Italia dall’Unione Europea che, in un futuro già apparso
all’orizzonte, le casse statali dovranno iniziare a restituire con i dovuti
interessi, in una lunga serie di scomodissime rate. Queste costituiranno un
ulteriore peso per la già disastrata situazione finanziaria nazionale, che non
dovrebbe permettersi di continuare a sostenere spese di dubbia necessità,
soprattutto quando conducono anche a distruzioni del suo patrimonio di beni
culturali e ambientali.
Figg. 3 e 4 – Area sommitale del Monte Belvedere di Fiumedinisi, 2024 (Foto dell’Autore,
2024. Tutti i diritti riservati). L’attuale aspetto dopo i primi interventi di
disgaggio del costone di calcare mesozoico di Rocca Perciata.
Si noti come questa porzione sia fiancheggiata o
utilizzata quale base del percorso turistico, e come esso sia stato transennato
e lastricato in pietrame e cemento prima di completare quelle che si ritenevano
fattibili operazioni di messa in sicurezza rimuovendo i massi
pericolanti.
La foto permette anche di constare lo stato di fratturazione del costone, i massi pericolanti sul percorso lastricato, e parte di quelli oggetto di disgaggio ancora in attesa di essere trasportati in altra sede. È anche visibile la sezione di terreno basale quale risultato della recente escavazione che certamente non migliora l’instabilità dei massi soprastanti, in attesa di quello che non potrà essere dichiarato un cedimento franoso naturale che, tra l’altro, renderà inagibile anche il sentiero restaurato. Un’ulteriore fatto aggravante la situazione di stabilità è determinato dal fatto che questo sentiero è stato recentemente usato da piccoli automezzi da scavo o trasporto di materiali nonostante il loro peso e capacità di generare potenti vibrazioni nocive alla tenuta del sostrato.
Quel che resta di un enorme lastrone roccioso in
movimento da parecchie decine di milioni di anni
Il complesso Monte Belvedere – Pianura Chiusa è, in
linea generale, costituito dagli imponenti resti di un lastrone di calcare
cristallino dello spessore massimo di alcune decine di metri, poggiante su
rocce metamorfiche di origine argillosa (filladiche). Modificate a
grande profondità della superficie terrestre quale effetto di alte pressioni e
temperature, riemersero nell’ambito di fenomenologie proprie della
fratturazione e sovrapposizione di porzioni profonde della crosta terrestre.
Nella fattispecie, soggette a sollecitazioni di corrugamento (epi-orogenesi),
parti profonde e molto antiche della crosta terrestre vengono spinte verso
l’alto, formando catene montuose e allo stesso tempo a migrare ai lati delle
faglie, sovrapponendosi su altre con modalità particolarmente attive in quest’area
della catena montuosa peloritana.
In tempi geologici relativamente più recenti, a causa
delle capacità plastiche di adattamento delle rocce metamorfiche di origine
argillosa, la morfologia sinuosa da queste raggiunta è risultata non
compatibile con quella del soprastante lastrone di calcare cristallino. Essendo
questo strutturalmente rigido e adagiato sulla base filladica, nonché
sottoposto anche allo slittamento dovuto all’effetto gravitazionale, per
adattarsi alla morfologia del sostrato il lastrone si è fratturato in grandi
blocchi, proseguendo in lento movimento in direzione sud-ovest, ovvero
scorrendo lungo il pendio di una digitazione collinare verso la linea di costa
ionica.
Se fosse possibile visualizzare il fenomeno in
modalità timelapse, potremmo constatare come sin dal suo
posizionamento sulla dorsale peloritana, il lastrone calcareo del Monte
Belvedere-Pianura Chiusa di Fiumedinisi ha percorso parecchia strada verso la
costa e che durante questo viaggio ha perso gran parte delle sue originarie
dimensioni. In particolare le porzioni periferiche, precipitate lungo i pendii
delle valli escavate negli affioramenti di filladi e scisti, e nei potenti
depositi alluvionali costieri dove si ha una maggiore velocità di erosione e
dilavamento.
Soggetti a questi fenomeni, anche negli ultimi
cinquant’anni i blocchi del lastrone di Monte Belvedere hanno continuato a
mostrare il verificarsi di nuove fratture da tensione, determinate dall’effetto
gravitazionale di slittamento sui fianchi laterali del Monte, destinando i
blocchi marginali a franare lungo i pendii delle due opposte vallate degli
alvei torrentizi dell’Allume e del Fiumedinisi.
Le profonde e ampie forre formatesi in senso longitudinale
nell’arco di parecchie decine di migliaia di anni, costituiscono uno stadio
avanzato di un processo che originato dalle fratture, che progressivamente si
evolvono in crepacci sempre più ampi e infine in forre che allontanando sempre
più l’una dall’altra le due metà del blocco originario li destinano alla caduta
all’interno delle valli.
I crepacci talora permettono l’accesso a antiche
cavità sotterranee il cui contenuto è rimasto più o meno suggellato per decine
o centinaia di migliaia di anni. Essendo il calcare cristallino costituito in
massima parte da carbonato di calcio, sono soggette alle capacità solventi
delle acque acidule che filtrano dallo strato terroso di superficie e
attraversano le fratture della roccia, ingrandendole, trovando le vie per
raggiungere la base del lastrone calcareo.
Qui incontrano una serie di alternanze di strati,
facilmente permeabili, formati sia dalla frizione tra le rocce metamorfiche e i
blocchi calcarei e sia dai materiali rocciosi di varia grandezza e composizione
che gli acidi non hanno potuto dissolvere. Si tratta quindi di strati
costituiti da detriti rocciosi, sabbie, sabbie argillose e argille sabbiose,
generalmente dello spessore di non oltre alcuni metri. Questi strati sono
facilmente rimossi laddove si incanalano le acque sotterranee le quali, scorrendo
per effetto della gravità sopra le rocce metamorfiche molto meno permeabili,
riescono a rimuovere lentamente nel tempo e trascinare nel loro viaggio a valle
grandi quantità di materiali. Ciò partecipa a rendere maggiormente instabili i
blocchi calcarei soprastanti e, se posti lungo il precipizio vallivo, al loro
crollo franoso.
Adeguandosi alla morfologia delle sottostanti rocce metamorfiche, il versante meridionale del Monte Belvedere ha assunto una caratteristica conformazione a scalinata che sin dalla vetta è attraversata longitudinalmente da forre di varia ampiezza e crepacci, mantenendo la direzione nord-est/sud-ovest, ovvero quella del suo “cammino” per effetto gravitazionale verso la costa ionica. Nella porzione finale della scalinata il lastrone è attualmente adagiato su un ampio terrazzo marino di formazione pliocenica che costituisce la Pianura Chiusa.
Fig. 5 – Area sommitale del Monte Belvedere di Fiumedinisi, 2024 (Foto dell’Autore, 2024. Tutti i diritti riservati). Rocca Perciata, particolare di una delle parti lesionate e pericolanti del monumento naturale. Si tratta della “cornice”, con tutta probabilità originariamente sbozzata in età preistorica per le esigenze di un culto, legato anche a conoscenze astronomiche, diffuso in Sicilia nel corso del III e della prima metà del II millennio a.C.
Si tratta di uno dei monumenti in grave stato di
instabilità, ove la possibilità di un crollo parziale o totale rappresenta un
pericolo incombente per la pubblica incolumità, in primis gli
operai attualmente al lavoro, e quanti si troveranno a transitare lungo il
percorso che collega il Piazzale del Cemento al Castello, o lungo le balze del
pendio sottostante, sul lato occidentale della vallata del torrente
Fiumedinisi.
Sito al margine della porzione a monte del piazzale, quel che resta del
riparo appare ormai quale un insignificante spuntone di roccia escavato alla
base da mezzi meccanici. Gravemente lesionato in modo da risultare un pericolo
per quanti in caso di crollo si potrebbero trovare nel campo di caduta e
rotolamento, sia lungo il breve pendio, e sia entro il perimetro del
piazzale. L’opera lascia perplessi in quanto, assieme ad altre emergenze
provocate in quest’area, sembra un prequel perfetto per
invocare ulteriori finanziamenti necessari al completamento della
“riqualificazione”, al fine di smantellare quella che è artificialmente
divenuta un’ancor più pericolosa zona di caduta massi. Si trattava di uno dei
più importanti monumento d’interesse naturale e culturale della Sicilia
nordorientale, protetto dalle vigenti leggi in materia…
La problematica geologica: l’instabilità strutturale
dei luoghi
Oltre alla fondamentale importanza di mantenere
l’integrità monumentale del sito in relazione alle sue particolarità
naturalistiche e culturali, uno dei motivi che avrebbero dovuto impedire che il
progetto fosse approvato dalle Istituzioni regionali preposte alla tutela,
valorizzazione e salvaguardia del patrimonio della Regione Siciliana, consiste
nella grave instabilità strutturale del costone costituente la porzione
sommitale del Monte Belvedere, quale area interessata dagli interventi proposti
dal progetto di riqualificazione.
Ne ricordo un esempio eclatante avvenuto nel corso
degli anni 1980, all’epoca censurato dai media in quanto coinvolgeva i vertici
dell’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL) e il costosissimo piano di
diffusione dell’energia elettrica nelle aree rurali nell’Italia
Centro-Meridionale e nelle Isole. Esso prevedeva anche la realizzazione di
elettrodotti, costituiti da tralicci metallici da supporto per i festoni di
cavi elettrici. Uno di questi piloni avrebbe dovuto essere eretto in un luogo
scelto (chissà da quale burocrate probabilmente apponendo una croce sulla
tavoletta dell’IGM, l’Istituto Geografico Militare) ignorando o
infischiandosene della presenza di beni culturali e loro eventuali
devastazioni, o della problematica paesaggistica, in quanto non segnalati dalla
carta geografica e dall’elenco fornito dalla Soprintendenza.
Il luogo scelto per l’escavazione in profondità al
fine di costituire la base in cemento su cui erigere il traliccio, era posto un
centinaio di metri innanzi all’entrata principale del Castello, a pochi metri
di distanza dall’area abitativa databile agli inizi dell’età del Bronzo e oggi
a causa di crolli posto presso il precipizio occidentale. Una follia alla quale
la Soprintendenza non volle opporsi, nonostante si trattasse di un’importante
area archeologicamente nota a livello specialistico, essendo stata da me
scoperta e pubblicata e i reperti che vi avevo rinvenuti erano a quel tempo
esposti nell’Antiquarium di Naxos (4). Ero ancora un giovane
specializzando in archeologia preistorica e non riuscii a impedire che si
iniziassero le operazioni di scavo per saggiare il sostrato con l’uso di una
escavatrice.
Venne quindi eseguito una scasso dell’ampiezza di
alcuni metri quadri, sino a raggiungere il sostrato roccioso alla profondità di
circa un metro e mezzo, che permise di constatare la presenza di un profondo
crepaccio della larghezza di circa quaranta centimetri che convinse i
progettisti a cambiare il tracciato dell’elettrodotto. Lo scavo aveva rivelato
la presenza di un notevole accumulo di frammenti di tegole a unghia di età
tardomedievale, che indicavano come nell’area fossero presenti ambienti abitativi
eretti lungo la seconda cinta murari del Castello. Oggi la larghezza del
crepaccio è raddoppiata, ed ha proseguito il suo percorso fiancheggiando il
precipizio sulla valle dell’Allume, divenuto visibile per decine di metri anche
a causa di voragini apertesi nel corso degli ultimi due decenni.
Il dato di maggiore preoccupazione è la scomparsa del
sentiero che sino a mezzo secolo addietro, da questo luogo permetteva di
scendere lungo il pendio di contrada San Martino e di raggiungere in circa
mezzora di cammino la fonte dell’Acqua della Pietra sita nell’alto corso
dell’Allume. Negli ultimi decenni esso è stato velocemente dilavato dalle acque
anche a causa della scomparsa dei resti dell’antico querceto, distrutto da un
violento incendio estivo che si espanse al bosco di castagni siti nel pendio opposto
della vallata. Questi eventi sono stati accompagnati dal veloce abbassamento
dovuto a erosione del pendio di detriti, calcolabile in almeno una decina di
metri in circa venticinque anni, che è giunto ad aggravare la stabilità di
parte del soprastante costone roccioso sommitale del Monte, costituente il
fronte del precipizio contenente anche parte del Castello.
L’insieme delle osservazioni operate in oltre mezzo
secolo di ricerche esplorative costituisce un prezioso patrimonio di
informazioni. Ed è su queste conoscenze dei luoghi che bisogna inquadrare la
constatazione che, nel corso dell’ultimo anno, l’utilizzo di macchinari da
disgaggio e escavatori nell’area sommitale del Monte Belvedere, anziché
eliminare i pericoli come si prefissavano gli incauti progettisti, ha
pesantemente aggravato la condizione d’instabilità del costone roccioso, già
gravemente fratturato o lesionato dai lavori effettuati negli anni 2005-2006 e
dall’intensificarsi di fenomeni naturali d’interesse geologico.
Oltre a sorreggersi ormai appoggiandosi l’uno
all’altro, i massi pericolanti sono soggetti a un insieme di sollecitazioni
meccaniche di origine “naturale” derivate da fenomeni quali l’intensa attività
epi-orogenetica siculo-calabra, ben nota agli studiosi di geofisica, le quotidiane
scosse sismiche di assestamento, la pressione da slittamento per effetto
gravitazionale, l’azione erosiva degli agenti atmosferici e l’azione di
escavazione sotterranea operata da acque correnti sui terreni sottostanti.
Aggiungendo a questa situazione di equilibrio precario in progressivo
peggioramento, anche l’energia generata da potenti pressioni e vibrazioni,
causate dall’attività di macchinari pesanti sul sostrato in pendenza e
fratturato, dal martellamento con le possenti punte d’acciaio adoperate per le
operazioni di disgaggio e dalle pale di escavatrici alla base friabile
sottostante al costone roccioso, che si tramutano in onde d’urto caratterizzate
da sollecitazioni sussultorie e ondulatorie.
I danni e i pericoli risultanti da questa azione di
alterazione dell’equilibrio strutturale del sito, iniziata con i lavori svolti
negli anni 2005 e 2006, sono stati di fatto ignorati dai progettisti del nuovo
intervento 2023-2024, che anzi li hanno ribaditi “riqualificanti” e necessari,
come d'altronde hanno per la seconda volta dichiarato i dirigenti della regione
siciliana, rilasciando i nullaosta. Il risultato odierno è una maggiore
instabilità dei luoghi, essendo stata tra l’altro assottigliato parte del
costone e ridotto in condizione d'imminente pericolo di crolli di massi e
movimenti franosi a danno di chi eventualmente percorre il sentiero in
direzione del Castello. Agli stessi pericoli sono altresì esposti non soltanto
chi coltiva e/o risiede nelle due vallate sottostanti, ma anche gli stessi
operai addetti ai lavori e ai macchinari della ditta incaricata dei lavori di
“riqualificazione”.
In questa nuova fase “riqualificante” si è ripetuto
anche il coinvolgimento della stabilità dei ruderi delle opere murarie del
Castello, edificato sulla sommità del costone roccioso del Monte Belvedere
probabilmente nel corso degli ultimi decenni del XII secolo. Nel corso del XIII
secolo fu riservato a diretta proprietà degli Hohenstaufen, la dinastia
regnante sveva.
Già negli anni 2005-2006 si erano registrati danni causati dall’utilizzo di una piccola escavatrice all’interno del Castello, il cui uso questa volta ha condotto a generare sollecitazioni sussultorie di lunga durata che, nelle opere murarie hanno concorso a determinare l’aggravamento di lesioni preesistenti e nuovi crolli di parte di un muro perimetrali del mastio. Ne è esempio una frattura beante successiva al restauro operato nel 2005, condotto con controverse integrazioni in pietra locale, talora anche fantasiose, iniezioni di prodotti indurenti e cemento con modalità d’impiego i cui risultati sono oggi visibili. Nonostante le pesanti critiche operate da specialisti del settore, i dirigenti responsabili dell’allora Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina non hanno mai fornito chiarimenti sull’inopportuno “lifting” delle opere murarie spinto sino a impedire lo studio del palinsesto dei restauri, ristrutturazioni e riedificazioni operate nel corso del medioevo (Fig. 2).
Fig. 6 – Area
sommitale del Monte Belvedere di Fiumedinisi, 2024 (Foto dell’Autore, 2024.
Tutti i diritti riservati). Particolare degli ultimi resti, lesionati e in
pericolo di crollo, testimoni della presenza di un antico riparo sotto roccia
sito a pochi metri dalla “cornice” (nota 5) della Rocca
Perciata. Nella porzione basale esso conserva una rara evidenza d’interesse
geologico, uno specchio di faglia, causato dalla frizione da
scivolamento del lastrone di calcare cristallino sui terreni metamorfici filladici
sui quali poggia.
A sua volta, come non di rado avviene, il riparo
potrebbe rappresentare i resti di una grotta in gran parte crollata nel corso
del Pleistocene e quindi dotato di maggiore estensione aggettante di quella
ancora visibile negli anni 1970. Essendo stati erosi gli strati corrispondenti
al Pleistocene Superiore e all’Olocene, non sappiamo se il riparo fosse stato
utilizzato nel corso della preistoria. Di conseguenza non conosciamo quale
fosse la sua relazione d’uso con la presenza di una grande lente di ceneri e carboni
sita attualmente in una sezione stratigrafica innanzi ad esso (ovvero
anticamente forse posta all’interno del riparo). Lo stesso dicasi per il
ripostiglio contenente frammenti ceramici databili nel corso dell’Eneolitico
Finale e della successiva Antica età del Bronzo. Quest’ultimo è oggi posto al
lato occidentale, distante solo alcuni metri dall’arco della Rocca Perciata.
Purtroppo, il deposito della lente contenente i resti organici d’interesse
paleobotanico è stato in parte ruspato nel corso dei lavori di escavazione,
definiti di “riqualificazione”, condotti sia negli anni 2005-2006 che nel
2023-2024, per creare quel che è denominabile Piazzale del Cemento (nota
6).
I pericoli per la pubblica incolumità
Le evidenze di una crescente instabilità dell’area,
impongono studi geologici e prospezioni geofisiche approfondite, atte anche a
prevedere l’evolversi del livello di pericolo oggi rappresentato per la
pubblica incolumità. Al fine di comprendere pienamente il fenomeno, tali studi
dovrebbero tenere in debita considerazione anche le osservazioni costantemente
effettuate negli ultimi cinquant’anni.
Il problema si sta manifestando in tutta la sua
gravità e deve quindi essere affrontato con la massima celerità, tenendo
presente che intervenire con restauri ambientali è ormai inutile in
quanto non in grado di fermare i crolli e sarebbe un ulteriore costoso spreco
di denaro pubblico. Un’enorme spesa nella speranza di ritardarli, sarebbe come
scommettere alla roulette russa e al contempo arrecare
ulteriori gravi deturpazioni all’originario aspetto dei luoghi.
L’area al cui centro sorge il Castello è in una
situazione di sicurezza cronicamente precaria, con parti rese recentemente
pericolanti, al punto che i responsabili delle Istituzioni preposte alla tutela
della pubblica sicurezza dovrebbero intervenire per vietarne qualsiasi
utilizzo. Necessita quindi emettere un divieto d’accesso all’area, compresa
quella occupata dal Castello e immediatamente circostante, includendo la
momentanea sospensione di ogni eventuale diritto di passaggio da parte di
proprietari confinanti.
Per quanto concerne un eventuale progetto
d’imbrigliamento dell’intero costone roccioso nel quale si apre la Rocca
Perciata (Figg. 3, 4, 5 e 6) o interventi di
consolidamento, essi comporterebbero costi ingenti e risultati in ogni caso
deturpanti, al solo fine di posticipare i crolli dovuti all’instabilità dei
terreni. Anzi, i Comuni dei terreni interessati da queste problematiche
(Fiumedinisi e Roccalumera) avrebbero dovuto già da tempo emettere
provvedimenti a tutela della pubblica salvaguardia.
Nell'attuale situazione si rendono ormai necessarie in
quanto precauzionali, le emissioni di provvedimenti di tutela, bloccando ogni
licenza eventualmente rilasciata o sanatorie di illeciti edili, pertinenti ad
abitazioni e strade di penetrazione rurale se posizionate lungo i pendii delle
due vallate dei torrenti Allume e Fiumedinisi, quando valutate sulla
traiettoria raggiungibile dalla caduta e rotolamento dei massi del costone. I
tentativi di restauro ambientale, ai fini della salvaguardia del monumento naturale,
sono, anche nel caso dei costoni pericolanti, ormai divenuti di nessuna
efficacia per le motivazioni già espresse per l’area del Castello. Inoltre, vi
sono aree, terreni agrari, posti lungo gli alvei del torrente Allume, ovvero in
fondo agli erti pendii con pendenze di circa 45 gradi, che sono senza alcun
dubbio potenzialmente esposti al verificarsi di improvvisi crolli e inevitabile
rotolamento a valle di massi di enormi dimensioni con conseguenze
potenzialmente disastrose.
Una Spada di Damocle pendente sulla popolazione
che già da parecchi anni avrebbe dovuto essere informata della
situazione di pericolo chiaro e reale. Altro che propaganda politica e
inopportuni finanziamenti per lo svolgimento di un pastone di attività
turistiche, agricole o di allevamento, o eventuali deganerazioni con progetti
di camping con bungalow e villette a spalliera servite da ampie strade
asfaltate.
L’eventuale rimozione del costone roccioso è un’opera
da tenere in considerazione solo dopo accurati studi e realistiche valutazioni
di fattibilità, considerando sia la compromissione dell'aspetto monumentale sia
ambientale che culturale e sia il non trascurabile aspetto economico. Tenendo
anche presente che l'alterazione di equilibri dinamici propri della morfologia
del paesaggio, non di rado comporta l'instaurarsi di ulteriori fenomeni
naturali, in grado di determinare quelle situazioni paradossali e disastrose
ormai definibili “alla Siciliana”.
Per una immediata interdizione d’accesso alla sommità
del Monte Belvedere di Fiumedinisi
Considerato lo stato attuale dei luoghi, al fine di
evitare il verificarsi di possibili disgrazie, sarebbe opportuno che le
Istituzioni preposte alla tutela e salvaguardia della salute pubblica
intervenissero al più presto nella vicenda con l’emissione di provvedimenti
cautelari, quali il fermo dei lavori attualmente in corso e l’interdizione di
accesso alla sommità del Monte Belvedere. Di conseguenza, dovrebbe essere
disposto uno studio specialistico interdisciplinare dei luoghi, fermo restando
il divieto di continuare i lavori in corso o di iniziarne di nuovi sino alla
formalizzazione delle perizie tecniche e delle indagini su eventuali
responsabilità di danni al patrimonioculturale e ambientale regionale e
all'Erario, emerse sulla base dei dati forniti dagli studi interdisciplinari e
dalle indagini eventualmente svolte dalla magistratura.
Bisogna che sia ben chiaro sia ai dirigenti delle
pubbliche amministrazioni preposte per competenza territoriale e nondimeno,
anche alla cittadinanza che, nel comprensorio costituito dalla contrada Pianura
Chiusa - Monte Belvedere, qualsiasi lavoro che preveda l’alterazione dei luoghi
quali l’apertura di strade, lo sbancamento e distruzione di opere murarie a
secco poste a protezione del dilavamento dei terreni, l’apertura di strade, i
restauri o la conduzione di scavi archeologici in determinate aree archeologico,
gli sbancamenti di aree d’interesse paleontologico, il taglio o la
piantumazione di alberi non potrà essere eseguito senza seguire un protocollo
di protezione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali presenti in
questo territorio.
Un protocollo che a tutt’oggi, a distanza di oltre
quarant’anni dalla pubblicazione delle scoperte archeologiche, gli Assessorati
preposti non hanno svolto alcun valido lavoro di mappatura dell’area e il
riconoscimento di area di notevole interesse archeologico preistorico,
storico-monumentale, naturalistico e paesaggistico.
Essendo l'importanza delle scoperte già da molto tempo
note, e constatabili in base ai reperti archeologici sin dall'Aprile 1979
nell'Antiquarium di Naxos, l’amministrazione comunale, avrebbe già dovuto
attenersi a operare nei limiti delle proprie responsabilità, ferma restando le
attività di controllo, tutela e salvaguardia delle cose e delle persone
presenti nel suo territorio. È inoltre inammissibile che la pubblica
incolumità sia messa in pericolo o che si continuino a operare attività definite
di “riqualificazione”, o di “restauro monumentale”, o di “scavo archeologico”
programmate e realizzate in modo da comportare, assieme a gravi danni
distruttivi e deturpanti inflitti ai beni culturali e ambientali, anche ingenti
spese ben poco utili alle già disastrate casse della Regione Siciliane o
Statali.
Allo stesso modo, nella vicenda di Fiumedinisi qui
esposta è deprimente quanto inquietante il dover constatare quella che qui
appare una profonda incapacità degli Assessorati della Regione Siciliana, di
potere controllare tutti gli aspetti della gestione di questi suoi beni. Un
fatto eclatante considerata la crescita ipertrofica di personale assunto e
distribuito in una fitta rete di uffici tecno-burocratici. Si pensi che oggi a
differenza di due anni fa, con il Decreto Presidenziale del 5 Aprile 2022 n. 9,
pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 1 giugno 2022, nella vicenda
della quale mi occupo, nel corso degli anni gli Assessorati coinvolti sono
passati da uno a tre.
Difatti. oggi annoveriamo l’Assessorato dei Beni
Culturali e dell’Identità Siciliana, nella fattispecie il Dipartimento
Regionale dei Beni Culturali e i suoi Istituti periferici, tra i quali le
Soprintendenze; l’Assessorato dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della
Pesca mediterranea; l’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente, sui quali
torneremo a scrivere nei prossimi articoli dedicati a questa vicenda.
Un dato fondamentale per l’esecuzione di opere nel
comprensorio di contrada Pianura Chiusa – Monte Belvedere di Fiumedinisi è la
mappatura delle aree di rinvenimento di beni archeologici, la cui esecuzione è
stata eseguita nel corso degli anni 2008-2009 in base a un approccio
dottrinale, metodologie e selezione di personale a dir poco inadeguate, al
punto che questa evidenza avrebbe dovuto costituire un ulteriore motivo per
richiamare l’attenzione della magistratura sull’intero contesto amministrativo.
Anche in questo caso si tratta di denari pubblici che, in base a quanto si legge sul curriculum vitae di uno dei controversi
incaricati, furono in parte elargiti anche dall’Unione Europea. Il fatto grave
è che il personale beneficiato dalle somme era privo di una solida conoscenza
dell’area e persino di precedenti esperienze di survey archeologica.
Di conseguenza i risultati in possesso del Comune di Fiumedinisi e della
Soprintendenza di Messina possiedono notevoli lacune e quindi, come prevedibile
sin dalla sua stesura, una validità inappropriata e tecnicamente da considerare
inficiante per successivi emissioni di atti amministrativi.
D'altronde, la ricerca archeologica siciliana è zeppa
di vicende surreali, che nascono da situazioni di stampo lobbistico, politico,
economico, persino di equivoca mondanità e connivenze le più squallide, sulle
quali nessuno degli “addetti ai lavori” d’investigazione ha il coraggio di
intervenire, appartenendo queste vicende a quel fetentissimo pentolone
regionale che contiene abusi di poteri e personaggi resi impunibili.
Oltre alla istituzione della carta archeologica
comunale particolareggiata, necessita anche quella geologica frutto di
un’approfondita perizia specialistica, corroborata di accurate prospezioni
geofisiche eseguite coprendo, quantomeno quelle aree che presentano emergenze
quali quella sommitale del Monte Belvedere. Esse dovrebbero essere svolte con
le attrezzature scientifiche di ultima generazione (quindi anche aeree), atte a
rivelare il reale stato del sostrato roccioso, attraverso la mappatura tridimensionale
dei crepacci che attraversano il Castello, della consistenza delle cavità
presenti in profondità, la mappatura dei crepacci, l’individuazione dei
pericoli di crollo e lo stato di erosione dei terreni, inclusi anche quelli
sottostanti alla formazione geologica di calcare cristallino. Queste ricerche
andrebbero ripetute almeno ogni cinque anni, in quanto le osservazioni svolte
negli ultimi decenni rivelano gravi stadi di accelerazione dei fenomeni
concernenti l’instabilità dei luoghi, presso i precipizi ai margini
dell’originario lastrone calcareo.
Conclusioni
Avendo per oltre mezzo secolo osservato l’evoluzione
dei fenomeni geologici presenti in quest’area, dei quali oltre quarant’anni
nelle qualità legate ai miei studi specialistici nella qualità di naturalista e
archeologico, posso testimoniare l’acceleramento, avvenuto in modo progressivo
non costante, è stato particolarmente percepibile slittamento e abbassamento
del blocco roccioso sul quale è anche presente la porzione occidentale del
Castello posta presso il precipizio sull’alta valle del torrente Allume. Negli
ultimi trentacinque anni questa attività ha compreso anche un ulteriore
allargamento e un notevole approfondimento del crepaccio che percorre
longitudinalmente il monumento sino a oltre la terza cinta muraria, per un
totale di oltre centocinquanta metri in direzione sud-ovest, nonché tipiche
piccole conche da sprofondamento e voragini apertesi anche all’interno della
seconda cinta muraria quali ulteriori crepacci da tensione che corrono
lateralmente al principale.
Le due “riqualificazioni” operate negli ultimi
vent’anni all’interno del Castello hanno tentato di mascherare il problema,
coprendo il crepaccio con l’apposizione di terreno escavato in altre aree della
struttura, utilizzando piccoli macchinari motorizzati, con il risultato di
aggravare la situazione, come meglio specificato nei capitoli precedenti.
L’insieme di queste osservazioni, sommato a quanto
provocato recentemente per una singolare abbondanza di trascuratezze,
incapacità e ignoranza del fenomeno da parte dell’autoreferente classe
dirigenziale regionale, è da considerare tristemente foriero di eventi. La
progressiva accelerazione dello slittamento di questa porzione del
costone roccioso, non ha alcuna possibilità di essere evitata ed è quindi
destinata a culminare in un improvviso collasso franoso.
Quel che preoccupa maggiormente è che questo movimento
coinvolge anche un imponente blocco monolitico di calcare cristallino della
lunghezza e larghezza di alcune decine di metri ormai isolato da profondi
crepacci recentemente in veloce divaricazione e quindi destinato a rovinare a
valle con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche per le contrade
Martino, Acqua Rossa e il margine settentrionale di Budicari. Purtroppo,
un tale evento potrebbe al contempo o nel breve tempo essere seguito dal crollo
di altri blocchi adiacenti, sui quali insistono i resti della necropoli
Mamertina già abbondantemente saccheggiata negli ultimi decenni (7), l’area
abitativa dell’Antica età del Bronzo (8) la porzione
occidentale del Castello.
Soggetta alle sollecitazioni generate dalla
liberazione di energia (onde d’urto sussultorie e ondulatorie) dall’evento,
anche la già critica instabilità dell’intero costone della Rocca Perciata
potrebbe contemporaneamente franare, in quanto aggravata dagli sconsiderati
interventi effettuati dal Comune di Fiumedinisi negli ultimi venti anni ai
quali hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni, anche dirigenti
della Sezione Archeologica e dell’Ufficio Tecnico della locale Soprintendenza…
Infine, permane la possibilità che un evento sismico
di intensità medio-alta possa interessare la costa ionica della Sicilia
nordorientale, nell’ambito di più importanti dinamiche d’interesse geofisico
che riguardano in particolare l’area dello Stretto di Messina con effetti
ancora maggiori di quanto sopra esposto. In ogni caso, appare ovvio che in
queste condizioni, le controverse velleità di una valorizzazione turistica
dell'area sommitale di Monte Belvedere di Fiumedinisi, caratterizzata da grave
instabilità strutturale, sono assolutamente da sopprimere.
Quel che ad oggi nella vicenda appare assente, in un
silenzio inquietante dei media, della politica regionale, dei paladini
dell'ordine e della giustizia, riguarda la valutazione d'insieme delle attività
amministrative comunali svolte nel corso degli ultimi decenni a Fiiumedinisi,
la tutela della pubblica incolumità, l'individuazione delle responsabilità dei
danneggiamenti dei beni patrimoniali, culturali e ambientali, che circa
cinquantánni fa lo Stato ha posti sotto la responsabilitàlla Regione Siciliana,
e quant'altro un eventuale ma ormai necessario intervento della Magistratura
volesse considerare di sua puntuale pertinenza.
Note
1 – come ebbi modo di scoprire durante una
esplorazione oltre quarant’anni fa. Ne pubblicai in seguito notizia nei
seguenti lavori: 1984, Il rito dell’inumazione a scheletro
rannicchiato (enchytrismòs) nella Sicilia Orientale, Tesi di
Specializzazione in Archeologia Preistorica presso la Scuola Speciale per Archeologi, Università
di Pisa. Relatore Prof. Giuliano Cremonesi, correlatore Prof. Francesco
Mallegni; 1984, Il rito della sepoltura ad inumazione entro vaso
(“enchytrismòs”) nella Sicilia Nord Orientale (Antica età del Bronzo – Tarda
età del Ferro), in The Deya Conference of Prehistory (Majorca, Balearic
islands). Early Settlements in the Western Mediterranean Islands
and the Peripheral Areas, voll. I-IV. Edited by Waldren W.H., Chapman R.,
Lewthwaite J. and Hennard R.C., British Archaeological Reports, International
Series 229, Oxford, pp.465-486.
2 – dati forniti dal sito www.it.wikipedia.org/wiki/Fiumedinisi nel capitolo “Amministrazioni” (ultima consultazione in data 2 marzo
2024).
3 – in Villari P., La Regione Siciliana e gli
interventi, op. cit. in nota 1.
4 – studi svolti presso la Scuola
Speciale per Archeologi preistorici dell’Università di Pisa, un loro riassunto
è stato pubblicato in: Villari P., 1980, Considerazioni sulla
presenza di alcuni bronzi in una capanna del periodo di transizione Tardo
Eneolitico-Prima età del Bronzo di Fiumedinisi (Messina), in Atti della
Società Toscana di Scienze Naturali, Pisa, serie A, n.87, pp.
465-474; Villari P., 1981, I giacimenti preistorici del Monte
Belvedere e della Pianura Chiusa di Fiumedinisi e la successione delle culture
nella Sicilia Nord Orientale, in Sicilia Archeologica, 44-47, pp.
111-121.
5 – uso il termine “cornice” per
identificare il grande foro che a memoria d’uomo caratterizza il costone della
Rocca Perciata. Con tutta probabilità di origine naturale, esso presenta
evidenti tracce di spianamento artificiale della base. Ad alcuni metri da esso
oltre quarant’anni orsono avevo rinvenuto un deposito di larghi resti
fratturati di vasi attribuibili al corso dell’Eneolitico Tardo e dell’Antica
età del Bronzo. Poiché in Sicilia si sono in seguito sommati molti altri esempi
di simili “cornici”, meglio note in letteratura quali “pietre forate”,
anch’esse associate a resti ceramici databili allo stesso periodo e posti
antistanti al foro, si può presumere che appartengono allo stesso fenomeno
culturale.
Le teorie d’uso sono varie, quasi tutte legate ad un
uso cultuale legato a osservazioni e calcoli astronomici corrispondenti al
movimento degli astri, in relazione alle attività agricole e di allevamento. Si
ritiene quindi che fossero legate a particolari cerimonie magico-religiose,
svolte nel corso dell’anno durante le ricorrenze delle fasi solstiziali ed
equinoziali o di altri accadimenti astrali. Tuttavia, è interessante notare che
la “cornice” di Fiumedinisi non sembra esposta in modo tale da essere utile
agli stessi calcoli basati su movimenti solari come invece poteva avvenire
nelle altre sue simili siciliane, o sulla sommità della Torretta di
Buticari, sita su una collina presso la cittadina di Nizza di Sicilia (sita a
pochi chilometri dal Monte Belvedere, purtroppo non professionalmente
restaurata e il terreno antistante spianato dalle ruspe, anche qui definiti
lavori di “riqualificazione” finanziati con soldi pubblici e svolti anni orsono
dall’arrogante ignoranza della locale amministrazione comunale e dalle stesse
Istituzioni poste a tutela.
6 – rimando alla Fig. 1, foto e
didascalia, pubblicate nel mio articolo: La Regione Siciliana e gli
interventi di “riqualificazione” con finanziamenti destinati allo sviluppo
rurale: il surreale caso dell'area del Castello di Fiumedinisi, in The
Reporter’s Corner, 29-02-2024, ove peraltro suggerisco la denominazione di
“Piazzale del Cemento”. Link online:
https://www.thereporterscorner.com/2024/02/la-regione-siciliana-e-gli-interventi.html
7 – Villari P., 2008, Concessione
di Scavo in C.da Pianoro Chiusa – Monte Belvedere di Fiumedinisi: Relazione
annuale delle attività archeologiche svolte nell’anno 2008 a Monte Belvedere di
Fiumedinisi, inviata nella qualità di Direttore degli Scavi Archeologici e
Procuratore Legale del Department of Anthropology, University of South Florida,
alla Direzione Generale dell’Assessorato ai BB.CC.AA. della Regione Siciliana,
8 Dicembre 2008, pp. 1-7.
8 – Rimando alla “Concessione di
Scavo in C.da Pianoro Chiusa – Monte Belvedere di Fiumedinisi: Relazione
preliminare …”, op. cit. in nota 6; e all’articolo pubblicato in
questo blog: Villari P., 13.07.2020. Le ruspe nel complesso
religioso residenziale e cerimoniale megalitico dell’Antica età del Bronzo di
Monte Belvedere (Fiumedinisi, Sicilia Nordorientale). Parte I: nozioni
introduttive, nota 1 (lista di parte delle mie scoperte, ricerche e
pubblicazioni d’interesse archeologico e archeozoologico inerenti all’area
Pianura Chiusa-Monte Belvedere).
https://thereporterscorner.com/2020/07/le-ruspe-nel-complesso-religioso.html